Può sembrare strano, o per lo meno ridondante, riprendere a livello editoriale una storia che forse è tra le più note, tanto è stata oggetto di cronache e commenti, non solo all'interno della comunità scientifica, ma nella cronaca dei mass-media. Proprio tuttavia per la sua esemplarità complessiva, si è ritenuto debba avere una sua visibilità specifica in questa sede come pro-memoria articolato delle variabili e degli attori che entrano, in modo tutt'altro che lineare, nella produzione e nella gestione dei contenuti più strettamente tecnici dell'informazione.
Nel Settembre 2004, la Merck ritirava dal mercato mondiale, per ragioni di salute pubblica, il rofecoxib (Vioxx), un farmaco antinfiammatorio non steroideo, registrato nel 1999 appartenente ad una nuova classe, quella degli inibitori selettivi della ciclossigenasi-2 (COX-2) o coxib, il cui primo esponente, il celecoxib, era stato registrato qualche mese prima.
I coxib si affiancavano ai più "vecchi" antinfiammatori non steroidei non selettivi (FANS) nel trattamento sintomatico della patologia cronica articolare (artrite/artrosi) vantando uguale efficacia, ma minore tossicità gastrointestinale grazie al loro peculiare meccanismo d'azione. Facendo leva presso il medico prescrittore su questa potenziale maggiore sicurezza di impiego e su una intensa attività promozionale (negli USA rivolta direttamente anche ai pazienti), in breve tempo i coxib sono riusciti ad acquisire in tutto il mondo gran parte del mercato sino allora detenuto dai FANS. Nel frattempo, attirati dal successo del rofecoxib e del celecoxib, altri coxib venivano commercializzati (valdecoxib, etoricoxib, parecoxib e lumiracoxib) con l'intento di ritagliarsi anch'essi una fetta di mercato assai remunerativo (2,5 miliardi di dollari/anno per il solo rofecoxib).
L'improvviso ritiro dal commercio del Vioxx è avvenuto dopo il riscontro, in uno studio clinico controllato di grandi dimensioni, di una aumentata incidenza di gravi effetti avversi di tipo trombotico (morte cardiovascolare, infarto, ictus), risultata 4 volte superiore a quella riscontrata nei pazienti trattati con placebo.
Da quel momento, altri avvenimenti hanno progressivamente rafforzato le preoccupazioni inerenti la sicurezza dell'intera classe dei coxib, soprattutto per quanto attiene la possibile tossicità cardiovascolare. Agli inizi di dicembre 2004, l'agenzia statunitense del farmaco (FDA) lanciava una avvertenza riguardante il valdecoxib, indicandolo come responsabile di un incremento di 3 volte, rispetto al placebo, dell'incidenza di eventi avversi cardiovascolari in pazienti sottoposti a interventi di chirurgia coronarica, segnalando anche il rischio di gravi reazioni cutanee. Alla fine di dicembre 2004, era la volta del celecoxib. Il National Institute of Health statunitense interrompeva uno studio clinico di grandi dimensioni dopo aver riscontrato un eccesso di circa 3 volte rispetto al placebo di gravi eventi cardiovascolari nei pazienti trattati col farmaco.
A fronte di fatti così rilevanti per la salute della popolazione, era inevitabile che si aprisse un aspro confronto tra le agenzie preposte alla registrazione e controllo della sicurezza dei farmaci (FDA e EMEA) e il mondo accademico e laico in merito alla gravità del fenomeno, alle sue origini (cause) e alle azioni da intraprendere per correggere gli errori commessi e impedire che altri simili si possano verificare nel futuro. Il dibattito ha indotto sia l'FDA che l'EMEA ad intraprendere un processo di revisione dei dati di sicurezza di tutti i coxib e ad emanare una serie di azioni regolatorie restrittive relative alla prescrizione di questi farmaci.
Prese di posizione e azioni annunciate dall'EMEA 1. Riconoscimento che l'intera classe dei coxib mostra un aumento del rischio di eventi cardiovascolari. La probabilità di insorgenza di tali eventi è associata alla dose e durata del trattamento. 2. Sono necessarie altre indagini per la valutazione della sicurezza cardiovascolare dei coxib. Viene perciò raccomandato che gli studi clinici già programmati a tale scopo vengano continuati. 3. La revisione in atto sul rapporto beneficio/rischio dell'intera classe è prevista per l'aprile 2005.
