Effetti iperglicemizzanti degli antipsicotici atipici
Michela Nosè Dipartimento di Medicina e Sanità pubblica, Sezione di Psichiatria Università di Verona
Corrado Barbui Dipartimento di Medicina e Sanità pubblica, Sezione di Psichiatria Università di Verona
Nel momento stesso in cui ci apprestavamo a pubblicare i dati sugli effetti iperglicemizzanti degli antipsicotici atipici, su olanzapina e risperidone le autorità regolatorie di vari paesi, compresa l'Italia, hanno provveduto ad emanare una nota di allerta per i medici riguardante un nuovo rischio, non noto in precedenza, legato al loro impiego nei pazienti con demenza: l'aumento della mortalità e di eventi avversi cerebrovascolari.
Contesto di riferimento
Negli ultimi anni, in seguito all'immissione nel mercato di una nuova generazione di farmaci antipsicotici, i cosiddetti antipsicotici atipici, la relazione tra iperglicemia e diabete, psicosi e trattamenti antipsicotici è stata oggetto di un rinnovato interesse, sia nel mondo della ricerca che in quello della pratica clinica quotidiana. L'interesse è nato dal susseguirsi di osservazioni di casi di aumento dei livelli glicemici in pazienti in trattamento antipsicotico, e dalla conseguente ipotesi che il trattamento con clozapina, olanzapina, risperidone e quetiapina, gli antipsicotici atipici attualmente in commercio in Italia, si associ a iperglicemia e diabete con maggiore frequenza rispetto ai farmaci di vecchia generazione. Tale ipotesi è stata testata in una serie di studi dal disegno piuttosto eterogeneo e dai risultati spesso contraddittori. Nella pratica clinica, tuttavia, appare rilevante fare un bilancio delle conoscenze acquisite, al fine di stimolare un utilizzo consapevole dei nuovi farmaci. Obiettivo della presente rassegna della letteratura è pertanto quello di analizzare criticamente le evidenze al riguardo, cercando di sintetizzare le principali raccomandazioni che il mondo della ricerca ha formulato per un corretto utilizzo degli antipsicotici atipici.
Tradizionalmente, il diabete mellito viene classificato in tre gruppi: tipo 1, tipo 2 e diabete gestazionale. Il diabete di tipo 1, o insulino-dipendente, solitamente insorge in giovane età e necessita di terapia insulinica. Il diabete di tipo 2, o non-insulino dipendente, insorge generalmente tra i 30 e 45 anni, e nella maggior parte dei casi i pazienti possono essere mantenuti in trattamento con ipoglicemizzanti orali. Il diabete gestazionale insorge in gravidanza e solitamente si risolve dopo il parto. Il tipo di iperglicemia diabetica che si osserva nei pazienti con psicosi schizofrenica in trattamento con antipsicotici è quello di tipo 2.
La complessità dell'eziopatogenesi del diabete rende difficile la valutazione dei rapporti di causa-effetto, tenendo anche in considerazione la multifattorialità di tale patologia. In tale quadro, i fattori di rischio identificati sono molteplici, come l'età, l'aumento di peso, la mancanza di attività fisica, la storia familiare e l'etnia; esiste inoltre una notevole variabilità interindividuale nella suscettibilità a tale patologia.
Per quanto riguarda la relazione tra iperglicemia e patologie psichiatriche, in generale la letteratura epidemiologica esistente suggerisce che i pazienti con schizofrenia soffrano di diabete più frequentemente che la popolazione generale. A questa possibile predisposizione, sembra si aggiunga il dato secondo cui i farmaci antipsicotici possono contribuire direttamente all'iperglicemia, aumentando ulteriormente il rischio di sviluppare diabete.
Schizofrenia e insorgenza di iperglicemia diabetica
I dati presenti in letteratura suggeriscono che nei soggetti con psicosi schizofrenica il rischio di sviluppare diabete di tipo 2 sia aumentato rispetto alla popolazione generale, in maniera indipendente dall'uso di antipsicotici. Questa osservazione, in realtà, è controversa, dal momento che la maggior parte delle evidenze in tal senso vengono da studi in cui i soggetti con schizofrenia erano (o erano stati) in trattamento con antipsicotici. è, quindi, difficile capire se la schizofrenia abbia un ruolo indipendente nello sviluppo del diabete e di insulino-resistenza, o se i farmaci antipsicotici siano comunque implicati nella patogenesi del disturbo. A favore di un ruolo indipendente della schizofrenia vi sono i dati relativi al periodo precedente l'introduzione degli antipsicotici, sebbene questi debbano essere valutati con cautela per i limiti metodologici e le differenti definizioni adottate1.
