Introduzione
I disturbi del tratto digestivo superiore rappresentano uno dei più frequenti motivi di visita negli ambulatori di Medicina Generale, secondo lo studio AMEBEV 1 il 4,9 % sul totale delle visite, anche se si stima che la prevalenza del disturbo nella popolazione generale sia molto più alta (25%) e quindi si può ritenere che solo una minoranza di pazienti dispeptici ricorra al medico.
La rilevanza numerica del problema rende ragione della copiosa produzione scientifica su questo argomento, che viene affrontato a vari livelli spesso in modo molto frammentario e, purtroppo, condizionato da conflitti di interesse che sono la inevitabile ricaduta di un sistema dove la ricerca (anche quella "buona") è finanziata in buona parte dall'industria farmaceutica.
Questa considerazione è importante per comprendere risultati, non di rado contraddittori, che rendono problematica la scelta di comportamenti pratici (sia diagnostici che terapeutici) il più possibile basati sulle prove di efficacia.
Diverse aree della pratica quotidiana sono tuttora prive di evidenze tali da consentire di proporre indirizzi univoci; questo non diminuisce tuttavia l'importanza di una analisi dei dati disponibili.
Questa valutazione critica degli studi deve necessariamente avvenire con un'ottica costruttiva in quanto le sue conclusioni devono orientare comunque le nostre decisioni di tutti i giorni.
Per questo, nelle aree di incertezza (dove si formulano raccomandazioni per le quali non è appropriato parlare di "Linea Guida") è stata seguita la strategia del "focus group" per sviluppare strategie di comportamento condivisibili nello specifico contesto della medicina generale2.
I problemi digestivi genericamente intesi si presentano di norma come espressione acuta di sindromi ad etiologia virale oppure legati a disordini alimentari bene individuabili. In questi casi, che sono di frequente riscontro da parte del medico di famiglia e che raramente arrivano all'osservazione dello specialista, non è opportuno parlare di "dispepsia".
La rilevanza numerica delle diverse espressioni di disturbo digestivo non è mai stata delineata per cui mancano dati epidemiologici identificativi della reale modalità di presentazione dei problemi digestivi al medico di medicina generale.
Il termine "dispepsia", va riferito ad una "sintomatologia persistente o recidivante (con sintomi che durano da almeno un mese e presenti per più del 25% del tempo) caratterizzata da dolore o senso di fastidio/ripienezza nell'addome superiore".
La dispepsia può essere ulteriormente definita come "non ulcerosa" o "idiopatica" in assenza di segni clinici e strumentali di malattia organica3.
Questa definizione non include quindi i disturbi riferiti in sede retrosternale o strettamente sottoxifoidea (che richiamano una patologia da reflusso gastro-esofageo) o al mesogastrio - addome inferiore (inquadrati normalmente nella sindrome dell'intestino irritabile), problematiche che sovente possono essere riscontrate nello stesso paziente.
Per il MMG il termine "dispepsia" non identifica solitamente una diagnosi ma esprime un problema clinico da affrontare.
Caratteristiche: localizzazione all'addome superiore, relazione con l'assunzione di cibo, cronicità (recidiva o persistenza per almeno 4 settimane).
Necessaria la differenziazione:
- dai disturbi della malattia da reflusso gastroesofageo se la localizzazione dei sintomi è retrosternale-cardiale;
- dal colon irritabile se predominano i dolori a barra o borborigmi.
Esiste tuttora molta incertezza sulla reale utilità pratica della suddivisione della popolazione dei pazienti dispeptici in sottogruppi (reflux-, ulcer-, dismotility-like dispepsia) per i quali possano esservi ricadute clinicamente rilevanti come un maggiore rischio di patologia organica o superiorità di un particolare approccio terapeutico in un sottogruppo di pazienti4,5.
