Nivolumab
Nivolumab ha ottenuto una approvazione accelerata nel luglio 2017 dalla FDA per il trattamento di pazienti con tumore del colon-retto metastatico in progressione dopo trattamento con fluoropirimidina, oxaliplatino e irinotecan che ha una di due specifiche alterazioni genetiche quali un’alta instabilità dei microsatelliti (MSI-H) e un deficit del mismatch repair (dMMR) presenti nel 5% dei carcinomi del colonretto metastatico.
Tali tumori, che hanno una prognosi sfavorevole dopo il trattamento con chemioterapia convenzionale, presentano alti livelli di neoantigeni tumorali e di linfociti infiltranti il tumore, caratteristiche spesso associate alla risposta al blocco PD-1 in altri tipi di tumore.
Nello studio di fase 2 CHECKMATE-142 sono stati arruolati pazienti con carcinoma del colon-retto recidivato o metastatico con dMMR e/o MSI-H che erano in progressione dopo, o intolleranti, almeno ad una precedente linea di trattamento, comprendente una fluoropirimidina e oxaliplatino o irinotecan1. L'endpoint primario era la ORR. Sono entrati nello studio 74 pazienti, 40 (54%) avevano ricevuto tre o più trattamenti precedenti. 23 di 74 (31,1%) pazienti hanno ottenuto una risposta. La durata mediana della risposta non è stata ancora raggiunta; 8 pazienti hanno ottenuto risposte della durata di 12 mesi. Gli eventi avversi più comuni di grado 3 o 4 sono stati l'aumento delle concentrazioni di lipasi (8%) e amilasi (3%).
Pembrolizumab
Nel maggio 2017, la FDA ha approvato il pembrolizumab per il trattamento di pazienti con carcinoma avanzato del colonretto dMMR/MSI-H2.
Il pembrolizumab 200 mg ev. ogni 3 settimane è stato somministrato a 90 pazienti che erano stati pretrattati con due o più linee di chemioterapia. L'endpoint primario era la ORR che è stata osservata nel 36% dei pazienti. Il profilo di sicurezza era coerente con quello osservato in precedenza per pembrolizumab.
Sebbene le risposte ottenute siano interessanti è necessario verificare l’impatto sulla OS di questi farmaci in rapporto ai trattamenti standard già disponibili.
CARCINOMA DEL POLMONE NON MICROCITOMA
Pembrolizumab
Ha ricevuto l’approvazione accelerata dalla FDA ad ottobre 2015 per il trattamento di pazienti affetti da carcinoma del polmone non microcitoma (NSCLC) in fase avanzata, PD-L1 positivi (cut-off di positività pari al 50%), con istotipo squamoso o non squamoso.
Lo studio registrativo (Keynote-024) è uno studio randomizzato di fase III che ha valutato il pembrolizumab come prima linea di trattamento alla dose fissa di 200 mg/ev. somministrato ogni 3 settimane rispetto allo standard of care (regimi di chemioterapia a base di platino a scelta dello sperimentatore) nel trattamento di pazienti con NSCLC avanzato con espressione di PD-L1 ≥ 50% delle cellule3.
Sono stati randomizzati 305 pazienti ed era ammesso il cross-over a pembrolizumab alla progressione. La PFS è stata l’endpoint primario dello studio, la OS e la ORR gli endpoint secondari. La PFS mediana è risultata significativamente superiore con il pembrolizumab (10,3 mesi) rispetto ai pazienti trattati con chemioterapia (6,0 mesi).
La percentuale stimata di pazienti sopravviventi a 6 mesi è risultata dell’80,2% per il trattamento con pembrolizumab rispetto al 72,4% per la chemioterapia; anche la ORR è risultata più alta in pazienti in trattamento con pembrolizumab rispetto alla chemioterapia (44,8% vs. 27,8%) con una durata mediana di risposta più lunga e non ancora raggiunta nei pazienti in terapia con pembrolizumab rispetto ai 6,3 mesi circa della chemioterapia.
Gli eventi avversi di grado superiore o uguale a 3 sono stati osservati nel 53,3% dei pazienti trattati con chemioterapia rispetto al 26,6% dei pazienti in trattamento con pembrolizumab con una percentuale di sospensione del trattamento del 10,7% vs. 7,1% dei pazienti rispettivamente.
Gli eventi avversi più comuni con pembrolizumab sono stati diarrea, fatigue e iperpiressia, quelli di grado superiore o uguale a 3 sono stati diarrea (3,9%) e polmoniti (2,6%).
Eventi avversi immuno-mediati di ogni grado si sono riscontrati nel 29,2% dei pazienti in terapia con pembrolizumab e nel 4,7% dei pazienti in trattamento con chemioterapia.
