Leonardo M. Fabbri Dipartimento di Scienze Mediche, Università di Ferrara - Sahlgresnska University-Hospital, Gothenburg, Sweden
Bianca Berghé Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche Materno Infantili e dell'Adulto, Università di Modena e Reggio Emilia. Modena
Enrico M. Clini Dipartimento di Scienze Medico-Chirurgiche Materno Infantili e dell’Adulto, Università di Modena Reggio Emilia. Modena
Introduzione
La broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) è una malattia respiratoria ostruttiva cronica che colpisce soggetti adulti (≥40 anni), fumatori o ex-fumatori, che sviluppano dispnea ingravescente accompagnata nel 20-30% dei pazienti da tosse e/o espettorato cronici (bronchite cronica).
La conferma diagnostica richiede la dimostrazione spirometrica di ostruzione bronchiale non reversibile. Questa malattia è caratterizzata da un’alterata risposta infiammatoria cronica al fumo di sigaretta e/o altri inquinanti domestici o ambientali, infiammazione che coinvolge non solo bronchi e polmoni, ma è presente anche a livello sistemico, al punto che secondo taluni esperti rappresenta la componente polmonare di una malattia sistemica definita multimorbidità che colpisce con maggiore prevalenza gli anziani fumatori o ex fumatori.
L’ostruzione bronchiale non reversibile documentata dalla spirometria costituisce l’alterazione funzionale patognomonica della BPCO. La aspecificità di sintomi respiratori cronici ed ostruzione bronchiale nei fumatori richiede una accurata diagnosi differenziale su altre patologie o concause respiratorie (es. asma, bronchiectasie, esiti di tubercolosi, fibrosi cistica, tumori, ecc.), o extra-respiratorie (coronaropatia, scompenso cardiaco, obesità, malattie neurologiche croniche, etc)1-3.
La Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease (GOLD, www.goldcopd.org)1 limita le proprie raccomandazioni alla BPCO indotta da fumo di sigaretta ed altri irritanti respiratori, in quanto tutte le evidenze reperibili riguardano questo tipo di pazienti, e non si estendono quindi alle forme dovute ad altre malattie respiratorie ostruttive quali gli esiti di tubercolosi, le bronchiectasie, la fibrosi cistica, alle neoplasie o alle malattie cardiovascolari metaboliche o neurologiche come eventi concausali1.
Epidemiologia
La prevalenza della BPCO nei fumatori ed ex-fumatori di età superiore a 40 anni è di circa il 10%, maggiore nei maschi, e cresce con l’età arrivando a oltre il 25% dopo gli 80 anni. La BPCO è una delle più importanti cause di morte a livello globale, proiettata a divenire la seconda dopo le malattie cardiovascolari. Nel nostro Paese, vengono attribuite alla BPCO più di 20.000 morti l’anno4.
I pazienti con BPCO che spesso presentano malattie croniche concomitanti legate a età, stili di vita, e fumo (vedi paragrafo precedente) peggiorano molto, proprio per queste comorbilità, sia la propria mortalità che la morbilità, al punto che solo un quarto dei pazienti con BPCO muore per insufficienza respiratoria mentre la maggioranza di essi muore per eventi cardiovascolari e neoplasie, che costituiscono esse stesse le maggiori cause di morte negli individui anziani3.
Anatomia patologica e patogenesi
Nella realtà clinica, l’acronimo BPCO non identifica una singola alterazione anatomica, ma racchiude due quadri anatomopatologici distinti in un’unica definizione. Infatti, l’ostruzione cronica bronchiale patognomonica della BPCO è dovuta in parte al rimodellamento e all’infiammazione delle vie aeree indotti dalla infiammazione cronica ed in parte alla distruzione della superficie alveolare con perdita della trazione elastica da essa esercitata sui bronchioli (enfisema).
La BPCO è di per sé una patologia complessa e i meccanismi patogenetici che portano a queste due principali alterazioni anatomiche non sono ancora del tutto chiari.
L’ipotesi prevalente indica che i pazienti con BPCO sviluppano una risposta infiammatoria amplificata e anomala agli stimoli irritanti (soprattutto fumo di sigaretta), in grado di auto-mantenersi anche una volta rimosso l’agente irritante. Questa reazione infiammatoria cronica ed eccessiva può indurre la distruzione del tessuto parenchimale (causando enfisema polmonare) e perturbare i normali meccanismi di difesa delle vie aeree, con conseguente fibrosi e rimodellamento delle pareti delle stesse.
