Introduzione
Il dolore lombare, che può anche essere irradiato all'arto inferiore, si definisce acuto quando i disturbi comportano l'incapacità di esercitare una normale attività fisica e perdurano da non più di tre mesi, sia che si tratti di un primo episodio o di una recidiva.
Il dolore lombare cronico pur essendo responsabile del 60% dei costi sanitari e sociali del dolore lombare, non riguarda più del 5% dei casi. Poiché le sue implicazioni sono molteplici, questo genere di disturbo non è incluso nella presente trattazione così come non verrà affrontato il trattamento dei pazienti con età inferiore ai 18 anni, i quali richiedono un inquadramento e un approccio differenti.
Esistono svariate ragioni per affrontare questo tema: 1) Il mal di schiena è una esperienza molto comune: il 15-20% della popolazione ne soffre almeno una volta all'anno. La percentuale sale al 50% tra le persone in attività lavorativa e il 90% delle persone lo sperimenta almeno una volta nella vita. 2) Il mal di schiena rappresenta un motivo di ricorso frequente al medico di famiglia, all'ortopedico e al neurochirurgo e costituisce la terza causa più frequente di intervento chirurgico; determina inoltre un danno economico e sociale tre volte maggiore rispetto al pur elevato costo medico. 3) In molti casi il dolore lombare non viene trattato in modo ottimale e in alcuni casi, addirittura, errato. E' frequente infatti osservare come alcuni pazienti siano più limitati nelle loro attività dopo le cure rispetto a prima e ciò non solo in seguito al ricorso alla chirurgia spinale ma anche in conseguenza di consigli o trattamenti medici. Esiste inoltre una grande variabilità da regione a regione e persino da zona a zona nell'ambito di una stessa regione nel ricorso all'ospedalizzazione, agli interventi chirurgici e a molte procedure diagnostiche. 4) Per poter basare le proprie decisioni cliniche su elementi di razionalità diventa pertanto necessario distinguere quanto è dimostrato o raccoglie consensi sufficientemente allargati da quanto invece è frutto di esperienze aneddotiche o non è documentato. 5) È importante trattare tempestivamente la semplice lombalgia acuta, dal momento che gli eventi che sopravvengono entro le prime settimane possono risultare essenziali nel determinare l'eventuale ricomparsa del dolore o il suo cronicizzarsi.
In genere, più del 90% dei pazienti con dolore lombare acuto migliora spontaneamente entro 30 giorni.
Anche sottoponendo tutti i pazienti ad un iter diagnostico approfondito, sarebbe possibile identificare una causa definita di dolore lombare al massimo nel 15% dei casi. Queste considerazioni costituiscono i motivi per cui la grande maggioranza dei pazienti può essere vantaggiosamente trattata dal proprio medico di famiglia. Inquadramento iniziale
Alla prima visita, in base al giudizio clinico i pazienti devono essere divisi a seconda che abbiano un semplice mal di schiena (il 95% dei casi), un dolore originato dalle radici dei nervi spinali (meno del 5% dei casi) o una possibile patologia spinale più grave (meno del 2% dei casi).
Anamnesi ed esame clinico
Il paziente deve essere sottoposto ad un'anamnesi accurata e ad un esame fisico completo che riguardi anche la situazione vascolare, urinaria e pelvica in senso generale, per ricercare sintomi o segni di una patologia spinale grave o segni correlati a patologie non spinali (vedi algoritmo). L'obiettivo è di identificare i pazienti portatori di gravi malattie spinali, come un processo osteoporotico con fratture vertebrali, un dolore riflesso originato da una patologia addominale o pelvica, una neoplasia, una spondilite anchilosante o una infezione (es. tubercolosi, osteomielite).
I sintomi che suggeriscono l'esistenza di gravi patologie spinali sono un dolore ad insorgenza graduale (a meno che sia causato da una frattura) progressivo e di natura non-meccanica (es. non collegato all'attività fisica), rigidità mattutina o limitazione dei movimenti lombari in tutte le direzioni. Il dolore può essere incoercibile o può insorgere di notte e svegliare il paziente. Può esservi il riscontro di un interessamento delle articolazioni periferiche e altri segni di infiammazione suggestivi di una spondilite anchilosante o di altra patologia reumatica ad essa correlata. Altri segnali d'allarme caratteristici sono il malessere generale, la perdita di peso, i segni neurologici diffusi o progressivi e una sindrome della cauda equina (compressione delle radici del nervo spinale S2-S4associata a diminuzione della sensibilità della vescica e del retto e/o incontinenza urinaria e fecale), oppure un pregresso carcinoma o una tubercolosi in anamnesi.