Sulla base di questi risultati si può concludere che il pembrolizumab rappresenta il trattamento di scelta come prima linea nei pazienti affetti da NSCLC avanzato con espressione di PD-L1≥ 50% delle cellule.
Nel maggio 2016 L’EMA e nel maggio 2017 l’AIFA hanno approvato il pembrolizumab anche per il trattamento del NSCLC localmente avanzato o metastatico che esprime il PD-L1 >1% in progressione dopo almeno un precedente regime chemioterapico a base di platino. Pazienti con mutazioni di EGFR o ALK dovevano aver ricevuto almeno una terapia approvata per queste mutazioni.
Lo studio registrativo (KEYNOTE-010) è uno studio randomizzato di fase II-III che ha confrontato una terapia di seconda linea con pembrolizumab (2 o 10 mg/kg ev. ogni 3 settimane) versus docetaxel (75 mg/m2 ev. ogni 3 settimane) in 1034 pazienti PD-L1 positivi in almeno l’1% delle cellule neoplastiche, affetti da NSCLC (qualsiasi istologia) in progressione dopo almeno una linea di trattamento chemioterapico o dopo un inibitore di EGFR o ALK4.
Gli obiettivi primari dello studio erano rappresentati dalla OS e dalla PFS. La mediana della OS è stata di 10,4 mesi nei pazienti trattati con pembrolizumab 2 mg/kg; 12,7 mesi per quelli che avevano ricevuto pembrolizumab 10 mg/kg e 8,5 mesi per i pazienti trattati con docetaxel, con un vantaggio statisticamente significativo per il pembrolizumab alla dose di 2 mg/kg e 10 mg/kg rispetto al docetaxel. Non sono state invece evidenziate differenze statisticamente significative per la PFS tra i tre bracci di trattamento.
La tossicità di grado 3 si è osservata nel 35% dei pazienti trattati con docetaxel rispetto al 13% e 16% rispettivamente per i due dosaggi valutati di pembrolizumab.
Tra gli eventi avversi più comuni immuno-relati (presenti in circa il 20% della popolazione che ha ricevuto pembrolizumab) le disfunzioni tiroidee e le polmoniti sono risultate essere le più frequenti.
Nivolumab in 1a linea
Lo studio di fase III CheckMate 026 ha confrontato una combinazione di chemioterapia contenente platino (fino ad un massimo di 6 cicli) rispetto ad una prima linea di terapia con nivolumab al dosaggio di 3 mg/kg ogni 2 settimane in 541 pazienti affetti da NSCLC stadio IV, EGFR wild-type e ALK wild-type, con espressione di PDL-1 ≥ 1%5. Era ammesso il cross-over a nivolumab dopo progressione alla chemioterapia.
L’endpoint primario dello studio era la PFS nei pazienti con espressione di PDL-1 ≥ 5%. Sono entrati nello studio 423 pazienti; la PFS mediana è risultata pari a 4,2 mesi con nivolumab versus 5,9 mesi con chemioterapia. La OS è stata di 14,4 mesi per il nivolumab rispetto a 13,2 mesi per la chemioterapia.
La ORR è stata 26% vs. 33%, rispettivamente con durata mediana di risposta 12,1 mesi vs. 5,7 mesi.
In un’analisi esplorativa nei pazienti con elevato mutation burden (30% nel braccio con nivolumab e 39% nel braccio con chemioterapia) il trattamento con nivolumab si associa ad una maggiore ORR (47% vs. 28%). ed una migliore PFS mediana (9,7 mesi vs. 5,8 mesi). Tali risultati dovranno comunque essere confermati da altri studi.
Eventi avversi di ogni grado sono stati osservati nel 71% dei pazienti con nivolumab rispetto al 92% con chemioterapia. I più comuni eventi avversi con nivolumab sono stati fatigue (21%) e diarrea (14%).
Si tratta di uno studio negativo che non supporta l’utilizzo di nivolumab come prima linea di trattamento in pazienti affetti da NSCLC stadio IV con espressione di PDL ≥ 5%.
Nivolumab in 2a linea
È stato approvato dall’EMA ad aprile 2015 e dall’AIFA nel marzo 2016 per il trattamento di seconda linea del carcinoma polmonare non a piccole cellule avanzato ad istologia squamosa.
Ad ottobre 2015 la FDA ha esteso l’indicazione all’utilizzo del nivolumab nel NSCLC, includendo pazienti affetti da istologia non squamosa, in progressione dopo un precedente trattamento con regimi a base di platino o dopo fallimento di terapie target in presenza di mutazioni di EGFR o traslocazione di ALK.
Successivamente anche l’EMA e l’AIFA nel febbraio 2017 hanno esteso l’indicazione alla somministrazione di nivolumab ai carcinomi del polmone ad istologia non squamosa pretrattati con almeno un regime di chemioterapia.