Studi condotti negli anni '60 hanno dimostrato che il principale sito responsabile dell’aumento delle resistenze nei fumatori con BPCO si trova nelle vie aeree periferiche (< 2 mm). Studi successivi hanno documentato in questi bronchioli alcune alterazioni morfologiche in grado di spiegare l’aumento delle resistenze al flusso aereo e, quindi, l’ostruzione al flusso espiratorio (vedi paragrafo successivo): queste alterazioni comprendono l’ipertrofia del muscolo liscio, l’iperplasia delle cellule caliciformi mucipare, la fibrosi parietale e l’infiammazione cronica, che possono contribuire al restringimento del lume sia aumentando lo spessore della parete sia occludendo il lume con tappi di muco ed essudato. La riduzione di flusso aereo, tuttavia, non dipende soltanto dalle alterazioni delle vie aeree periferiche, ma anche dalla distruzione enfisematosa del parenchima polmonare e dalla perdita di vie aeree periferiche; nel complesso, queste alterazioni anatomopatologiche riducono il calibro delle vie aeree, portando a un intrappolamento dell’aria negli spazi aerei periferici5.
Fisiopatologia
Le alterazioni anatomopatologiche descritte (rimodellamento e infiammazione delle vie aeree e del parenchima) costituiscono le basi fisiopatologiche dell’ostruzione bronchiale fissa, che, a sua volta, è la principale responsabile delle alterazioni della funzionalità respiratoria e delle conseguenti manifestazioni cliniche. Il flusso respiratorio durante una manovra espiratoria forzata è determinato dal rapporto tra la forza di ritorno elastico del polmone (che promuove il flusso) e la resistenza delle vie aeree (che si oppone al flusso). L’enfisema polmonare contribuisce alla riduzione del flusso diminuendo la forza di retrazione elastica del polmone (per distruzione delle pareti alveolari), mentre la bronchiolite vi contribuisce aumentando le resistenze delle vie aeree periferiche (per restringimento del lume).
Il soggetto con BPCO, quindi, ha bisogno di un tempo espiratorio più lungo per completare la normale espirazione (tanto più prolungato quanto più basso è il flusso espiratorio). In queste condizioni l’inspirazione successiva potrebbe iniziare prima che il polmone abbia raggiunto il punto di equilibrio elastico (cioè il punto in cui il richiamo elastico del polmone verso l’interno è controbilanciato dal richiamo della parete toracica verso l’esterno) e avvenire quindi a volumi polmonari più alti. Il respiro a volumi polmonari più elevati determina uno stato di iperdistensione caratterizzato da un aumento del volume residuo e della capacità funzionale residua e da una diminuzione della capacità inspiratoria. A questa conseguono un incremento del lavoro respiratorio e un aumento della sensazione di dispnea, che negli stadi iniziali della malattia compare tipicamente durante l’esercizio, ma negli stadi più avanzati può essere presente anche a riposo6,7.
Le modificazioni del parenchima inducono anche modificazioni della vascolarizzazione polmonare, con perdita del letto capillare contenuto nelle pareti alveolari distrutte: questa alterazione è responsabile della riduzione della capacità di diffusione alveolo-capillare (DLCO - Diffusion Lung CO). A causa dell’ostruzione delle vie aeree periferiche e della distruzione della rete capillare si ha una distribuzione disomogenea della ventilazione e della perfusione nel polmone. L’alterato rapporto ventilazione/perfusione che ne risulta è responsabile delle anomalie degli scambi gassosi che si manifestano dapprima con ipossiemia e poi con ipercapnia. Nelle fasi più avanzate, l’affaticamento dei muscoli respiratori riduce la ventilazione, contribuendo ad aggravare l’ipercapnia. Infine, in un sottogruppo di pazienti, si può sviluppare ipertensione polmonare (generalmente lieve o moderata), con conseguenti implicazioni sulla circolazione polmonare e sull’emodinamica del cuore destro.
Le lesioni a carico delle vie aeree e del parenchima polmonare si sviluppano progressivamente con il progredire della malattia, ma vi è una notevole variabilità individuale e il contributo di ciascuna di queste componenti varia da un soggetto all’altro.
Diagnosi e valutazione di gravità Manifestazioni cliniche
La dispnea cronica ingravescente, accompagnata nel 20-30% dei pazienti da tosse e/o espettorato cronici (bronchite cronica) è il sintomo principale per cui il paziente con BPCO consulta il medico. La dispnea è generalmente descritta dai pazienti come “fatica a respirare” o “mancanza d’aria” o “fame d’aria” ed ha diversi gradi di gravità: alcuni pazienti lamentano dispnea solo per sforzi intensi, altri a camminare in piano per pochi metri, mentre alcuni pazienti avvertono dispnea anche durante le normali attività quotidiane come vestirsi.
In maniera analoga ai cardiologi, che usano la scala della dispnea della New York Heart Association (NYHA), nella BPCO la dispnea viene valutata con il questionario modificato del Medical Research Council (mMRC), entrambi con 5 gradi di gravità (0-4).
