La febbre, soprattutto se molto alta, è certamente una delle motivazioni principali che inducono il medico alla prescrizione immediata di un antibiotico. Un ruolo non secondario lo rivestono le pressioni esercitate dal paziente o dai suoi familiari.
Studi ad hoc e il buon senso ci dicono che ritardare la terapia antibiotica in caso di infezione batteriemica o in un paziente settico può essere pericoloso; in molte situazioni cliniche, tuttavia, specie nella medicina ambulatoriale, la prescrizione immediata di un antibiotico, in assenza di elementi di gravità, può essere sostituita da un atteggiamento di attesa. Una rivalutazione a distanza di 48-72 ore permette di evitare del tutto o di mirare meglio il trattamento una volta disponibili gli esami di laboratorio o le radiografie.
L'introduzione di esami di laboratorio eseguibili in urgenza e disponibili dopo poche ore per via telematica (es. emocromo, proteina C reattiva, procalcitonina) o la possibilità di utilizzare apparecchi ecografici nello studio del medico di medicina generale potrebbero permettere di identificare meglio i pazienti con infezione batterica, contribuendo così ad una decisione più ragionata nell'inizio immediato della terapia antibiotica. Terapia antibiotica precoce In ospedale
Solo negli ultimi 10-15 anni si è cercato di superare, attraverso definizioni condivise, la soggettività insita nella definizione di "paziente settico". L'aspecificità del sintomo febbre, la carenza di dati di laboratorio o strumentali mirati (disponibili, invece, ad esempio nelle Sindromi Coronariche Acute) rende la diagnosi di infezione acuta grave ancora largamente basata sull'anamnesi e su un accurato esame obiettivo. Sintomi che devono far sospettare un quadro di sepsi grave sono la confusione mentale, lesioni cutanee purpuriche o ecchimotiche oppure, nelle infezioni sottocutanee, un dolore sproporzionato rispetto alla obiettività locale. La tachicardia, come è noto, accompagna abitualmente la febbre, mentre la tachipnea è un sintomo particolarmente frequente ed evocativo di infezione grave. Occorre ricordare a questo proposito che il polmone può essere la sede primitiva della infezione oppure un danno polmonare acuto o un distress respiratorio possono comparire per infezioni in altri distretti corporei.
I fattori che influenzano la gravità di una infezione sono molteplici: carica e virulenza dei germi in causa, intensità di risposta dell'ospite (in parte determinata da fattori genetici), immunodepressione, ecc. La risposta infiammatoria sistemica indotta dalla infezione, quando non adeguatamente controllata, può portare alla disfunzione di uno o più organi legata ad una profonda alterazione microcircolatoria con microtrombosi capillare, ipoperfusione tessutale, deficit di ossigenazione e produzione di acido lattico. Questi fenomeni possono essere presenti anche in un paziente non ipoteso.
Nonostante i progressi terapeutici degli ultimi anni, la mortalità della sepsi grave continua ad oscillare tra il 20 e l'80% con un aumento del 20% della mortalità per ogni organo compromesso. I primi segni clinici della sepsi possono non essere tipici (es. mancanza di febbre o leucocitosi) ed i segni più conosciuti (es. ipotensione, aumento del lattato) possono essere tardivi e sono quasi sempre già associati a disfunzione d'organo, evento, come detto, prognosticamente sfavorevole.
Nella Tabella 1 vengono riportate le definizioni oggi accettate della risposta dell'ospite alla infezione sia essa batterica o virale (es. influenza grave, SARS, ecc.).
