Costruzione e sfruttamento del fenomeno Osteoporosi
Emilio Maestri Endocrinologia Territoriale, Azienda USL di Reggio Emilia
Giulio Formoso Area Governo Clinico, Azienda USL di Reggio Emilia
Nicola Magrini World Health Organization, Ginevra
Le recenti prese di posizione dell’Organizzazione Mondiale della Salute (WHO) sul calcolatore FRAX1, passate sotto un silenzio mediatico imbarazzante quanto diagnostico, richiedono una serie di riflessioni che non possono non coinvolgere l'intero percorso – culturale ed etico – dell'osteoporosi.
Alcune tappe di questo percorso sono talmente incredibili che – pur non essendo “antiche” – rischiano di restare sconosciute o essere rimosse grazie alle strategie di chi ha tutto l'interesse a far dimenticare.
“...lo strumento FRAX non è uno "strumento del WHO" e non è stato sviluppato, patrocinato, valutato, o validato dal WHO.
Il WHO non ha ricevuto alcun introito dalle vendite per l'affiliazione al FRAX, e nemmeno appoggia raccomandazioni di trattamento derivante dalla stratificazione di rischio risultante dall'applicazione del calcolatore...”.
Bull. WHO 2016; 94: 862-8621.
Un obiettivo importante: Prevenire le fratture (è possibile?)
Chi – tra i clinici che hanno a cuore la salute dei propri assistiti – trascurerebbe la possibilità di diminuire il rischio di fratture da fragilità della propria popolazione anziana?
Ovviamente: nessuno.
Il problema è rilevante, gravato da una morbilità e una mortalità importanti: l'attrattiva per i clinici irresistibile.
E i clinici si rivelarono, fin dal principio, talmente affamati di soluzioni, da trascurare – per eccesso di entusiasmo – i concetti base della fiducia in medicina. La prescrizione avveniva sulla base dei consigli rassicuranti di blasonati opinion leader, visto che gli studi di efficacia ancora non esistevano.
In più, veniva dimenticato anche un ulteriore concetto base della medicina (e della vita in generale): non è detto che, riconosciuto ed inquadrato un problema, debba essere automaticamente disponibile una soluzione; e soprattutto: non è vero in medicina che "tutto va bene pur di fare qualcosa, perché fare qualcosa è meglio che fare nulla".
Calcitonine: un incubo da non dimenticare
L'oblìo non dovrebbe cancellare o diluire la memoria sulle calcitonine.
Dall'inizio degli anni '80 sino alla prima metà degli anni '90, in una euforia di delirio prescrittivo per molti versi off-label2, nella sola Italia la prescrizione di calcitonina (fiale, spray nasale e perfino supposte) superò ampiamente il milione di miliardi di vecchie lire senza che un solo studio clinico ne avesse dimostrato ancora l'efficacia sulla riduzione del rischio di frattura. Le deboli prove di efficacia, principalmente in prevenzione secondaria, furono successive al “boom” delle calcitonine in Italia. Nonostante esistessero prove di efficacia a favore degli estrogeni, le scelte verso la calcitonina venivano orientate da strategie persuasive di marketing, non avendo a disposizione che pochi dati solo su esiti surrogati.
L'ipriflavone, flavonoide affiancato alla calcitonina "per colmare il vuoto della terapia orale", ne condivideva la totale assenza di studi sulle fratture e ne condivise, per fortuna, la scomparsa di scena, dopo avere fatto registrare fatturati miliardari di tutto rispetto.
Il fenomeno si dissolse, spazzato via (senza apprezzabili danni alla salute) dalla riclassificazione dei farmaci della Legge 24 dicembre 1993, n.537.
La pietra tombale sulla calcitonina è calata solo nel 2012 quando, nel tentativo di resuscitarne l'impiego con studi clinici più consistenti, è emerso un incremento del rischio di diverse neoplasie: sia EMA che FDA hanno decretato il ritiro dal commercio degli spray nasali relegando le formulazioni iniettabili nella terapia per brevi periodi della malattia di Paget o dell'ipercalcemia grave neoplastica3.
Come dire: da una efficacia incerta ad un danno accertato…
Questo straordinario fenomeno durato oltre 10 anni, sembra incredibile oggi ai tempi dei megatrial e delle meta-analisi ma è realtà storica, una realtà inoppugnabile anche se scomoda da ricordare poiché la categoria degli opinion leader che, occultando enormi conflitti di interesse, aveva sostenuto la calcitonina negli anni '904-6, ha successivamente sostenuto, anche se in modo differente, altre terapie ed altre diagnostiche ben più attuali.
