...etiam suspicione vacare debet
Questo aforisma, riferito alla moglie di Cesare, non solo appare oggi assai indebolito, ma c'è anche da constatare come il suo deterioramento sia progressivamente accelerato negli ultimi decenni, in coincidenza con l'affievolirsi dei valori che dettavano regole precise di convivenza civile. Un soggetto che sia chiamato a prendere una decisione e che abbia interessi personali che potrebbero inficiare l'imparzialità richiesta da tale responsabilità si trova in una situazione di conflitto di interessi (Conflict of Interest). Quando la decisione viene presa in funzione degli interessi personali, abbandonando la necessaria imparzialità di giudizio, il conflitto degenera in un atto corruttivo. Da tale definizione discendono due importanti conseguenze, la seconda delle quali obbliga a precise delimitazioni di campo:
Il conflitto di interessi è condizione necessaria ma non sufficiente per la corruzione, nel senso che chi si trova in conflitto di interessi non sempre rinuncia all'indipendenza del proprio giudizio, ma non vi sarebbe corruzione senza conflitto di interessi.
Il campo di applicazione della definizione è sterminato, sia in quanto riguarda ogni attività decisionale, sia perché gli "interessi personali" non sono solo di natura economica (ad esempio, i conflitti di interessi "intellettuali" che insorgono quando un ricercatore, per non smantellare le sue teorie, è costretto a prendere una certa posizione) e non necessariamente riguardano il presente, ma potrebbero anche essere relativi ad attese di benefici futuri (ad esempio, un funzionario di un'agenzia regolatoria potrebbe attendersi un beneficio futuro in termini di carriera nell'industria dall'agevolare indebitamente l'autorizzazione al rimborso di un farmaco).
Nel seguito ci riferiremo ai conflitti di interesse di natura finanziaria che insorgono nella ricerca clinica, nelle valutazioni economiche e nella stesura delle linee-guida in campo oncologico. Contro gli effetti dei conflitti di interesse la principale strategia finora posta in essere è la dichiarazione pubblica (disclosure) dell'esistenza del conflitto da parte degli autori di uno studio scientifico o di linee-guida. Accanto alla crescente frequenza del fenomeno, è venuta maturando la consapevolezza degli enormi danni che i conflitti di interesse possono arrecare alla società, con un corrispondente aumento dell'attenzione ad essi dedicata dalle più importanti riviste di Medicina.
Frequenza e possibili conseguenze dei conflitti di interesse
L'unico strumento oggi disponibile per la valutazione della frequenza dei conflitti di interesse è la sua disclosure. Un lavoro del 2007 (Hampson LA et al. Frequency, type, and monetary value of financial conflicts of interest in cancer clinical research. J Clin Oncol 2007; 25:3609-14) analizza le dichiarazioni di conflitto presenti negli abstract presentati all'ASCO nel 2004 e nel 2005. Gli autori classificano i conflitti di interessi in 7 categorie: possesso di azioni dell'industria, attività di consulenza, onorari per conferenze, prestazioni come testimonial esperti, altri interessi finanziari, impiego nell'industria stessa, finanziamento della ricerca. L'analisi economica è basata sull'entità delle somme ricevute dall'industria produttrice del trattamento oggetto di studio (questo aspetto non verrà trattato nel presente editoriale). In entrambi gli anni, in circa il 35% dei circa 3.500 abstract esaminati vi era almeno un autore con conflitto di interessi. Considerando le sole prime 5 categorie di conflitti (escludendo, cioè, l'impiego e il finanziamento della ricerca) la suddetta percentuale diminuiva al 23%, ma balzava al 60% per le presentazioni in seduta plenaria e un po' meno per le educational session, per scendere al 16% per gli abstract presentati per la sola pubblicazione negli atti del congresso. Considerando i soli abstract incentrati su valutazioni economiche presentati nel triennio 2006-08 al congresso dell'ASH (American Society of Hematology) e nel quinquennio 2004-08 all'ASCO, la percentuale di quelli in cui almeno un autore dichiarava un conflitto di interessi era pari a circa il 70% (dati non ancora pubblicati), conseguenza del fatto che le valutazioni economiche sono quasi sempre sponsorizzate dall'industria. Un