Nei pazienti con BPCO la dispnea ha una comparsa graduale, nell’arco di diversi anni. Questo sintomo è tipicamente progressivo e diviene sempre più invalidante. Inizialmente si manifesta solo sotto sforzo (camminando, salendo le scale) (Grado I), poi diventa costante ed è la causa principale della limitazione delle attività quotidiane; infine, nello stadio finale (IV) è presente anche a riposo e confina il paziente a casa rendendolo disabile. La soglia per considerare il paziente significativamente sintomatico è ≥ 2. Sintomi e qualità della vita vengono anche valutati più globalmente con il questionario COPD Assessment Test (CAT), un test di 8 domande con punteggio da 1 a 5 ciascuna, per un totale di 40, ove la soglia per considerare il paziente significativamente sintomatico è ≥ 101.
Episodi di riacutizzazione di BPCO
In circa il 30% dei pazienti con BPCO, con più frequenza in quelli con sintomi di bronchite cronica, si sviluppano episodi ricorrenti di riacutizzazione della sintomatologia respiratoria. L’incidenza è di circa un episodio per paziente per anno, con frequenza minore nei pazienti con BPCO lieve e maggiore nei pazienti con BPCO grave1.
Una riacutizzazione di BPCO si definisce come un evento caratterizzato da una variazione dei sintomi di base del paziente (peggioramento di dispnea, tosse e/o espettorazione) di entità superiore alla normale variabilità giornaliera, con esordio acuto, che richiede un cambiamento nella terapia regolare, una valutazione medica o un ricovero ospedaliero.
Questi eventi acuti sono causati nella maggior parte dei casi da infezioni respiratorie, virali, batteriche o miste, o da esposizione acuta ad inquinanti. In altri casi, tuttavia, riacutizzazioni del tutto simili da un punto di vista clinico possono svilupparsi a causa di riacutizzazioni di malattie croniche concomitanti, quali scompenso cardiaco, ischemia miocardica, aritmie, asma, tromboembolia polmonare, polmoniti, bronchiectasie. In ambito clinico di degenza, ad esempio, è spesso difficile distinguere con certezza la natura cardiaca o respiratoria di una riacutizzazione di dispnea in un paziente affetto simultaneamente da BPCO e scompenso (circa il 30% dei pazienti). Analogamente, l’esordio di una fibrillazione atriale può manifestarsi con dispnea acuta. Vista l’alta prevalenza di malattie croniche concomitanti nei soggetti con BPCO, tali episodi acuti vanno accuratamente ricercati e trattati appropriatamente8.
Diagnosi
Il sospetto di BPCO va sempre posto nei pazienti adulti (≥ 40 anni), specie se anziani (> 65 anni), che si presentano con dispnea cronica, tosse ed escreato, in particolare se con un’anamnesi positiva per fumo o esposizione a inquinanti. In anamnesi è importante quindi soprattutto valutare:
• sintomi caratteristici (dispnea, tosse ed escreato cronici), loro quantificazione ed evoluzione nel tempo indagando:
- gli episodi di riacutizzazioni di BPCO, la loro frequenza ed eventuali ricoveri precedenti per tale motivo;
- malattie concomitanti e terapia in atto;
• abitudine tabagica (quantificabile in pack/year, cioè il numero di sigarette fumate al giorno per il numero di anni di fumo rapportato a 20, cioè al numero di sigarette per pacchetto);
• esposizione a polveri e gas inquinanti presenti nell’ambiente di lavoro;
• prematurità e/o anamnesi patologica remota, in particolare le infezioni delle basse vie respiratorie durante l’infanzia;
• presenza di altre pneumopatie croniche (es., asma, bronchiectasie, fibrosi cistica);
• familiarità per BPCO.
La dimostrazione spirometrica di un’ostruzione bronchiale non reversibile è fondamentale per confermare la diagnosi di BPCO. La presenza di ostruzione bronchiale non reversibile viene definita per convenzione da un rapporto tra il Volume Espiratorio Massimo nel primo Secondo di espirazione massima [VEMS, o Forced Expiratory Volume in One Second (FEV1)] e la Capacità Vitale Forzata [CVF, o Forced Vital Capacity (FVC)] inferiore a 0,7 misurato 15-30 minuti dopo l’assunzione di broncodilatatore inalatorio β2-agonista o anticolinergico (400 µg di salbutamolo e/o 80 µg di ipratropio bromuro). Questo risultato indica che nel primo secondo di espirazione viene mobilizzato meno del 70% di tutta l’aria mobilizzabile in una manovra espiratoria forzata e completa a partire dalla Capacità Polmonare Totale (CPT). La persistenza dell’ostruzione bronchiale anche dopo somministrazione di broncodilatatore inalatorio rappresenta la caratteristica peculiare nella BPCO. Le linee guida nazionali e internazionali indicano il FEV1 e il rapporto FEV1/FVC come i parametri funzionali essenziali per la diagnosi e la prognosi, ma non più così essenziali per la valutazione di gravità clinica dell’individuo (vedi oltre), né come parametro di riferimento per la impostazione della terapia1.