Il paziente si presenta spesso attendendosi una risposta diagnostica e, se il sintomo è impegnativo, richiede in genere una terapia empirica; in questi casi la scelta dovrebbe ricadere su farmaci con elevato indice terapeutico (documentata efficacia e basso rischio di effetti indesiderati) ma - nella fattispecie - anche privi di interferenze con i successivi accertamenti diagnostici, interazioni frequentemente segnalate in letteratura.
L'indagine dotata di maggiore specificità e sensibilità è senza dubbio l'endoscopia digestiva; essa minimizza la possibilità di errori diagnostici importanti e fornisce una risposta affidabile ai quesiti del paziente e del medico6.
Nella situazione pratica operativa dell'ambulatorio del medico di famiglia non si può certo affrontare con una indagine endoscopica ogni consulto per dispepsia, per cui è necessaria quantomeno una prima fase di valutazione finalizzata a questa scelta gestionale del paziente.
Quesiti pratici di fronte al paziente dispeptico
- E' necessaria l'endoscopia?
- Quali sono i segni di allarme?
- Quale ruolo hanno i vari test per l'HP nella valutazione della dispepsia
- Test and treat?
- Quale terapia empirica proporre in base ai dati raccolti?
La rinuncia alla esecuzione dell'endoscopia come primo passo diagnostico dovrebbe essere subordinata ad un rischio accettabilmente basso di ritardare eventuali diagnosi "critiche" quali la neoplasia o l'ulcera complicata; questa valutazione è alla base di ogni procedimento decisionale considerato in questo documento, che applica le indicazioni degli studi e delle esperienze attualmente disponibili seguendo i criteri della medicina basata sulle prove di evidenza.
Valore dell'anamnesi e dell'esame obiettivo per orientare la scelta gestionale (diagnostica e/o terapeutica)
Nella pratica quotidiana i pazienti con disturbi digestivi si presentano essenzialmente in 2 diverse situazioni cliniche:
1) paziente sintomatico che si presenta per la prima volta o con disturbi ingravescenti o modificatisi di recente;
2) paziente già studiato, con disturbi riferiti a problemi già noti o di lunga durata, inquadrabile in tre "gruppi":
a) paziente con ulcera peptica
b) paziente con esofagite da reflusso
b) paziente con dispepsia idiopatica o legata a condizioni di dubbia importanza (es. gastrite a moderata attività).
Il paziente con sintomi di recente insorgenza o aggravatisi da poco tempo richiede certamente il maggiore sforzo diagnostico, mentre i pazienti che lamentano il "solito" disturbo, già valutato in passato, rappresentano generalmente più un problema di "gestione" terapeutica.
L'analisi anamnestica dei sintomi deve essere volta alla definizione del disturbo prevedendo comunque anche la potenziale coesistenza di diverse problematiche addominali.
In numerosi pazienti i sintomi dispeptici sono associati a disturbi riferibili ad altre patologie del tratto digestivo.
La remissione completa della sintomatologia è spesso difficile da ottenere perché richiede la soluzione di problematiche differenti.
La sintomatologia caratterizzata da pirosi rigurgito - eruttazione acida/dolore retrosternale-sottoxifoideo (cardiale), eventualmente aggravati dal clinostatismo, è altamente specifica permalattia da reflusso gastro-esofageo (GERD), anche se meno sensibile della pHmetria esofagea7,8 . In tale caso si può attivare a buon titolo il percorso diagnostico-terapeutico per la GERD che costituisce un'entità a se stante, che può essere eventualmente associata alla dispepsia, ma deve essere tenuta nosologicamente distinta. Il termine di dispepsia "reflux-like" è da riservarsi ai casi di sintomatologia tipica per GERD, ma con accertamenti negativi.
Il dolore cronico o ricorrente all'addome superiore (esteso quindi ad una regione più ampia rispetto al dolore tipico della GERD), i disturbi digestivi e il senso di ripienezza epigastrica sono i dati clinici identificativi della dispepsia3.
