Memoria <-> Immaginazione: un collegamento sorprendente
Gianni Tognoni
(Science, 19/01/2007, p. 312)
Prendere a prestito un titolo dalle cronache di neurobiologia di una rivista tanto autorevole sembra verosimilmente un po' strano per un contesto di informazione sui farmaci. Anche la sintesi della "scoperta" cui ci si riferisce (pubblicata da una rivista altrettanto autorevole come PNAS, Proceedings of the National Academy of Sciences) non aiuta forse molto, a prima vista, a risolvere la stranezza: come risultato di uno studio su pazienti amnesici (confrontati con un gruppo controllo di "normali"): "si deve concludere che il sistema neurocognitivo che noi usiamo per ricordare il passato è lo stesso che entra in gioco per costruire futuri possibili....... Se si conferma che l'ippocampo, ben noto per la sua centralità nei processi di memoria, lo è altrettanto per l'immaginazione, ciò può avere una grande importanza per le nostre conoscenze ed aspettative sull'invecchiamento".
La solidità di questi dati è corroborata, nella stessa cronaca di Science, da una loro contestualizzazione in altre ricerche recenti.
Per ricordare-immaginare-domandare
La "scoperta" della neurobiologia coincide con una percezione-convinzione-esperienza che appartengono da sempre alla cultura dell'umanità, oltre che al vissuto dei singoli: non sempre tuttavia in modo condiviso, né ancor meno praticato, dai singoli, o dalle collettività umane. E' anzi vero che la proposta-tesi che ci sia una interdipendenza imprescindibile tra memoria e progettualità (e viceversa) diventa oggetto e motivo di conflitto ogni volta che nella società, e nella vita degli individui, ci si trova a fare i conti con eventi-storie che rompono l'illusione, o la pretesa, o la speranza che il rapporto tra memoria e progetto sia "normalmente" evolutivo, come un processo di continuità, o almeno di compromesso, o di patteggiamento. La tragedia greca - da Edipo, ad Antigone, a Cassandra, ....... - ha espresso una volta per tutte le implicazioni delle discontinuità tra memoria e progetto; così come noi siamo perennemente contemporanei (spettatori? negatori? indifferenti? .........?) di genocidi, riconosciuti-negati, di "Se questo è un uomo", delle Commissioni per la Verità e la Riconciliazione del Sud-Africa, dell'Argentina, della Spagna; dello sdoppiamento tra Giornata della Memoria e del Ricordo; e rimane aperto l'interrogativo sul se, quanto e come la memoria o la amnesia dei traumi consci ed inconsci pesa sul progetto-esito di vita di individui e popoli.
La fondazione "neurobiologica" della memoria e della progettualità in una struttura cerebrale comune è letta dai ricercatori in rapporto all'invecchiamento: migliori conoscenze? interventi? rimedi medico-farmacologici? altro.......? La lettura è sobriamente riduttiva: appropriata? sono permesse - o dovute - anche immaginazioni?
Viene alla mente un'altra scoperta neurobiologica recente, quella dei "neuroni specchio": il riconoscimento degli umani-come-simili è una capacità "intrinseca" del SNC: chiave di lettura insieme intuitiva e provocatoria sulla importanza dei rapporti, delle reti sociali, e della loro assenza? Radicare "biologicamente" le possibilità, le scelte, i vissuti è premessa per renderne [più?] probabile una gestione migliore, individuale e collettiva? o un passo deciso verso una loro riduzione-omologazione a descrizioni (che pretendono di essere spiegazioni) scientifiche?
Memoria <-> immaginazione nel quotidiano della sanità, e dei farmaci
La banalità del quotidiano assistenziale-sanitario non facilita certo la "memoria" - anche se profondamente radicata nell'ippocampo - di una salute-sanità come indicatore privilegiato di una "progettualità" che tocca esattamente le grandi categorie evocate sopra: il vivere, il morire, le leggi e le speranze, i bisogni ed i diritti: per i singoli e le popolazioni. Che questa incapacità-assenza di memoria sia una prova [semi-]sperimentale della sostanziale irrilevanza della "scoperta" neurobiologica, perché dice che la coincidenza funzionale di memoria-immaginazione rimane inutilizzata? o, al contrario, è la documentazione "sorprendente" (v. titolo dell'editoriale) della sua profonda solidità: chi non ha una immaginazione-capace-di-progetto fa inevitabilmente a meno (per sentirsi più libero e senza retrogusti di ricordi imbarazzanti) della memoria: specie di quella "profonda", che tocca la continuità, e il senso della storia, e perciò anche del suo futuro? Ai tre scenari iperschematici che seguono il compito di fornire materiali di verifica.
Scenario 1. E' ben documentato da inchieste, tra professionisti e non, che la 833 non è più parte della "memoria", non tanto come numero identificativo di una legge-chiave, ma soprattutto, come quella che definisce le caratteristiche ancor oggi fondanti (perché "costituzionali") di tutto l'agire sanitario.
Le "riforme" dedicate agli aspetti gestionali della 833 (quelle che ci hanno trasformato tutti in abitanti, interlocutori, operatori di Aziende), e che si continuano come "normalità evolutiva" nelle Finanziarie annuali (e nelle loro interpretazioni regionali), sono un invito attivo, ed una formazione permanente, all'amnesia.