Queste definizioni, benchè a volte carenti da un punto di vista della specificità, hanno consentito una certa chiarezza nosologica e la pianificazione di un gran numero di studi clinici sul trattamento della sepsi grave e dello shock settico e la successiva implementazione di veri e propri "pacchetti terapeutici"1 che hanno dimostrato la loro efficacia nel ridurre la mortalità anche nella pratica clinica quotidiana2,3. Le componenti fondamentali di questi pacchetti terapeutici consistono in:
rimozione immediata, anche chirurgica, del focus infettivo (drenaggio di ascesso, sbrigliamento di una fascite, rimozione di un corpo estraneo o di un catetere venoso centrale, ecc.);
sostegno emodinamico precoce ed aggressivo (prime 6 ore), infusione di boli di 500-1.000 ml di cristalloidi in 30 minuti; utilizzo di amine solo dopo il raggiungimento di una adeguata Pressione Venosa Centrale;
terapia antibiotica "precoce" ed "adeguata".
Non v'è dubbio che in un paziente con una infezione potenzialmente fatale, la terapia antibiotica debba essere tempestiva ed adeguata. Sulla questione "tempo" c'è una sostanziale unanimità di vedute e non mancano gli studi che supportano la raccomandazione di iniziare l'antibiotico entro le prime 2-3 ore dalla diagnosi. Gran parte dei dati riguardano pazienti ospedalizzati con batteriemie, meningiti, polmoniti ospedaliere o giunti in Pronto Soccorso con polmoniti contratte in comunità4-8. Nella Medicina Generale
Pochi studi hanno affrontato in modo specifico la questione nell'ambito della medicina generale. In effetti, nella maggior parte delle situazioni cliniche ambulatoriali che si traducono in una prescrizione, l'urgenza del trattamento antibiotico non viene misurata su end point pesanti come la mortalità ma, prevalentemente, sulla durata dei sintomi e la prevenzione delle complicanze9,10. I tempi di guarigione microbiologica, benché spesso enfatizzati negli studi clinici, devono essere considerati end point secondari. Pertanto, le problematiche principali non riguardano tanto l'urgenza della terapia antibiotica quanto la sua opportunità in situazioni cliniche che possono anche guarire spontaneamente11-13.
Anche nella medicina generale, vi sono, tuttavia, situazioni in cui è necessario iniziare tempestivamente una terapia antibiotica (vedi Tabella 2). L'urgenza assoluta della somministrazione di un antibiotico prima della ospedalizzazione viene in genere riconosciuta per la sepsi meningococcica14, anche se persistono alcune aree di incertezza circa il reale impatto sulla mortalità15.
Per il paziente splenectomizzato, pur in assenza di studi adeguati, c'è consenso sulla urgenza della terapia antibiotica, anche in questo caso da somministrare prima del ricovero, tenendo conto della situazione logistica. E' necessario mantenere un elevato indice di sospetto per la possibilità che una malattia invasiva da germi capsulati (es. pneumococchi) progredisca rapidamente verso la sepsi grave e lo shock settico. La tachicardia, la tachipnea, le estremità fredde e marezzate, i dolori muscolari intensi, la confusione mentale sono tutti elementi clinici evocativi. L'asplenia anatomica e funzionale è associata ad un rischio elevato di malattia invasiva da pneumococco con percentuali più elevate a carico di soggetti splenectomizzati per anemia falciforme, talassemia o neoplasia rispetto agli splenectomizzati per trauma. Oltre alla splenectomia, altre situazioni cliniche aumentano il rischio di infezione invasiva da pneumococco (Tabella 3). Se la sepsi meningococcica e quella pneumococcica sono riconosciute come le più pericolose per la possibilità di una evoluzione rapidissima e catastrofica, per le altre situazioni cliniche vi è quasi sempre il tempo per i prelievi emocolturali da eseguirsi in Pronto Soccorso (se la ospedalizzazione è assicurata in tempi rapidi) prima dell'inizio della terapia. Le colture nel paziente con sepsi grave devono essere fatte non per scegliere la terapia antibiotica (necessariamente empirica, ad ampio spettro e somministrata precocemente per via parenterale), ma per modificarla in senso restrittivo una volta disponibili i risultati (in genere dopo 48-72 ore) e per alimentare i dati sulla ecologia microbica locale. La scelta della/e molecola/e deriva dalla sospetta sede dell'infezione, dalla conoscenza dei pattern locali di resistenza e dalla presenza o meno di fattori di rischio per infezione da germi resistenti (es. recente ospedalizzazione, recente terapia antibiotica, ospiti di case di riposo). La terapia antibiotica adeguata
Se già è diffcile attribuire al timing di inizio di una terapia antibiotica meriti o demeriti prognostici, vi sono difficoltà ancora maggiori nel definire adeguata o meno una terapia antibiotica. E' ovviamente appropriata una terapia antibiotica che includa nello spettro la sensibilità in vitro del germe in causa, ma si tratta di una definizione limitativa. In un paziente settico, l'antibiotico deve essere somministrato per via endovenosa, (la via intramuscolare non dà mai garanzie circa i livelli plasmatici raggiunti) e, come detto, lo spettro deve includere uno o più antibiotici attivi sul patogeno più probabile. Alcuni esempi di terapia antibiotica empirica per stati settici gravi da infezione contratta in comunità sono delineati nella Tabella 4.
