Inquadramento clinico
In passato, il termine broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) indicava una patologia infiammatoria delle vie aeree, con tosse e produzione di espettorato per almeno 3 mesi all'anno per 2 anni consecutivi (bronchite cronica), accompagnata da anomalo e permanente allargamento degli spazi aerei alveolari, con distruzione delle loro pareti, perdita del ritorno elastico e iperinflazione del polmone (enfisema). Secondo l'attuale definizione, proposta dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e dal National Health Lung and Blood Institute (NHLBI) nell'ambito di una iniziativa denominata GOLD (The Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease), la BPCO è una entità nosologica caratterizzata da ostruzione bronchiale in gran parte irreversibile, generalmente progressiva, associata ad una abnorme risposta infiammatoria polmonare a particelle o gas nocivi1. Secondo questa definizione, molto diversa dalla precedente, l'infiammazione delle vie aeree è responsabile della limitazione al flusso aereo, mentre le particelle ed i gas, in particolare quelli derivanti dal fumo di sigaretta, ne sono la causa. Diagnosi
Quando su base clinica si sospetta la presenza di BPCO, le prove di funzionalità respiratoria sono il modo più attendibile per confermare la diagnosi e valutare l'entità dell'ostruzione bronchiale. L'esame spirometrico va usato per calcolare il rapporto tra il Volume Espiratorio Massimo in 1 secondo (VEMS o FEV1) e il volume massimo di aria espirata con forza dopo una inspirazione massima (Capacità Vitale Forzata, CVF). Un rapporto VEMS/CVF inferiore al 70% conferma la presenza di una ostruzione al flusso aereo. Per escludere l'asma (condizione in cui l'ostruzione bronchiale è potenzialmente e completamente reversibile), va effettuato un test di reversibilità della ostruzione bronchiale misurando il VEMS prima e dopo l'inalazione di un beta2-agonista a breve durata d'azione: un aumento del VEMS inferiore a 200 ml è più suggestivo di BPCO che di asma. La CVF e il VEMS variano in rapporto al sesso, all'età e all'altezza, in base ai quali vengono calcolati dei valori teorici per ogni individuo.
Spesso, la spirometria rivela la presenza di una BPCO significativa anche in presenza di sintomi scarsi; con ogni probabilità più che di pazienti relativamente asintomatici, si tratta di pazienti che non riescono a percepire correttamente i sintomi. Inoltre, la constatazione che tra i soggetti ultra 40enni con storia di tabagismo, ricoverati per cause diverse da quelle respiratorie, più del 30% mostra una ostruzione delle vie aeree all'esame spirometrico induce a ritenere che la BPCO sia sottodiagnosticata2-4. E' necessario, pertanto, sottoporre a prove di funzionalità respiratoria tutti i soggetti ad alto rischio, cioè i fumatori di età 45 anni o ex fumatori e i pazienti con sintomi respiratori5.
Stadiazione
Le linee guida GOLD identificano uno stadio 0 che include i pazienti, con o senza sintomi, che presentano una funzionalità respiratoria normale, ma sono a rischio di sviluppare BPCO per l'esposizione a fattori di rischio (fumo, polveri o sostanze chimiche nocive). Oltre lo stadio 0, la classificazione della BPCO nei successivi 4 stadi (I:lieve, II:moderato, III:grave, IV: molto grave) viene determinata sulla base del diverso grado di riduzione del VEMS. Abolizione del fumo
Il fumo di sigaretta è responsabile di più dell'80% dei casi di BPCO. Nei fumatori, il declino del VEMS correlato all'età è doppio rispetto quello di una analoga popolazione di non fumatori. Nella maggior parte dei pazienti, l'abolizione del fumo può rallentare il deterioramento della funzione respiratoria e modificare il decorso naturale della malattia6. Rappresenta, pertanto, un provvedimento essenziale nel contesto più generale della gestione della BPCO. Un intervento anche minimo da parte del medico può essere utile per la disassuefazione dal fumo2. Di fronte ad un fumatore, l'approccio che dovrebbe seguire il medico è quello di indagare il suo rapporto col fumo, sottolineare l'esigenza assoluta per la salute di sospendere tale abitudine, valutare la sua volontà di sospenderla e aiutarlo a smettere.