L’eventuale concomitanza di sintomi di bronchite cronica fa aggiungere la diagnosi di “bronchite cronica” a quella di BPCO. Analogamente, considerati i notevoli progressi della TC del torace ad alta risoluzione (HRCT), la diagnosi di “quadro radiologico di enfisema polmonare” si può aggiungere a quella di BPCO, in particolare per definire quei pazienti candidabili alla riduzione chirurgica dei volumi polmonari o al trapianto polmonare. È importante infine rimarcare che sia la bronchite cronica sia il quadro radiologico di enfisema polmonare possono essere presenti in assenza di ostruzione bronchiale a causa di un quadro spirometrico normale o addirittura “ristretto” per consensuale riduzione di tutti i volumi polmonari spirometrici.
Altri esami strumentali utili nella valutazione complessiva del paziente con BPCO comprendono:
• l’emogasanalisi (EGA) arteriosa, che permette di valutare lo stato degli scambi gassosi e di evidenziare l’eventuale presenza di insufficienza respiratoria;
• il test del cammino 6 minuti (Six Minute Walk Test, 6MWT), che permette di valutare la tolleranza allo sforzo dei pazienti con BPCO durante un esercizio sub-massimale;
• lo studio radiologico del torace, che può evidenziare reperti patologici tipici come l’appiattimento degli emidiaframmi, l’orizzontalizzazione delle coste, l’incremento dello spazio retrosternale, l’ispessimento dell’interstizio polmonare;
• la TC del torace, fondamentale nei pazienti candidati a terapia chirurgica (bullectomia, riduzione chirurgica dei volumi polmonari, trapianto polmonare);
• gli esami di laboratorio, in particolare emocromo per la ricerca di policitemia (indicativa di ipossiemia cronica), leucocitosi neutrofila (significativa soprattutto negli episodi di riacutizzazione), incremento degli indici sistemici di flogosi (PCR);
• il dosaggio della concentrazione sierica dell’α1-antitripsina, che consente di individuare i soggetti con deficit di questo enzima, di determinarne il genotipo e, ove disponibile, di attuare la terapia sostitutiva.
La diagnosi differenziale più frequente è con l’asma bronchiale e si esegue sulla base dell’anamnesi patologica prossima, remota, familiare e sul risultato della spirometria prima e dopo test di broncodilatazione. Poiché però la dispnea è un sintomo aspecifico, numerose altre patologie polmonari e non polmonari entrano in diagnosi differenziale con la BPCO. Tra queste, ricordiamo: l’insufficienza cardiaca cronica, il carcinoma polmonare, le bronchiectasie, la tubercolosi polmonare e le malattie interstiziali del polmone.
Valutazione di gravità
In presenza di ostruzione bronchiale (FEV1/FVC < 70%), nella prima fase diagnostica il documento di raccomandazione GOLD1 propone una classificazione spirometrica di gravità della BPCO in quattro gradi sulla base del valore di FEV1 (% del teorico) misurato alla spirometria eseguita dal paziente dopo broncodilatatore. Il grado spirometrico della malattia (da 1 a 4) fornisce informazioni sulla gravità della limitazione al flusso aereo (vedi box).
In qualsiasi grado spirometrico di gravità, i sintomi di dispnea, tosse ed espettorato possono però essere presenti in entità variabile oppure addirittura assenti, motivo per cui la correlazione tra le alterazioni spirometriche e il quadro clinico è debole, soprattutto nei fumatori. L’aggiornamento più recente (anno 2017) delle raccomandazioni GOLD ha quindi proposto una modifica dello strumento di valutazione “ABCD” del paziente (introdotto nel 2011) tenendo separati i gradi spirometrici. Ogni paziente viene sottoposto alla valutazione dei sintomi con l’ausilio di questionari sui sintomi (mMRC e/o CAT) e viene anche considerato in base al numero di riacutizzazioni cliniche pregresse che, se particolarmente gravi, possono aver portato a ricovero ospedaliero (Figure 1 A e B).
Figura 1 A e B - Valutazione di gravità della BPCO: sistema di valutazione "ABCD"
La categoria A-B-C-D ottenuta permette così di suddividere i pazienti in gruppi diversi, suscettibili a interventi terapeutici peculiari. In presenza di 2 o più riacutizzazioni oppure di almeno 1 ricovero per riacutizzazione nell’anno precedente (gruppi C e D) il rischio futuro del paziente diventa importante dal punto di vista prognostico e si aggrava maggiormente per i gradi spirometrici GOLD 3 e 4; infatti tra i pazienti ricoverati per gravi riacutizzazioni di BPCO associate a insufficienza respiratoria la mortalità a 2 anni è del 49%, un tasso drammatico, simile a quello del tumore del polmone.
