Terapie e pratiche orfane di EBM: istruzioni per l'uso
Gianni Tognoni
Il contesto complessivo in cui questo numero di IsF si è venuto organizzando non è sostanzialmente diverso da quello che aveva suggerito-imposto un "silenzio tecnico" sui temi dell'informazione all'ultimo editoriale1. La quotidianità riprende tuttavia i suoi diritti e ripropone i suoi doveri: ed i contributi di questo numero sembrano offrire un'occasione particolarmente utile di riflessione su una domanda che, pur essendo estremamente frequente nella realtà diagnostico-prescrittiva, è di fatto solo raramente esplicitata per le sue implicazioni non solo nella pratica di tutti giorni, ma soprattutto per ciò che significa per l'identità della medicina in rapporto alle sue priorità. La domanda è la riformulazione interrogativa del titolo: "che fare con i problemi per i quali le prove di efficacia non raggiungono l'evidenza?"
Il punto di partenza molto concreto in questo numero è l'articolo dedicato all'impiego degli antiandrogeni nella donna, che ha come autori un gruppo con caratteristiche che lo rendono particolarmente qualificato ad essere esemplare per il tema che si discute: è fortemente interdisciplinare, è riconosciuto come professionalmente ed istituzionalmente dedicato all'informazione, esercita un ruolo specifico di formazione nella logica EBM. Il messaggio complessivo del lungo ed articolato percorso è molto chiaro: le "evidenze" sono tutte parziali, per le ragioni più diverse. Servono se si è pazienti, competenti, attenti nel leggere a rendere meno improprie le scelte, sui cui esiti nella popolazione reale la lettura clinico-epidemiologica è sostanzialmente muta. La precarietà delle evidenze non rende ovviamente meno reali i problemi; la resistenza di persone (stratificate per fasce d'età, e per gravità), le risposte diagnostiche (qualificate dai contesti e dalle competenze più o meno specialistiche), i trattamenti (determinati da conoscenze-ignoranza, atteggiamenti più o meno "interventisti", moda-mercati). Niente di particolarmente nuovo: mix classico di variabili, che rendono [molto] improbabile che alle domande di partenza corrispondano pratiche maggioritariamente razionali.
Ciò che è interessante tuttavia è la constatazione che non esistono dati sulla storia naturale assistenziale di queste popolazioni orfane di evidenze. Che la precarietà conoscitiva su diagnosi-trattamenti abbia come esito il nascondimento degli esiti? Perché questi non sono riconducibili alla dignità di auditing sulla "appropriatezza"? Come furbizia-protezione per non documentare ciò che non ha una conclusione favorevole? Come indicatore che non si ritiene il problema importante, coerentemente con il fatto che non lo si è considerato tale nemmeno nella sperimentazione?
Le domande possibili, e le risposte implicite, non sono limitate evidentemente agli antiandrogeni nella donna. C'è il sospetto che l'assenza di evidenze si traduca non in un massimo di attenzione, ma in una condanna alla cronicizzazione di clandestinità-ignoranza: quasi come una [in]conscia linea-guida che la medicina si dà.
Il secondo scenario di "quotidianità" orfana di evidenze, e coerentemente priva di una epidemiologia degli esiti, è quello assolutamente comune per la fasce di età interessata, e proporzionalmente banale per le sue implicazioni di esito del reflusso gastroesofageo del piccolo bambino. Assenze di evidenze perché non necessarie? Come furbo e programmato per lasciare spazi di emotività in una medicina troppo razionale? Come contributo a mantenere occasioni di dialoghi creativi-personalizzati tra genitori e pediatri?
Il terzo punto di aggancio per questa riflessione sulla gestione della quotidianità orfana di evidenze è più indiretto, ma forse ancor più significativo, e riguarda l'ambito degli psicofarmaci. La situazione qui è [apparentemente] capovolta: le terapie a base di ansiolitici, antidepressivi, antipsicotici sono luoghi classici, e fortemente abitati, di EBM. C'è solo l'imbarazzo della scelta tra linee-guida, raccomandazioni, piani terapeutici. Quello che colpisce qui è la ricorrenza di un fenomeno che mette ancor più profondamente in primo piano la domanda di questo editoriale: periodicamente, "evidenze" certe (la novità degli antidepressivi, degli antipsicotici, e via innovando) sono ricondotte a non-novità. Quale è, in questi risvegli (spesso drammatici, per i modi con cui sopravvengono, per gli scenari che richiamano, che rimandano ai meccanismi classici ma non per questo meno bui del nascondimento dei dati, della frode, etc...etc)2-4 lo stato dell'EBM? C'è? Non c'è? E ancora una volta: pazienti/popolazioni affidati, con entusiasmo su grande scala, alle "novità", e declassati dalla sera alla mattina alla non-novità, se non al rischio: che cosa succede? Quale e' la epidemiologia d'esito dei loro problemi e delle loro storie? Si deve ricominciare daccapo? Che sia ancora attuale il vecchio "sospetto" lanciato su queste pagine, che la evidenza doveva-deve essere cercata-verificata pensando alla sperimentazione come componente della epidemiologia reale, e non affermata-imposta come somma di trial programmati per produrre "EBM-registrative"?5.
