La sindrome serotoninergica è una condizione clinica associata all'uso di farmaci che modificano la concentrazione della serotonina (o 5-idrossitriptamina, 5HT) a livello centrale (vedi box).
La frequenza reale non è nota: è possibile infatti che forme lievi siano molto più frequenti di quanto riportato. L'impiego sempre più esteso di farmaci quali gli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) rispetto ai più vecchi antidepressivi o dei triptani rispetto ai tradizionali analgesici/antinfiammatori nell'emicrania renderà probabilmente più frequente la comparsa di questa sindrome, motivo per cui si è ritenuto utile un breve approfondimento.
La serotonina, pur essendo ubiquitaria nell'organismo, è a livello del SNC che gioca un ruolo importante relativamente all'umore, al comportamento, all'attenzione e alla regolazione della temperatura corporea e alla percezione del dolore. Le manifestazioni cliniche della sindrome serotoninergica non si correlano con la concentrazione plasmatica della serotonina in quanto ciò che importa è la sua concentrazione a livello delle terminazioni nervose.
Anche se non ne è ancora stata accertata l'esatta fisiopatologia, si ritiene che nella sindrome serotoninergica siano implicati soprattutto i recettori postsinaptici 5-HT1A.
Le manifestazioni tipiche della sindrome serotoninergica possono essere raggruppate schematicamente in tre gruppi:
- modificazioni cognitivo/comportamentali (confusione, disorientamento, agitazione, irritabilità, ansia, euforia, insonnia, letargia, allucinazioni, coma);
- disfunzioni del sistema nervoso autonomo (ipertermia, sudorazione profusa, tachicardia, ipertensione, midriasi, nausea, vomito, diarrea, crampi addominali, salivazione, aritmie);
- modificazioni neuromuscolari (mioclono, iperriflessia, tremori, incoordinazione).
Come criterio diagnostico alcuni autori suggeriscono la presenza contemporanea di almeno tre fra i sintomi/segni sopramenzionati.
La sindrome tende a svilupparsi all'improvviso, generalmente in seguito ad un aumento della dose di farmaco abitualmente assunto o all'aggiunta di un secondo farmaco serotoninergico o che interferisca in qualche modo con il primo, ma può insorgere anche in modo insidioso.
La diagnosi è facilitata, in presenza di segni e sintomi definiti, se è nota l'esposizione a farmaci serotoninergici. Spesso tuttavia la presentazione clinica è variabile e, soprattutto quando la sindrome si presenta in forma lieve, può essere confusa con altri disturbi o malattie o con un aggravamento dei disturbi psichiatrici del paziente. E' indispensabile perciò escludere la possibilità di patologie diverse fra cui sepsi, encefalite, colpo di calore, delirium tremens, tempesta tiroidea e sindrome maligna da neurolettici (SMN). In quest'ultimo caso è importante non solo il farmaco assunto ma anche per quanto tempo è stato assunto; infatti, mentre la sindrome serotoninergica è in generale un problema acuto che si presenta entro breve tempo dall'inizio, o dalla modificazione, di una terapia che influisce sui livelli di serotonina (nel 75% dei casi compare entro le prime 24 ore), la sindrome maligna da neurolettici ha tempi di insorgenza che variano da giorni a settimane. Altre caratteristiche cliniche distintive della SMN comprendono la rigidità muscolare ipertonica e segni extrapiramidali mentre nella sindrome serotoninergica si osservano contrazioni cloniche, miocloniche o iperriflessia.
Non esistono controlli laboratoristici che possano facilitare la diagnosi. Le alterazioni rilevabili laboratoristicamente sono per lo più secondarie alla comparsa di complicazioni.
I farmaci coinvolti
Qualsiasi farmaco o associazione farmacologica che possa incrementare l'attività del sistema serotoninergico è virtualmente in grado di promuovere l'insorgenza della sindrome (veditabella).
Oltre ai farmaci che esercitano un'azione diretta sui recettori serotoninici (es. buspirone, sumatriptan, diidroergotamina, ondansetron), possono indurre l'aumento del neuromediatore:
- farmaci che ne inibiscono la ricaptazione (es. SSRI)
- farmaci che ne inibiscono il metabolismo (MAO- inibitori)
- sostanze che ne aumentano il rilascio (es. ecstasy, cocaina)
- un eccesso di precursori che ne incrementano la sintesi (L-triptofano).
La condizione che causa con maggiore frequenza la sindrome serotoninergica è la somma dell'effetto di due farmaci che interferiscono col sistema serotoninergico. La sindrome può comparire però anche dopo somministrazione di un singolo principio attivo, non solo se questo viene somministrato ad un dosaggio troppo elevato ma anche in seguito all'assunzione di dosaggi terapeutici come accade, al esempio, quando si passa da un farmaco all'altro se il farmaco sostituito è caratterizzato da una lunga emivita. SSRI come sertralina, paroxetina e, soprattutto, fluoxetina hanno metaboliti attivi con lunga emivita e richiedono un lungo periodo di "washout" (almeno 2 settimane) prima di intraprendere un nuovo trattamento con un altro farmaco che agisce sul sistema serotoninergico. La fluoxetina, che ha un metabolita, la norfluoxetina, con un'emivita di 19 giorni, si è resa responsabile della comparsa di sindrome serotoninergica persino dopo 4-5 settimane dall'interruzione del trattamento e l'inizio di un altro.