I fattori ai quali è necessario prestare attenzione sono inoltre: l'età del paziente, l'esistenza di un trauma pregresso, una condizione di immunodepressione, la risposta a precedenti trattamenti, un dolore che peggiora col riposo, la presenza di infezioni urinarie o in altra sede, l'uso prolungato di corticosteroidi.
Esclusa l'esistenza di segnali d'allarme, il paziente può essere affetto da:
lombalgia aspecifica (assenza di segni neurologici): il dolore è localizzato in modo caratteristico nella regione lombosacrale, nelle natiche e nelle cosce, è dovuto ad una causa meccanica o ad una disfunzione, e varia a seconda dell'attività fisica e del movimento;
cruralgia e sciatalgia (presenza di sintomi e segni neurologici): la lombalgia è associata a dolore ad una o ad entrambe le gambe e si irradia al polpaccio e ai piedi. In genere si tratta di una irritazione o di una compressione di una radice nervosa. Il quadro clinico associato può comprendere una ridotta capacità nel sollevare la gamba distesa (che riproduce il dolore alla gamba e non è dovuta ad una tensione del tendine a livello della fossa poplitea) e segni neurologici specifici come alterazioni della sensibilità, con o senza parestesie che hanno una localizzazione simile a quella del dolore.
La presenza di dolore irradiato all'arto inferiore va indagata con cura; la presenza di radicolopatia è più probabile se il dolore scende al di sotto del ginocchio piuttosto che se riguarda la faccia posteriore della coscia. Quando sono presenti parestesie, le probabilità di un interessamento radicolare aumentano.
L'esame obiettivo deve essere focalizzato soprattutto sui riflessi patellare ed achilleo e sull'escursione della dorsiflessione del piede e dell'alluce.
La misura della motilità della colonna è di limitato valore diagnostico.
Risultano utili le seguenti procedure diagnostiche:
la valutazione della sensibilità al tatto lieve del lato interno (L4), dorsale (L5), e laterale (S1) del piede;
la manovra di Lasegue;
la manovra di Wasserman, in grado di identificare l'interessamento crurale;
la valutazione della validità degli estensori del piede (facendo camminare il paziente sui talloni con le dita in massima estensione) e della forza flessoria (facendolo camminare in punta di piedi);
la valutazione dei riflessi achillei e patellari.
Questo rapido esame neurologico è in grado di identificare il 90% dei casi di interessamento radicolare, nonostante l'esame clinico sia meno predittivo ai livelli superiori a L3.
Se sono assenti disturbi vescicali, anestesia a sella e ipostenia di uno od entrambi gli arti inferiori è probabile si possa escludere una sindrome caudale.
Sia nel caso di lombalgia aspecifica che nel caso di cruralgia e sciatalgia l'approccio iniziale al problema è simile:durante il primo mese di disturbi non sono indicati esami diagnostici in nessuno dei due tipi di pazienti, dal momento che molti di loro potranno spontaneamente riprendere la loro consueta attività.
(A volte, la presenza di una netta sofferenza radicolare di tipo deficitario e i lunghi tempi di attesa possono giustificare un atteggiamento diagnostico più aggressivo). Nei pazienti con dolore lombare acuto e senza irradiazione sciatica non servono altre procedure.
Se i sintomi persistono oltre il mese si deve provvedere ad ulteriori approfondimenti. L'esame radiografico
La radiografia standard, salvo casi sporadici, non è di alcun aiuto nella valutazione delle cause della lombalgia né consente un trattamento migliore.
L'esame radiografico non è utile nell'identificare la patologia neurologica radicolare, le stenosi del canale, la patologia spinale neoplastica e infettiva. Il suo utilizzo per lo screening dei casi di anomalie congenite, spondilolisi, listesi, scoliosi è raramente determinante ai fini terapeutici. Se non sono presenti segni di allarme all'anamnesi o all'esame clinico, non è necessario procedere all'esecuzione della radiografia entro i primi tre mesi di dolore lombare. Informazione ed educazione del paziente
Un'accurata informazione del paziente sulla natura del mal di schiena e sulle possibilità di miglioramento contribuisce in modo significativo a tranquillizzarlo, a ridurre la richiesta di esami e ad abbreviare il periodo di invalidità.
In caso di recidiva di dolore lombare, i pazienti correttamente informati ricorrono al medico con minor frequenza rispetto alla popolazione generale.
Le revisioni sistematiche degli studi controllati, randomizzati sulla "scuola" per il mal di schiena e sugli interventi educativi a gruppi per la lombalgia acuta, non forniscono prove sufficienti per affermare che l'una o l'altra strategia possa essere utile nel trattamento della lombalgia acuta.
Trattamento
Nella maggior parte dei pazienti con mal di schiena da meno di un mese e senza segni di allarme, si adotta lo stesso approccio iniziale. Il trattamento deve essere diretto ad alleviare i sintomi e a favorire una rapida mobilizzazione, fornendo nel contempo informazioni per un adeguato programma di attività fisica.