Misurare il rischio: la densitometria ossea
I farmaci anti-osteoporosi all'inizio venivano prescritti su base empirica: è solo successivamente che, nel comprensibile desiderio di individuare meglio i pazienti da trattare, vennero messi a punto strumenti in grado di determinare la densità minerale ossea (BMD) nell'ipotesi che una bassa BMD costituisse un elemento principale nella genesi delle fratture. È in questo processo di identificazione della “normalità” che nacque la definizione “tecnica” di osteoporosi quantificata in un T score inferiore a – 2,5 cioè una BMD di 2,5 deviazioni standard al di sotto di un valore medio riferito al picco di massa ossea della donna giovane, in pratica all'osso nel suo “periodo migliore”7.
Non può sfuggire, nemmeno ad un osservatore superficiale, come l'andamento fisiologico della mineralizzazione ossea esprima – dopo il picco – una riduzione più o meno rapida e come, soprattutto dopo la menopausa, ogni confronto non possa che essere perdente se il termine di riferimento è la BMD al suo momento migliore: come confrontare l'avvenenza di una signora da una immagine ritratta a 65 anni con un’immagine della stessa signora a 30 - 35 anni.
Basarsi sul T score è una garanzia per una base di risultati “patologici” destinati a tradursi, prima o poi, in un trattamento. Basta guardare il grafico di riferimento dei comuni referti delle densitometrie per rendersi conto dell’andamento della BMD, destinata a scendere fino ad inabissarsi sotto il limite dei valori indicati come patologici nella quasi totalità delle persone che automaticamente vengono trasformate in “pazienti”.
Dalle analisi epidemiologiche emergeva quanto atteso: esisteva un incremento del rischio di frattura per i valori più bassi del BMD e quindi di T score con la automatica conclusione (sbrigativa) che un trattamento farmacologico remineralizzante avrebbe potuto diminuire questo rischio.
E nelle aree a bassa prescrizione di calcitonina ecco pronti i densitometri omaggio, “ …per mettere a disposizione della gente le metodiche diagnostiche più moderne!”
Come dire: “Nessuno si salverà dall'osteoporosi”.
Dalla Diagnosi alla Terapia: con quale efficacia?
La sciagura dei fluoruri – che aumentavano BMD e fratture nello stesso tempo – fu una dura lezione su come non sempre al miglioramento della BMD corrispondesse, come logica conseguenza, una riduzione del rischio8.
Nonostante questo, sull'efficacia dei trattamenti remineralizzanti sono moltissimi i dati sulla BMD e pochissimi quelli sul rischio di frattura, portando le Agenzie regolatorie ad “accontentarsi” di risultati su esiti surrogati, come abbiamo visto non proprio affidabili.
Gli studi disponibili sulle fratture riguardano essenzialmente popolazioni in prevenzione secondaria, cioè in chi già aveva subito una frattura: i dati in prevenzione primaria – che interessa oltre il 90% delle prescrizioni – sono molto limitati, soprattutto per i maschi.
Questa distinzione – prevenzione secondaria vs. primaria – non è puramente accademica in quanto esprime due condizioni di rischio del tutto differenti e non esiste bias culturale peggiore che trasferire una indicazione di efficacia conseguita in un campione di persone ad alto rischio, a persone con un rischio decisamente inferiore. In diversi studi, un esempio è lo studio HIP, i campioni studiati sono “misti” cioè vengono arruolati soggetti con frattura e senza frattura ma con bassa BMD. Nel campione complessivo il trattamento risulta efficace, ma esaminando i dati disaggregati, nel sottogruppo in prevenzione primaria (anche se definito ad alto rischio) non si osserva una riduzione significativa delle fratture, risultato limitato alle donne con pregressa frattura9.
L’unico studio veramente importante in prevenzione primaria, lo studio FIT, ha mostrato una riduzione del rischio di fratture vertebrali (asintomatiche nel 70%), la riduzione delle fratture non vertebrali era significativa solo in un sottogruppo a rischio più elevato, con le obiezioni metodologiche del caso10.
Un grido di dolore dall'Italia: dal 2003 al 2012 l'incidenza di fratture è aumentata del 18% nonostante una spesa per farmaci contro l'osteoporosi quasi decuplicata (fonte dati OsMed: sic!)