Nei pazienti che assumono farmaci ad azione serotoninergica diretta o indiretta, una attenzione particolare va riservata a possibili interazioni di tipo farmacocinetico con farmaci induttori enzimatici (es. eritromicina) e prodotti erboristici (es. iperico).
Infine, vale la pena di evidenziare che anche il destrometorfano contenuto in antitussivi da banco può indurre una sindrome serotoninergica in quanto, analogamente ad altri farmaci attivi sui recettori oppioidi, quali meperidina e tramadolo, possiede anche la capacità di bloccare la ricaptazione di serotonina. La condotta terapeutica
La sindrome serotoninergica lieve è in genere una condizione autolimitantesi. L'esito positivo è favorito da una diagnosi tempestiva e dalla sospensione o dalla riduzione del dosaggio dei farmaci che ne hanno determinato l'insorgenza. La risoluzione avviene (approssimativamente nel 70% dei casi) nell'arco delle 24 ore. Nei casi da lievi a moderati, la somministrazione di una terapia di supporto induce la risoluzione dei sintomi in 24-36 ore. In assenza di complicazioni, solo raramente i sintomi persistono più a lungo di 72-96 ore. La terapia di supporto comprende sedazione, raffreddamento esterno e impiego di farmaci antiepilettici e antiipertensivi.
I casi gravi richiedono l'ospedalizzazione: gli effetti neuromuscolari e l'ipertermia possono indurre complicazioni secondarie quali ipossia, rabdomiolisi, acidosi metabolica, coagulazione intravascolare disseminata e insufficienza renale. Una ipertermia superiore a 40,5°C è indicativa di una condizione grave associata ad una elevata incidenza di complicazioni e mortalità (segnalati tassi di mortalità fino al 12%).
Non esiste un farmaco che possa essere considerato un "antidoto" specifico: l'impiego di farmaci in grado di antagonizzare i recettori della serotonina sembra essere l'intervento più razionale quando i sintomi persistono o diventano particolarmente gravi ma non esistono studi che abbiano valutato in modo controllato i vari trattamenti utilizzati.
La ciproeptadina è il farmaco più impiegato. Esiste in commercio solo per somministrazione orale. Il dosaggio iniziale consigliato è di 4-8 mg, che può essere ripetuto dopo due ore. Se dopo 16 mg non si è avuta risposta, il farmaco va sospeso. In caso di miglioramento, il trattamento può essere protratto somministrando a dosi refratte fino ad un massimo di 32 mg/die. Poiché la ciproeptadina antagonizza anche i recettori muscarinici, dosaggi elevati possono indurre sintomi anticolinergici (ad esempio ritenzione urinaria).
Il propranololo, oltre ad essere un beta-bloccante non selettivo, possiede anche una attività bloccante sui recettori 5-HT1A. Nonostante alcuni case reports in cui è stato impiegato con successo, la sua efficacia è stata messa in discussione.
Altri farmaci utilizzati sono la clorpromazina e la metisergide; entrambi tuttavia presentano numerosi effetti indesiderati e controindicazioni.
Le benzodiazepine (soprattutto diazepam e lorazepam) vengono utilizzate per un loro effetto antagonista della serotonina non specifico. Sono efficaci per sedare il paziente, prevenire ansia e agitazione e per ridurre la rigidità muscolare.
Una volta risolta la sindrome, sarà necessario reimpostare la terapia farmacologica del paziente. Pur in mancanza di dati certi, è probabile che il paziente che ha manifestato una sindrome serotoninergica sia più a rischio di recidive. Non esistono molte informazioni per orientare la successiva condotta terapeutica: laddove non sia possibile evitare i farmaci che interferiscono col sistema serotoninergico non resta perciò che adottare provvedimenti di cautela generale (ridurne il dosaggio, evitare le associazioni, monitorare il paziente). Conclusioni
L'utilizzo sempre più diffuso di farmaci che interferiscono con la serotonina avrà come probabile conseguenza un aumento dei casi di sindrome serotoninergica.
Poiché si tratta di una condizione dalla sintomatologia spesso sfumata che rende difficile la diagnosi, può essere confusa con altre patologie e portare ad errori anche gravi nella condotta terapeutica.
Dal momento che non è disponibile alcun trattamento specifico, è importante avere presente questa eventualità, cercando di fare il possibile per prevenirla innanzitutto utilizzando molta attenzione nella somministrazione dei farmaci attivi sul sistema serotoninergico, in particolare gli SSRI, che sono responsabili della comparsa della sindrome serotoninergica con una frequenza superiore a quella di tutti le altre classi di farmaci. Laddove fosse necessario ricorrere a politerapie, una attenta verifica delle possibili interazioni consentirà di evitare associazioni rischiose.
E' importante inoltre che i pazienti che assumono farmaci serotoninergici siano adeguatamente informati sui sintomi che devono essere prontamente riferiti, ricordando loro di evidenziare le terapie in corso in caso di ulteriori prescrizioni e cercando di far loro capire le motivazioni di un eventuale modifica della terapia. Bibliografia
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