altro studio ha considerato i legami finanziari con l'industria degli autori di sperimentazioni cliniche in campo oncologico in relazione al loro contributo nella ricerca (Rose SL et al., Relationship between autorship contributions and authors' industry financial ties among oncology clinical trials. J Clin Oncol 2010; 28:1316-21). Sono stati esaminati 235 articoli: nel 52% dei casi furono riportati finanziamenti dell'industria, nel 42% finanziamenti governativi, nel 24% finanziamenti di fondazioni (l'occasionale presenza congiunta di più finanziatori rende la somma delle suddette percentuali superiore a 100). Dei 2927 autori, il 64% riferì di aver avuto un ruolo chiave nella ricerca (38% ideazione e disegno, 46% analisi ed interpretazione dei dati, 40% stesura del lavoro). Il 29% degli autori dichiarò almeno un legame finanziario con l'industria: il 12% negli studi non sponsorizzati ed il 44% in quelli sponsorizzati (ci sembra così poco da far sospettare che non tutti gli autori con conflitto di interesse lo abbiano dichiarato). La percentuale di autori con legami finanziari con l'industria è il doppio più alta tra quelli che avevano ricoperto un ruolo chiave nella ricerca che tra gli altri: 35% e 17% rispettivamente. Aggiustando per sponsorizzazione o meno dello studio e per altre covariate (sperimentazione su adulti vs età pedriatica, natura delle fonti di finanziamento, cittadinanza degli autori, e così via), il modello logistico multifattoriale fornisce un odds ratio pari a 4.3 (intervallo di confidenza al 99%: da 3 a 6), attestando così un forte legame associativo tra importanza del ruolo rivestito nello studio e presenza di conflitto di interessi. In un editoriale di accompagnamento a quest'ultimo articolo (Johnson DA, et al. Autorship and industry financial relationships: the tie that binds. J Clin Oncol 2010; 28:1281-3) gli autori prendono le mosse dai risultati in esso riportati per ampliare il discorso sul conflitto di interessi. La crescente influenza dell'industria (in particolare del marketing, aggiungeremmo noi) sul disegno degli studi clinici – volti più ad un approdo regolatorio del nuovo farmaco in condizioni di sicurezza che a testare ipotesi scientifiche – come rilevato dagli editorialisti delle più importanti riviste, potrebbe essere imputabile al conflitto di interessi che spunta lo spirito critico del panel di esperti chiamati a progettare e coordinare lo studio. Poiché dalla lettura di una disclosure è impossibile rendersi conto del potenziale effetto del conflitto nella presentazione dell'articolo, gli autori sono convinti (ma noi un po' meno) del fatto che un'attenta valutazione del trial possa comunque far emergere i possibili bias. Ad esempio, qual è la rilevanza scientifica dell'ipotesi? è essa in linea con gli interessi di sanità pubblica? è idoneo il gruppo di confronto? il trattamento di controllo (tipo di farmaco e dosi) è appropriato? la discussione è in accordo con i risultati ottenuti? com'è valutato il rapporto tra rischi e benefici per il paziente derivanti dal nuovo trattamento? la discussione è cauta, ben delineata e disinteressata? In questa valutazione indiretta degli effetti del conflitto di interessi restano aperti almeno tre problemi:
non tutti i lettori sarebbero in grado di valutare criticamente tutti i punti elencati e, comunque, non tutti giungerebbero alle stesse conclusioni;
anche se uno o più punti della suddetta check-list apparissero al lettore insufficienti, quale impatto avrebbe sul comportamento prescrittivo, in generale? Una volta che il nuovo farmaco è stato registrato e "spinto" dal marketing, i dubbi residui del prescrittore andrebbero ad incidere sul suo comportamento clinico o resterebbero, invece, una semplice gratificazione intellettuale?
qual è l'impatto dell'insufficienza di un punto della check-list compilata dal lettore sul suo giudizio complessivo? Gli articoli si presentano spesso in veste formalmente ineccepibile; inoltre, gli autori (con conflitto di interesse) sono scelti dall'industria tra gli specialisti più noti della materia; infine, l'articolo è pubblicato su una rivista prestigiosa: tutto ciò tende a minimizzare l'effetto di un solo punto di criticità e non può che ostacolare un giudizio critico e distaccato dei risultati.