Gli studi moderni che hanno indagato la frequenza di diabete nei pazienti con schizofrenia sono comunque concordi nell'evidenziare un'aumentata prevalenza. Uno studio su 248 pazienti schizofrenici condotto in Giappone2 ha riportato una prevalenza dell'8,8%, rispetto al 5% nel gruppo di controllo. Una indagine condotta in Italia3 ha studiato la prevalenza di diabete in 95 pazienti con schizofrenia di età compresa tra 45 e 75 anni; il tasso di prevalenza calcolato nel campione è stato del 15,8%, dato considerevolmente più alto rispetto alle stime di iperglicemia calcolate nella popolazione generale in Italia. Un più recente lavoro4, che ha utilizzato i dati raccolti nel contesto dello studio Schizophrenia Patient Outcomes Research Team (PORT), ha mostrato, nella schizofrenia, una prevalenza di diabete di tipo 2 nel corso della vita compresa tra l'11% e il 14,9%; nella popolazione generale, viceversa, i tassi variavano dall'1,2% (nell'età 18-44 anni) al 6,3% (nell'età 45-64 anni). L'età media dei soggetti considerati nello studio era di 43 anni, e si è evidenziata una prevalenza significativamente maggiore in soggetti di sesso femminile e di razza nera. La maggior parte dei soggetti considerati era tuttavia in trattamento con antipsicotici tipici. Una prevalenza di diabete di tipo 2 del 16% è emersa in uno studio, ancora più recente, condotto in 194 soggetti con schizofrenia5. In oltre un terzo di questi soggetti si è evidenziata un'alterata tolleranza al glucosio. Per testare ulteriormente l'associazione tra schizofrenia e diabete, 26 pazienti con schizofrenia al primo episodio e liberi da trattamenti farmacologici sono stati confrontati con controlli sani simili per caratteristiche sociodemografiche6; più del 15% dei soggetti con schizofrenia evidenziava un'alterata tolleranza al glucosio, una maggiore insulino-resistenza e più alti livelli di glucosio plasmatico. Terapia antipsicotica e insorgenza di diabete
Nonostante effetti sull'omeostasi del glucosio siano stati descritti anche per gli antipsicotici tipici7 e alcuni studi abbiano evidenziato un aumentato rischio di iperglicemia diabetica per clorpromazina, perfenazina e aloperidolo in confronto al non utilizzo di questi farmaci8,9, una grande attenzione al rischio di iperglicemia è attualmente posta nei soggetti che usano gli antipsicotici di nuova generazione. Le metodologie utilizzate per lo studio di tale associazione comprendono analisi di singoli casi clinici, analisi retrospettive di database e un numero esiguo di studi clinici prospettici.
Per quanto riguarda le segnalazioni presenti in letteratura, una recente revisione della letteratura10 ha individuato 30 segnalazioni relative a diabete mellito, iperglicemia e chetoacidosi diabetica in soggetti che utilizzavano la clozapina; in 6 di queste segnalazioni era tuttavia presente una storia familiare di diabete e, in 4, una storia personale di diabete. L'esposizione media alla clozapina prima della scoperta del diabete era di 124 giorni. In 15 casi, il disturbo metabolico si è risolto in seguito all'interruzione della terapia antipsicotica. In un caso si è avuto un miglioramento dei valori glicemici con una diminuzione del dosaggio, mentre nella maggior parte degli altri casi una variazione del dosaggio non ha avuto effetti positivi. Per quanto riguarda l'olanzapina, sono state individuate 26 segnalazioni; in 8 casi si trattava di pazienti con una storia familiare positiva. L'esposizione media all'olanzapina prima della scoperta del diabete era di 135 giorni. In 14 dei 18 casi, i pazienti hanno completamente risolto il disturbo metabolico dopo l'interruzione della terapia antipsicotica. In un caso, l'effetto collaterale sembrerebbe avere provocato il decesso del paziente. Sono state inoltre individuate tre segnalazioni di diabete in pazienti in trattamento con risperidone e due con quetiapina.