Lo studio registrativo CHECKMATE 017, è uno studio di fase III in cui 272 pazienti affetti da carcinoma squamoso del polmone stadio IIIB/IV, in progressione di malattia durante o dopo un iniziale trattamento chemioterapico con doppietta a base di platino, sono stati randomizzati a ricevere terapia con nivolumab (3 mg/kg ev. ogni due settimane) o docetaxel (75 mg/m2 ev. ogni tre settimane)6.
Endpoint primario dello studio era la OS che è risultata significativamente superiore nel gruppo di pazienti trattati con nivolumab rispetto a quelli trattati con chemioterapia convenzionale (9,2 vs. 6,0 mesi). La sopravvivenza ad un anno è stata, rispettivamente, del 42% vs. 24%. La ORR è stata significativamente superiore con nivolumab (20% vs. 9%) così come la PFS mediana (3,5 vs. 2,8 mesi). La positività di PD-L1 non era correlata con il beneficio in sopravvivenza e non è stata pertanto prognostica o predittiva di efficacia clinica.
La percentuale di eventi avversi è risultata complessivamente inferiore nel gruppo trattato con nivolumab (58% vs. 86%) e gli eventi di grado ≥ 3 sono risultati significativamente più frequenti con il docetaxel (57% vs. 7%). Gli eventi avversi più frequenti con nivolumab sono stati: fatigue (16%), inappetenza (11%), astenia (10%), nausea (9%), diarrea (8%), polmonite (5%), ipotiroidismo (4%) e rash (4%). La sospensione del nivolumab è stata necessaria nel 3% dei pazienti e più frequentemente era dovuta all’insorgenza di una polmonite su base immunitaria. In conclusione, il nivolumab è da considerare il trattamento di scelta in seconda e terza linea del carcinoma squamoso del polmone.
Lo studio di fase III CHECKMATE-057 è stato eseguito in 582 pazienti affetti da carcinoma del polmone non microcitoma ad istologia non squamosa pretrattati con un regime di chemioterapia contenente platino che venivano randomizzati ad effettuare terapia con nivolumab alla dose di 3 mg/kg ogni due settimane o docetaxel 75 mg/m2 ogni tre settimane7.
Lo studio ha documentato un aumento statisticamente significativo della OS mediana (12,2 vs. 9,4 mesi). Ad un anno la percentuale di sopravviventi era 51% con nivolumab vs. 39% con chemioterapia ed a 18 mesi 39% vs. 23%, rispettivamente. La ORR era superiore con nivolumab (19% vs. 12%) così come la durata mediana della risposta (17,2 mesi vs. 5,6 mesi). Non sono state osservate differenze significative in termini di PFS mediana (2,3 mesi vs. 4,2 mesi, rispettivamente).
È stata documentata una correlazione significativa tra l’espressione del PD-L1 e l’outcome clinico con il nivolumab; infatti un maggior beneficio in termini di OS, PFS e ORR è stato evidenziato a livelli crescenti di espressione di PD-L1 (≥1%, ≥5%, ≥10%), suggerendo un valore predittivo di efficacia del farmaco, contrariamente a quanto osservato nelle forme ad istologia squamosa.
Gli eventi avversi di ogni grado sono stati riferiti dal 69% dei pazienti trattati con nivolumab e dall’88% dei pazienti trattati con docetaxel, un evento di grado 3 o 4 è stato riportato dal 10% e dal 54% dei pazienti, rispettivamente. Tra gli eventi più frequenti di ogni grado riportati con nivolumab c’era fatigue (16%), nausea (12%), inappetenza (10%) e astenia (10%). In conclusione gli studi di fase III pubblicati dimostrano un aumento significativo della OS, della PFS e della ORR in pazienti sottoposti a terapia con nivolumab rispetto ad un regime chemioterapico di seconda linea in tutte le istologie del NSCLC. Probabilmente nel corso del tempo per l'istologia non squamosa l'analisi immunoistochimica del PDL-1 (ad oggi non standardizzata) diventerà importante per selezionare i pazienti destinati a ricevere tale immunoterapia.
Atezolizumab oltre la 1a linea
L’efficacia di atezolizumab in pazienti affetti da NSCLC pretrattati con almeno un regime di chemioterapia contenente platino è stata valutata nello studio registrativo di fase III, studio OAK, che ha randomizzato 1225 pazienti affetti da NSCLC stadio IIIB-IV in progressione ad una o due precedenti linee di chemioterapia (almeno una contenente platino) a ricevere atezolizumab alla dose di 1200 mg vs. docetaxel alla dose di 75 mg/m2 ogni 3 settimane8.
Endpoint primario dello studio era la OS mediana che era significativamente superiore con atezolizumab (13,8 mesi rispetto 9,6 mesi con la chemioterapia). Tale superiorità era evidente sia nella popolazione PDL1 positiva (≥1%) che negativa e risultava inoltre indipendente dal tipo istologico (squamoso o non squamoso).