Vaccinazioni
I pazienti affetti da BPCO devono essere vaccinati ogni anno contro l'influenza; la vaccinazione riduce, infatti, del 50% le complicanze di questa patologia senza causare reazioni avverse significative. Terapia farmacologica
I pazienti affetti da BPCO presentano spesso altre malattie concomitanti che richiedono anch'esse l'uso di farmaci. Bisogna, pertanto, valutare attentamente le singole scelte terapeutiche (es. i beta-bloccanti, anche in collirio, potrebbero essere controindicati) e le interazioni con possibili conseguenze pericolose (es. nei pazienti in trattamento con digitatici, l'ipokaliemia indotta dalla assunzione di dosi elevate di beta2-stimolanti può provocare effetti avversi cardiaci gravi). Inoltre, è importante istruire i pazienti sulle modalità di somministrazione dei farmaci e verificare periodicamente la loro affidabilità nell'uso corretto degli erogatori: una errata assunzione dei farmaci può compromettere gli esiti della terapia.
Tra i farmaci impiegati nella BPCO, nessuno è in grado di arrestare o rallentare la progressiva perdita di funzione respiratoria che caratterizza l'evoluzione della malattia. Di conseguenza, il trattamento si pone l'obiettivo di controllare i sintomi, aumentare la capacità di esercizio fisico, prevenire le riacutizzazioni e migliorare lo stato di salute del paziente. Le linee guida GOLD raccomandano un approccio terapeutico a "scalini" determinato dal grado di compromissione funzionale, dalla gravità dei sintomi (in particolare dispnea e ridotta capacità di esercizio) e dalla presenza o meno di complicanze (come l'insufficienza respiratoria e lo scompenso cardiaco destro) (Tabelle 1e2).
Ai farmaci si accompagnano programmi di riabilitazione polmonare, basati su un allenamento fisico graduale, su interventi educativi e psicologici/comportamentali. Nei pazienti con ipossiemia grave (PaO2< 60mmHg), l'ossigenoterapia, somministrata per almeno 15 ore al giorno, può aumentare l'aspettativa di vita.
Broncodilatatori
Rappresentano il cardine del trattamento farmacologico sintomatico. I broncodilatatori attualmente disponibili, beta2-agonisti, anticolinergici e metilxantine (Tabella 3) migliorano la funzione respiratoria e i sintomi nei pazienti affetti da BPCO7-11 intervenendo sulla quota reversibile di ostruzione bronchiale presente nella BPCO. I numerosi effetti indesiderati delle metilxantine le hanno relegate a farmaci di terza scelta.
Le linee guida GOLD raccomandano la somministrazione di un broncodilatatore a breve durata d'azione al bisogno, a partire dallo stadio I (lieve) della BPCO. Beta2-stimolanti e anticolinergici hanno una efficacia clinica sovrapponibile, ma un diverso profilo di effetti indesiderati. Tollerabilità e comorbidità possono rappresentare un criterio orientativo nella scelta iniziale: nei pazienti con insufficienza cardiaca cronica, la preferenza andrebbe data ad un anticolinergico. Nella BPCO moderata, i broncodilatatori a lunga durata d'azione (formoterolo, salmeterolo e tiotropio) hanno il vantaggio del minor numero di somministrazioni giornaliere rispetto ai composti a breve durata d'azione.
Al momento esiste un solo studio di confronto tra tiotropio e salmeterolo, della durata di soli 6 mesi, su poco più di 1.200 pazienti con BPCO grave, che non dimostra particolari vantaggi del nuovo anticolinergico12. In assenza di dati esaustivi sulla efficacia clinica e sicurezza comparativa delle due classi di broncodilatatori, è consigliabile evitare cautelativamente i beta2-stimolanti in tutte le situazioni in cui i loro effetti cardiaci potrebbero interferire negativamente con la condizione di base del paziente (es. scompenso cardiaco).