Una risposta alla domanda può essere cercata parzialmente ma obbligatoriamente nella letteratura, che offre tanti punti di vista:
a) Da una parte la risposta suona così: fate trial veri, su problemi, non su farmaci: si scopre facilmente, in questo modo, che anche i numeri molto piccoli (es. 565 pazienti con Alzheimer)6, sono sufficienti a confermare (non scoprire) che la EBM a base del CRONOS era una invenzione, ben condivisa tra industria, specialisti, associazioni di pazienti, per far usare in modo improprio, su grandi numeri, risorse sufficienti per intere generazioni di trial e di studi epidemiologici. b) La risposta della letteratura può essere d'altra parte profondamente ambigua, continuando a suggerire che più i problemi sono irrisolti più i trial possono essere fatti male, purché facciano parte di un progetto di promozione "pleiotropica" di qualche farmaco (magari le statine?)7,8. c) Forse la letteratura più pertinente per la EBM è quella epidemiologica, perché ricorda che gli interventi possono essere ricondotti ad evidenze semplici, che fanno pensare più complessivamente al fatto che le variabili biologiche non sono le uniche, né forse le principali che contano: in un campo affollatissimo di conoscenze-basate-sulle-evidenze come il cardiovascolare9, o in uno che sconfina continuamente tra il politico, il culturale, l'ideologico, il sanitario, come quello delle "droghe leggere"10.
Istruzioni per l'uso
E' utile dare importanza al significato intuitivo che la E di EBM ha nella sua versione italiana: ciò che non e' evidente in modo facilmente comprensibile e praticabile non deve essere obbligato a divenire evidente attraverso percorsi faticosi e surrogati. E' bene che i territori del fare-sapere che coincidono con evidenze faticate siano dichiarati vissuti come le aree dell'ignoranza -che-obbliga-alla-ricerca.
Evidenze (qui nel senso ortodosso: prove di efficacia) che diventano troppo, e troppo velocemente, certe per problemi epidemiologicamente-diagnosticamente-assistenzialmente incerti (vedi gli scenari sopra ricordati), devono essere prese, seriamente, come indicatori che qualcosa non funziona.
EBM ECM: sono tanto fortemente tra loro collegate da imporre il dovere del sospetto: potrebbero verosimilmente rendere un grande servizio alla cultura-credibilità medica se riducessero drasticamente la loro attenzione alle linee-guida "evidenti" (nel senso "italiano" sopra evocato), per dedicarle allo sviluppo di percorsi-protocolli di ricerca mirati a produrre conoscenze per i bisogni inevasi del quotidiano, con solide "epidemiologie di esito", sulle quali innestare verifiche sperimentali di ipotesi innovative, e/o dalle risposte incerte che sono praticate (vedi il caso degli antiandrogeni o degli antidepressivi o dei trattamenti per la demenza).
La responsabilità di rendere operative queste "istruzioni per l'uso" è anzitutto inevitabilmente dei professionisti (specialisti + MMG) che gestiscono nel quotidiano i problemi orfani di EBM. Il quadro di riferimento suggerito dal documento programmatico del Ministero della Salute11 attende per altro che le autorità pubbliche (regionali, locali) abbiano sufficiente intelligenza culturale e gestionale per investire in questa direzione quelle risorse che accettano invece siano disperse in pratiche che cronicizzano le semi-e-perciò-evidenze, e continuano a favorire l'attenzione su ciò che si fa, e la indifferenza per ciò che di fatto e/o alla fine succede a pazienti-popolazioni.
Bibliografia 1. Tognoni G. Abu Ghraib (Editoriale). Informazioni sui Farmaci 2004;28:29-30. 2. Is GSK guilty or fraud? (Editorial). Lancet 2004; 363:1919. 3. Medawar C, Hardon A. Medicines out of Control? Antidepressants and the Conspiracy of Goodwill. Aksant, Academic Publishers 2004. 4. EMEA Public Statement on the safety of olanzapine (Zyprexa). EMEA/CPMP/856/04. 9 March 2004. 5. Tognoni G. Un IDT (Editoriale)? Informazioni sui Farmaci 2003; 27:5-6. 6. Courtney C et al. Long-term donepezil treatment in 565 patients with Alzheimer disease (AD 2000): randomised double-blind trial. Lancet 2004; 363:2105-15. 7. Polman CH, Killestein J. Statins for the treatment of multiple sclerosis: cautions hope. Lancet 2004;363:1570. 8. Saltzman EA, Guay AT, Jacobson J. Improvement in erectile function in men with organic erectile dysfunction by correction of elevated cholesterol levels: a clinical observation. Urology 2004; 172:255-8. 9. Eaker, ED. Sullivan, LM. Hayes, MK. D'Agostino, RB. Benjamin, EJ. Does job strain increase the risk for coronary heart diseases or death in men and women? Am J Epidemiol 2044;159:950-958. 10. Grotenhermen, F. How to prevent cannabis-induced psychological distress in politicians. Lancet2004;363:1568-69. 11. Documento programmatico sulla sperimentazione clinica dei medicinali. Guida all'attuazione dei decreti attuativi. Bollettino di informazione sui farmaci. Ministero della Salute 2004:XI:6-8.