La PFS mediana dello studio è stata di 2,8 mesi per atezolizumab e 4 mesi per la chemioterapia. La ORR era 14% vs. 13% rispettivamente e la durata mediana di risposta era 16,3 mesi vs. 6,2 mesi.
Eventi avversi di ogni grado si sono osservati nel 64% dei pazienti in terapia con atezolizumab (di cui circa il 37% di G3-4) rispetto all’86% (di cui circa il 54% di grado 3-4) dei pazienti in trattamento chemioterapico. In particolare gli effetti avversi più comuni con atezolizumab sono stati fatigue (14%), nausea (9%), diminuzione dell’appetito (9%), astenia (8%).
Gli eventi avversi hanno portato ad un’interruzione del trattamento nell’8% dei pazienti in trattamento con atezolizumab rispetto al 19% dei pazienti sottoposti a chemioterapia.
Atezolizumab è il primo immunoterapico anti PDL-1 approvato dall’FDA con questa indicazione. Se avrà benefici rispetto agli agenti anti PD-1 già approvati (pembrolizumab e nivolumab) per il trattamento di pazienti affetti da NSCLC stadio IIIB-IV pretrattati con chemioterapia contenente platino è da verificare con studi comparativi attualmente mancanti.
Durvalumab
Circa un terzo dei pazienti affetti da NSCLC all’esordio presenta una malattia al III stadio. Il trattamento standard con chemioterapia a base di platino e radioterapia consente di ottenere una PFS di circa 8 mesi e solo circa il 15% dei pazienti è vivo a 5 anni.
Lo studio randomizzato di fase III PACIFIC ha valutato in 709 pazienti affetti da NSCLC sottoposti a trattamento standard di chemio-radioterapia e non progrediti dopo tale terapia, l’efficacia del durvalumab 10 mg/kg ogni 2 settimane per 12 mesi rispetto a placebo9.
Endpoint co-primari dello studio erano la PFS e la OS; endpoint secondari invece erano il tasso di PFS a 12 e 18 mesi, la ORR e la durata della risposta, il tempo alla morte o all’insorgenza di metastasi a distanza.
Un’analisi ad interim ha documentato una PFS mediana significativamente superiore con durvalumab (6,8 mesi vs. 5,6 mesi). Tale risultato era indipendente dall’espressione del PDL-1. Il tasso di PFS a 12 mesi era di 55,9% rispetto al 35,3%, ed a 18 mesi del 44,2% rispetto al 27%. Il tasso di risposte è stato superiore con durvalumab (28,4% vs. 16%,) così come più lunga è stata la durata della risposta a 8 mesi (72,8% vs. 46,8%).
Il tempo mediano alla morte o all’insorgenza di metastasi a distanza è risultato più lungo con durvalumab rispetto a placebo (23,2 mesi vs. 14,6 mesi).
Eventi avversi di grado 3-4 si sono verificati nel 29,9% di pazienti che hanno ricevuto durvalumab rispetto al 26,1% di quelli che hanno ricevuto placebo. I più comuni eventi avversi di grado 3-4 sono state le polmoniti (4,4% vs. 3,8% rispettivamente). Hanno interrotto la terapia il 15,4% vs. il 9,8%, rispettivamente. In conclusione in questo studio la somministrazione di un agente anti PDL-1 sequenziale al trattamento standard chemio-radioterapico ha triplicato la PFS rispetto al placebo. Rimane da verificare se tale aumento si tradurrà anche in un significativo miglioramento della OS (dati non ancora disponibili).
CARCINOMA UROTELIALE
A breve avremo a disposizione anche nel nostro paese come negli USA 5 immunoterapici, pembrolizumab, atezolizumab, nivolumab, durvalumab e avelumab, per i pazienti con carcinoma uroteliale in progressione dopo una prima linea a base di cisplatino o, in prima linea per pazienti cisplatino-ineleggibili. Tutti quanti i farmaci sono stati autorizzati dalla FDA sulla base di studi di fase 1-2; solo per due farmaci (atezolizumab e pembrolizumab) è stato pubblicato anche uno studio di fase 3 con endpoint primario la OS che ne ha confrontato efficacia e tossicità rispetto ad una terapia standard di seconda linea. Non sono disponibili risultati di studi che abbiano confrontato due o più farmaci immunoterapici anche se dai dati preliminari sembra che efficacia e tossicità siano simili.
Pembrolizumab
È stato autorizzato dalla FDA e a luglio 2017 anche dall’EMA in monoterapia nel trattamento del carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico in pazienti che hanno ricevuto una precedente chemioterapia contenente platino o che non sono eleggibili alla chemioterapia contenente cisplatino.