Un limite delle attuali definizione, diagnosi e valutazione di gravità della BPCO è quello di escludere individui (pazienti) affetti da sintomi respiratori cronici ma con quadro spirometrico normale o restrittivo, popolazioni non ancora studiate in maniera adeguata, e per i quali non esistono raccomandazioni cliniche e di cura per la mancanza di solide evidenze.
Terapia
Gli unici interventi nei pazienti con BPCO che hanno mostrato in modo incontrovertibile di produrre miglioramento della sopravvivenza sono l’astensione dal fumo a lungo termine e l’ossigenoterapia domiciliare nei pazienti con BPCO associata ad insufficienza respiratoria cronica. Studi recenti hanno dimostrato che anche la ventilazione domiciliare dei pazienti che restano ipercapnici al termine di una insufficienza respiratoria acuta (IRA)9, quelli seguiti non solo per BPCO ma anche per comorbidità dopo un ricovero per IRA in un piano gestionale domiciliare10, e quelli trattati con triplice terapia farmacologica11, potrebbero giovarsi di un allungamento della sopravvivenza.
La cessazione del fumo è il punto chiave, pertanto in tutti i pazienti affetti da BPCO è fondamentale abolire il fumo di sigaretta con l’ausilio della terapia farmacologica, della terapia sostitutiva a base di nicotina e del supporto psicologico.
Gli obiettivi possibili con le terapie farmacologiche e non farmacologiche attualmente disponibili per la BPCO in fase stabile sono la riduzione dei sintomi respiratori, della frequenza e della gravità delle riacutizzazioni, e il miglioramento dello stato di salute e della tolleranza allo sforzo.
Sia la terapia farmacologica che quella non farmacologica (tra cui la riabilitazione respiratoria), pur avendo mostrato un miglioramento nella qualità di vita e nella riduzione dei sintomi respiratori e, in alcuni casi, dei ricoveri ospedalieri, non hanno dimostrato un significativo impatto favorevole della mortalità.
Ogni regime di trattamento farmacologico deve essere scelto in modo personalizzato sul singolo paziente e deve essere guidato dalla gravità dei sintomi, dal rischio di riacutizzazioni, dai potenziali effetti collaterali, dalle comorbidità, dalla disponibilità del farmaco e dalla risposta del paziente. Sebbene la riduzione del grado di ostruzione bronchiale, misurato con la spirometria, rappresenti un indice obiettivo degli effetti del trattamento, a differenza di altre malattie croniche, non costituisce obiettivo clinicamente rilevante, in quanto nessuno studio ha dimostrato che mantenere farmacologicamente un quadro funzionale respiratorio più elevato possibile conduca a ridotta mortalità o rallentata progressione della malattia. Pertanto, nella valutazione della risposta al trattamento, l’analisi dei sintomi e le riacutizzazioni cliniche dovrebbero fornire una mappa per migliorare la gestione farmacologica della BPCO in fase stabile.
Pur in contrasto con la natura non reversibile dell’ostruzione bronchiale caratteristica della patologia, il caposaldo farmacologico della terapia medica della BPCO è rappresentato dai farmaci broncodilatatori inalatori.
Gli anticolinergici e β2-agonisti sono i farmaci più utilizzati e svolgono un ruolo centrale nel controllo dei sintomi. Si somministrano sia come terapia regolare sia in aggiunta al bisogno. La preferenza e l'aderenza del paziente all’utilizzo dei diversi dispositivi per il rilascio dei farmaci inalatori rappresentano punti cardine per la scelta di una terapia efficace.
I broncodilatatori più frequentemente usati al bisogno sono i β2-agonisti (salbutamolo, terbutalina) e/o gli anticolinergici (ipratropio, oxitropio), entrambi a breve durata d’azione.
I broncodilatatori più comunemente utilizzati nella terapia regolare sono i β2-agonisti (formoterolo, salmeterolo, indacaterolo, vilanterolo, olodaterolo) e/o gli anticolinergici (tiotropio, umeclidinio, aclidinio, glicopirronio) a lunga durata d’azione.
L’azione principale dei β2-agonisti è il rilasciamento della muscolatura liscia delle vie aeree mediante la stimolazione degli omonimi recettori adrenergici con conseguente aumento dell’AMP ciclico, determinando un antagonismo funzionale alla broncocostrizione.
Il più importante effetto dei farmaci anticolinergici è il blocco degli effetti broncocostrittori dell’acetilcolina sui recettori muscarinici espressi sul muscolo liscio delle vie aeree, con conseguente broncodilatazione.