Omissioni e occultamenti: il cammino lento e difficile della verità
Al problema della penuria di dati in prevenzione primaria si sono aggiunte tristemente gravi responsabilità di consapevole occultamento di dati sfavorevoli: un esempio su tutti i problemi dermatologici e gli eventi cardiovascolari nei trials sullo stronzio ranelato.
In modo simile a quanto già accaduto per il rofecoxib, i dati sul rischio cardiovascolare della molecola erano stati rilevati ma sono stati abilmente dissimulati frammentandone la rilevanza sotto diverse definizioni e quindi tenuti criminosamente nascosti dall'industria produttrice.
Il rischio cardiovascolare diventerà di dominio pubblico solo 10 anni dopo, sotto il mirino degli ispettori dell’EMA: 10 anni insopportabilmente lunghi11.
Le Linee Guida ... Guidate
Se si cercano indicazioni di buon comportamento clinico nelle linee guida ci si imbatte in situazioni talmente anomale da risultare paradossali e ridicole per non dire offensive.
Qualche riflessione sulle linee guida emesse nel 2014 a cura della società scientifica IOF: una delle maggiori, per non dire la più importante (o potente) del settore12.
La lettura del documento mostra come non esista rispetto per quasi tutte le regole base da osservare nella realizzazione di una Linea Guida.
L’esplicitazione del conflitto di interesse contenuta nella parte introduttiva è un esempio imbarazzante di opacità totale: viene semplicemente riportato che i conflitti sono stati risolti con soddisfazione, ma nulla di più. Non può sfuggire nemmeno l'intensità con cui il documento è stato revisionato: per ben tre volte nel corso di un anno e la motivazione di questo zelo era rappresentata dall'asserita disponibilità di nuove evidenze nell’area delle indagini morfometriche e sull’importanza dei marcatori di turn-over osseo. Ebbene, l’analisi della bibliografia citata datava al 2005 l’articolo più recente sulla morfometria mentre, a supporto dell’importanza dei markers di turnover osseo, veniva citato un documento di revisione in area NICE, che giungeva a conclusioni divergenti (sic!) da quelle riportate dalla Linea Guida proprio nel paragrafo con la citazione bibliografica del documento.
Fratture da fragilità: quante in donne non osteoporotiche?
Tornando alla fase diagnostica, soprattutto all'inizio, non fu dato risalto ad un rilievo che veniva da più voci: la maggioranza di fratture (fino all'85%) si verifica paradossalmente in persone che la BMD non classifica come osteoporotiche13,14.
Questo dato destabilizzante porta a due considerazioni logiche immediate: lo scarso potere predittivo della densitometria e la presenza necessaria di altri fattori di rischio determinanti per la frattura, più importanti della demineralizzazione.
Se la maggior parte delle fratture si verifica in donne osteopeniche e non osteoporotiche, le ricadute pratiche possono essere diametralmente opposte: l'estensione della prescrizione all'osteopenia oppure la banalizzazione del valore della densitometria, visto il potere predittivo intollerabilmente basso.
Non dimentichiamo che non esistono studi di prevenzione primaria in donne osteopeniche e non è possibile trasferire a questa condizione i risultati dei trials che avevano arruolato principalmente donne già fratturate o osteoporotiche.
Le basi incerte dello screening con la densitometria
Con questo rilievo di una percentuale drammaticamente elevata di falsi negativi per la densitometria (bassa sensibilità), c’è da chiedersi con quale credibilità culturale viene sostenuta l’appropriatezza di uno screening utilizzando un test che fallisce 5-8 volte su 10 e sulla cui utilità (screening densitometrico vs. no screening) i dati sono veramente pochi e di qualità limitata.
Ad ogni rischio il suo peso: l'era dei calcolatori
Dalla ricerca di una migliore quantificazione dei “criteri di rischio” già noti, sono nati gli studi che hanno portato alla elaborazione di strumenti di valutazione, i cosiddetti calcolatori di rischio, progettati per conferire ad ogni fattore di rischio un “peso” specifico numerico e poter esprimere un rischio globale di sviluppare una frattura osteoporotica o di femore in un intervallo di tempo.
La validità di un calcolatore è massima quando applicato a persone con caratteristiche il più possibile trasferibili alla popolazione di origine dei dati e per questo esistono strumenti con connotazioni territoriali specifiche (es. il calcolatore GARVAN per la popolazione australiana o il qFracture score ottenuto in Galles e Inghilterra).
Il calcolatore più diffuso e utilizzato è il FRAX elaborato inizialmente su una coorte inglese poi esteso ad oltre 60.000 pazienti di tutto il mondo15.