Lo studio di fase III condotto su 542 pazienti precedentemente trattati con regimi a base di platino (KEYNOTE-045) ha confrontato pembrolizumab 200 mg/ev. ogni 3 settimane rispetto ad una chemioterapia a scelta dello sperimentatore (paclitaxel, docetaxel o vinflunina)10. Pembrolizumab ha dimostrato di aumentare la OS mediana di circa 3 mesi (10,3 mesi verso 7,4 mesi); la PFS, endpoint secondario, è risultata di 2,1 mesi verso 3,3 mesi; la percentuale di ORR, rispettivamente, del 21% verso 11%. La mediana di durata della risposta non è stata ancora raggiunta con pembrolizumab vs. 4,3 mesi con la chemioterapia.
In uno studio precedente di fase II condotto su 370 pazienti platino-ineleggibili (KEYNOTE-052), pembrolizumab alla dose di 200 mg/ev. ogni 3 settimane aveva mostrato una ORR del 29% (21% in pazienti con PDL1<10 e 47% in pazienti con PDL1>10), con una mediana di durata della risposta non ancora raggiunta; la PFS era 2,3 mesi e la OS 11 mesi11.
Nivolumab
È stato autorizzato a febbraio 2017 dalla FDA e a giugno 2017 dall’EMA in monoterapia per il trattamento del carcinoma uroteliale localmente avanzato non resecabile o metastatico negli adulti dopo fallimento di precedente terapia a base di platino.
L’autorizzazione si è avuta sulla base di uno studio di fase II a braccio singolo (CHECKMATE 275) su 270 pazienti che hanno ricevuto nivolumab alla dose di 3 mg/kg/ev. ogni 2 settimane. Lo studio ha riportato un ORR del 20%, con una durata mediana della risposta di 10,4 mesi, una PFS mediana di 2 mesi, una OS mediana di 8,6 mesi12. Gli eventi avversi di grado 3-4 si sono verificati nel 18% dei pazienti.
Atezolizumab
Ha avuto un’approvazione accelerata ad aprile 2017 dalla FDA e a settembre 2017 dall’EMA in pazienti con neoplasia uroteliale avanzata o metastatica non idonei a ricevere una chemioterapia con cisplatino oppure in progressione dopo una prima linea con cisplatino, sulla base dei risultati di uno studio di fase II13 su 315 pazienti che avevano riportato un 15% di ORR. La tossicità di grado 3-4 è stata riportata dal 50% dei pazienti; un 15% erano gli eventi avversi di grado 3-4 immuno-relati.
Il successivo studio di fase 3 condotto su 931 pazienti randomizzati a ricevere atezolizumab 1200 mg/ev. verso una chemioterapia a scelta dello sperimentatore tra vinflunina, paclitaxel o docetaxel non ha dimostrato un significativo beneficio in OS (endpoint primario dello studio), con una OS di 8,6 mesi con atezolizumab verso 8 mesi con la chemioterapia14.
Durvalumab
Uno studio di fase I-II pubblicato di recente15 ha portato all’approvazione accelerata del farmaco da parte della FDA a maggio 2017 come terapia di seconda linea nel carcinoma uroteliale avanzato o metastatico. Il dossier non è stato invece sottoposto all’EMA in attesa di ulteriori dati.
Lo studio ha valutato 191 pazienti in progressione dopo chemioterapia (95,3%) o non eleggibili per la chemio o che l’avevano rifiutata. Durvalumab è stato somministrato alla dose di 10 mg/kg/ev. ogni 2 settimane fino a 12 mesi o progressione o tossicità. Endpoint primario era la ORR che è risultata del 17,8% (27,6% nei PD-L1 positivi e 5,1% nei pazienti con PD-L1 basso o negativo). Le risposte sono precoci e durevoli (la durata mediana della risposta non è stata raggiunta). La PFS mediana è 1,5 mesi e la OS mediana stimata è 18,2 mesi, con un tasso di sopravvivenza ad un anno del 55%. Gli eventi avversi di grado 3-4 si sono verificati nel 6,8% dei casi, quelli immuno-relati di grado 3-4 nel 2,1%. Il 1,6% dei pazienti ha sospeso il farmaco per eventi avversi legati al trattamento.
Avelumab
È stato approvato dalla FDA in pazienti con carcinoma uroteliale metastatico dopo una prima linea di chemioterapia a base di platino o che siano ricaduti dopo meno di 12 mesi dalla fine di una terapia adiuvante o neoadiuvante a base di platino. L’approvazione accelerata si è avuta sulla base dei risultati ottenuti con avelumab 10 mg/kg/ev. ogni 2 settimane nelle coorti di pazienti con carcinoma uroteliale (242 pazienti), all’interno di un studio in aperto, a braccio singolo su diversi tumori solidi con avelumab16.