Sebbene i broncodilatatori siano tutti efficaci nel diminuire i sintomi respiratori, la scelta fra β2-agonisti, anticolinergici, o terapia di combinazione dipende soprattutto dalla risposta individuale del paziente. Combinare, infatti, broncodilatatori con diversi meccanismi e durata d’azione in unico dispositivo inalatorio può aumentare l'entità della broncodilatazione e il sollievo del paziente dai sintomi, e ridurre gli effetti collaterali rispetto all’aumento del dosaggio di un singolo broncodilatatore. Gli effetti collaterali dei broncodilatatori, come il tremore e la tachicardia, sono dose-dipendenti e vanno indagati nel paziente ad ogni visita di controllo.
In alcuni pazienti con BPCO e storia di frequenti riacutizzazioni nonostante un adeguato trattamento con broncodilatatori a lunga durata d’azione, ai β2-agonisti possono essere aggiunti gli steroidi inalatori, che portano soprattutto a riduzione delle riacutizzazioni, ma comportano un potenziale rischio di effetti collaterali a lungo termine, in particolare di polmonite.
Gli studi dell’ultimo anno, tuttavia, hanno dimostrato che l’associazione di broncodilatatori a lunga durata d’azione adrenergici (LABA), broncodilatatori antagonisti dei recettori muscarinici al lunga durata d’azione (LAMA), e steroidi inalatori (ICS), la cosiddetta triplice terapia LABA/LAMA/ICS in un singolo inalatore costituisce oggi la probabile migliore opzione terapeutica inalatoria nei pazienti con BPCO grave non controllata dai soli broncodilatatori, seppure combinati, e senza comportare nelle nuove formulazioni un significativo rischio di polmonite.
L’uso degli steroidi sistemici, in passato frequente nel trattamento regolare della BPCO, è oggi ritenuto poco efficace e non raccomandato per gli inaccettabili effetti collaterali, tra cui osteoporosi, insorgenza di diabete mellito, ipertensione arteriosa e gastropatie.
L’inibitore della fosfodiesterasi-4, il roflumilast, può essere utilizzato in circostanze limitate per diminuire le riacutizzazioni cliniche in pazienti affetti da BPCO con sintomi di bronchite cronica, ostruzione bronchiale grave o molto grave e frequenti riacutizzazioni, non adeguatamente controllati dalla terapia con β2-agonisti a lunga durata d’azione e steroidi inalatori oppure dalla triplice terapia inalatoria (β2-agonisti, anticolinergici a lunga durata d’azione e steroidi inalatori).
Infine, in pazienti simili con frequenti riacutizzazioni che richiedono terapia antibiotica, può essere presa in considerazione la terapia continuativa con macrolidi1,12 (vedi oltre).
La BPCO durante la fase di riacutizzazione clinica, le cui cause più comuni sono le infezioni respiratorie, richiede, invece, un trattamento aggiuntivo con l’obiettivo di minimizzare l’impatto della riacutizzazione in atto e di prevenire eventi futuri. La terapia prevede un aumento della terapia broncodilatatrice al bisogno con β2-agonisti con o senza anticolinergici a breve durata d’azione, integrata se necessario con non più di 5-7 giorni di steroidi orali e/o 3-10 giorni di terapia antibiotica limitata a pazienti con chiaro aumento di volume e soprattutto purulenza dell’espettorato.
Nei pazienti, in cui la riacutizzazione clinica è particolarmente grave e associata a insufficienza respiratoria acuta, è necessario il ricovero ospedaliero e il trattamento richiede anche ossigenoterapia e/o ventilazione meccanica non invasiva, che migliora lo scambio dei gas arteriosi, riduce il lavoro respiratorio e il rischio di intubazione, migliorando la sopravvivenza a breve termine del paziente.
Gli antibiotici non vanno usati in maniera profilattica generalizzata per prevenire le riacutizzazioni. L’unica eccezione è costituita dall’uso preventivo regolare di macrolidi in pazienti gravi selezionati a rischio di frequenti riacutizzazioni, in assenza di cardiopatie concomitanti (potenziali effetti collaterali comprendono infatti ipoacusia, aritmie, e sviluppo di resistenze microbiche)1,12.
Raccomandazioni terapeutiche in rapporto alla gravità della BPCO
Le raccomandazioni GOLD 2017 con l’ausilio del sistema di valutazione “ABCD” propongono un algoritmo di trattamento farmacologico iniziale con successivo incremento o diminuzione della terapia in base all’andamento dei sintomi e del numero di riacutizzazioni nel singolo paziente. Sebbene non sia stato ancora testato sistematicamente, questo algoritmo permette di aumentare la terapia in pazienti con sintomi persistenti nonostante un trattamento iniziale e di scalare la terapia in quelli con possibile risoluzione di alcuni sintomi, tenendo conto dei gruppi ABCD (Figura 2).