Nella valutazione ambulatoriale dei disturbi lamentati dal paziente dispeptico può rivelarsi importante il riconoscimento del "sintomo dominante". In studi effettuati in ambienti specialistici9, e quindi non direttamente trasferibili alla popolazione del medico di famiglia, l'utilizzo di una seconda domanda sulla tipologia del sintomo prevalente o dominante era in grado di identificare tre sottogruppi dei pazienti:
soggetti che accusano prevalentemente dolore (circa il 15-20% dei dispeptici) che hanno una elevata possibilità di essere affetti da patologia organica;
soggetti con prevalente fastidio/ripienezza (in cui le difficoltà digestive dominano il quadro clinico detto "dismotility-like" o da dismotilità). Questi soggetti rappresentano circa la metà dei dispeptici e raramente presentano patologia organica.
soggetti (30-35% circa dei pazienti dispeptici) che lamentano entrambi i sintomi, coesistenti con analoga intensità. In questo sottogruppo non vi sono indicazioni predittive diagnostiche.
Questa prima analisi anamnestica ha un suo interesse pratico nell'approccio quotidiano al paziente dispeptico perché consente di affrontare in modo non aggressivo il 50% della casistica stimata, che ha bassa probabilità di soffrire di malattie organiche gravi, concentrando l'attenzione diagnostica sui pazienti con elevata probabilità di essere affetti da ulcera o neoplasia.
Sono però necessari ulteriori studi condotti "sul campo" della medicina di base perché questo approccio possa essere consigliato come momento predittivo importante nella valutazione diagnostica.
I sintomi dolorosi "a barra" o riferiti agli altri quadranti dell'addome, soprattutto se collegati a disturbi dell'alvo ed a borborigmi e sollievo con la defecazione o l'emissione di gas, indicano problematiche relative a disturbi del colon, più frequentemente alla sindrome dell'intestino irritabile, che può essere comunque associata alle forme di dispepsia, soprattutto nella varietà dismotility like.
L'esame obiettivo del paziente dispeptico, anche se eseguito secondo i migliori canoni della semeiologia classica, fornisce solitamente indicazioni non conclusive, anche nelle sue principali deduzioni diagnostiche ritenute un tempo patognomoniche (es. il dolore elettivo nel "triangolo pancreatico duodenale dello Chauffard", indicativo come insegnavano i Grandi Clinici - per malattie del duodeno o del pancreas).
Anche nell'era della evidence-based medicine, nel rituale della relazione medico-paziente, la "visita" dell'addome risulta comunque importante ai fini di escludere altre patologie ed instaurare o consolidare un rapporto di fiducia che porta il paziente a seguire meglio le prescrizioni, sia diagnostiche che igienico-terapeutiche.
Quando è consigliata l'endoscopia
L'esame endoscopico rappresenta indiscutibilmente il gold standard per la diagnostica delle lesioni organiche del tratto digestivo superiore6. Esiste comunque la necessità di regolarne l'utilizzo sia per la relativa invasività della metodica che per la limitatezza delle risorse che non consentono di eseguire l'esame ad ogni comparsa di sintomo dispeptico.
Segni-sintomi di allarme (endoscopia in tempi rapidi)
- anoressia, perdita di peso
- disfagia, odinofagia
- vomito o ematemesi
- anemizzazione con positività ricerca sangue occulto fecale
- ittero
L'endoscopia è consigliata come primo approccio in alcune condizioni codificate10 -12:
La presenza di segni o sintomi di allarme (vedi tabella) rappresenta una indicazione importante all'indagine endoscopica (indipendentemente dall'età) se indirizza verso il sospetto di una patologia grave.
Quadro clinico a rapida evoluzione
Ripetuti insuccessi terapeutici con più terapie empiriche.
Particolari situazioni (non infrequenti nella Medicina di Base) dove l'apprensione del paziente sia tale da non lasciare altra ragionevole scelta al medico, o in caso di pazienti con anamnesi di 3 neoplasie epiteliali in familiari di 1° grado.