Nel frattempo, vengono assunte misure di sicurezza quali :
a. l'introduzione di una controindicazioneall'uso di tuttii coxib nei pazienti con cardiopatia o ictus;
b. l'introduzione di una controindicazioneaggiuntiva per l'etoricoxibnei pazienti con ipertensione non controllata;
c. l'introduzione di una raccomandazioneper i medici di prescrivere la dose efficace più bassa e una durata di trattamento la più breve possibile.
Così narrata, la vicenda sembra una delle tante procedure di ritiro dal commercio di un nuovo farmaco in ragione di una inaspettata tossicità. In realtà, l'analisi della vicenda sarebbe incompleta e non pienamente comprensibile se non si tenessero in considerazione alcuni fatti importanti.
Gli studi clinici sui quali si è basata la registrazione e commercializzazione dei due coxib più noti (rofecoxib e celecoxib), pubblicati nel 2000, sono stati oggetto di pesanti critiche sul piano metodologico, dell'efficacia e della sicurezza. Lo studio sul celecoxib (CLASS) non mostrava, infatti, un vantaggio statisticamente significativo rispetto ai FANS tradizionali per quanto attiene la grave tossicità gastrointestinale (l'unico reale obiettivo terapeutico dei coxib), mentre lo studio sul rofecoxib (VIGOR) rilevava una più elevata incidenza di infarto del miocardio nei pazienti trattati con rofecoxib rispetto a quelli di controllo trattati con un antinfiammatorio tradizionale (naproxene). La plausibilità che un farmaco capace di inibire "selettivamente" la COX-2 potesse anche causare complicanze di tipo tromboembolico era oltretutto coerente con molte evidenze sperimentali. Ciononostante, l'FDA ha atteso due anni prima di prendere in esame questo problema, peraltro senza assumere poi adeguate iniziative (es. studi clinici "ad hoc" in pazienti ad alto rischio cardiovascolare) volte a comprendere meglio la ragione e la gravità del fenomeno.
I coxib sono stati oggetto di una attività promozionale che non trova precedenti nella storia. La Merck, ad esempio, ha speso più di 10 milioni di dollari all'anno per attività promozionali dirette al pubblico, in aggiunta agli innumerevoli simposi e meeting "educazionali", e un massiccio uso di pubblicazioni sponsorizzate rivolte al medico prescrittore, tutte miranti a rafforzare per il rofecoxib l'immagine di un farmaco sicuro. Questa attività ha allargato il numero dei pazienti esposti al farmaco in modo straordinario (per il rofecoxib si calcolano 80 milioni di pazienti) e ha fatto sì che anche un modesto incremento percentuale di rischio di eventi cardiovascolari gravi si sia tradotto in un eccesso di decine di migliaia di pazienti interessati da tali eventi.
Infine, non esistono dati che documentino con certezza per i coxib una maggiore efficacia rispetto ai FANS tradizionali, a fronte di un loro costo straordinariamente più elevato. La stessa affermazione di possedere una migliore tollerabilità gastrointestinale, unica caratteristica che ne può giustificare la presenza sul mercato, si basa su parametri valutativi surrogati, spesso non significativi sul piano clinico.
In sintesi gli aspetti sconcertanti di questa vicenda possono essere riassunti nei punti seguenti.
1. Un'abile campagna promozionale ha trasformato farmaci sintomatici maldocumentati in farmaci di prima scelta per una patologia cronica ad alta prevalenza nella popolazione anziana, notoriamente a maggior rischio di effetti indesiderati. 2. Nonostante i ragionevoli dubbi di potenziale maggiore tossicità cardiovascolare, i coxib non sono stati studiati in modo adeguato sin dall'inizio o successivamente, quando numerosi studi avevano prodotto dati che denunciavano una maggiore tossicità cardiovascolare. 3. Nonostante il crescendo di dati, anche se in parte contraddittori, nessuna agenzia regolatoria ha preso in seria considerazione il problema, studiando (o facendo studiare) in modo adeguato una reazione avversa di tale gravità. In una situazione così critica, le agenzie si sono limitate, e solo tardivamente, a inserire nelle schede dei coxib raccomandazioni d'uso che non hanno sortito effetto alcuno. 4. Malgrado la presenza sul mercato di 5 coxib e le centinaia di pubblicazioni sulle più svariate riviste "scientifiche", a tutt'oggi non è disponibile alcun dato sulla loro efficacia e tossicità comparativa e di conseguenza non esiste una base su cui fondare la scelta prescrittiva se non quella costituita dall'attività promozionale. 5. Non esistono che pochi, insufficienti, elementi per poter indicare, tra i coxib e i FANS tradizionali quali possiedano un rapporto rischio/beneficio più favorevole.
