Obiettivo di questo editoriale è la segnalazione, e l'invito alla lettura - utilizzazione, di un recentissimo rapporto del CINECA (presentato a Roma in un Seminario che ne ha discusso e sviluppato ulteriormente alcuni dei temi più rilevanti1). Si tratta di una "prima assoluta" nel panorama, non solo italiano, della epidemiologia dei farmaci, che conclude anche un percorso di farmacoepidemiologia, che negli ultimi anni, al di là della periodica rilettura dei profili prescrittivi generali, si è proposto di focalizzare l'attenzione sulle popolazioni ed i problemi, per contrastare il rischio-realtà di una attenzione al farmaco come tracciante di consumi, invece che di cultura2,3.
I motivi di originalità e di interesse di sanità pubblica di un rapporto "al femminile" sono sintetizzati nel riquadro, che riprende gli elementi essenziali dell'introduzione del rapporto stesso.
Per un'epidemiologia della visibilità
- Nella farmacoepidemiologia, così come più in generale nella medicina, l'universo femminile compare per lo più (con la inevitabile eccezione delle situazioni cliniche che gli sono esclusive) in termini di "differenza" rispetto al maschile: quasi che il maschile fosse la categoria di riferimento, rispetto alla quale classificare un più o un meno, ciò che è comparabile e ciò che è diverso, con dati ed interpretazioni che cercano di spiegare-giustificare le diversità, invece che concentrarsi in modo specifico su una realtà che ha una sua autonomia, e che richiede una attenzione indipendente.
- Guardando ciò che in questi anni è stato prodotto nel campo cardiovascolare, in quello della gestione del disagio e della depressione, attraverso studi clinici controllati come quelli emersi dalla Women Health Initiative, o attraverso le ricerche che hanno approfondito (con approcci combinati di epidemiologia, di valutazione, di appropriatezza "variabili di genere" che determinano le disuguaglianze e le dinamiche di domanda-offerta di prestazioni mediche), si ha anzi la conferma che il contributo di visibilità e specificità complessiva che la farmacoepidemiologia può offrire all'universo femminile ha tutti i titoli per divenire uno dei capitoli più interessanti-innovativi dei prossimi anni
- Una prima documentazione di ciò che è possibile-dovuto è facilmente riconoscibile nella articolazione di argomenti prevista per la presentazione pubblica di questo rapporto, che propone una integrazione stretta tra analisi mirate per età-popolazioni, ed approfondimenti centrati su problemi-patologie.
Le età della donna:adolescenza, l'età adulta, il tempo della pre-post menopausa, l'età anziana.
Terapie e problemi tracciati:terapia ormonale, depressione, sintomi e cronicità infiammatoria ed osteoarticolare.
L'importanza dei contesti assistenziali: il "genere" di chi prescrive, la variabilità locale come fonte di conoscenza.
- Il grado di non-noto che caratterizza il femminile in medicina è un'occasione particolarmente "obbligante" a fare della visibilità-variabilità un esercizio di ricerca: sui dati, ed a partire dai dati. Le ASL sono richiamate con insistenza, attraverso tutti i gruppi di età. Le ASL non sono entità amministrative. Nella logica di una epidemiologia che attraverso le procedure rende visibili le popolazioni, le ASL sono richiamate ad essere laboratori che si prendono la responsabilità della condivisibilità dei dati, per farne strumento di dialogo.
Non è difficile riconoscere temi che toccano direttamente interessi e prospettive prioritarie per l'ambito dell'informazione sui farmaci.
Può essere utile integrare queste proposte di riflessione con poche brevissime sottolineature che mirano a rendere l'invito alla lettura di "Donne e Farmaci" ancor più pertinente per i lettori-utenti di IsF.
1. La in-visibilità del femminile ne ha fatto un'area a rischio specifico di marginalità conoscitiva.
Le implicazioni di una situazione di questo tipo sono state da poco oggetto di discussione specifica su IsF in rapporto ad un problema molto concreto4, e non hanno bisogno di essere riprese. È bene sottolineare la continuità del bisogno di una presa di coscienza, che sia il fondamento serio non di raccomandazioni, ma di una progettualità molto pratica di ricerca. Non si deve attendere che qualcuno da qualche parte produca ciò che manca: i problemi che non hanno conoscenze sufficienti per essere gestiti responsabilmente possono solo essere affrontati attraverso una loro inclusione in progetti di ricerca. Al di là di quelli indicati nel riquadro, c'è solo l'imbarazzo della scelta.