La nuova classificazione basata su sintomi e riacutizzazioni ha comportato tuttavia una marcata redistribuzione della gravità dei pazienti e quindi i pazienti cui si riferiscono le raccomandazioni più rilevanti sono i GOLD B (< 25%) e GOLD D (circa il 12%)13 (Figura 3) e quindi si potrebbero ipotizzare in futuro schemi semplificati, anche alla luce delle più recenti acquisizioni sulla efficacia dei farmaci in combinazione, in particolare la triplice, in pazienti misti GOLD B-D (Figure 4 e 5).
- Per i pazienti del Gruppo A, che rappresentano quasi il 60% dei pazienti, con sintomi lievi e rischio basso di riacutizzazioni, si raccomanda il solo uso di 1 (SABA) o 2 (SABA+SAMA) broncodilatatori a breve durata d’azione solo al bisogno, con passaggio alla terapia con un broncodilatatore a lunga durata d’azione (LABA o LAMA) in rapporto alla risposta sintomatica del paziente, in particolare nella riduzione della dispnea.
- Per i pazienti del Gruppo B, che hanno sintomi più significativi, ma lieve/moderato rischio di riacutizzazioni, si raccomanda l’uso di 1 farmaco la cui scelta dipende dalla risposta individuale del paziente in termini di riduzione della dispnea; per pazienti con dispnea persistente con un singolo broncodilatatore è consigliata la combinazione di 2 broncodilatatori a lunga durata d’azione (LABA/LAMA) o di LABA/ICS in presenza di sospetto di concomitante asma bronchiale. Gli studi più recenti 11,14-17, hanno dimostrato una superiorità anche in questi pazienti GOLD B della triplice combinazione LABA/LAMA/ICS rispetto alle altre opzioni (LAMA, LABA/ICS, o LABA/LAMA).
- Per i pazienti del Gruppo C, che costituiscono tuttavia una piccola minoranza dei pazienti nel mondo reale (poco sintomatici a rischio di riacutizzazioni) la prima raccomandazione è di studiarli a fondo, e di orientare la scelta in primis verso l’anticolinergico a lunga durata d’azione (LAMA), che si è dimostrato superiore nel prevenire le riacutizzazioni rispetto al β2-agonista a lunga durata d’azione; nei pazienti con persistenti riacutizzazioni, ma in caso di mancato controllo, si può passare alla scaletta (LAMA, LABA/ICS, LABA/LAMA, o triplice) proposta per i pazienti del gruppo GOLD D.
- Per i pazienti del Gruppo D, che presentano sia sintomi gravi che elevato rischio di riacutizzazioni, la terapia può iniziare, a discrezione dello specialista, con il solo LAMA, l’associazione LABA/LAMA, l’associazione LABA/ICS o addirittura la triplice (LABA/LAMA/ICS), quest’ultima in particolare in pazienti con BPCO grave alla dimissione di un ricovero con insufficienza respiratoria.
Alla luce di quanto sopra si potrebbe ipotizzare una semplificazione della terapia con una unica raccomandazione per il gruppo di dimensioni maggiori (GOLD A), ed una unica per i gruppi B,C e D.
Nei casi più gravi con ulteriori riacutizzazioni, può essere presa in considerazione l’aggiunta del roflumilast. Specie in questa popolazione suggeriamo che la scelta della mono, duplice o triplice terapia con broncodilatatori dipende sempre dalla valutazione complessiva e individuale del singolo paziente.
Altre terapie farmacologiche e non farmacologiche
Il vaccino antinfluenzale riduce del 50% l’incidenza di malattie gravi e la mortalità nei pazienti affetti da BPCO, pertanto è raccomandato in tutti i soggetti affetti.
Il vaccino antipneumococcico polisaccaridico è raccomandato nei pazienti con BPCO di età superiore a 65 anni e nei pazienti più giovani con significative comorbidità come le malattie croniche cardiache o polmonari, in quanto riduce l’incidenza delle polmoniti acquisite in comunità.
I farmaci mucolitici/antiossidanti (come acetilcisteina) possono dare qualche beneficio nei pazienti con tosse ed espettorato cronici e rischio di riacutizzazioni, ma la letteratura di sostegno rimane molto scarna.
La riabilitazione respiratoria rappresenta un’importante strategia terapeutica non farmacologica con un alto rapporto di costo-efficacia ed è parte integrante del trattamento del paziente con BPCO che presenta sintomi e disabilità. La riabilitazione offre al paziente che risponde la riduzione dei sintomi respiratori, il miglioramento della tolleranza allo sforzo, e quindi della qualità della vita, una maggiore partecipazione fisica e psichica alle attività quotidiane in tutti gli stadi di gravità. I risultati migliori possono essere ottenuti con periodi di riabilitazione standard (da 6 a 8 settimane nei percorsi ambulatoriali), ma per poterli mantenere il paziente deve cercare di continuare gli esercizi appresi anche a domicilio secondo strategie che ancora non sono completamente codificate18.