Reconditi conflitti …
Sull'efficacia della disclosure come strumento di contrasto degli effetti del conflitto di interessi vi sono dubbi che si concretizzano in almeno due obiezioni:
vi potrebbero essere conflitti non riportati, o volutamente, o in quanto potrebbero esistere fonti di finanziamento nascoste;
l'impatto sul pubblico della disclosure del conflitto, ovvero quali sono le sue conseguenze nella comunità scientifica.
Un recente editoriale discute delle fonti di finanziamento nascoste (Resnik DB. Perspective: Disclosing hidden sources of funding. Acad Med 2009; 84:1226-8), spesso dovute al fatto che la ricerca clinica è finanziata da una Onlus che riceve fondi dall'industria. L'autore sottolinea l'obbligo morale di dichiarare sempre le fonti di finanziamento, ma osserva che non sempre il ricercatore potrebbe esserne a conoscenza e, se così fosse, il conflitto di interessi non influirebbe sui risultati della ricerca. Inoltre, sarebbe oneroso per il ricercatore investigare sulle fonti di finanziamento della Onlus che ha sponsorizzato il suo studio e spesso non produrrebbe alcuna informazione utile per il lettore. Il contenuto dell'editoriale, però, non esaurisce il campo dei conflitti nascosti. Anzitutto questi potrebbero essere volutamente celati da quegli autori che ne traggono imbarazzo. Comunque, anche qualora avessimo una perfetta informazione circa le fonti di finanziamento dello studio, cosa ci dice realmente la disclosure del conflitto? E' questo l'argomento trattato in un commento al suddetto editoriale (Kassirer JP, Commentary: Disclosure's failing: what is the alternative? Acad Med 2009; 84:1180-1).
Il punto è, sostiene Kassirer, che un conflitto di interessi solleva un sospetto, ma non prova la distorsione e, a causa di questa ambiguità, il destinatario dell'informazione non sa cosa pensare. Ovviamente, nel commentario non si suggerisce di eliminare la disclosure, ma di valutarne le limitazioni. Ponendo, però, la disclosure sotto i riflettori, in realtà, non solo si svia l'attenzione dal vero problema, che non è la correttezza/completezza della disclosure ma il conflitto in sé, ma si corre anche il rischio di esacerbarlo. Infatti, molti ricercatori non sono affatto imbarazzati dai legami finanziari con l'industria; anzi, li considerano un riconoscimento della qualità del loro operare, e più aziende li pagano e più rafforzata ne esce la loro immagine. Di conseguenza, la disclosure è un alibi che consente loro di mantenere o rafforzare i propri conflitti. Kassirer cita James Surowiechi, un economista, che riassume così il problema: "E' una verità indiscutibile a Wall Street che i conflitti di interessi siano inevitabili. Infatti, molti conflitti continuano a permanere perché la loro eliminazione renderebbe assai più difficile arricchirsi. Questo è la ragione per cui la loro piena disclosure è diventata così popolare: non richiede alcun sostanziale cambiamento". Così, se il vero problema è il conflitto, e non la mancanza della sua disclosure, qual è il rimedio? La risposta è semplice: eliminare il conflitto quando possibile. Occorre ricordare – prosegue Kassirer – che i conflitti di interesse sono opzionali: quando uno studioso viene approcciato da un rappresentante dell'industria che gli propone di tenere una conferenza a pagamento o di ricevere compensi come consulente, egli può accettare o rifiutare l'offerta. Se fosse numerosa la popolazione di ricercatori privi di conflitti di interessi, gli editor delle riviste non avrebbero problemi a trovare gli autori delle review, le autorità regolatorie potrebbero costituire panel di esperti indipendenti per la valutazione dei lavori presentati a fini registrativi, le società scientifiche troverebbero chi incaricare per la redazione delle linee-guida. Le conseguenze dei conflitti di interesse, sostiene Kassirer, sono gravi. Infatti, si hanno considerevoli evidenze che studi che non abbiano fornito risultati favorevoli ad un certo farmaco non siano stati pubblicati e che il supporto finanziario alla ricerca tende a produrre risultati favorevoli allo sponsor. Inoltre, ricercatori che regolarmente pubblicano risultati non in linea con le attese del marketing difficilmente sono supportati a lungo. Tutto ciò produce bias nei trial clinici sponsorizzati e, per cautelarsi contro di loro, la strategia più importante consisterebbe nella costituzione di un panel di esperti che valuti indipendentemente tutti gli aspetti dello studio (e magari, aggiungiamo noi, che produca un report che abbia ospitalità nella stessa rivista che pubblica l'articolo: una sorta di controrelazione). Negli USA, si sta tentando di apportare rilevanti modifiche all'attuale normativa che regola i conflitti di interessi nella ricerca clinica finanziata con denaro pubblico, nel senso di fare ogni sforzo per tentare di ridurne la frequenza e le potenzialità negative a vantaggio di una maggiore trasparenza (Rockey SJ et al. Managing financial conflict of interest in biomedical research. JAMA 2010;303:2400-2). Inoltre, come riporta Kassirer nel suo editoriale, alcuni centri di medicina accademica stanno rivedendo le loro politiche in tema di conflitti di interessi, alcuni abolendo l'usanza dei regali ai medici, altri rifiutando il supporto finanziario dell'industria per l'educazione continua in Medicina, altri ancora vietando al loro personale di tenere conferenze pagate dall'industria. Malgrado molto si muova nel verso di una diminuzione della frequenza e della rilevanza dei conflitti di interessi nella ricerca clinica purtroppo l'attuale società ha la sua più importante arma spuntata, cioè non riesce più a connotarli negativamente sotto un profilo etico.