Anche i data provenienti dal programma MedWatch della Food and Drug Administration suggeriscono che la clozapina, l'olanzapina, il risperidone e la quetiapina siano farmaci implicati nell'insorgenza di nuovi casi di iperglicemia diabetica. In particolare, sono state riportate 384 segnalazioni di iperglicemia relative alla clozapina, 237 all'olanzapina, 131 al risperidone e 46 alla quetiapina. Ovviamente, né l'incidenza né la prevalenza di iperglicemia nei pazienti in trattamento con antipsicotici atipici possono essere calcolate utilizzando queste segnalazioni; tuttavia, esse forniscono un segnale importante rispetto alla necessità di prestare attenzione a questo problema ed anche rispetto alla necessità di analizzarlo utilizzando approcci metodologicamente appropriati.
Negli ultimi anni sono state pubblicate numerose ricerche che analizzano database di prescrizioni farmacologiche con l'obiettivo di indagare l'associazione tra antipsicotici e insorgenza di iperglicemia. A differenza delle segnalazioni, che hanno valore aneddotico e servono a generare ipotesi solamente, questi studi permettono un maggior controllo delle variabili di confondimento ed hanno il pregio di coinvolgere un elevato numero di soggetti, elemento essenziale per riconoscere eventi avversi poco frequenti. Una revisione di questi studi11 ha individuato 8 studi, il più piccolo dei quali analizzava un campione di oltre 3.000 pazienti e il più ampio un campione di oltre 38.000 pazienti. Un riassunto delle principali caratteristiche degli studi inclusi in questa revisione è presentato nella Tabella 1. Dei 5 studi che riguardano la clozapina, 4 hanno concluso che l'assunzione di questo antipsicotico atipico sia un fattore di rischio di iperglicemia diabetica. L'analisi cumulativa dei dati ha mostrato che il rischio di iperglicemia nei giovani adulti (20-34 anni) trattati con clozapina, rispetto ai giovani adulti trattati con antipsicotici tipici, più che raddoppiava dopo 12 mesi di terapia. Questo dato sembra essere più evidente per le popolazioni giovani (20-34 anni) e meno per quelle più anziane. Per quanto riguarda il rischio associato al trattamento con risperidone, di 6 studi inclusi 4 non hanno evidenziato un aumento di rischio, uno ha suggerito un rischio elevato per i pazienti giovani ma non per quelli sopra i 40 anni, mentre in un ulteriore lavoro il rischio associato a risperidone è risultato aumentato sia in confronto a soggetti non in trattamento con risperidone che a soggetti in trattamento con aloperidolo. I 5 studi relativi all'uso dell'olanzapina hanno mostrato un rischio aumentato di sviluppare iperglicemia. L'analisi cumulativa dei dati ha mostrato che il rischio di iperglicemia nei soggetti trattati con olanzapina, rispetto ai soggetti trattati con antipsicotici tipici, aumentava di oltre 4 volte. Per quanto riguarda gli altri antipsicotici atipici, solo due studi inclusi hanno riportato il rischio associato alla quetiapina e nessuno studio è stato riportato relativamente al rischio associato all'uso di ziprasidone, un farmaco ancora non in commercio in Italia.
Oltre agli studi inclusi in questa revisione, vi sono altri lavori più recenti. In uno studio retrospettivo condotto su un campione di 5.837 soggetti12, l'olanzapina è risultata associata ad un rischio di sviluppare diabete maggiore del risperidone, tenendo in considerazione altre variabili come l'etnia, l'età e la diagnosi. Un altro studio13 ha confrontato il risperidone, l'olanzapina, la quetiapina e gli antipsicotici tipici in pazienti con differenti diagnosi. Il rischio di sviluppare iperglicemia è risultato più elevato per i pazienti in trattamento con olanzapina rispetto ai soggetti non in trattamento con antipsicotici. Tale differenza non emergeva per risperidone e quetiapina.