L'endoscopia è consigliata quando
- Esistono segni clinici di allarme
- I sintomi sono rapidamente ingravescenti
- Paziente patofobico
- Riscontro di 3 casi di neoplasia epiteliale in parenti di 1° grado
- Il paziente lamenta prevalentemente dolore
- I disturbi ricompaiono dopo la sospensione della terapia empirica o eradicante
L'età può rappresentare un criterio di discriminazione: al di sotto dei 45-50 anni le patologie gravi sono estremamente rare (in particolare il cancro gastrico). Se il paziente ha più di 45-50 anni e si presenta per la prima volta, l'endoscopia può essere indicata se il paziente lamenta prevalentemente dolore o se si ha recidiva dei disturbi dopo terapia eradicante somministrata sulla base di una positività per HP e una precedente diagnosi di ulcera peptica. Fattori secondari da prendere in considerazione sono:
- il fumo (>10 sigarette/die) e l'ingestione di alcol (> 60 g/die), riconosciuti fattori di rischio per lo sviluppo di patologia organica delle vie digestive; - l'assunzione di antiinfiammatori; l'importanza dei FANS nella induzione di patologie digestive (in particolare la loro gastrolesività) è nota e relativamente ben studiata. Piuttosto che ricorrere subito alla endoscopia, sembra preferibile sospendere la loro assunzione, ma se l'interruzione fosse difficilmente proponibile, andrebbe data preferenza ai FANS meno gastrolesivi (ibuprofene) o al paracetamolo.
La scelta di eseguire l'accertamento endoscopico non esclude una terapia empirica da somministrarsi nell'attesa dell'esame. Nonostante l'attuale normativa CUF non sia chiara sulla possibilità di prescrivere in fascia A antisecretori con diagnosi formulate solo clinicamente, la scelta ricade solitamente sui farmaci H2 antagonisti o inibitori di pompa (PPI). Visti i riscontri (anche se non confermati in tutti gli studi) di potenziali interferenze dei PPI sugli esiti dei test per la ricerca dell'HP, sembra prudente la scelta di H2 antagonisti in attesa dell'endoscopia13.
Ecografia addominale e dispepsia L'ecografia non è indicata nella valutazione di base del paziente dispeptico.
L'ipotesi diagnostica di una "dispepsia biliare" non trova riscontri nella evidence-based medicine. La colelitiasi infatti è spesso asintomatica, e, contrariamente a quanto sostenuto in passato, poco correlata a fastidi o disturbi inquadrabili nella dispepsia14.
L'espressione clinica più indicativa per litiasi biliare è la colica.
Se il paziente lamenta disturbi persistenti o atipici, resistenti alle terapie empiriche, e con accertamenti non conclusivi, diviene comunque necessario eseguire una ecografia dell'addome superiore per valutare una eventuale patologia epato-biliare o pancreatica15.
Esami di laboratorio per la dispepsia
Fino a pochi anni fa gli argomenti della dispepsia pancreatica e della cosiddetta "piccola insufficienza epatica" ricevevano ampia trattazione sui testi di patologia medica e queste diagnosi venivano formulate, non solo nella medicina di base, in numerosissimi casi di pazienti con sintomi vaghi che ora verrebbero inquadrati come affetti da dispepsia "dismotility like".
Con le eccezioni dei sintomi dispeptici inseriti in contesti clinici (dolore intenso, ittero, diarrea) che facciano pensare a patologie epatiche o pancreatiche maggiori, non vi sono indicazioni alla esecuzione di esami di laboratorio (amilasi, transaminasi, bilirubina, fosfatasi alcalina ecc.) in pazienti che lamentino semplicemente dispepsia10,12. La ricerca dell'Helicobacter pylori
Le metodiche
Il test di riferimento per documentare l'infezione da Helicobacter pylori (HP) è la dimostrazione della presenza del germe mediante metodica istologica a seguito di esame endoscopico, ma la evidente invasività della metodica ha portato allo sviluppo di numerose indagini alternative.