I risultati hanno evidenziato una ORR del 13,3% nel gruppo di pazienti con almeno 13 settimane di follow-up e del 16,1% nel gruppo di pazienti con follow-up di almeno 6 mesi; la durata mediana della risposta non è stata ancora raggiunta. Si sono verificate il 6% di morti dovute ad un evento avverso; eventi avversi di grado ≥ 3 si sono verificati nel 41% dei pazienti; i più frequenti eventi avversi sono stati fatigue, reazioni legate all’infusione, dolore muscolo scheletrico, nausea, riduzione dell’appetito, infezioni urinarie. In conclusione le approvazioni basate sulle percentuali di risposte e la loro durata non sono state dimostrate un endpoint surrogato in uno dei due studi randomizzati in pazienti con carcinoma uroteliale in progressione dopo una chemioterapia a base di cisplatino. Questo testimonia ancora di più la necessità di studi controllati con endpoint primario la OS prima di poter esprimere un giudizio sul valore del farmaco.
MELANOMA
Nivolumab+ipilimumab nel melanoma metastatico
La combinazione di nivolumab ed ipilimumab è stata valutata in pazienti affetti da melanoma avanzato in uno studio randomizzato su 945 pazienti in prima linea, pubblicato nel 201517 e aggiornato con il dato della OS nel 201718.
La combinazione aveva già avuto un’approvazione accelerata da parte della FDA nel 2015 in pazienti BRAF wild type sulla base dei risultati di uno studio di fase II; l’approvazione è stata poi confermata a giugno 2016 sulla base dei risultati dello studio di fase III, indipendentemente dallo stato di BRAF. A ottobre 2017 anche EMA ha autorizzato la combinazione sottolineando che il vantaggio è soprattutto nei pazienti con bassa espressione di PD-L1.
Lo studio di fase III che includeva pazienti randomizzati a ricevere ipilimumab+nivolumab o ipilimumab o nivolumab da soli non prevedeva però un confronto tra i due bracci contenenti nivolumab.
I risultati hanno evidenziato una PFS con nivolumab+ipilimumab di 11,5 mesi, con nivolumab di 6,9 mesi e con ipilimumab di 2,9. La OS mediana non è stata raggiunta con nivolumab+ipilimumab, ed è di 37,6 mesi con nivolumab e 19,9 mesi con ipilimumab. La ORR era 57,6% con nivolumab+ipilimumab, 43,7% con nivolumab e 19,0% con ipilimumab.
La tossicità della combinazione è decisamente superiore, con un tasso di interruzioni del trattamento del 39% per la combinazione, 12% per nivolumab e 16% per ipilimumab. Gli eventi avversi di grado 3-4 sono stati del 59% con la combinazione; 21% con nivolumab e 28% con ipilimumab.
La combinazione appare un’importante trattamento del melanoma metastatico che dovrà essere prescritta però in base alla potenziale tollerabilità dei pazienti (età, condizioni generali, carico di malattia).
Nivolumab melanoma adiuvante
È stato valutato in uno studio su 906 pazienti con melanoma stadi III o IV resecati ed è stato approvato dalla FDA a dicembre 201719.
I pazienti sono stati randomizzati a ricevere nivolumab o ipilimumab, che è il farmaco approvato dalla FDA come terapia adiuvante del melanoma; il 18% circa aveva uno stadio IV resecato; il 34% erano PD-L1 ≥ 5% e il 40% BRAF mutati.
Ad un follow-up minimo di 18 mesi, la sopravvivenza libera da recidiva (RFS) a 12 mesi è risultata 70,5% vs. 60,8%; a 18 mesi del 66,4% vs. 52,7%. La mediana di RFS non è stata raggiunta in entrambi i bracci.
Nivolumab somministrato per un anno offre un vantaggio rispetto ad ipilimumab in RFS in pazienti con melanoma resecato stadio IIIB-C e IV ed ha una migliore tollerabilità rispetto ad ipilimumab con eventi avversi di grado 3-4 nel 14% vs. 46% dei pazienti. Le sospensioni sono avvenute nel 9,7% vs. 42,6% dei pazienti. Va sottolineato, però, che i dati di OS non sono ancora disponibili e questo dovrebbe essere l’endpoint dello studio che ci permetterà di esprimere un giudizio definitivo sul valore del farmaco.
EPATOCARCINOMA
Nivolumab
Il 22 settembre 2017, la FDA ha approvato con procedura accelerata il nivolumab per il trattamento del carcinoma epatocellulare in pazienti precedentemente trattati con sorafenib.