L’ossigenoterapia domiciliare a lungo termine (LTOT) è indicata solo per i pazienti con insufficienza respiratoria cronica. Ha effetti positivi sull’emodinamica polmonare, sul profilo ematologico e sulla tolleranza allo sforzo e migliora la sopravvivenza. Viene prescritta ai pazienti con BPCO molto grave in fase stabile, che presentano ipossiemia con valori di PaO2 ≤ 55 mmHg a riposo a livello del mare e/o di SaO2 ≤ 88%, con o senza ipercapnia, riscontrati due volte in un mese. L’obiettivo primario è di aumentare la PaO2 di base > 60 mmHg e/o ottenere una SaO2 > 90%. La LTOT in pazienti borderline non comporta alcun beneficio19.
La riduzione dei volumi polmonari è un intervento che implica la resezione chirurgica di porzioni periferiche di polmone, con l’obiettivo di rimuovere le aree enfisematose e permettere al tessuto rimanente di ventilare in maniera più efficace, ovvero il posizionamento di valvole endobronchiali unidirezionali in grado di “desuflare” le aree periferiche di pertinenza. Rappresenta un’opzione terapeutica valida solo in alcuni pazienti molto selezionati con enfisema di grado avanzato refrattario a una cura medica ottimale. Attualmente la metodica broncoscopica è quella più utilizzata anche per la caratteristica di reversibilità del trattamento.
Analogamente, il trapianto polmonare rimane un’opzione di trattamento in giovani pazienti con BPCO molto grave e avanzata, adeguatamente selezionati.
Patologie associate e comorbidità
Un aspetto fondamentale nella gestione dei soggetti affetti da BPCO è la presenza di malattie croniche concomitanti: le malattie cardiovascolari, metaboliche e neoplastiche sono le più rilevanti per frequenza, impatto prognostico e manifestazioni cliniche. La prevalenza di queste malattie concomitanti, in particolare delle comorbidità cardiologiche come insufficienza cardiaca, cardiopatia ischemica ed aritmie, è maggiore nei pazienti con BPCO rispetto alla popolazione generale.
Considerando la natura sistemica delle alterazioni indotte dal fumo di sigaretta, si può ipotizzare che le comorbidità croniche (quali le vasculopatie periferiche su base aterosclerotica, l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia ischemica, la sindrome metabolica, il diabete e l’osteoporosi) siano conseguenti agli stessi fattori di rischio che hanno portato alla BPCO, cioè età avanzata, stili di vita scorretti e fumo di sigaretta, e riconoscano l’infiammazione cronica sistemica come meccanismo fisiopatologico comune. In alcuni casi, però, (insufficienza cardiaca, fibrillazione atriale), la riduzione della funzionalità respiratoria è stata descritta come fattore di rischio indipendente per l’incidenza delle malattie concomitanti.
È ancora oggetto di discussione se la BPCO rappresenti un fattore di rischio indipendente per queste patologie, oppure se sia la BPCO che le comorbidità croniche siano il risultato finale dell’invecchiamento, dell’esposizione a stimoli nocivi e ad una infiammazione cronica sistemica.
Dal punto di vista clinico, le manifestazioni extrapolmonari della BPCO e le malattie concomitanti croniche influenzano sia la gravità (il numero di comorbidità extrapolmonari presenti in uno stesso paziente influenza la probabilità di mortalità intra-ospedaliera) che la mortalità della BPCO. Pertanto, è consigliato di valutare il paziente con BPCO considerando le malattie concomitanti come “parte integrante” della patologia, con un approccio cioè di tipo integrato che tenga conto della complessa gestione medica e terapeutica di questi pazienti.
Poiché la BPCO non si sviluppa quasi mai da sola e, soprattutto nei pazienti anziani, coesiste con altre malattie croniche, oggi viene da taluni vista come la componente polmonare di una più complessa sindrome sistemica legata all’invecchiamento, all’infiammazione cronica e al fumo di sigaretta. La presenza di malattie croniche concomitanti non modifica il trattamento della BPCO, e le comorbidità vanno trattate in modo appropriato indipendentemente dalla presenza di BPCO.
La complessità del paziente anziano, caratterizzata dalla presenza di due o più patologie mediche croniche (multimorbidità) rappresenta già un importante aspetto socio-sanitario e potrebbe diventare il più importante del ventunesimo secolo. La gestione di pazienti anziani con multimorbidità richiede un approccio olistico, ora codificato da linee guida prodotte dal NICE National Guideline Center20.
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