Il dosaggio delle immunoglobuline IgG anti HP, rivelabili anche con test semiquantitativi eseguibili in ambulatorio, è una metodica diffusa, dotata di buona specificità e sensibilità a costo contenuto. Il limite di questo esame risiede nel fatto che documenta la presenza degli anticorpi e non del batterio, per cui nella verifica della avvenuta eradicazione dopo terapia, questo test dovrebbe essere effettuato dopo un periodo (sul quale non vi è accordo assoluto) di almeno 6 mesi.
Il test attualmente più affidabile e sperimentato per identificare una infezione da HP in atto è l'Urea Breath test. È necessario evitare terapie antibiotiche, con bismuto o antisecretori in genere nel periodo di circa 1 mese prima del test. La limitata disponibilità della metodica presso le strutture pubbliche, legata all'elevato impegno economico dell'esame, condiziona tuttora la presenza di lunghe liste d'attesa e ne impedisce al momento attuale la applicabilità su larga scala.
La ricerca diretta dell'HP nelle feci sta fornendo risultati molto promettenti ottenibili in tempi brevi (anche in ambulatorio) a costi contenuti, ma deve essere a tutt'oggi considerata una metodica sperimentale19.
L'esecuzione di indagini volte a dimostrare l'infezione da parte di Helicobacter pylori (HP) è di impiego molto frequente in numerose aree della professione medica, da quando ne è stato dimostrato il ruolo nella patogenesi dell'ulcera peptica16 - 17. Come spesso accade per le pratiche di recente introduzione, è inevitabile prevedere una fase iniziale di euforia applicativa seguita da una fase "di assestamento", indispensabile per potere tracciare un profilo di utilizzo evidence-based. Nel caso delle metodiche per la documentazione dell'infezione da HP e dei risultati pratici della eradicazione del germe, ci troviamo in una fase di ricerca e di raccolta di esperienze, per cui, in questo momento, la sedimentazione critica di conoscenze e di verifiche non è ancora avvenuta, se non per una ristretta area di applicazione rappresentata dalla accertata efficacia della eradicazione dell'HP nella prevenzione delle recidive di ulcera17,18,20,21.
Ricerca dell'HP: cosa non fare o non raccomandare
- La ricerca della infezione da HP non deve essere effettuata come screening in soggetti asintomatici a meno che questi presentino una familiarità positiva per più casi di neoplasia gastrica soprattutto se in età giovanile.
- La ricerca dell'HP può essere ritenuta superflua negli ulcerosi noti (coloro che hanno avuto una diagnosi certa di ulcera peptica, anche in passato, sono nella stragrande maggioranza dei casi positivi all'HP).
- Quando le diverse indagini strumentali ed invasive, compresa l'EGDS non hanno documentato la presenza di ulcera attuale o pregressa, la ricerca dell'infezione da HP è di utilità controversa. Non vi sono a tutt'oggi evidenze sufficienti in favore del fatto che l'eradicazione sia efficace sui sintomi stessi della dispepsia non ulcerosa23,24,26.
- Di norma, nei soggetti trattati correttamente, non è automaticamente richiesta la documentazione dell'avvenuta eradicazione, date le elevate percentuali di successo raggiunte oltre l'80-90%. La verifica dovrebbe essere effettuata solo in caso di persistente sintomatologia.
Quale posto per la ricerca dell'HP e per la strategia "test and treat" in medicina generale
Con l'esclusione dei dispeptici con segni di allarme, l'endoscopia non è raccomandata come primo passo diagnostico, ma la si dovrebbe fare precedere da una fase di terapia empirica. Se questa fallisce o consegue risultati solo transitori, si pone la decisione clinica se richiedere direttamente una endoscopia o un test per l'Hp in prospettiva di una successiva eradicazione20,21. Questa procedura ("test and treat") è sostenuta da una serie di riscontri: a) i pazienti giovani con sintomi ulcer-like, non risolti dalla terapia con antisecretivi, sono affetti nella maggioranza dei casi da un'ulcera peptica b) l'ulcera è associata nella quasi totalità dei casi all'infezione da HP c) la diagnosi endoscopica di ulcera non aggiungerebbe elementi critici nella decisione terapeutica che prevede comunque una terapia eradicante.