L'approvazione è basata sui risultati osservati in uno studio di fase 1 e 2, CHECKMATE-040, uno studio in due parti: la prima di incremento delle dosi e, la seconda, di espansione condotto in 262 pazienti adulti con carcinoma epatocellulare Child-Pugh A in progressione o in pazienti intolleranti a sorafenib20. Sono stati inclusi sia pazienti senza infezione virale da epatite attiva, che pazienti con HBV attiva (31%) o HCV (21%) ma non con coinfezione attiva con HBV e HCV o da virus dell'epatite D. I pazienti hanno ricevuto nivolumab 0,1-10 mg/kg per infusione endovenosa ogni 2 settimane nella fase di incremento delle dosi (48 pazienti) e 3 mg/kg ogni 2 settimane nella fase di espansione (214 pazienti). La ORR era 20% nella fase di espansione (endpoint primario) e 15% nella fase di incremento delle dosi.
Le reazioni avverse verificatesi in pazienti con carcinoma epatocellulare erano quelle usuali dell’immunoterapia ad eccezione di una maggiore incidenza di aumento delle transaminasi e dei livelli di bilirubina. Il trattamento con nivolumab infatti ha comportato un incremento di grado 3-4 di AST nel 18% dei pazienti, di ALT nell’11% e della bilirubina nel 7% dei pazienti. Epatite immuno-mediata da richiedere corticosteroidi sistemici si è verificata nel 5% dei pazienti.
Sono necessari studi di confronto con farmaci già approvati in seconda linea di terapia (ad esempio il cabozantinib) per valutare l’impatto del nivolumab sulla OS dei pazienti con epatocarcinoma in progressione dopo sorafenib.
CARCINOMA GASTRICO
Pembrolizumab
Nel settembre 2017 la FDA ha approvato pembrolizumab per i pazienti con carcinoma gastrico o gastroesofageo recidivato o metastatico, che esprime PD-L1 ≥1% in progressione di malattia dopo due o più linee di terapia che includevano chemioterapia contenente fluoropirimidine e platino e, se appropriato, terapia con trastuzumab.
Il pembrolizumab in pazienti con carcinoma gastrico metastatico pretrattati o naïve al trattamento è stato valutato nello studio registrativo di fase II KEYNOTE-05921,22. Lo studio ha arruolato 315 pazienti in tre diverse coorti: nelle coorti 1 (259 pz.) e 2 (25 pz.) indipendentemente dall'espressione del PD-L1; nella coorte 3 (31 pz.) solo in pazienti con PD-L1 ≥ 1%. La coorte 1 ha ricevuto pembrolizumab da solo dopo ≥2 linee precedenti di terapia. La coorte 2 ha ricevuto pembrolizumab + cisplatino + 5-fluorouracile o capecitabina come prima linea. Nella coorte 3 i pazienti hanno ricevuto il pembrolizumab da solo come prima linea di terapia. In tutte le coorti pembrolizumab è stato somministrato a 200 mg ogni 3 settimane per un massimo di 2 anni.
Al momento dell’analisi il follow-up mediano era di 6, 14 e 18 mesi nelle tre coorti. Nella coorte 1, la ORR è stata del 12%; del 16% nelle neoplasie PD-L1-positivo e del 6% in quelle PD-L1-negativi. Nella coorte 2 la percentuale di risposte era del 60% globalmente, 73% nel PD-L1-positivo e 38% nel sottogruppo PD-L1-negativo. Nella coorte 3, la percentuale di risposte era del 26%.
La PFS mediana era 2, 7 e 3 mesi nelle coorti 1, 2 e 3, rispettivamente. La OS mediana era 6 mesi, 14 mesi e non raggiunta nelle coorti 1, 2 e 3, rispettivamente. L'incidenza di eventi avversi correlati al trattamento di grado 3-5 era 18%, 76% e 23%, rispettivamente. Nella coorte 1 gli eventi avversi hanno portato all'interruzione del trattamento nel 3% dei pazienti, nella coorte 2 nel 12% e nella coorte 3 nello 0%. Anche nel caso del carcinoma dello stomaco siamo in attesa dei risultati di studi comparativi di fase III che chiariscano il valore reale del pembrolizumab.
CARCINOMA TESTA-COLLO
Nivolumab 2a linea
L’approvazione del nivolumab per il trattamento del carcinoma testa-collo ricorrente o metastatico dopo chemioterapia contenente platino è avvenuta nel novembre 2016 dalla FDA e nel marzo 2017 da EMA.
Lo studio CHECKMATE-141, studio interrotto precocemente per aver raggiunto in anticipo l’obiettivo di un aumento della OS, ha arruolato 361 pazienti con ECOG performance status 0 o 1 in progressione durante o entro 6 mesi da un trattamento di prima linea a base di platino23.