Cosa dire dei provvedimenti adottati dall'EMEA?
Dal comunicato emergono due elementi importanti: il riconoscimento che la potenziale tossicità cardiovascolare è, probabilmente, un fenomeno di classe, cioè comune a tutti i coxib e le restrizioni prescrittive suggerite, ampiamente giustificate e condivisibili, specie come primo passo in attesa di un chiarimento più preciso del rapporto beneficio/rischio di questi farmaci. In attesa della decisione che verrà adottata in aprile, alcune considerazioni sono d'obbligo:
la prima e più rilevante riguarda la domanda cui l'autorità regolatoria dovrà rispondere e cioè: qual è il reale ruolo terapeutico residuo dei coxib, tenendo conto delle limitazioni d'uso imposte dall'EMEA, dei limiti degli studi e della prevalenza tra gli utilizzatori di coxib di individui caratterizzati da un alto rischio per patologia cardiovascolare nei quali si ritiene che i coxib siano controindicati?
la seconda considerazione riguarda la reale efficacia dei provvedimenti imposti dall'EMEA. Come ampiamente dimostrato, le avvertenze e raccomandazioni d'uso contenute nel foglietto illustrativo hanno un impatto insignificante e non possono essere considerate come lo strumento principale di un intervento correttivo.
la terza riguarda quali iniziative vadano intraprese per valutare al meglio il profilo di sicurezza dei FANS tradizionali, che inevitabilmente vengono ad essere interessati dalle conseguenze indotte dai provvedimenti restrittivi sui coxib.
La vicenda dei coxib rappresenta, infine, l'occasione per riflettere sul ruolo che le agenzie regolatorie dovrebbero avere nonché sulle carenze della sperimentazione clinica post-marketing. In questa vicenda, sia FDA che EMEA hanno tardato ad intervenire, malgrado i ripetuti "segnali" di pericolo provenienti dagli studi clinici e fisiopatologici. Ritardo difficilmente giustificabile che solleva qualche interrogativo sulla autonomia ed efficienza di tali agenzie, ma coerente, purtroppo, con una "filosofia" che vuole il massimo di celerità (o approssimazione?) e impegno (o superficialità?) nella fase di registrazione del "nuovo" farmaco e un quasi totale disinteresse per la fase post-marketing, lasciata nelle mani dell'industria, anche se risulta essere la più critica per una oggettiva valutazione dell'efficacia e, soprattutto, della sicurezza di un nuovo principio attivo nel momento in cui viene calato nel "mondo reale".
Il sistema di farmacovigilanza basato sulle segnalazioni spontanee è sufficientemente sensibile nel cogliere una aumentata incidenza di eventi avversi acuti gravi rari ma dimostra la sua inefficacia nel rilevare una aumentata incidenza di un evento comune (es. infarto o ictus). Sfortunatamente sono proprio questi ultimi a costituire un vero pericolo per la salute pubblica. Solo studi randomizzati controllati, di grandi dimensioni, ben disegnati e valutati sono in grado di evidenziare questi rischi.
Bibliografia 1. Topol EJ, Falk GW. A coxib a day won't keep the doctor away. The Lancet 2004; 364: 1-4. 2. Oberholzer-Gee F, Inamdar SN. Merck's recall of rofecoxib A strategic perspective. N Engl J Med 2004;351:2147-9. 3. FitzGerald GA. Coxibs and cardiovascular disease. N Engl J Med 2004; 351:1709-11. 4. Ray WA, Griffin MR, Stein CM. Cardiovascular toxicity of valdecoxib. N Engl J Med 2004; 351: 2767. 5. Topol EJ. Failing the Public Health Rofecoxib, Merck, and the FDA. N Engl J Med 2004; 351: 1707-9. 6. Topol EJ. Arthritis medicines and cardiovascular events "House of Coxibs". JAMA 2005; 293: 167-9.