Il quadro di riferimento nel quale è opportuno collocarsi è abbastanza articolato; vale la pena tuttavia di dettagliarlo brevemente perché è molto didattico per una comprensione delle dinamiche complessive che definiscono i processi di informazione. L'area della psicofarmacologia è nello stesso tempo un paradigma, e un problema estremamente concreto, rispetto al quale iniziative di informazione non possono essere confinate alla preparazione-distribuzione di materiali informativi.
Il contesto
1. I mesi trascorsi sono stati caratterizzati dal ricorrere particolarmente intenso, nelle cronache e nei commenti dei mass-media (quelli rivolti alla società in generale, e quelli professionali), di tematiche relative al disagio e alle malattie afferenti alla psichiatria. Dalla depressione (in tutte le sue declinazioni ed estensioni diagnostiche-prognostiche-culturali), ai bisogni di antipsicotici per l'età anziana, alla epidemia annunciata-denunciata di orfanità farmacologica dell'età pediatrica (ADHD e dintorni). I toni hanno incluso tutta la gamma delle mozioni degli affetti (allarme, compassione, perorazione), della denuncia per abbandono, del trionfalismo per soluzioni assolutamente certe e disponibili, ma negate per ideologia, restrizioni indebite di risorse, ignoranza.
2. I dati di consumo-mercato degli psicofarmaci hanno documentato un'accelerazione assolutamente stupefacente di prescrizioni-costi, che ha contribuito in modo non banale al gonfiarsi della spesa far maceutica e alla preoccupazione dei suoi controllori (N.B. I dati smentivano così le preoccupazioni di sotto-trattamento e di orfanità evocate al punto precedente: ma ciò non ha attratto molta attenzione).
3. L'Italia si è trovata rapidamente ad essere protagonista privilegiata della "epidemia depressiva" (e non solo), teorizzata e promossa da qualche anno (con dati controversi, ma molta enfasi) dai rapporti congiunti della Banca Mondiale e dell'OMS sul ruolo dominante, nel nostro presente ed ancor più nel futuro, di patologie riconducibili al "disagio del vivere". Per l'occasione si è visto il fiorire di classificazioni nosologiche che hanno trasformato in diagnosi cliniche le più diverse situazioni del vivere (valga per tutte la GAD - General Anxiety Disorders - vero e proprio contenitore multiuso e potenzialmente universale).
4. La letteratura scientifica internazionale (con metanalisi, rapporti di agenzie di valutazione, e quanto altro viene prodotto nel campo della EBM e della appropriatezza) non ha cessato di sottolineare che per le nuove generazioni di psicofarmaci le prove di sostanziali vantaggi terapeutici rispetto alle tradizionali classi di antidepressivi, antipsicotici, antiansia non erano particolarmente convincenti. La "atipicità" delle molecole era meno impressionante della sostanziale tipicità della insufficienza metodologica che caratterizza cronicamente la sperimentazione e l'epidemiologia clinica in psicofarmacologia.
5. I dati e le informazioni disponibili (per quanto poco sistematici) documentano che l'investimento istituzionale in risorse di personale, percorsi riabilitativi, supporto non solo medico-farmacologico per le diverse popolazioni con problemi mentali seri è in progressiva e regolare diminuzione.
Per una informazione propositiva
1. La gravità - clinica, epidemiologica, culturale, istituzionale - dei problemi che toccano i comportamenti ed il disagio è più che certa. C'è una sproporzione evidente - come fenomeno di lunga durata e diffuso - tra la gravità del problema e la sostanziale povertà degli strumenti metodologici con la quale li si affronta per produrre informazioni affidabili in termini di efficacia comparativa dei diversi interventi (farmacologici o meno) e di epidemiologia degli "esiti".
2. I [pochi] dati a disposizione sull'intreccio tra importanza dei fattori strettamente biologici e clinici (diagnosi e terapie farmacologiche) e delle variabili di contesto (storie personali e sociali, riabilitazione lavorativa, strategie complessive di presa in carico soprattutto dei pazienti più gravi) documentano che la prima componente dell'intreccio è certamente importante, ma pesa decisamente meno della seconda. In termini pratici, una pratica corretta di diagnosi clinica e di terapia farmacologica diventa scorretta e fuorviante per quanto riguarda gli esiti sostanziali e di lungo periodo se è staccata dalla considerazione dei contesti.