Oltre che della farmacocinetica, una terapia antibiotica adeguata deve tenere anche conto di fattori di tipo farmacodinamico quali le condizioni fisiopatologiche del paziente e il grado di esposizione all'antibiotico ottenibile nel sito di infezione16. La somministrazione di dosi standard di un antibiotico in situazioni cliniche molto diverse tra loro può tradursi in sovraesposizione in alcuni casi o in sottoesposizione in altri. Ad esempio, in pazienti con elevato volume di distribuzione dei farmaci (per ritenzione idrica, scompenso cardiaco, ascite, ecc) si raggiungono picchi plasmatici più bassi rispetto a pazienti con volume di distribuzione normale. L'attività di antibiotici concentrazione-dipendenti come gli aminoglicosidi o i chinolonici può risultare influenzata da questa condizione fisiopatologica. Viceversa, l'attività antibatterica di antibiotici tempo-dipendenti (es. betalattamici) viene misurata come percentuale dell'intervallo tra le dosi in cui i livelli plasmatici dell'antibiotico superano la MIC del germe in causa. Benché normalmente vengano consigliate percentuali del 50-60%, per pazienti immunocompromessi a rischio di sviluppare resistenze o per infezioni in siti poco accessibili, è consigliabile portare queste percentuali il più possibile vicino al 100% attraverso un plurifrazionamento delle dosi, ad esempio somministrando l'antibiotico ogni 4-6 ore fino ad arrivare alla infusione continua sulle 24 ore. Biomarcatori di sepsi
L'anamnesi e l'esame clinico restano i riferimenti principali per l'approccio ad un paziente febbrile. Sfortunatamente, la sensibilità e la specificità di questo semplice approccio per differenziare una febbre infettiva da una febbre di altra origine (Tabella 5) ed una infezione batterica da una infezione virale restano insufficienti. Inoltre, la gravità della risposta infiammatoria alla infezione batterica è mal valutabile con la sola obiettività clinica ed anche i classici esami di laboratorio possono risultare poco indicativi. Si avverte, dunque, la necessità di un marcatore di infezione batterica che permetta di monitorare la progressione della risposta infiammatoria sistemica alla infezione.
Negli ultimi anni, la procalcitonina si è affiancata alla Proteina C Reattiva (PCR) come marker precoce ed accurato nella diagnosi differenziale di infezione vs non infezione e di infezione batterica vs infezione virale. Essa, inoltre, possiede anche un buon significato prognostico nei pazienti con infezione più severa17. Il dosaggio della procalcitonina è stato utilizzato per sospettare la eziologia batterica di una infezione respiratoria bassa in pazienti afferenti ad una struttura di Pronto Soccorso18 riducendo la prescrizione di antibiotici o permettendo una loro più precoce sospensione19. Per i pazienti con polmonite acquisita in comunità in condizioni più critiche, il suo utilizzo ha un significato prevalentemente prognostico20. Occorre, però, ricordare che il test è piuttosto costoso e che l'esperienza clinica sul campo è ancora scarsa e limitata a pazienti ospedalizzati.
