Le tante – complementari/contraddittorie – novità con cui confrontarsi
Gianni Tognoni
Al di là del suo regolare appuntamento con la bussola, che rimane sempre in cerca-attesa di innovazioni rilevanti per la salute pubblica, questo n. 2/2018 di Isf propone tre appuntamenti importanti.
a) Il primo fa il punto (in modo autorevole da parte di chi è stato tra i protagonisti della ricerca in questo settore) su uno dei temi da un lato più critici per la gestione della cronicità, dall’altro più a lungo controverso sulle terapie non solo sistematicamente efficaci, la BPCO; b) il secondo è di un’attualità altrettanto importante, anche se tanto diversa: racconta una storia-antica-che-continua di un capitolo “esemplare” non solo per la politica farmaceutica italiana, ma per tutta la sotto-cultura medica che l’ha resa possibile: dalle calcitonine al FRAX; c) il terzo – continuando uno sguardo dall’interno della Medicina Generale1,2 – propone un percorso di aggiornamento-riflessione sul come, nel quotidiano, si incrociano gli immaginari di “risposte-richieste-a-non-importa quale-costo” per i problemi-curiosità al confine tra la medicina, la ricerca di base ed il mercato: un caso assolutamente ordinario di consultazione dietetica esplora il come, e quanto a fondo, la ricerca biologica più avanzata (dalla genetica, alla genomica, alla biologia molecolare, in tutte le loro declinazioni) possa divenire parte di un “immaginario” di cui ci si appropria senza comprenderne nulla, se non la traduzione del mercato che ne vende “rappresentazioni”: come un’agenzia di viaggio che vende percorsi esotici che promettono di cambiare la vita.
Al di là dei loro contenuti tecnici – da leggere anche come esempi interessanti di stili e linguaggi coerenti nella loro diversità con la ovvia diversità degli obiettivi che ci si propongono – i tre “appuntamenti” coincidono con la sottolineatura di tre sguardi complementari necessari per muoversi nello scenario più generale della gestione-in-condizioni-di-non-dipendenza di ciò che è venduto come evidenza ͍ innovazione.
1. Il percorso di aggiornamento proposto per la BPCO coincide con la produzione di un messaggio (molto articolato: che costringe ad ogni passo a ricordare che il cammino è stato accidentato per arrivare alle ultime “novità” riconoscibili come sufficientemente consolidate) che si può così riassumere:
- la BPCO “rappresenta” le complessità reali, che incrociano problemi di diversa origine, interventi con diverso grado di praticabilità, conoscenze personali di meccanismi fisiopatologici di base, contesti assistenziali non omogenei per dis-continuità di accessibilità e di competenze: per queste complessità le linee guida devono essere punto di arrivo ben definito, che è però obbligatorio utilizzare come punto di partenza per ricondurre, con una flessibilità esplicitata e documentata, le evidenze disponibili al test della loro effettiva trasferibilità alle sottopopolazioni “attese-come-diverse”: in termini non solo di pratiche, ma di outcome.
- La BPCO viene proposta con sempre più insistenza come test di quello che (nella letteratura internazionale, ma anche in queste pagine) è un mantra: per essere credibile-sostenibile, un sistema sanitario dovrebbe essere “learning”: impara-sperimentando, non essendo passivamente obbediente a quanto è già disponibile/rimborsabile.
- Il punto critico è la coscienza di essere così ad una frontiera molto sensibile: la flessibilità che si sperimenta documentando percorsi e risultati è obbligatoria e perciò legittima. La flessibilità “spannografica” che afferma una libertà coincidente con l’empirismo (e/o con l’uno o l’altro mercato) è una violazione dei diritti individuali e collettivi delle persone: la BPCO è una diagnosi, e le “evidenze in sé”, non applicate responsabilmente a “quella” persona, un’astrazione.