3. Una informazione - medico-scientifica e di mass-media - centrata-deviata sulle variabili farmacologiche, magari anche con la giustificazione (troppo ovvia per essere sostenuta in modo credibile, e che appare perciò come una scusa) che è più difficile lavorare sul contesto e sugli investimenti di "presa in carico", equivale ad una disinformazione programmata. Comporta di fatto anche una perdita di credibilità, ed una oggettiva diminuzione del significato e del contributo di innovatività (per quanto parziale) dei "nuovi" farmaci.
4. Non c'è bisogno di informazione su questi nuovi farmaci. Quella che si può fare è, sostanzialmente, "banale" e ripetitiva. L'informazione che serve è quella che deve essere prodotta: l'efficacia clinica (giocata per lo più su confronti con placebo, quasi mai verificata in termini di reale comparabilità, misurata su profili di sicurezza prodotti su popolazioni scarsamente rappresentative, seguite per periodi che non hanno nulla a che fare con la cronicità dei problemi) ha bisogno di essere integrata con dati solidi sul se e quanto si traduce in modificazione di storie reali.
5. La psicofarmacologia - divenuta protagonista dei consumi e del mercato - deve affrontare la stessa responsabilità di tutte le terapie croniche dominanti, dall'ipertensione allo scompenso all'asma all'epatite: modificare i sintomi è un punto di partenza e non di arrivo. Il fatto che questa verifica debba passare - per la psichiatria ed il disagio del vivere - per metodologie e strategie di ricerca che coinvolgono, più di altre patologie, i contesti assistenziali e di vita è motivo per una maggiore creatività e responsabilità di ricerca, non scusa per rimandare l'impegno, mentre si diffondono-propagandano promesse, attese, consumi "viziati" dalla parzialità.
6. L'agenda per questa informazione-che-è-ricerca-attiva deve essere articolata, proporzionalmente alla complessità del problema:
con studi di epidemiologia dei trattamenti mirati a popolazioni precise, e non a consumi medi e/o complessivi;
con protocolli di osservazione capaci di descrivere le storie di popolazioni-pazienti attraverso le dis-continuità tra servizi, e tra servizi e MG;
con programmi di farmacosorveglianza che includano non solo effetti collaterali, ma il grado e la qualità delle "risposte" e delle "non-risposte", su numeri e situazioni assistenziali sufficientemente estesi.
Pro-memoria conclusivi 1. Nella logica di pensare a questo capitolo come area che richiede produzione di informazioni innovative nella sostanza, e non ri-proposizione di novità giocate sulla atipicità di indicazioni, due sono le priorità da tener presenti:
- guardare con particolare attenzione, nell'ambito dei Comitati Etici, ai protocolli che vengono presentati su psicofarmaci: negli ultimi due anni le esperienze avute non sono state certo molto incoraggianti per quanto riguarda qualità metodologica e rilevanza di obiettivi;
- promuovere protocolli originali - di ricerca-sperimentale e di outcomes - che coinvolgano MMG e servizi (è un'area molto importante ed orfana, dove applicare i decreti del maggio 2001, entrati in vigore nel dicembre 2001!) con focalizzazioni integrate su farmaci e contesti assistenziali e di vita.
2. Per avere - al di là della letteratura che non è il caso di citare estesamente in un editoriale di questo tipo - almeno un pro-memoria sobrio sul fatto che i temi discussi non sono "fuori-tema", può essere utile la lettura del trial negativo sull'"iperico" (St. John's Wort) (JAMA 2002; 287: 1807-14): non tanto per i risultati riguardanti questa medicina "atipica-alternativa", quanto per rilevare che non c'è differenza (nello stesso trial) rispetto alla sertralina: gioco del caso? oppure informazione particolarmente rilevante data la numerosità-rappresentatività delle popolazioni?
3. Si parla molto (ed il tema è stato più volte evocato anche su queste pagine) della forte pressione a far passare l'informazione sui farmaci diretta al paziente: anche per questo l'area della psicofarmacologia è assolutamente paradigmatica ed anticipatrice. Di fatto, le campagne fatte sulla depressione, le mobilitazioni di pazienti, associazioni, fondazioni sono già macroscopici interventi in questa direzione. E documentano che il problema non è l'informazione sui farmaci: come sempre, questi sono una delle variabili, per lo più non la principale.