Si tratterebbe in pratica di scegliere se adottare o meno un metodo poco specifico in senso di diagnostica causale (solo la minoranza dei pazienti HP positivi è affetto da patologia organica grave), ma realmente poco invasivo e relativamente poco costoso. Sui potenziali effetti collaterali della scelta gestionale22 non possiamo essere superficiali, considerando soprattutto l'elevata percentuale di persone che assumerebbero la terapia senza beneficio. La procedura "test and treat" espone infatti al rischio di trattare numerosi soggetti HP positivi che non beneficeranno della cura e nello stesso tempo ritardare la diagnosi in pazienti affetti da gravi patologie organiche rispetto a un approccio più invasivo attraverso l'endoscopia. I dati a lungo termine non sono comunque univoci e non è possibile trarre delle conclusioni in base ai dati attualmente disponibili10-12, 20,21 .
L'approccio "test and treat" potrebbe essere ragionevolmente proponibile, dopo il fallimento della terapia empirica,solo in soggetti giovani (< 45 anni) senza segni di allarme, soprattutto se con sintomatologia "ulcer-like"dominante. Quando invece la sintomatologia è del tipo "dismotility-like" l'approccio test and treat non è giustificato, data la ridotta frequenza di patologia peptica in questo tipo di pazienti, soprattutto considerando le incertezze sulla efficacia della eradicazione sui sintomi nei pazienti dispeptici 23-26.
Test and treat o endoscopia?
In pazienti giovani non studiati, con sintomi dominanti ulcer-like, senza segni di allarme e dopo il fallimento della terapia empirica, può essere giustificato un approccio con esecuzione di test per HP e trattamento eradicante se positivo. L'endoscopia viene riservata ai casi dove i sintomi persistono.
Trattamento del paziente dispeptico
Nonostante i numerosi contributi scientifici, i dati disponibili sull' efficacia delle terapie farmacologiche nell'area della dispepsia non sono in grado a tutt'oggi di fornire che poche risposte definitive; i concetti esposti sono spesso il punto di arrivo di analisi attente, ma ancora non supportate da dati univoci.
L'approccio terapeutico riconosce essenzialmente due diverse situazioni cliniche:
la terapia empirica come primo approccio al paziente dispeptico non ancora studiato;
la terapia nei pazienti con accertamenti negativi (la cosiddetta dispepsia non ulcerosa idiopatica).
E' importante tenere ben presente questa suddivisione nella valutazione degli studi, poiché i risultati ottenibili su popolazioni di dispeptici non ancora studiati differiscono da quelli ottenuti in pazienti già selezionati nei quali i disturbi organici sono stati esclusi.
La scelta della terapia sulla base della suddivisione clinica in ulcer-like o dismotility-like - nonostante sia adottata correntemente perchè fondata su presupposti logici - non sembra tuttavia giustificata dai risultati finora raccolti, né come terapia empirica di primo approccio e nemmeno nel gruppo dei pazienti trattati dopo endoscopia negativa28. La suddivisione clinica verrà comunque utilizzata nella esposizione dei risultati, in quanto comunemente impiegata negli studi citati.
Al di là dell'intervento farmacologico, deve essere comunque considerato il ruolo non trascurabile dell'approccio comportamentale, di straordinaria importanza nella medicina generale.
In quest'area esistono veramente poche indicazioni evidence-based; nonostante questo, il capitolo delle norme igienico-dietetiche è un ingrediente irrinunciabile in ogni consultazione per problemi digestivi. Per questo motivo, nonostante siano basate su un empirismo facilmente criticabile, le raccomandazioni di "limitare cibi grassi, fritti, piatti particolarmente elaborati, bevande gasate, menta, superalcolici, cibi e condimenti aciduli" sono, bene o male, un tassello quasi irrinunciabile nel complesso rapporto tra medico e paziente dispeptico.