2. L’importanza del “racconto” che si incontra nel secondo appuntamento è di tutt’altro tipo, ma esplicitamente complementare. La storia in cui ci si inoltra – quasi sorpresi, per l’oggettività e la successione impietosa dei fatti che si susseguono fino alle ultime righe – è lunga e contemporanea-parallela (anche se prevalentemente solo in Italia) a quella raccontata nel primo appuntamento. Al difficile, contraddittorio, sempre rinnovato tentativo di ricerca (non priva di contraddizioni!) che ha caratterizzato la BPCO, l’osteoporosi ed i suoi farmaci contrappongono una “linearità di mercato” che non sembra reale tanto è coerente la sistematica sostituzione o negazione dei criteri che hanno portato ad una “sana” logica di utilizzo di dati affidabili per produrre evidenze. Tutti presenti: industria, medici, ricercatori, autorità regolatorie. Dall’altra parte una popolazione cancellata nel suo diritto alla visibilità epidemiologica, ad una informazione rispettosa degli standard minimi di dignità, che chiedono di tener conto delle paure dei rischi (di fratture, e di perdita di autonomia), e impongono promesse di prevenzione e cura credibili, e di risposte almeno “probabili”, e certo non dannose.
Lo stile del “racconto” coincide con la sua gravità: ne constata senza fronzoli la fattualità. La storia della nostra cultura-politica-sanità è fatta anche di questo. La “esemplarità” dice per definizione che lo scenario dell’osteoporosi (con tutti i suoi protagonisti e le possibili diverse comparse) non è verosimilmente unico. E non appartiene solo al passato: con l’uno o l’altro travestimento di scena.
Grazie per l’ironia molto amara che corre per tutto il testo. Serve a ricordare. Ancor più a non prendere distanza, come se si fosse spettatori occasionali, o scandalizzati, tanto da poter dire “è proprio una vergogna!”. Ed essere così soddisfatti, ed autoconvinti che “a tutto si mette rimedio”.
3. Il terzo appuntamento ci porta in uno studio di medicina generale. Racconta il mondo inesplorato – di conoscenze, di investimenti, di certezze, illusioni, [conflitti di] interesse, paesaggi meravigliosi di futuro, filosofia di ricerca e di vita – che sta dietro e dentro il tempo di una visita medica. Da leggere: andando bene a vedere almeno i titoli e l’intensità “cronologica” della bibliografia. L’incontro medico-paziente sconfina dalle definizioni tecniche dei problemi in una esplorazione di un mondo che “abita” – con altro linguaggio, promesse, trappole, internet, propaganda, social media – anche nelle case di tutte/i: orientandone attese o paure, esigenze, illusioni, desideri più che legittimi di conoscenza, di apprendimento, di maggiore autonomia decisionale.
La nutrizione (con tutte le sue ri-qualificazioni scientifico-tecnologiche ricordate nella Tabella 1) è uno degli scenari: abbastanza tranquillo? Chi sa. E forse ha già poli dialettici: o no? Slow-food? Choosing Wisely? E se l’incontro tra medico e paziente avesse come protagonista un caso di tumore-che-non-risponde?3 O una situazione di disturbo psicotico grave?4
Non è semplice, né garantito, in termini di reciproca fiducia e disponibilità a ricercare insieme risposte, trovare parole di conclusione come quelle proposte nell’articolo: leggere, certo dovute, ma che aprono ad un futuro incerto, ma che possono essere vissute come non-risposta, a conferma della sua illusione, per questa signora così “esemplare”. Bibliografia 1. Collecchia G. Dalla medicina personalizzata alla medicina di precisione. IsF n.2 2017, pag. 19. 2. Collecchia G. Il modello sindemico: un nuovo termine con radici antiche? IsF n.1 2018, pag. 25. 3. Roila F et al. L’immunoterapia nei pazienti oncologici IsF n.1 2018, pag. 11. 4. Tognoni G. Psicofarmacologia-psichiatria. IsF n.4 2017 ,pag. 12.