2. A livello informativo, ogni volta che su IsF si affronta una situazione clinico-epidemiologico-farmacologica che può/deve richiedere una lettura al femminile, ci si può impegnare a farne oggetto di un paragrafo/trattazione specifica, ben evidenziata: per rendere visibile ciò che è noto e ciò che non lo è, quanto il problema riguarda le conoscenze biologico-cliniche, o quelle più profondamente culturali, o quelle socioeconomiche (es. basta pensare all'area delle persone anziane, dove il "vantaggio di sopravvivenza" delle donne deve essere confrontato con il grado di autonomia, conoscitiva e di vita, non solo per demenze e patologie correlate, ma per la "fragilità" legata a comorbidità, e/o condizioni socio-assistenziali).
3. L'"immagine", e la gestione socio-sanitaria del femminile, non è nella società attuale particolarmente favorevole ad una cultura capace di aumentare lo spazio e le possibilità di fruizione dei diritti stanziali. Basta pensare alla in-visibilità che a livello legislativo si sta ri-proponendo per i diritti della donna in campo riproduttivo; o all'uso dell'immagine femminile per rendere dominante una cultura della salute-sanità come cosmetica-estetica, complementare alla fitness-performance. Dare attenzione di informazione/ricerca al femminile nel campo dei farmaci significa rendere sufficientemente visibili le non-risposte, riconoscerle, parlarne, dare ad esse priorità di investimento (tempo e risorse), da parte anzitutto di operatori e di autorità sanitarie che sono responsabili di garantire ai cittadini risposte proporzionali ai bisogni. Non è, primariamente, un problema di fondi: è una cultura-orientata-al-problema che serve (come è il caso, del resto, per tutte le marginalità).
4. Operazioni-progetti-culture di visibilità non possono essere il prodotto di "benevola attenzione", o di una ritrovata "buona volontà" da parte di operatori/esperti che scoprono nuovi "oggetti" di interesse per cui proporre evidenze, e/o da cui derivare spazi di potere-immagine-credibilità. (N.B.: il riferimento non è retorico-ridondante: è una sottolineatura realistica, come le altre di questa nota su ciò che succede nella gestione sanitaria, più o meno "specialistica", dei problemi femminili; vale, per tutti, il ricordo della depressione, dopo l'ubriacatura delle terapie sostitutive).
Informazioni-ricerche che si mettono, strutturalmente, nella prospettiva logica ed operativa di coinvolgere, da attrici vere, le donne sono in questo senso una conditio-sine-qua-non di tipo metodologico (non solo una generica raccomandazione di "pari opportunità").
Sarebbe troppo immaginare una rete di ASL (quelle che sono co-autrici del rapporto CINECA? ma non solo) in stretta collaborazione con i loro MMG ("al femminile"?, ma non solo) che adottano (in modo complementare-parallelo) problemi di informazione ⇔ ricerca (vedi Riquadro), che producono il loro primo e più fondamentale risultato attraverso l'attivazione di gruppi di donne-coscienti-protagoniste di ricerca (osservazionale e sperimentale) come modo per esprimere la propria autonomia di visibilità?
5. "Donne e Farmaci" si presenta come una copertina che non ha nulla a che fare con i contenuti tecnici. Un quadro "Diana e le sue compagne" di Vermeer ne è protagonista assoluto: la trasgressività ed il fascino del mito diventano quotidiano di una casa contemporanea del pittore: con i suoi dettagli, le sue opacità, le sue trasparenze, la provocazione tranquilla dei gesti, degli sguardi dei corpi che giocano: donne problemi, bisogni, immaginari, storie che affermano il loro stile di visibilità: l'epidemiologia confinata alla conoscenza di numeri-farmaci è proprio povera, se non fuorviante: se è sguardo-con-progetto su/con le popolazioni, e le tante e diverse persone che ne sono parte viva, può essere una strada piena di scoperte, al riparo dalla banalità e dalla noia. Bibliografia 1. Progetto ARNO. Donne e Farmaci. Rapporto 2003. Bologna: CINECA, 2004. 2. Progetto ARNO. Osservatorio sulla prescrizione farmaceutica pediatrica. Rapporto 2000. Bologna: CINECA, 2000/2004. 3. Progetto ARNO. Rapporto sul profilo prescrittivo della popolazione anziana. Rapporto 2001. Bologna: CINECA, 2001. 4. Maestri E et al. L'impiego degli antiandrogeni nella donna.Informazioni sui Farmaci 2004;28:68-78.