In sintesi, sia la PCR che la procalcitonina correlano bene con la risposta infiammatoria alla infezione e, se rapidamente disponibili, possono contribuire al processo decisionale della urgenza o meno del trattamento antibatterico. Quando è consigliabile aspettare?
Un atteggiamento di attesa e di rivalutazione è giustificato quando non vi sia la certezza della origine batterica della infezione e quando ci si trova di fronte ad un paziente in condizioni cliniche rassicuranti. Il periodo di attesa può essere più o meno lungo (fino alla rinuncia definitiva alla prescrizione di un antibiotico), ma può essere utilizzato per prelievi microbiologici, esami di laboratorio da richiedere in urgenza o per la effettuazione di indagini strumentali. A questo riguardo l'utilizzo della ecografia nell'ambulatorio del medico di medicina generale (oggi sono disponibili apparecchiature portatili a prezzi accettabili) può risultare estremamente utile nell'iter diagnostico di un paziente febbrile per contribuire alla decisione sulla opportunità della prescrizione immediata del trattamento antibiotico21.
Nella Tabella 6 vengono elencate alcune condizioni cliniche associate a febbre valutabili con una ecografia di primo livello anche da parte di non specialisti. L'ecografia del torace in particolare permette di evidenziare (o confermare) al letto del paziente quadri patologici come polmonite alveolare, polmonite interstiziale, versamenti pleurici, edema polmonare, pneumotorace, embolia polmonare che tradizionalmente richiedono indagini strumentali più complesse o costose22,23. Conclusioni
Prescrivere un antibiotico "in urgenza" è una decisione importante poichè in alcuni casi il farmaco può modificare la prognosi quoad vitam. La prescrizione dell'antibiotico, tuttavia, non chiude l'iter diagnostico poichè per un paziente con sepsi severa o shock settico devono essere messi in atto altri provvedimenti terapeutici (drenaggio, espansione plasmatica, amine, ecc.) che permettono all'antibiotico di raggiungere il sito di infezione. L'anamnesi e l'esame obiettivo mantengono un ruolo prioritario, ma oggi il medico può affidarsi ad ausili diagnostici complementari, strumentali e di laboratorio, che lo aiutano nella valutazione della gravità della infezione e nella decisione terapeutica. La rivalutazione della efficacia del trattamento dopo 48-72 ore ha anch'essa un ruolo chiave consentendo di restringere lo spettro (riducendo così resistenze e costi) o anche di sospendere l'antibiotico se è stata esclusa l'infezione batterica. Bibliografia 1. Dellinger RP et al. Surviving Sepsis Campaign, guidelines for management of severe sepsis and septic shock.Intensive Care Med 2004; 30:536-55. 2. Gao F et al. The impact of compliance with 6-hour and 24-hour sepsis bundles on hospital mortality in patients with severe sepsis: a prospective observational study. Critical Care 2005; 9:R764-70. 3. Kortgen A et al. Implementation of an evidence-based "standard operating procedure"" and outcome in septic shock. Crit Care Med 2006;34:943-9. 4. Kollef MH. Appropriate empirical antibacterial therapy for nosocomial infections: getting it right the first time.Drugs 2003; 63:2157-68. 5. Bochud PY et al. Antimicrobial therapy for patient with severe sepsis and septic shock: an evidence-based review. Crit Care Med 2004; 32:S495-512. 6. Houck PM, Bratzler DW. Administration of first hospital antibiotics for community-acquired pneumonia: does timeliness affect outcome? Curr Opin Infect Dis 2005; 18:151-6. 7. Battleman DS et al. Rapid antibiotic delivery and appropriate antibiotic selection reduce length of hospital stay of patients with community-acquired
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