I conflitti di interesse nella formazione delle linee-guida
Rispetto alla ricerca clinica, i conflitti di interesse nella formazione delle linee-guida costituiscono un argomento ancor più delicato per diverse ragioni:
l'evidenza raggiunta da tutta la ricerca clinica in un determinato settore è aperta alle interpretazioni più di quanto non accada per il singolo studio. I punti di criticità nei singoli lavori esaminati possono essere sottovalutati o ipervalutati a seconda del rigore con cui l'esperto li analizza;
accade spesso che alcuni autori degli articoli esaminati siano anche membri della commissione incaricata di formulare le lineeguida ed è assai difficile indurre un ricercatore ad ammettere la presenza di punti critici nei lavori che ha firmato;
le linee-guida costituiscono il punto di passaggio tra ricerca e pratica clinica e, quindi, diventano immediatamente operative. In altre parole, le linee-guida modificano la pratica clinica più di quanto non faccia il singolo studio. Inoltre, esse sono spesso utilizzate per basarvi un indicatore di qualità dell'assistenza.
Al riguardo, Kassirer, nell'editoriale sopra citato, si pone alcune domande, a nostro avviso cruciali: quando esaminiamo linee-guida prodotte da un gruppo di esperti la maggior parte dei quali è stato pagato dall'industria come speaker o come consulente, come possiamo sapere se le linee-guida sono realmente corrette? Dovremmo applicarle acriticamente alla cura dei pazienti? Quando l'adesione a tali linee-guida è stata usata come indicatore di qualità dell'assistenza, come possiamo essere certi che le risorse pubbliche siano state ben investite? Sull'argomento è incentrato un recente editoriale (Guyatt G et al. The Vexing problem of Guidelines and Conflict of Interest: A Potential Solution. Ann Intern Med 2010;152:738-41). Gli autori, riferendosi ad una loro esperienza nella formazione di linee-guida di terapia antitrombotica, riportano anzitutto le misure prese da alcune organizzazioni che vanno dall'accettare "un ragionevole equilibrio delle relazioni con l'industria" all'esclusione dalle commissioni (panel) di soggetti con conflitti di interesse. Gli elementi di novità emersi dalla loro esperienza sono essenzialmente due:
assegnare ad un metodologo senza conflitti di interesse la presidenza di ciascuna sottocommissione (chapter);
lasciare che esperti con forti conflitti di interesse raccolgano sistematicamente ed interpretino i risultati degli studi clinici, purché siano i soli membri del panel senza conflitti di interesse ad elaborare le raccomandazioni finali.
Questo secondo punto ci sembra particolarmente rilevante perché consente di assicurarsi l'expertise anche di soggetti con forti conflitti di interesse senza che questi orientino in modo decisivo le scelte finali. Dalla nostra esperienza di formazione di linee-guida emerge che, all'interno di ogni sottocommissione, il dibattito è spesso acceso, ma di esso poco o nulla traspare nelle raccomandazioni finali, se non un fugace accenno al fatto che esse siano state prese all'unanimità o a maggioranza. Spesso l'accordo difficilmente si trova e il Lettore interessato ed attento può, ad esempio, trovare traccia della discussione durante la formazione delle più recenti linee-guida di terapia antiemetica promosse congiuntamente dal MASCC e dall'ESMO nell'elaborato finale pubblicato su Annals of Oncology (ESMO Clinical Practice Guidelines. Ann Oncol 2010; 21 (suppl. 5): 232-43).