Pochi sono i dati in letteratura provenienti da studi clinici controllati (Tabella 2). La rassegna della letteratura ha evidenziato un solo trial clinico randomizzato e uno studio clinico non randomizzato. Lo studio clinico randomizzato14, della durata di 14 settimane, ha valutato l'effetto di clozapina, olanzapina, risperidone e aloperidolo sui livelli di glucosio in 101 pazienti ospedalizzati con schizofrenia e disturbo schizoaffettivo. Lo studio è stato diviso in un primo periodo di 8 settimane, che prevedeva un dosaggio fisso di ciascun farmaco, e in un successivo periodo di 6 settimane, che prevedeva un dosaggio variabile di ciascun farmaco. L'end-point era costituito dai valori ematici di glicemia. Al termine della prima fase dello studio si è evidenziato un aumento dei livelli glicemici nei pazienti in trattamento con clozapina e con aloperidolo. Nei pazienti in trattamento con olanzapina un aumento significativo dei livelli di glucosio si è evidenziato solo dopo il secondo periodo di 6 settimane di trattamento a dosaggio variabile. Non sono stati evidenziati cambiamenti significativi nei pazienti in trattamento con risperidone. Alla quattordicesima settimana di trattamento la glicemia dei soggetti trattati con clozapina passava da 93,1 mg/die a 98,6 mg/die; la glicemia dei soggetti trattati con aloperidolo passava da 82,6 mg/die a 92,6 mg/die, quella dei soggetti in trattamento con olanzapina passava da 91,7 mg/die a 105,5 mg/die, e quella di coloro che ricevevano il risperidone passava da 94,0 mg/die a 97,2 mg/die. Il 14% del campione ha sviluppato livelli di glucosio alti (>125 mg) durante il corso del trattamento. Di questi soggetti, 6 erano stati randomizzati alla clozapina, 4 all'olanzapina, 3 al risperidone e 1 all'aloperidolo. Tali cambiamenti glicemici erano indipendenti dall'aumento di peso osservato in alcuni soggetti.
Gli stessi antipsicotici sono stati confrontati in uno studio clinico non randomizzato sul carico di glucosio15. I risultati hanno sostanzialmente confermato quelli dello studio randomizzato, evidenziando che la clozapina e l'olanzapina, rispetto agli antipsicotici di vecchia generazione, determinavano un aumento dei livelli glicemici nei soggetti con schizofrenia (Tabella 2) In questo studio, la tolleranza al carico di glucosio orale, valutata in 48 pazienti schizofrenici e in 31 soggetti sani non in trattamento, appaiati per l'indice di massa corporea e per età, ha evidenziato un aumento significativo dei livelli di glucosio nei pazienti in trattamento con olanzapina e clozapina rispetto a quelli in trattamento con antipsicotici tipici e rispetto ai controlli sani. I pazienti in trattamento con risperidone mostravano un aumento significativo dei livelli di glucosio solo in confronto ai controlli sani, mentre nessuna differenza è emersa nel confronto con il gruppo in trattamento con antipsicotici tipici. Implicazioni per la pratica clinica
L'olanzapina e la clozapina sono gli antipsicotici con il maggior numero di segnalazioni che si riferiscono all'insorgenza di iperglicemia; in aggiunta, i risultati degli studi metodologicamente più rigorosi sembrano confermare un rischio di iperglicemia diabetica più elevato nei soggetti trattati con questi farmaci rispetto a coloro che ricevono un trattamento con antipsicotici di vecchia generazione16,17. Al di là di queste considerazioni, basate sui dati, ancora provvisori, presenti in letteratura, sembra ragionevole e prudente considerare che tutti gli antipsicotici abbiano la potenzialità di determinare l'insorgenza di iperglicemia nei soggetti con schizofrenia, tenendo anche in considerazione che questa patologia psichiatrica potrebbe essere, di per sé, un fattore di rischio di iperglicemia.
In letteratura i suggerimenti pratici ricordano di adottare dei provvedimenti prima dell'inizio del trattamento antipsicotico. Ogni paziente dovrebbe essere pesato e si dovrebbe misurare la glicemia. Dovrebbero essere valutati tutti gli eventuali fattori di rischio di diabete, come un'importante obesità, livelli alti di trigliceridi e una storia familiare di diabete. Il paziente deve essere informato della terapia che si intende intraprendere, degli eventuali effetti collaterali, incluso il possibile aumento di peso, e dei possibili sintomi che caratterizzano l'iperglicemia diabetica, come la poliuria e la polidipsia. Nei casi in cui si individuino dei pazienti ad alto rischio, è importante una valutazione attenta del profilo di rischio/beneficio, da compiere caso per caso, del trattamento che si vuole iniziare11.
Durante il trattamento antipsicotico è importante tenere controllato periodicamente il peso corporeo, invitando i pazienti a mantenere un peso nella norma. La valutazione della glicemia dovrebbe essere ripetuta dopo 12 settimane di trattamento e poi regolarmente ogni anno, mentre la presenza di glicosuria andrebbe valutata ogni tre mesi. Il monitoraggio della glicemia dovrebbe essere più serrato nei pazienti con aumento di peso importante in un breve arco di tempo e in coloro che lamentano sete, poliuria o altri sintomi caratteristici del diabete. Queste misure possono aiutare nella diagnosi precoce di diabete e nel prevenire la chetoacidosi o altre complicanze di questo disturbo. Queste indicazioni sono rilevanti in quanto molte segnalazioni riguardanti l'insorgenza di iperglicemia riferiscono che questo effetto collaterale viene riconosciuto quando il paziente è già in uno stato di chetoacidosi, e che i medici di medicina generale tendono spesso a trascurare questi sintomi nei soggetti con problemi psichiatrici10.
