In Italia, la nimesulide, in commercio dal 1985 e attualmente disponibile sotto forma di 48 specialità medicinali, è l'antinfiammatorio più usato. Lo scorso anno, più di 3,5 milioni di pazienti hanno assunto il farmaco con prescrizione a carico del SSN, ma il numero di utilizzatori privati è stato ancora più alto1.
La nimesulide è recentemente tornata agli onori della cronaca per una recidiva di presunto "reato", l'epatotossicità. La storia inizia l'8 marzo 2002, quando le autorità sanitarie finlandesi ne sospendono la commercializzazione per l'aumento delle segnalazioni di reazioni epatiche legate al suo impiego - 66 casi di danni epatici con due trapianti di fegato e un decesso.
Nel maggio dello stesso anno, anche la Spagna ritira la nimesulide dal mercato. Come previsto quando uno Stato membro della Comunità Europea per ragioni di sicurezza revoca, sospende o modifica l'AIC di un medicinale, viene attivata la procedura di referral attraverso la quale si chiede al Comitato scientifico dell'Agenzia Europea dei Medicinali (EMEA), il CHMP, di esprimere una opinione sulla necessità di implementare o meno le azioni regolatorie in tutta l'Europa. L'Italia, quale paese a più alto consumo, viene incaricata di predisporre, insieme alla Finlandia, un rapporto di valutazione completo sul profilo di sicurezza del farmaco2. A conclusione di tale valutazione, nel dicembre del 2003, il CHMP giudica favorevole il rapporto beneficio/rischio della nimesulide, restringendo le indicazioni terapeutiche al trattamento del dolore acuto, dell'osteoartrite e della dismenorrea, limitando la dose massima giornaliera a 200 mg e aggiungendo la controindicazione all'uso in pazienti con problemi epatici.
Nel maggio di quest'anno, la vicenda si riapre. Il Ministero della Sanità irlandese, a seguito di 6 casi di insufficienza epatica grave richiedenti trapianto di fegato e di una revisione complessiva delle 53 segnalazioni nazionali di reazioni avverse di tipo epatico, decide di sospenderne la commercializzazione3. Per la seconda volta nell'arco di poco più di 3 anni, l'EMEA viene chiamata a rivedere la sicurezza epatica della nimesulide e ad esprimere un parere sulla decisione di mantenerla o meno in commercio. Con un comunicato stampa, il 21 settembre 2007, l'EMEA conclude che "i benefici superano ancora i rischi, ma che è necessario limitare la durata d'uso e restringere il suo utilizzo per assicurare che il rischio di sviluppare problemi epatici sia minimo"4. Il termine massimo d'impiego viene fissato in 15 giorni, con la raccomandazione (alle ditte) di togliere dal mercato le confezioni contenenti più di 30 dosi e (ai medici) di valutare attentamente i rischi complessivi nel singolo paziente. Viene, quindi, confermata la maggiore epatossicità della nimesulide rispetto agli altri antinfiammatori non steroidei, ma si ritiene che con ulteriori limitazioni d'uso possa essere tranquillamente utilizzata, a condizione che "medici e pazienti siano consapevoli della possibilità di insorgenza di problemi epatici"5.
Il comunicato, oltre a perseguire pervicacemente soluzioni normative (modifica del foglietto illustrativo, limitazioni d'uso, aggiunta di controindicazioni) che, in analoghe situazioni, in passato si sono rivelate insufficienti a scongiurare i rischi di una malpractice prescrittiva, fa un uso discutibile dei dati per giustificare la propria decisione.
Che i benefici di un farmaco debbano superare i rischi è scontato; l'aggiunta del termine "ancora" indica soltanto che il divario tra i benefici e i rischi si è assottigliato e non aiuta a capire quanto la nimesulide sia sicura. Il rapporto tra benefici e rischi di un farmaco deve essere tanto più sbilanciato a favore dei primi quanto meno significativo è il suo ruolo terapeutico. Se si è disposti ad accettare un profilo di sicurezza più basso per farmaci efficaci in malattie importanti che mettono a rischio la vita, altrettanta disponibilità non può sussistere per farmaci destinati ad indicazioni minori, per di più con numerose alternative disponibili, com'è il caso della nimesulide.
Nel documento che accompagna il comunicato stampa dell'EMEA, si legge che "la limitazione d'impiego ad un massimo di 15 giorni" è stata dettata dal fatto che "la maggior parte degli effetti epatici insorgono dopo due settimane di trattamento" e "si riconosce che non è noto il meccanismo che determina gli effetti epatici della nimesulide e ciò rende difficile prevedere se il singolo paziente che assume il farmaco può essere a rischio di sviluppare reazioni epatiche"5. L'epatotossicità della nimesulide viene collocata in un'area di indeterminatezza del meccanismo fisiopatologico che lascia perplessi.
L'Agenzia Italiana del Farmaco, in un comunicato diramato a fine agosto, riferendosi alle segnalazioni di epatotossicità grave legate ad un altro FANS (non ancora in commercio in Italia), il lumiracoxib, sosteneva che "l'epatotossicità è un effetto di classe degli antinfiammatori non steroidei e dei coxib, anche se vi sono alcune evidenze su una diversità di rischio tra i vari principi attivi (come indicato anche dalla recente attenzione alla nimesulide)"6.