Terapia empirica come primo approccio al paziente dispeptico
Nella medicina di base, i pazienti senza sintomatologia dolorosa dominante o segni di allarme, soprattutto se giovani, dovrebbero essere affrontati con un approccio empirico per 4-8 settimane, prima di intraprendere eventuali accertamenti diagnostici10,29. In ogni caso, nei tempi di attesa prima dell'esecuzione di un esame, può avere un significato "pratico" o "di rassicurazione" instaurare una terapia, se non altro perché spesso il paziente ha attese più o meno esplicite in questo senso.
L'approccio diretto con la terapia empirica (non oltre le 4-6 settimane) consente in una percentuale di pazienti privi di elementi di allarme di evitare l'esame endoscopico, senza correre il rischio di ritardare una diagnosi di neoplasia e senza interferire con la prognosi di altre patologie eventualmente presenti quali GERD o ulcera peptica .
La scelta del tipo di terapia basata su criteri clinico-anamnestici (dismotility- reflux- o ulcer- like) ha solo motivazioni logiche ma non trova al momento attuale, giustificazioni dai risultati della ricerca clinica11.
I procinetici risultano, in alcuni studi, moderatamente efficaci soprattutto nel sottogruppo di pazienti con dispepsia dismotility-like30-32. I dati disponibili riguardano essenzialmente cisapride, domperidone e metoclopramide. Di questi studi, che coinvolgevano normalmente casistiche ristrette di pazienti selezionati, comunque vanno sottolineate l'elevata risposta clinica al placebo, la variabilità dei risultati e la loro durata effimera, soprattutto se rapportata alla tipica espressione recidivante della sintomatologia.
L'uso dei procinetici nei pazienti dispeptici è comunque sconsigliato oltre le 4-8 settimane per la tendenza, oltre tale periodo, allo sviluppo di assuefazione.
A completamento del profilo clinico dei procinetici, vanno sottolineate le sempre più numerose segnalazioni di effetti collaterali anche gravi36-38 che hanno indotto la ditta produttrice della cisapride a prospettarne il ritiro dal mercato statunitense entro il mese di luglio 2000. Alle ben note reazioni a carico dei sistemi endocrino (iperprolattinemia, amenorrea, impotenza) ed extrapiramidale, comuni alle benzamidi, si sono aggiunti i disturbi del ritmo cardiaco (anche mortali) da cisapride; essi sono segnalati principalmente in pazienti con malattie cardiache o renali e soprattutto in associazione con farmaci che ne riducono la metabolizzazione (antimicotici imidazolici, macrolidi, antistaminici).
Nei pazienti con dispepsia ulcer- like per i quali non si ritiene indicata l'endoscopia (o quando è stata già eseguita con esito negativo per patologia organica), l'impiego di antiacidi a dosi adeguate (es. idrossido di alluminio e magnesio sosp.- Maalox TC ® -15 ml 3-5 volte al di) è proponibile almeno come provvedimento preliminare. Questi farmaci, a differenza degli antisecretori anti-H2 e degli inibitori di pompa, non presentano interferenze note con eventuali accertamenti successivi per l'infezione da HP.
La somministrazione di diversi farmaci antisecretori, antagonisti dei recettori H2 o inibitori di pompa protonica, non è risultata superiore al placebo o ai procinetici, nel controllo dei disturbi da dispepsia nemmeno nel sottogruppo con sintomatologia ulcer-like27,28. In alcuni casi di risposta definita "clamorosa" agli antisecretori, è stata ipotizzata una patologia da reflusso non diagnosticata.
Gli antisecretori possono comunque risultare indicati, qualora lo si ritenga opportuno in base alla gravità dei sintomi, in attesa dell'esame endoscopico. Gli anti-H2 in questa circostanza, sono preferibili agli PPI perché presenterebbero minore interferenza sulla diagnosi ed eventuale terapia della infezione da HP.
Terapia nella dispepsia non ulcerosa idiopatica (dopo accertamenti negativi)
Anche nei pazienti con accertamenti diagnostici negativi per patologia organica e sintomi persistenti, la scelta della terapia si basa comunemente sulle caratteristiche cliniche dei sintomi lamentati.