Intuitivamente la performance del calcolatore è direttamente proporzionale alla numerosità del campione studiato ed alla durata del periodo di studio. L'affidabilità dei singoli strumenti dovrebbe essere validata, cioè sottoposta ad una verifica in una coorte diversa da quella dello studio originale.
Il cuore del calcolatore, il software che consente di generare la valutazione numerica del rischio, dovrebbe essere disponibile per motivi di analisi esterne ai fini della validità del metodo: paradossalmente il calcolatore FRAX, il più diffuso in assoluto (circa 8.000 utilizzi al giorno), mantiene una inaccessibilità totale.
È proprio con il calcolatore FRAX che è stato realizzato lo studio SCOOP, finalizzato a valutare l’efficacia di uno screening nel diminuire il rischio di fratture cliniche. Lo studio presenta diversi problemi metodologici ma nonostante la riduzione dell’esito primario (fratture osteoporotiche in generale) non risulti significativa, viene osservata una seppur modesta riduzione delle fratture di femore nel gruppo sottoposto a screening vs. no-screening16. L’USPSTF, pur riconoscendo i limiti dello studio, include lo screening mediante calcolatore per identificare le donne da sottoporre a densitometria e eventuale terapia in caso di raggiungimento di una soglia di intervento in base all’età17.
FRAX: millantato credito, uso non autorizzato del marchio WHO
È proprio sullo strumento FRAX (dal quale è stato derivato il calcolatore deFRA, rivolto alla popolazione italiana) che si è scatenata la denuncia del WHO, dopo un’importante notifica sull'assenza di trasparenza dello strumento18.
In un documento del 20161 il WHO prendeva le distanze dallo strumento FRAX sottolineando che, nonostante le dichiarazioni di affiliazione contenute nel sito del FRAX, il WHO non aveva sponsorizzato o patrocinato il calcolatore e che non esisteva alcuna condivisione sull’algoritmo, chiedendo la rimozione del logo WHO dalle schermate del programma.
Successivamente una ricerca bibliografica ha rilevato gli articoli pubblicati su riviste internazionali e contenenti in modo esplicito l’asserzione che lo strumento FRAX era il calcolatore del WHO. Un apposito gruppo del WHO ha inviato ad ogni rivista l’elenco degli articoli in essa pubblicati e una lettera contenente la presa di distanza dalla gestione del millantato patrocinio del WHO a favore del FRAX. È in corso la richiesta di retraction di tali articoli, un evento mai verificatosi con questa portata (quasi 1000 articoli) e con questa motivazione (millantato endorsement e paternità culturale del WHO).
Questa querelle di condivisioni negate e di mancata concessione dei quarti di nobiltà non costituisce automaticamente una negazione del valore clinico del FRAX, ma “soltanto” l’ennesimo segno di profonda disonestà culturale.
In questo capitolo, quantomeno imbarazzante per la comunità scientifica e clinica, non poteva esservi conclusione più emblematica di quella dei nostri vertici governativi; in data 10 Maggio 2018 la Conferenza Stato Regioni ratifica “Una strategia di intervento per l’osteoporosi” documento programmatico elaborato dalle più “autorevoli” Società Scientifiche. Nel documento in oggetto, a 2 anni circa dalla denuncia del WHO, leggiamo a pagina 15 “…A tal fine il MMG può avvalersi di strumenti per la valutazione del rischio quali: FRAX – algoritmo elaborato dall’OMS ...” .
Più colpevole chi non sapeva o chi – pur sapendo – ha fatto finta di niente?
Riflessioni finali
La gravità di quest'ultima situazione si commenta da sola e contribuisce a rendere ancor meno credibile l’insieme di postulati su cui si basa uno dei fenomeni commerciali/mediatici più poderosi degli ultimi 30 anni: dalla calcitonina ai giorni nostri...
Il dubbio (se non il rifiuto) è meritato per chi:
- esprime (occultandoli) in modo offensivo i propri conflitti di interesse;
- sostiene metodiche di studio di efficacia discutibile;
- formula raccomandazioni prive di prove o addirittura cita prove con risultati di segno opposto;
- consiglia trattamenti di efficacia non documentata o documentata in altre condizioni di rischio;
- occulta dati sfavorevoli dei trattamenti;
- si propone come centro collaborativo WHO (in realtà decaduto) e millanta un endorsement ed un patrocinio per aumentare l’appeal di metodiche diagnostiche non condivise col WHO.
Dopo tutto questo e tanto altro ancora, come dimenticare la storia, a partire dalla calcitonina... e continuare a credere?
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