Il paziente va rassicurato del fatto che non è portatore di malattie gravi e che si presume un rapida ripresa delle normali condizioni. Il paziente va mantenuto il più attivo possibile, in attesa della ripresa spontanea (vedi algoritmo).
Alleviare il dolore
Il paracetamolo, assunto regolarmente sino alla dose massima di 3-4 grammi al giorno, di solito assicura una adeguata analgesia per un semplice mal di schiena. Se il paracetamolo dovesse risultare insufficiente, si può ricorrere ad un FANS come l'ibuprofene, alla dose di 400 mg 3 volte al giorno o 600 mg 2 volte al giorno. A questo dosaggio, l'ibuprofene presenta il miglior rapporto beneficio-rischio rispetto agli altri FANS.
In caso di risposta inadeguata si possono associare i due farmaci oppure si può aumentare il dosaggio giornaliero dell'ibuprofene arrivando sino ad un massimo di 2.400 mg.
Se questi schemi si rivelassero inadeguati, si possono tentare altri FANS come il diclofenac o il naproxene, in virtù della migliore tollerabilità gastrica rispetto ad altri composti analoghi, o si può ricorrere all'associazione traparacetamolo e codeina.
Nel paziente in trattamento con un FANS, in linea generale, non è necessario adottare alcun trattamento profilattico, con anti-H2 o inibitori di pompa, volto a ridurre il rischio iatrogeno di danni gastrointestinali. Questo genere di complicanze è correlato alla durata del trattamento e alla dose di FANS impiegata.
Gli oppiacei vengono usualmente sconsigliati perché non si dimostrano più efficaci del paracetamolo e dei FANS, rallentano i tempi di reazione e producono una fastidiosa sonnolenza. Nel caso si decida di utilizzarli, vanno impiegati per il periodo più breve possibile (massimo 2 settimane).
Se vi è associato uno spasmo muscolare può essere utile utilizzare un miorilassante come il diazepam, ma solo per un periodo limitato (meno di una settimana) per il pericolo di abuso. I miorilassanti risultano più efficaci del placebo, ma non vi sono ragioni valide per preferire l'uno o l'altro farmaco. Non vi sono dati a sostegno dell'uso degli antidepressivi triciclici nel trattamento del mal di schiena. In questa prima fase è sconsigliato anche l'uso di corticosteroidi e della colchicina.
Alcune revisioni sistematiche recenti degli studi che hanno valutato la manipolazione e la mobilizzazione della colonna vertebrale nel trattamento del mal di schiena hanno rilevato numerosi difetti metodologici (manipolazione spinale = estensioni forzate ad alta velocità a livello di una articolazione oltre il suo normale range di movimento; mobilizzazione spinale=movimenti passivi lenti nell'ambito o al limite dell'ampiezza del normale movimento articolare).
Complessivamente, gli studi indicano, comunque, che la manipolazione e la mobilizzazione possono garantire un miglioramento di breve durata del dolore e del livello di attività nei pazienti con semplice lombalgia acuta, senza segni di radicolopatia.
Non vi è alcuna dimostrazione di efficacia per l'uso di terapie fisiche, massaggi, trazioni vertebrali, ultrasuoni, laser, TENS, tecniche di bio-feedback, infiltrazioni articolari, agopuntura e altre tecniche correlate.
Le infiltrazioni epidurali di cortisonici si sono dimostrate utili nelle radicolopatie persistenti, allo scopo di evitare il ricorso al trattamento chirurgico, ma sono da evitare nel dolore di recente insorgenza.
Il riposo a letto
Per i pazienti con una semplice lombalgia acuta, il ritorno immediato o precoce alla normale attività fisica, lavoro compreso, comporta il recupero più rapido in termini assoluti. Riduce inoltre le assenze dal lavoro e il numero delle recidive. I pazienti devono essere rassicurati sul fatto che per riprendere la piena funzionalità è meglio rimanere attivi che stare a riposo e sul fatto che la recrudescenza del dolore che avvertono all'inizio non corrisponde ad un danno a carico della schiena. Contrariamente a quanto si è sempre pensato, il prolungato riposo a letto e la limitazione delle attività quotidiane sembrano favorire l'invalidità, perché determinano ipotonia muscolare e debolezza. Un breve periodo di riposo (limitato a 1-3 giorni al massimo) può costituire una scelta opportuna per i pazienti con sciatica e dolore intenso. Il riposo a letto per un periodo di tempo superiore ai 4 giorni è generalmente sconsigliato.
