Chi sa se ci saranno lettori - e quanti - che si sentiranno rappresentati e coinvolti in questa riflessione che parte da due contributi che caratterizzano, nella loro assoluta eterogeneità di contenuti e di punti di vista, questo numero di IsF.
Da una parte una nota breve, e che rimane sospesa sulle sue conclusioni, che riprende un farmaco che sembra appartenere da sempre alle nostre agende e memorie, come la nimesulide; dall'altra la rilettura di un problema, quello del dolore, che viene proposta da un medico, donna, non esperta di farmaci, ma molto coinvolta dalle, e nelle, storie delle persone. I farmaci, rappresentati dalla nimesulide, sono i protagonisti del primo contributo, accompagnati dai loro diversi esperti, farmacologici, epidemiologici, agenzie regolatorie. Nello scenario-racconto sul vissuto e le strategie per incontrare, comprendere, trovare una risposta alle esperienze personali, e ai sintomi oggettivi, del dolore, i farmaci sono una variabile tra le tante, strumento di dialogo e di scambio tra persone che mettono in comune, ogni volta con criteri, aspettative, risultati diversi, le proprie storie.
L'ipotesi che, come dice il titolo, propone di leggere insieme due scenari tanto diversi, è quella di considerarli come un invito a confrontarsi con il "tempo" che scandisce quello che succede nelle due situazioni. Non per lasciarsi prendere da divagazioni vagamente "filosofiche", ma per ritrovare alcune indicazioni, forse non inutili, di metodologia e di comportamento, che pretendono di essere pertinenti, e attuali, per muoversi nel mondo dell'informazione e della cultura dei farmaci: della loro valutazione, della loro rilevanza, della loro utilizzazione nella routine quotidiana o nella ricerca.
Il tempo della nimesulide - e di tante molecole che possono essere vicine o lontane alla sue caratteristiche farmacologiche - è quello più comune, e che ha finito per essere quasi ovvio, che accompagna la vita ed il ruolo dei farmaci nella cultura e nelle pratiche mediche: e che, perciò, esprime e riassume di fatto alcune delle caratteristiche principali della medicina nel suo insieme, come disciplina e come assistenza. E' un tempo che prescinde dalle persone e dai loro bisogni-diritti. E' scandita dalle regole che ne determinano la presenza sul mercato. Il "modello" nimesulide racconta il senso e le implicazioni di queste presenze (o assenze) in questo modo:
a) comparsa, ed innovazione massiccia della pratica come prodotto "atipico", e "a parte", tra antinfiammatori ed antidolorifici, per una utilizzazione incerta tra l'impiego sintomatico e quello cronico;
b) ruolo non ben documentato, in termini di efficacia e di sicurezza, e rilevanza ancor più "curiosa", per il fatto di essere protagonista in un mercato, quello italiano, e marginale, se non inesistente, nella gran parte degli altri;
c) i dati che ne certificano il successo e la sicurezza si alternano a quelli che li negano;
d) il tempo di questa presenza ambivalente è lungo, molti anni, tanto da permettere di attraversare-accompagnare tutta la saga dei suoi simili più specificamente inibitori delle COX-2, fino alla loro scomparsa, per riprendere (come ricorda la nota che in questo numero ne aggiorna le vicende di epidemiologia e regolatorie) la sua esistenza ambivalente ormai "generico";
e) non ci sono epidemiologie che valutino e permettano di comprendere se, lungo tutti questi anni, nei diversi paesi, presenza o assenza, alto o basso uso, abbiano o meno contribuito in modo privilegiato alla risoluzione dei problemi per cui è indicato: le popolazioni e le persone che ne hanno usufruito non sono visibili, con le loro storie lunghe o brevi di sintomi, problemi, esiti favorevoli o no;
f) le "autorità" osservano, prendono [altro] tempo: è, o non è, un problema? E', o non è, importante trovare-dare una risposta? Quali sono i criteri di riferimento?
g) questa storia senza tempo della nimesulide è ignota alle persone che la assumono, e a chi la prescrive: ignoranza che è misura della irrilevanza del problema, o dell'"indipendenza del tempo" (neutra? dovuta? irresponsabile? banalmente burocratica?) delle autorità regolatorie?
h) si potrebbe fare un esercizio di compatibilità del modello nimesulide con altri farmaci più o meno nobili: antidepressivi; antipsicotici "atipici", in- e off-label, per diverse classi di età e di sintomi; antidiabetici nuovi o vecchi o nuovissimi; antiipertensivi come doxazosina; inibitori di secrezione o di pompa per le indicazioni più diverse; anticonvulsivanti riciclati per dolori e problemi di comportamento; farmaci per le demenze; le informazioni, rassicuranti o inquietanti sulla loro sicurezza, promettenti o deludenti per la loro efficacia, vanno e vengono; senza fretta, da una revisione all'altra, nella letteratura o nelle raccomandazioni. Quando il tempo è misurato sulla vita dei farmaci, e prescinde dalle persone, può permettersi di non avere durate precise: può essere lungo o corto, prolungato o rimandato.
E' un tempo che assomiglia molto a quello dei programmi per risolvere la fame, e la povertà: è deciso, secondo regole "indipendenti", da chi non ha né fame né è povero.
Il tempo della storia delle persone - nel nostro caso di quelle che si confrontano con il dolore, in un dialogo concreto tra chi lo ha e chi deve farsene carico - ci porta in un altro mondo. Anche i farmaci che lo abitano sono là da tanto tempo (anche se nuovi arrivi agitano ogni tanto la scena con nuove promesse-possibilità). Il racconto della donna-medico non ha bisogno di essere molto commentato: il suo tempo è quello del qui e dell'adesso. I farmaci sono presenti - da protagonisti o accompagnatori, come soluzione o come interlocuzione - come strumento che dipende dal bisogno concreto delle persone e dei loro contesti di vita. Anche per questi problemi ci sono i tempi - sempre simili a se stessi, rimandabili all'infinito - delle linee-guida, degli ospedali (e perché non dei territori?) senza dolore: come le autorità regolatorie anche questi tempi che prescrivono soluzioni lasciano spesso il tempo che trovano. In attesa che qualcuno entri - con il proprio tempo, la propria attenzione, l'ascolto, la ricerca condivisa di risposte nella storia delle persone, per farsene carico, conoscendo bene i farmaci, ma anzitutto le persone - e le loro vite.
Può essere anche qui utile - simmetricamente a quanto ricordato sopra - il richiamo al tempo come metodologia-chiave di diagnosi e di terapia, per le persone con depressione, o con disturbi delle memorie e del comportamento, o con sintomatologia somatica che rimanda ad altro, o con cronicità organica che ha bisogno di accompagnamento "personale" per rendere gestibile (non solo ma anche in termini di compliance farmacologica) la "complessità" di una vita con tante co-morbidità, e ancor più numerose situazioni di non-autonomia?
Informare-informarsi, fare o darsi linee-guida, fornire automaticamente risposte o ricordarsi di essere permanentemente in condizione-dovere di ricerca: tutto può essere diverso se si adottano i "tempi della delega" (alla nimesulide, o a non importa quale farmaco), o "i tempi della presa in carico" delle persone.