La "memoria" del progetto Costituzione-833 classificherebbe infatti la programmazione aziendale-finanziaria come non-progettualità, violazione del diritto fondamentale alla uguaglianza.
Le modificazioni del linguaggio - un esempio per tutti: la erosione-corruzione della memoria - progetto di "Servizio" in progetto di Aziende/Sistema - non sono cosmetiche: toccano, proprio perché linguaggio, livelli profondi ippocampali, frontali.....: rendono evolutivamente "normale" avere memorie-immaginazioni che non toccano le storie, perché utili solo a sbrigare faccende di breve termine - quelle, si dice, dei camerieri, dei senza-progetto.
Scenario 2. In tutti i protocolli di sperimentazione (che dovrebbero essere indicatori "alti" della serietà della ricerca-assistenze) si ripete il rito della citazione (e addirittura della inclusione) della Dichiarazione di Helsinki. La memoria-immaginazione di questa dice: è lecito/degno di studio solo ciò che si propone di fornire risposte innovative a bisogni inevasi.
E' constatazione assolutamente condivisa che questa progettualità di essere un "servizio" ai bisogni è una eccezione, crescentemente rara, nella sperimentazione. Sono sempre più frequenti le non-novità, per problemi già affollati di risposte: da quelli cardiovascolari, a quelli psichiatrici, a quelli degli anziani, o neurologici (dove l'affollamento può coincidere con l'assenza di risposte serie).
Il linguaggio si adatta per convincere (con la serietà di dibattiti metodologici, statistici, etici) che ci sono tanti sinonimi-surrogati di bisogni-novità: la soddisfazione, l'equivalenza, la non-superiorità.
Helsinki rimane: come molti riti, svuotato di memoria e di progettualità. Non c'è più bisogno, né possibilità, di una loro interazione-continuità. Mentre la neurobiologia "scopre" la ricchezza dell'ippocampo, si suggerisce che è tempo di cambiarlo: per farne l'incrocio di memorie-immaginazioni utili ad altri attori: non più "umani" che hanno memoria di vita, malattie, morte, speranze (e di tutti i loro stadi ed incroci intermedi), ma consumatori, compratori, esperti di budget: che abbiano memorie, meglio se comparative, di prezzi, e progettualità di bilanci, o di ticket, o di compatibilità finanziarie, magari regolamentate con "commi Z" che trasformano perfino gli off-label in strumenti confusi e confondenti di contenimento della spesa.
Scenario 3. E' un pro-memoria di tanti scenari.
Il più vicino è quello dell'aggiornamento di questo numero: la rassegna dell'esplosione di nuovi farmaci per il diabete di tipo 2, chiede di far memoria del fatto che l'epidemia del diabete è molto meno un problema medico-farmacologico, ed ha a che fare con stili di vita, come cause e come interventi.
Anche il secondo scenario rimanda a questo numero di IsF: la Bussola ripete (noiosa? preoccupante?) che in tempi di EBM, ci si affretta a registrare-proporre farmaci senza prove di efficacia.
Due libri, usciti a poca distanza l'uno dall'altro si ostinano, con percorsi fitti di dati e con approcci innovativi nella trattazione dei temi che affrontano, a ricordare che la "scoperta" della neurobiologia appartiene, oggi come e più di sempre, ad una dialettica antica, della medicina e della ricerca:
a) dal suo "osservatorio globale", il primo dei due libri1 documenta puntigliosamente, e drammaticamente, che se non si ritrova l'immaginazione dell'uguaglianza come criterio di priorità e misura di esito, o di appropriatezza, o semplicemente di civiltà, la sanità-salute perde la sua identità profonda, e perciò la legittimità ad essere rispettata come "scienza della vita";
b) ricollocando la sperimentazione (che è simbolo e strumento concreto di una medicina capace di immaginare futuro) nel contesto della memoria antica del diritto, il secondo libro2 si chiude con un invito-illusione: che ci sia spazio-interesse per la "rilevanza". "Rilevanza" è una parola-valore: come tale, può rischiare di risuonare come esortativo-demagogica; proposta come è, a conclusione-continuazione dei 9 densi capitoli che la precedono (dove la documentazione normativa e tecnica è di per sé una risorsa-che-val-la-pena di avere), sembra proprio il termine adatto ad obbligare a domandarsi e a far riconoscere nel quotidiano se, dove, e quando memoria ed immaginazione stanno lavorando insieme, per essere la metodologia guida per chi, lavorando in sanità, si dichiara competente nella ricerca di risposte ai bisogni.
Chi sa: la lettura e l'uso intrecciato dei due libri può offrire il commento applicativo più pertinente alla "sorpresa" annunciata nel titolo di questa (certo troppo lunga) riflessione.
Bibliografia 1. A caro prezzo. Le diseguaglianze nella salute. 2° Rapporto dell'Osservatorio Italiano sulla Salute Globale. Edizioni ETS. 2006. 2. Gaia Marsico. La sperimentazione umana. Diritti violati/diritti condivisi. Collana "Scienze Umane e Sanità. Franco Angeli 2007.