Ma non può trattarsi di un "effetto di classe" perché tale viene definito un effetto indesiderato (es. ulcera gastrica, insufficienza renale, broncocostrizione) legato al meccanismo d'azione (in questo caso l'inibizione delle cicloossigenasi), perciò caratteristico, pur se in misura maggiore o minore, di tutti i FANS. Gli "effetti di classe" dei FANS sono i più frequenti, se ne conoscono i principali fattori di rischio (dosaggio elevato, durata d'impiego, età avanzata) e sono in parte (ulcere complicate, emorragie, perforazioni) o completamente prevenibili (insufficienza renale). Gli altri effetti indesiderati dei FANS (es. discrasie ematiche, reazioni cutanee gravi, danno epatico) sono, invece, di tipo idiosincrasico e, come tali, imprevedibili e non prevenibili.
In passato per problemi di epatotossicità sono stati ritirati dal commercio 5 FANS.
Nel riconoscere l'imprevedibilità dell'effetto epatotossico nel singolo paziente si riconosce implicitamente la sua natura idiosincrasica e l'inutilità di una limitazione temporale nell'uso del farmaco. Quali dati ha consultato l'EMEA per escludere un possibile effetto idiosincrasico? Non quelli italiani dai quali risulta che nella maggior parte dei casi di epatotossicità, l'assunzione della nimesulide è stata di breve durata (da 1 a 8 giorni)1, tale da "suggerire l'ipotesi di una reazione idiosincrasica"1. Tra il 1° gennaio 2001 e il 17 maggio 2007 al sistema nazionale di farmacovigilanza, sono pervenute 738 segnalazioni di sospette reazioni avverse alla nimesulide, con prevalenza nei giovani (tra i 19 e i 60 anni), in maggioranza donne, di cui 360 gravi (48,8%) e 19 mortali (2,6%)1. Delle 102 segnalazioni riguardanti le reazioni epatobiliari (epatite acuta, epatite, epatite colestatica, epatite fulminante), 9 sono risultate mortali, 70 gravi1.
I dati italiani sono, invece, serviti all'EMEA per effettuare una simulazione sull'impatto della sospensione della nimesulide sul tasso degli effetti indesiderati e per affermare che "la sospensione porterebbe ad una diminuzione del numero di ospedalizzazioni legate a problemi epatici ma potrebbe anche determinare un aumento del numero di ospedalizzazioni dovute a effetti gastrointestinali associati all'uso di altri FANS"5. I dati non sembrano, però, giustificare questa previsione, dal momento che anche per la nimesulide nel 2006 si è registrata una quota non trascurabile di effetti gastrointestinali: 20,1% contro 28,2% con diclofenac, 17,9% con ketoprofene e 17,1% con ibuprofene1. Poiché il tasso di segnalazioni di reazioni avverse gravi per milione di DDD (dosi definite die) è stato 0,16 per la nimesulide, 0,30 per il diclofenac, 0,23 per il ketoprofene e 0,16 per l'ibuprofene (i 3 FANS più prescritti dopo la nimesulide), dobbiamo pensare che gli effetti gastrointestinali causati dagli altri FANS sono stati più gravi? Oppure l'EMEA ha considerato solo i dati riguardanti il ketorolac (un caso tutto italiano) che ha un tasso di segnalazioni di reazioni avverse gravi per milione di DDD 7 volte superiore alla media degli altri FANS (1,02), più di un terzo correlabili ai suoi effetti gastrointestinali. Il ketorolac non rientra, però, tra i 10 FANS più prescritti1 e assorbirebbe solo una minima parte delle prescrizioni di nimesulide.
Infine, a parità di incidenza e gravità, considerando i diversi esiti clinici associati, mettere sullo stesso piano una reazione gastrointestinale con una epatotossica, è discutibile.
In estrema sintesi, viene mantenuto in commercio un farmaco che sappiamo pericoloso, sostituibile con altri altrettanto efficaci e più sicuri, purché si informi il paziente e non si esageri con la durata del trattamento. E' ben chiaro come nella decisione abbiano prevalso ragioni diverse da quelle della ragionevolezza, della cautela e della salvaguardia del paziente.
Bibliografia 1. Nimesulide ed epatotossicità. AIFA. BIF 2007; XIV:112-6. 2. Traversa G et al. Cohort study of hepatotoxicity associated with nimesulide and other non-steroidal anti-inflammatory drugs. BMJ 2003; 327:18-22. 3. Press Release from the Irish Medicines Board, 15 May 2007. www.imb.ie 4. EMEA. Press Release. Doc. Ref. EMEA/432604/2007. London, 21 September 2007. 5. EMEA. Questions and answers on the CHMP recommendation on nimesulide-containing medicines. Doc. Ref. EMEA/430988/2007. London, 21 September 2007. 6. Lumiracoxub: informazioni relative alla sicurezza d'uso. Comunicato AIFA del 23/08/2007.