L'analisi della letteratura disponibile non sembra comunque avallare questa scelta terapeutica orientata dai sintomi e siamo in attesa dei risultati degli studi più recenti basati sulla suddivisione dei pazienti in accordo al "sintomo dominante" per valutare se è realmente utile iniziare una terapia con antiacidi/antisecretivi nei soggetti con dispepsia "ulcer-like", proponendo invece un approccio con procinetici se la sintomatologia lamentata è del tipo "reflux like o "dismotility -like".
La credibilità della maggior parte degli studi che conducono a risultati favorevoli con l'impiego di procinetici è seriamente messa in dubbio da problemi metodologici (mancanza di gruppi di controllo, numeri troppo esigui, criteri di valutazione molto discutibili) e da conflitti di interesse.
Uno studio ben condotto in primary care sulla dispepsia funzionale non ha mostrato differenze tra cisapride e placebo in pazienti affetti da dispepsia funzionale33. In un'altra esperienza, l'impiego di cisapride non ha fornito risultati superiori al placebo se non ad una analisi "post hoc" nei soli pazienti con dispepsia reflux-like34.
La somministrazione di cisapride per 2 settimane forniva risultati significativamente superiori a quelli ottenuti somministrando placebo, ma proseguendo l'osservazione per altre 2 settimane nessuna differenza era osservabile tra i due gruppi35.
In pazienti con dispepsia funzionale diagnosticata dopo endoscopia, l'impiego di un procinetico (cisapride) e di un antisecretore (nizatidina) non ha mostrato una superiorità rispetto al placebo ed i risultati episodici ottenuti in singoli pazienti con l'impiego di farmaci non consentono di delineare una strategia di comportamento evidence based28.
Anche l'effetto terapeutico di rassicurazione della endoscopia è stato seriamente messo in dubbio39.
La somministrazione di psicofarmaci nonostante sia frequentemente impiegata nel trattamento della dispepsia non è sostenuta da sufficienti evidenze scientifiche. Levosulpiride e benzamidi in genere vengono utilizzate per i loro effetti procinetici, ma gli effetti collaterali ne limitano notevolmente il profilo terapeutico. Gli studi sugli antidepressivi triciclici documentano una indiscutibile efficacia sui disturbi del colon irritabile mentre non sono ancora disponibili studi controllati nella dispepsia non ulcerosa. L'impiego delle benzodiazepine, pur diffuso, dovrebbe essere sicuramente limitato per i potenziali effetti sfavorevoli nel generare disfagia, sul rilassamento del LES, e per i rischi di dipendenza.
Nonostante l'impiego abbastanza diffuso, la somministrazione di enzimi pancreaticio diacidi biliari non trova giustificazione in studi sperimentali affidabili.
La terapia medica della dispepsia: conclusioni
Analizzando i numerosi studi a disposizione riguardanti la terapia della dispepsia emergono inconfutabilmente 4 elementi di rilievo pratico: 1. Gli effetti clinici sono estremamente variabili: i risultati più favorevoli sono prevalentemente ottenuti in studi non controllati o condotti per brevi periodi di osservazione o in soggetti selezionati. 2. Esiste una elevata risposta favorevole al placebo 3. I risultati ottenuti con la terapia eradicante nei pazienti dispeptici HP positivi sono tali da non raccomandare la ricerca sistematica dell'HP nella diagnostica nella dispepsia e non giustificano la terapia eradicante con l'eccezione dei pazienti con un'ulcera peptica accertata o fortemente sospetta.
4. La crescente descrizione di effetti indesiderati gravi, secondari all' impiego di procinetici (soprattutto cisapride).
Questa inconsistenza di risultati, soprattutto considerando l'andamento cronico-recidivante della sintomatologia dispeptica ed alla luce delle importanti reazioni avverse derivanti dall'impiego di benzamidi e cisapride, impone una rivalutazione critica dell'impiego (attualmente diffuso) di farmaci erroneamente ritenuti innocui e di efficacia sicuramente limitata.
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