Benedetta Ruggeri Clinical Governance, Area vasta5, ASUR Marche.
Dove siamo
L’immunoterapia è un trattamento antitumorale la cui efficacia si valuta in base all’impatto sulla sopravvivenza globale (OS) rispetto al trattamento all’epoca ritenuto standard, in genere la chemioterapia. Infatti la percentuale di risposte (ORR), la durata delle risposte (DOR) che si ottengono con l’immunoterapia e la sopravvivenza libera da progressione (PFS) non sono al momento ritenuti endpoint surrogati della OS. Ciò si è evidenziato fin dall’inizio con i risultati degli studi registrativi dell’ipilimumab nel trattamento del melanoma metastatico quando è stato confrontato con la terapia standard e anche in uno dei due studi del nivolumab1-4 (Tabella 1).
Se questo fosse confermato in altre patologie in cui il trattamento immunitario (specie con antagonisti del PD-1 e del PD-L1) è diventato il nuovo trattamento di riferimento (nel carcinoma del polmone non microcitoma in prima e seconda linea di trattamento, nel carcinoma della vescica in progressione dopo una prima linea di trattamento con chemioterapia a base di cisplatino) per poter esprimere un giudizio di valore su un farmaco immunoterapico sarebbe necessario uno studio di fase III che dimostri un aumento della OS mediana rispetto al trattamento standard attuale. Analizzeremo qui la ORR, la DOR e la PFS degli studi registrativi utilizzati dagli enti regolatori nel carcinoma del polmone e della vescica metastatici.
Altra caratteristica di rilievo dell’immunoterapia è la dimostrazione che una certa percentuale di pazienti sembra presentare una lunga sopravvivenza nonostante la malattia sia metastatica fin dall’inizio. Anche questo risultato è stato evidenziato nei melanomi metastatici in cui si ha una sopravvivenza a 10 anni di circa il 20% dei pazienti. Purtroppo al momento non esiste documentazione che permetta di evidenziare anche in altre neoplasie metastatiche consistenti sopravvivenze a distanza di 10 anni dall’inizio del trattamento.
La Tabella 2 presenta i risultati degli studi registrativi di fase III utilizzati dagli enti regolatori per autorizzare l’immunoterapia nel trattamento del carcinoma del polmone non microcitoma stadi IIIb-IV5-9. In questa Tabella si evidenzia come in tutti gli studi eccetto quello eseguito in prima linea di trattamento con pembrolizumab (KEYNOTE-024) la PFS non sia significativamente differente tra il trattamento chemioterapico standard rispetto al trattamento immunoterapico. Fa eccezione lo studio del nivolumab nei pazienti con carcinoma squamoso in cui la differenza in PFS è statisticamente significativa (3,5 mesi versus 2,8 mesi) ma purtroppo anche clinicamente irrilevante. In tutti gli altri studi eseguiti in seconda linea di terapia la PFS non è significativamente differente tra i trattamenti ma nonostante questo in tutti gli studi di seconda linea vi è un aumento mediano della OS di circa 3-4 mesi. D’altro canto la ORR è significativamente aumentata di circa il 9-11% in 3 dei 4 studi di seconda linea rispetto a quella ottenuta con docetaxel ma tale differenza non può spiegare l’aumento clinicamente rilevante e statisticamente significativo della OS.
Invece l’impatto della DOR è significativamente superiore nei pazienti di tutti e 4 gli studi di seconda linea, ma stranamente questa importante differenza non riesce ad avere un impatto sulla PFS mediana di chi riceve l’immunoterapia.
Pertanto questa analisi non giustifica l’uso della mediana della PFS, della ORR o della DOR per approvare, come stanno facendo gli enti regolatori, tali farmaci in una serie di patologie senza neanche porsi il problema che tali endpoint non sono stati validati come endpoint surrogati.
Uno degli esempi dove la mediana della ORR e della DOR è stata utilizzata per approvare in modo accelerato 5 nuovi farmaci sulla base di studi di fase I-II è il carcinoma della vescica metastatico in seconda linea dopo una progressione con una chemioterapia a base di cisplatino in prima linea.
Nella Tabella 3 sono riportati gli studi registrativi dei 5 farmaci ed i risultati dei due studi di fase III di confronto tra immunoterapia con inibitori del PD-1 e del PD-L1 versus le chemioterapie comunemente utilizzate in seconda linea quali paclitaxel, docetaxel o vinflunina10-16.