Entro due settimane dall'insorgenza del mal di schiena, i pazienti dovrebbero iniziare ad esercitare attività minimamente impegnative quali camminare, andare in bicicletta o nuotare. Anche se questo determina un incremento della sintomatologia, al paziente deve essere consigliato un programma di esercizi volti a rafforzare l'attività dei muscoli del dorso, soprattutto in caso di persistenza dei disturbi.
Gli esercizi di stretching dei muscoli lombari non sembrano di alcuna utilità. Considerazioni particolari
Il paziente i cui sintomi persistano oltre i 30 giorni senza segni di miglioramento richiede una rivalutazione completa, in modo particolare sotto il profilo dell'anamnesi, ma anche dell'esame fisico per verificare nuovamente la presenza di segni di allarme o di cause extra-spinali di dolore lombare (vedialgoritmo).
Nei pazienti con compromissione radicolare può risultare utile eseguire un'elettromiografia (EMG), al fine di obiettivare l'esistenza di un danno nervoso.
I pazienti che presentano una sciatalgia, segni clinici di interessamento nervoso ed EMG positiva potranno essere sottoposti ad una TAC lombosacrale o ad una RMN, soprattutto se si ritiene probabile l'esistenza di un'indicazione chirurgica. E' noto che la TAC è fortemente suggestiva per lo studio delle strutture ossee mentre la RMN delle parti molli.
Le comuni anomalie degenerative discali, che soprattutto nelle persone anziane possono essere confuse con ernia discale, sono molto comuni anche in persone del tutto asintomatiche e numerosi studi hanno dimostrato la presenza di alterazioni anatomiche come ernia discale, protrusioni discali, stenosi, ipertrofia delle faccette articolari nel 10-60% dei pazienti asintomatici.
Queste considerazioni sono alla base della scelta di ricorrere alla diagnostica per immagini solo in pazienti persistentemente sintomatici, con segni clinici e neurofisiologici di interessamento nervoso. E' necessario che la lettura delle immagini sia messa in relazione alla sintomatologia, la sola in grado di attribuire a queste ultime il loro corretto significato.
Il ricorso ai potenziali evocati sensitivi può contribuire a mettere in luce l'esistenza di una stenosi del canale spinale o una mielopatia midollare.
Terapia chirurgica
Dopo un mese di trattamento conservativo e in caso di inefficacia del trattamento somministrato, è necessario che il medico curante discuta col paziente di altre possibilità terapeutiche ed eventualmente del trattamento chirurgico che, comunque, non va preso in considerazione prima di tre mesi di sintomatologia persistente (vedi algoritmo).
La consultazione dello specialista è necessaria in caso di :
- sciatica grave e invalidante,
- segni clinici di compromissione radicolare. La decisione chirurgica non va fondata sulle immagini, ma sulla sintomatologia: claudicatio neurogena, limitazione funzionale, segni di compressione neurologica.
La discectomia standard e la microdiscectomia hanno indicazioni e risultati analoghi. La discectomia percutanea ha indicazioni limitate e risultati inferiori rispetto alle altre metodiche. Anche altre procedure sperimentali (azoto, endoscopia) aspettano conferme.
Nei pazienti con sciatica grave la discectomia lombare riduce i sintomi più rapidamente della terapia conservativa; sembra tuttavia che nei controlli a lungo termine (4-10 anni ) vi sia poca differenza tra i due gruppi.
I pazienti anziani, con stenosi vertebrale secondaria che possono svolgere in maniera adeguata le loro funzioni quotidiane, vanno trattati in maniera conservativa.
La chirurgia decompressiva riduce la sintomatologia, ma i risultati sembrano deteriorarsi con il tempo, inoltre le ampie decompressioni aumentano il rischio di instabilità e, di conseguenza, la necessità di fusioni intersomatiche.
Le complicanze di questo genere di interventi sono considerate accettabilmente basse, ma più alte delle altre procedure, anche a causa dell'età media dei pazienti.
Le artrodesi
In assenza di lesioni traumatiche, infettive o tumorali, le artrodesi lombari non hanno indicazione prima di tre mesi di intensa e persistente sintomatologia.
L'artrodesi va considerata in seguito ad instabilità conseguente ad interventi di decompressione per spondilolistesi, stenosi e radiculopatie, oppure in pazienti sotto i 30 anni con grave spondilolistesi e grave sciatalgia.
Le indicazioni più frequenti nella pratica quotidiana sono le instabilità e le discopatie. La definizione di instabilità è in effetti ancora controversa, ma in questi ultimi anni le indicazioni sono andate estendendosi.
Questa chirurgia ha una frequenza elevata di complicanze: fallimenti dei mezzi di sintesi, infezioni, trombosi venose, embolie, lesioni nervose, mancati consolidamenti, mortalità postoperatoria.
Si tratta oltretutto di interventi dai costi decisamente elevati.
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