Conclusioni
Come ha osservato Kassirer (già deputy Editor del New England Journal of Medicine) il vero problema è il conflitto di interessi e non la dichiarazione pubblica della sua esistenza (disclosure). Di fronte ad una disclosure del conflitto, resta l'ambiguità che consiste nel non conoscere quale sia stato l'impatto del conflitto sui risultati ottenuti da uno studio clinico o sulla formulazione delle raccomandazioni di linee-guida. Infatti, sono possibili (sebbene non ugualmente probabili) tutti gli scenari che vanno da una completa indipendenza di giudizio, ad una prestazione a pagamento a favore del marketing dell'industria. Ciascuno può immaginare la distorsione che desidera e ciò allontana l'attuale prassi dalla Medicina scientifica, che, invece, richiede valutazioni oggettive, cioè universalmente condivise. Il problema è ulteriormente aggravato dal prevalere del marketing dell'industria sugli interessi del paziente, non solo sottolineato da molti editorialisti, ma anche constatabile da chiunque rifletta criticamente sul disegno dello studio di molti lavori di ricerca clinica recentemente pubblicati. Rinunciando al ruolo del laudator temporis acti, che indurrebbe a riguardare come socialmente riprovevole ogni commistione finanziaria tra ricercatore ed industria, resta la domanda su cosa fare. La risposta è semplice: porre in essere ogni strumento per evitare il conflitto di interessi. Ad esempio, per quanto concerne la ricerca, si potrebbero costituire delle agenzie, finanziate dalle società scientifiche, con l'incarico di progettare ed eseguire ricerche cliniche indipendenti. L'industria delinea il problema conoscitivo e versa allo Stato l'equivalente di ciò che avrebbe erogato alla CRO. Lo Stato trattiene un'aliquota della somma versata per potenziare la ricerca pubblica e riversa il restante alla società scientifica per finanziare le agenzie di ricerca, che potrebbero così pagare anche singoli ricercatori, scegliendoli come consulenti. In tal caso, non vi sarebbe più conflitto di interessi in quanto il consulente sarebbe scelto e pagato dall'agenzia di ricerca e non dall'industria. L'intero processo avrebbe una doppia garanzia: quella dello Stato, chiamato a sorvegliare l'intero procedimento, e quella delle società scientifiche che monitorerebbero il comportamento delle agenzie da loro costituite e finanziate. Il meccanismo può sembrare farraginoso, ma riteniamo sia il prezzo da pagare per mantenere la ricerca clinica su un binario di scientificità e per conservare la fiducia del pubblico nella Medicina scientifica. Il paziente, ma più ancora le associazioni di volontariato che lo rappresentano, sono recalcitranti ad entrare nei meccanismi della ricerca clinica, e diversi studi convergono sul fatto che, al momento, i conflitti di interessi del medico curante sono abbastanza ben tollerati. Riteniamo, però che, prima o poi, anche i pazienti debbano avvicinarsi alla ricerca clinica, quanto meno per accrescere la loro partecipazione alle scelte terapeutiche. Quando ciò avverrà i conflitti di interessi nella ricerca clinica e nella formazione delle linee-guida potrebbero logorare il rapporto di fiducia del paziente verso la classe medica con conseguenze negative per tutti gli attori delle scelte terapeutiche, compresa l'industria. Ripensando al recente passato, qualche avvisaglia di crisi di tale rapporto fiduciale l'abbiamo già avuta (ad es., il "caso Di Bella"), ma anche nel presente le spinte per l'autorizzazione al rimborso di farmaci omeopatici e il ricorso a guaritori possono essere letti come sintomi di allontanamento del paziente dalla Medicina scientifica. Intuendo la gravità dei problemi connessi al conflitto di interessi e delle possibili conseguenze, per fortuna, molti soggetti cercano di contrastare questo stato di cose: numerose riviste qualificate, editorialisti, qualche società scientifica, gruppi di opinione. In Italia, tra i gruppi spontanei più attivi sull'argomento desideriamo segnalare quello raggiungibile al sito www.nograziepagoio.it