Va evidenziato che in pazienti sottoposti ad immunoterapia la ORR mediana varia dal 15% al 26% con una durata mediana della risposta che non è stata raggiunta in molti studi e variabile dai 10 ai 16 mesi negli altri. La PFS è in genere molto breve (1,5 - 2,1 mesi) e la OS mediana varia da 6,5 mesi a 18,2 mesi. Come detto sopra per conoscere il valore di un nuovo farmaco è necessario confrontarlo con il trattamento fino ad allora ritenuto lo standard in questa patologia (paclitaxel o docetaxel o vinflunina). Solo il pembrolizumab ha dimostrato un aumento della OS mediana di circa 3 mesi12 mentre l’atezolizumab ha mostrato una OS mediana non superiore ai trattamenti chemioterapici fino adesso standard14. La PFS nello studio di fase III del pembrolizumab non era superiore rispetto alla chemioterapia. Pertanto la PFS mediana anche nella vescica metastatica non è un endpoint surrogato della OS.
Gli studi sulla chemioterapia di seconda linea dopo progressione ad una prima linea di chemioterapia a base di cisplatino hanno evidenziato una ORR di circa 10%. È improbabile che un aumento di ORR mediana del 5-15% possa determinare un aumento della OS mediana di circa 3 mesi in più. Infine la DOR mediana, significativamente superiore con il pembrolizumab rispetto alla chemioterapia in ambedue gli studi randomizzati, non si accompagna ad un aumento significativo della PFS e questo difficilmente spiega l’aumento dei 3 mesi di OS.
Studi recenti hanno evidenziato come meno del 50% dei farmaci approvati dalla FDA (dal 2006 al 2016) e dall’EMA (dal 2009 al 2013) determinano un beneficio clinico rilevante tramite un miglioramento della OS e della qualità di vita dei pazienti17,18.
D’altra parte i costi negli USA sono impressionanti specie se si considera che il pembrolizumab (l’unico che ha dimostrato in uno studio di fase III di essere superiore alla chemioterapia) ha costi molto simili a quelli degli altri immunoterapici approvati sulla base della percentuale di risposte (con l’immunoterapia, come sopra esposto, la RR così come la PFS non sembrano essere endpoint surrogati di OS, Tabella 4). I costi di tali farmaci sono esageratamente elevati specie considerando che, a differenza del pembrolizumab, il valore degli altri 4 immunoterapici è tutto da dimostrare. Quindi i servizi sanitari nazionali rimborsano farmaci di dubbia efficacia che hanno costi ingiustificati e non sostenibili.
È vero che la FDA richiede studi di conferma dei risultati preliminari di studi di fase I e II che hanno portato all’approvazione accelerata dei nuovi farmaci ma questo avviene spesso con molti anni di ritardo. Un’analisi dei farmaci approvati dalla FDA dal 2008 al 2012 ne ha evidenziati 36/54 (67%) di cui 15 con approvazione accelerata e 21 con approvazione tradizionale. Dopo un’osservazione mediana di 4,4 anni 5 farmaci hanno dimostrato di migliorare la OS, 18 farmaci hanno fallito nel dimostrare un aumento della OS e dei 13 rimanenti non si hanno ancora notizie del loro impatto sulla OS19.
Che fare? E da parte di chi …
Cerchiamo ora di suggerire brevemente che cosa i vari attori possono fare per evitare la distruzione del servizio sanitario nazionale per l’acquisto di tali farmaci.