Effetti indesiderati
Gli effetti indesiderati più frequenti dei beta2-stimolanti sono rappresentati da tremori (7% dei pazienti), nervosismo (7%), tachicardia e aritmie (7-18%). L'incidenza di questi eventi avversi può essere ridotta se il paziente esegue correttamente la somministrazione del farmaco e si sciacqua la bocca dopo l'assunzione (eliminando così la quota di farmaco che viene assorbita per via orale). La tachicardia e le aritmie potrebbero aggravare una eventuale insufficienza cardiaca labile; in studi caso-controllo, l'uso di beta2-stimolanti inalatori a breve durata d'azione non risulta, però, correlato ad un maggior rischio di arresto cardiaco13 o infarto del miocardio14, anche se può comportare un aumento delle ospedalizzazioni per aggravamento dello scompenso15.
Gli anticolinergici per via inalatoria causano una riduzione delle secrezioni, in particolare secchezza della bocca, che nel caso del tiotropio interessa il 10-16% dei pazienti.
Ai dosaggi usuali, le metilxantine provocano effetti indesiderati soprattutto a carico dell'apparato gastroenterico. Il loro ristretto indice terapeutico, la variabilità interindividuale nel metabolismo e le numerose interazioni con altri farmaci che ne aumentano (chinoloni, macrolidi, ticlopidina fluvoxamina) o ne diminuiscono le concentrazioni plasmatiche (fenitoina, carbamazepina, fumo) impongono un controllo costante della teofillinemia. Corticosteroidi
I corticosteroidi inalatori (vedi Tabella 2) vengono largamente utilizzati nel trattamento della BPCO15, ma il loro ruolo è controverso16,17; d'altro canto misurare l'efficacia dei corticosteroidi nella BPCO non è facile18. Numerosi studi randomizzati, controllati non hanno evidenziato alcun beneficio sul declino del VEMS sul lungo periodo19-22.Sorprendentemente, pur partendo da dati pressoché sovrapponibili e pur valutando analoghe riduzioni del declino del VEMS, due metanalisi sono giunte a conclusioni diverse23. Stando ai risultati della prima, i corticosteroidi inalatori ad alte dosi ridurrebbero in modo significativo il declino del VEMS, in particolare nei pazienti più compromessi dal punto di vista funzionale24. La seconda metanalisi esclude, invece, che i corticosteroidi possano rallentare la perdita di funzione respiratoria25. Uno studio randomizzato ha dimostrato, inoltre, come, pur iniziando precocemente il trattamento in pazienti a rischio con segni iniziali e sintomi di BPCO, i corticosteroidi non siano in grado di influenzare la progressione del deterioramento funzionale26.
Due studi osservazionali su un elevato numero di pazienti sembrano indicare che il trattamento con corticosteroidi si associ ad una riduzione dei ricoveri ospedalieri e della mortalità27,28; secondo uno studio più recente, dosi elevate di corticosteroidi sarebbero più efficaci rispetto a dosi basse29. In realtà, il minore tasso di mortalità non è effettivo, ma determinato da errori di tipo metodologico30,31.
Effetti benefici documentati dei corticosteroidi sono, invece, la diminuzione della frequenza delle riacutizzazioni e il miglioramento dello stato di salute dei pazienti con BPCO grave21,32. Sulla base dello studio di maggiori dimensioni e durata21, la riduzione delle riacutizzazioni si può stimare nell'ordine di 0,3 all'anno; ciò significa che è necessario trattare un paziente con BPCO grave per 3 anni per evitare una riacutizzazione. Per ciò che concerne il miglioramento dello stato generale di salute, la differenza a favore dei corticosteroidi rispetto al placebo, anche se statisticamente significativa, risulta tuttavia al di sotto della soglia di percepibilità clinica.
Allo stato attuale delle conoscenze, i corticosteroidi dovrebbero essere riservati ai pazienti con grave ostruzione delle vie aeree (VEMS<50%) e con frequenti esacerbazioni1,33,34.