Antipsicotici atipici e rischio cerebrovascolare
Nel momento stesso in cui ci apprestavamo a pubblicare i dati sugli effetti iperglicemizzanti degli antipsicotici atipici, su olanzapina e risperidone le autorità regolatorie di vari paesi, compresa l'Italia, provvedevano ad emanare una nota di allerta per i medici, con conseguente modifica del foglietto illustrativo, su un nuovo rischio, non noto in precedenza, legato al loro impiego nei pazienti con demenza: l'aumento della mortalità e di eventi avversi cerebrovascolari (ictus e attacchi ischemici transitori). In particolare, sull'olanzapina le informazioni di sicurezza provengono da un'analisi retrospettiva integrata di 5 studi controllati con placebo, della durata di 6-12 settimane, condotti su 1.662 pazienti anziani (età media 78 anni) affetti da demenza di Alzheimer, vascolare e mista. Questi studi, oltre a non dimostrare l'efficacia dell'olanzapina nel trattamento delle psicosi e dei disturbi comportamentali, hanno rilevato una mortalità 2 volte superiore rispetto al placebo (rispettivamente 3,5% contro 1,5%). La più alta incidenza di decessi non è risultata associata alla dose di olanzapina (dose media giornaliera di 4,4 mg) o alla durata del trattamento. Negli stessi studi clinici, gli eventi avversi cerebrovascolari (es. ictus e TIA), alcuni dei quali fatali, hanno avuto una incidenza 3 volte superiore rispetto al placebo (1,3% contro 0,4%). Per ciò che riguarda il risperidone, un riesame di 4 studi randomizzati, in doppio cieco, realizzati su un totale di 1.779 pazienti con demenza, per la durata di 8-12 settimane, ha evidenziato un aumento di rischio di eventi cerebrovascolari, il 45% dei quali giudicati gravi (potenzialmente fatali, comportanti una lunga ospedalizzazione o una disabilità di lunga durata), di oltre 3 volte rispetto al placebo (33 contro 8). Una metanalisi effettuata sui dati complessivi ha stimato il rischio assoluto, espresso come NNH, di 6,3 all'anno: vale a dire, ogni 6 pazienti anziani con demenza che assumono risperidone per un anno, 1 andrà incontro ad un evento cerebrovascolare attribuibile al farmaco. La stessa CUF, sulla base di questi dati, aveva espresso parere sfavorevole alla richiesta di estensione delle indicazioni terapeutiche del risperidone al trattamento delle psicosi e dei disturbi del comportamento associati alla demenza.
Pur non essendovi, a tutt'oggi, evidenze specifiche a carico della quetiapina, non si può escludere che il farmaco presenti gli stessi problemi.
Pur riconoscendo i limiti delle analisi retrospettive, i risultati sono tali da imporre cautela e sollevano il problema più generale dell'impiego diffuso degli antipsicotici nei pazienti con demenza. Se è vero che la particolare attenzione cui sono stati sottoposti gli atipici ha prodotto queste nuove conoscenze, è altrettanto vero che non sappiamo se i "vecchi" antipsicotici siano esenti dal rischio di eventi cerebrovascolari e, in assenza di informazioni specifiche al riguardo, non esistono ragioni di ritenerli più sicuri. In attesa che si faccia maggiore chiarezza e di indicazioni precise da parte del Ministero, appare prudente non iniziare nuovi piani terapeutici con gli atipici. Nei casi di nuova diagnosi, in assenza di controindicazioni (es. demenza a corpo di Lewy, parkinsonismo già evidente), si potrebbe tentare un trattamento con aloperidolo a basse dosi per un periodo limitato di tempo, mantenendo il paziente sotto stretto controllo. Nei pazienti in terapia con gli antipsicotici atipici, sospendere di colpo il trattamento può risultare pericoloso da un punto di vista clinico e difficilmente realizzabile sul piano organizzativo; la soluzione potrebbe essere quella di tentare una sospensione graduale nei pazienti che tornano al centro per un controllo o per un rinnovo del piano terapeutico, mantenendo nel frattempo un monitoraggio attento, con controlli più ravvicinati, tentando di sospendere il trattamento in caso di miglioramento clinico stabile.
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