Anzitutto gli enti regolatori: vanno resi completamente indipendenti dalla industria farmaceutica. Bisogna sapere che le agenzie sono sovvenzionate in larga misura dall’industria farmaceutica, ad esempio l’EMA vive per l’89% del suo budget con i fondi dell’industria e, quindi, non si può pensare che ci possa essere indipendenza. Gli enti regolatori inoltre dovrebbero riprendere la buona abitudine di richiedere almeno due studi controllati eseguiti contemporaneamente con risultati nella stessa direzione per approvare un farmaco evitando così che, se anche gli studi fossero condotti con metodologie appropriate, a causa del livello di significatività posto al 5%, 1 farmaco su 20 sia approvato per puro effetto del caso. Inoltre, dato che le caratteristiche degli studi registrativi sono concordate tra l’industria farmaceutica e l’ente regolatorio, quest’ultimo dovrebbe obbligare l’industria ad usare endpoint surrogati solo quando non sia possibile usare OS e/o qualità di vita. E in ogni caso se si usasse un endpoint surrogato bisognerebbe richiedere sempre una valutazione della qualità di vita e/o un miglioramento dei sintomi per approvare un nuovo farmaco. Va aggiunto che non bisognerebbe permettere il crossover dal trattamento standard al trattamento sperimentale alla progressione di malattia perché ciò impedirebbe poi di verificare l’impatto sulla OS del nuovo trattamento. Infine l’ente regolatorio non dovrebbe approvare farmaci la cui efficacia sia dubbia come ad esempio un farmaco approvato con un solo studio, spesso di fase 2, condotto utilizzando un endpoint surrogato; oppure non approvare farmaci con differenze tra due trattamenti statisticamente significative ma clinicamente poco o per nulla rilevanti rispetto al trattamento standard o al non trattamento (regorafenib, +1,4 mesi, TAS-102, +1,8 mesi, ramucirumab +1,6 mesi nel ca colonretto metastatico, ramucirumab, +1,4 mesi nel ca polmone non microcitoma, nintedanib +1,0 mesi nel ca polmone non microcitoma, etc.) o sulla base di analisi per sottogruppi. Clamorosa da questo punto di vista è stata l’approvazione del pemetrexed nel ca polmone non microcitoma metastatico20. Lo studio registrativo era uno studio di non inferiorità che confrontava il cisplatino associato al pemetrexed rispetto alla combinazione di cisplatino e gemcitabina. Con ambedue i trattamenti si otteneva una OS di 10,3 mesi per cui la conclusione dello studio era che il pemetrexed non era inferiore alla gemcitabina. Di 19 analisi per sottogruppi pianificate una prevedeva di valutare l’impatto dei trattamenti in base al tipo istologico: l’analisi per sottogruppi dimostrava che il pemetrexed era superiore alla gemcitabina negli adenocarcinomi (+ 1,7 mesi, P = 0,03). Purtroppo l’analisi non era aggiustata per confronti multipli in base alla disuguaglianza di Bonferroni, perché in tal caso la differenza non sarebbe stata significativa. Inoltre la PFS non era diversa tra i due trattamenti e la probabilità che una differenza di 1,7 mesi di OS non alteri la PFS cade al di fuori del 95% dell’intervallo di confidenza della relazione tra PFS e OS. Quindi ci sembra altamente probabile che la differenza osservata tra pemetrexed e gemcitabina fosse dovuta al caso.
L’AIFA potrebbe non rimborsare i farmaci di dubbia efficacia approvati dall’EMA (è successo alcune volte in passato: basta ricordare il non rimborso dell’erlotinib nel ca del pancreas metastatico che forniva 12 giorni più di OS al paziente). Oppure l’AIFA potrebbe rimborsare a prezzo politico i farmaci approvati con endpoint surrogati (vedi molti degli immunoterapici) in attesa che ci sia la dimostrazione di superiorità rispetto al trattamento standard già disponibile. Inoltre l’AIFA potrebbe cambiare la strategia di negoziazione del prezzo del farmaco definendo rapidamente con l’industria quanto può rimborsare il nuovo farmaco in base al suo valore di innovatività, di efficacia e magari di scarsa tossicità (non comunque negoziazioni di mesi e mesi). Infine, AIFA potrebbe adottare la strategia del payment-by-results basata sui risultati di un nostro lavoro, valutando il rimborso, paziente per paziente, sulla base della maggior efficacia dimostrata dall’immunoterapia rispetto al trattamento standard21.
I Prontuari Terapeutici Regionali, per motivi di bilancio, ritardano spesso la fornitura del nuovo farmaco, mentre non dovrebbero proprio farlo nell’interesse del paziente.
Gli oncologi dovrebbero garantire l’appropriatezza prescrittiva (il che è ormai diffuso praticamente sull’intero territorio nazionale) e inoltre dovrebbero valutare criticamente l’innovazione distinguendo le reali novità terapeutiche dalle non novità terapeutiche. Inoltre a parità di efficacia e tossicità fra due o più farmaci alternativi dovrebbero prescrivere quello meno costoso (esempi: erlotinib versus gefitinib versus afatinib nel carcinoma polmone non microcitoma EGFR mutato; bevacizumab versus aflibercept versus ramucirumab per la seconda linea del carcinoma del colon retto metastatico).
Tutte le misure sopra riportate potrebbero garantire il trattamento migliore al paziente oncologico evitando razionamenti o altre soluzioni ancora peggiori.
Bibliografia
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