Effetti indesiderati
I corticosteroidi somministrati per via inalatoria provocano effetti indesiderati locali che interessano l'8-10% dei pazienti: i più frequenti sono candidosi orale e disfonia. L'uso protratto, soprattutto a dosi elevate, può causare eventi avversi sistemici clinicamente rilevanti. Gli studi al riguardo sono numerosi, ma di durata relativamente breve e riguardano soprattutto pazienti asmatici (nei pazienti affetti da BPCO il rischio è aggravato dall'età avanzata, dal fumo, dalla scarsa attività fisica e dall'ipogonadismo). E' documentato l'effetto negativo dei corticosteroidi sulla densità minerale dell'osso, specialmente per formulazioni con maggior assorbimento sistemico35,36 ed esiste una relazione lineare tra dose cumulativa e perdita di massa ossea. L'impatto clinico di queste osservazioni rimane, però, tuttora incerto. Uno studio osservazionale caso-controllo su pazienti con BPCO ha rilevato un aumentato rischio di fratture37, mentre due recenti metanalisi non hanno evidenziato modificazioni significative della densità minerale ossea38,39, pur associandosi alte dosi di corticosteroidi a markers biochimici di incremento del turnover osseo39. Anche il rischio di complicazioni oftalmiche quali cataratta e glaucoma è incerto36. Associazione cortisonici + beta2-stimolanti
Due recenti studi prospettici randomizzati e controllati suggeriscono che nei pazienti con BPCO grave (VEMS < 50%) soggetti a frequenti riacutizzazioni, l'associazione di corticosteroidi e beta2-stimolanti a lunga durata d'azione (vedi Tabella 2) ad alte dosi può ridurre il numero delle riacutizzazioni, migliorare la funzione respiratoria e lo stato di salute rispetto al trattamento con ognuno dei due farmaci usati singolarmente40,41. Una recente revisione della Cochrane ha, però, ridimensionato il beneficio in termini di frequenza delle riacutizzazioni42. Al momento mancano dati conclusivi sulle terapie croniche nel ridurre i ricoveri e la mortalità. Conclusioni
La BPCO è un problema di frequente riscontro, associato ad aumentata morbilità e mortalità. Il fumo di tabacco ne costituisce la causa principale e smettere di fumare è l'unico modo per rallentare la progressione della malattia. Il trattamento al bisogno con un broncodilatatore a breve durata d'azione (beta2-stimolante o anticolinergico) è utile in tutti gli stadi della BPCO. Nei pazienti con BPCO moderata, un broncodilatatore a lunga durata d'azione ha il vantaggio del minor numero di somministrazioni giornaliere rispetto ai composti a breve durata d'azione. Un tentativo con i corticosteroidi inalatori va riservato ai pazienti con BPCO grave (VEMS<50%) e che vanno incontro a frequenti esacerbazioni. Poiché esiste una grande variabilità interindividuale nella risposta e nella tollerabilità, la scelta deve tener conto del rapporto beneficio/rischio e delle preferenze del paziente. La risposta va monitorata strumentalmente (spirometrie seriate) e clinicamente (controlli periodici), adattando il trattamento alla risposta del paziente. Bibliografia 1. Global Initiative for Chronic Obstructive Lung Disease. Global strategy for the diagnosis, management and prevention of chronic obstructive pulmonary disease. NHLBI/WHO workshop report. Bethesda: National Hearth, Lung and Blood Institute. 2001; Update of the Management Section, GOLD website (www.goldcopd.com). July 2003. 2. Anthonisen NR et al. Effects of smoking intervention and the use of an inhaled anticholinergic broncodilator on the rate of decline of FEV1:the Lung Health Study: JAMA 1994; 272:1497-505. 3. Calverly P, Bellamy D. The challenge of providing better care for patients with chronic obstructive pulmonary disease: the poor relation of airways obstruction ? Thorax 2000; 55:78-82. 4. Zaas D et al. Airways obstruction is common but unsuspected in patients admitted to a general medicine service. 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