I pazienti sono stati randomizzati a ricevere nivolumab o una terapia a scelta dello sperimentatore (cetuximab, o metotrexate o docetaxel). La OS era significativamente superiore con nivolumab (7,5 mesi vs. 5,1 mesi). La OS ad 1 anno era, rispettivamente, 36% vs. 16.6%. I pazienti sottoposti a nivolumab con espressione tumorale del PD-L1 hanno dimostrato per tutti i livelli di espressione predefiniti (PD-L1 ≥ 1%, ≥ 5% o ≥ 10%) di avere maggiore probabilità di aumento della sopravvivenza rispetto ai pazienti sottoposti alla chemioterapia o al cetuximab. Il beneficio in OS dei pazienti con carcinoma dell’orofaringe era osservato indipendentemente dallo stato di HPV.
La PFS mediana era 2,0 mesi vs. 2,3 mesi e la ORR era 13,3% vs. 5,8%, rispettivamente.
I pazienti trattati con nivolumab hanno mostrato una stazionarietà della qualità di vita per quanto riguardava gli aspetti fisici, di ruolo e sociali, mentre quelli assegnati alla chemioterapia o al cetuximab presentavano una qualità di vita decisamente peggiore.
Pembrolizumab 2a linea
È stato approvato con procedura accelerata dalla FDA nell’agosto 2016 sulla base dei risultati di uno studio (KEYNOTE-012) che ha arruolato 81 pazienti PD-L1 positivi (≥ 1%) con carcinoma testa-collo recidivante/metastatico che hanno avuto progressione della malattia durante o dopo la somministrazione di una chemioterapia contenente platino24.
Pembrolizumab era somministrato a dosi di 10 mg/kg ev. ogni 2 settimane. L’endpoint primario era la ORR che è stata ottenuta dal 18% di tutti i pazienti, dal 25% degli HPV positivi e dal 14% degli HPV negativi.
Gli eventi avversi di grado 3-4 si sono verificati nel 17% dei pazienti. Complessivamente, il 6% dei pazienti ha interrotto la terapia a causa di eventi avversi.
Nello studio KEYNOTE-055 il pembrolizumab è stato valutato in pazienti pretrattati con platino e cetuximab, che erano andati in progressione di malattia entro 6 mesi dal trattamento25. I pazienti ricevevano pembrolizumab 200 mg ev. ogni 3 settimane.
Endpoint primari erano la ORR e la tossicità. Sono stati trattati 171 pazienti; la ORR è stata del 16% con una durata mediana della risposta di 8 mesi. La ORR era simile in tutti i sottogruppi HPV e PD-L1. La PFS mediana è stata di 2,1 mesi e la OS mediana è stata di 8 mesi.
Hanno avuto un evento avverso il 64% dei pazienti di cui il 15% hanno avuto un evento di grado ≥ 3. In conclusione nel carcinoma testa collo metastatico in progressione dopo una prima linea a base di cisplatino il nivolumab ha dimostrato indurre una OS mediana significativamente superiore rispetto alla chemioterapia e al cetuximab. Studi randomizzati di fase III sono necessari per valutare il ruolo del pembrolizumab in tale patologia.
CARCINOMA A CELLULE DI MERKEL
Avelumab
È un PDL-1 inibitore approvato dalla FDA a marzo 2017 e dall’EMA a settembre 2017 per il trattamento del carcinoma a cellule di Merkel metastatico al dosaggio di 10 mg/kg/ev. ogni 2 settimane.
L’approvazione è stata ottenuta sulla base dei risultati di uno studio di fase II (JAVELIN Merkel 200 study) che prevedeva due parti, una prima parte che ha incluso 88 pazienti già sottoposti a precedenti trattamenti ed una seconda parte che ha arruolato 39 pazienti mai trattati26.
Nella prima parte, avelumab ha riportato un ORR del 33% (34,5% per i pazienti PD-L1-positivi e 18,8% per i negativi), di cui 11,4% risposte complete, con una durata delle risposte variabile da 2,8 a 24,9 mesi; la PFS mediana è stata di 2,7 mesi con una PFS a 6 mesi del 40%; la OS mediana è stata di 11,3 mesi con una OS a 6 mesi del 69%.
Nella seconda parte avelumab ha riportato un ORR del 62%, con un 14% di risposte complete; la PFS a 3 mesi è stata del 67%.
Gli eventi avversi più frequenti sono stati: fatigue (32,4%), nausea (25,1%), diarrea (18,9%), riduzione dell’appetito (18,4%), stipsi (18,4%), reazioni correlate all’infusione (17,1%), perdita di peso (16,6%) e vomito (16,2%). I più comuni eventi di grado 3 sono stati: anemia (6,0%), dispnea (3,9%) e dolore addominale (3,0%). Sono necessari studi di confronto con i farmaci utilizzati per questa patologia (una chemioterapia a base di platino ed etoposide in prima linea, un taxano o il topotecan in seconda linea) per definire il reale valore di questo trattamento.
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