Classe A del PTN. Nota 79 (profilassi secondaria di fratture osteoporotiche post-menopausa in donne con pregresse fratture vertebrali o del femore non dovute a traumi efficienti).
Indicazioni registrate: Prevenzione delle fratture vertebrali non traumatiche nelle donne dopo la postmenopausa ad aumentato rischio di osteoporosi.
Proprietà farmacologiche
Il raloxifene appartiene al gruppo di farmaci definiti modulatori selettivi dei recettori per gli estrogeni (SERMs, selective estrogen-receptor modulators), dei quali il tamoxifene può essere considerato il capostipite. Gli estrogeni, sia quelli endogeni che quelli somministrati a scopo terapeutico, esplicano i loro effetti biologici attraverso il legame con recettori presenti in numerosi tessuti tra i quali il seno, l’apparato riproduttivo, l’osso, il fegato e il cervello. Il legame al DNA del complesso costituito dal SERM, dal recettore e dalle proteine coregolatrici, regola la trascrizione dei geni-bersaglio sia in senso positivo che negativo. Il raloxifene è un benzotiofene non steroideo chimicamente correlato al tamoxifene. Entrambi i farmaci si legano ai recettori per gli estrogeni e producono un insieme di effetti agonisti e antagonisti che sono specifici per ogni singolo tessuto sensibile agli estrogeni. Ciò dipende essenzialmente da 3 condizioni: diversa espressione dei recettori per gli estrogeni (alfa e beta: il recettore alfa è essenzialmente un attivatore, mentre il beta ne inibisce l’azione formando con alfa un eterodimero) a livello dei vari tessuti; diversa conformazione assunta dai recettori in seguito al legame con il SERM; diversa espressione e legame ai recettori delle proteine coregolatrici. Sia il raloxifene che il tamoxifene legano entrambe le isoforme del recettore e agiscono come antagonisti puri quando il loro effetto è mediato dal recettore beta mentre funzionano da agonisti parziali quando l’effetto è mediato dal recettore alfa. Sull’osso e sui lipidi, il raloxifene, così come il tamoxifene, ha effetti estrogeno-simili, mentre a livello del seno svolge una azione antiestrogena. Sull’endometrio o sul miometrio, diversamente dal tamoxifene (che a livello dell’utero ha un’azione parzialmente agonista), il raloxifene non esercita, o esercita solo in minima parte, un’attività agonista. Teoricamente, quindi, nelle donne in postmenopausa, a livello dell’osso il raloxifene dovrebbe garantire gli effetti benefici di risparmio tipici della terapia estrogenica senza però lo svantaggio della stimolazione del tessuto del seno e dell’endometrio.
Dopo somministrazione orale, il raloxifene subisce un’estesa metabolizzazione di primo passaggio (glucuronoconiugazione) a livello della parete intestinale e del fegato con conseguente rilevante interconversione sistemica e ciclo enteroepatico (sia del farmaco che dei suoi metaboliti glucuronidi). La biodisponibilità del farmaco attivo è di circa il 2%. Il picco della concentrazione plasmatica di raloxifene si raggiunge 6 ore dopo la assunzione di una dose orale. L’escrezione del farmaco e dei suoi metaboliti avviene principalmente per via fecale, con una quota inferiore al 6% eliminata con le urine. L’emivita di eliminazione di circa 28 ore consente un’unica somministrazione giornaliera. Pazienti con insufficienza epatica hanno una clearance rallentata, così come, anche se in misura inferiore, quelli con insufficienza renale.
Efficacia clinica Effetti sul turnover dell’osso
Indipendentemente dalla densità ossea, un elevato turnover osseo viene ritenuto un determinante importante per il rischio di fratture e forse l’elemento chiave per valutare la risposta ai trattamenti per l’osteoporosi. Durante il trattamento di un anno con 60 mg/die di raloxifene, nelle donne in postmenopausa con osteoporosi documentata, i markers specifici del riassorbimento e della formazione dell’osso si sono abbassati rispettivamente del 25% e del 15-21% rispetto ai valori riscontrati nei controlli. Nelle donne sane in postmenopausa, il raloxifene (60 mg/die) e gli estrogeni coniugati (0,625 mg/die) sono risultati sovrapponibili sia per quanto riguarda gli effetti precoci (4 settimane) che quelli ritardati (31 settimane) sul rimodellamento osseo. Entrambi i farmaci hanno ridotto il riassorbimento osseo di circa il 15% nelle prime 4 settimane di trattamento.
Effetti sulla densità minerale ossea e sulle fratture
In uno studio in doppio cieco, 601 donne sane (di età compresa tra i 45 e i 60 anni), che erano entrate in menopausa da 2-8 anni, sono state randomizzate a raloxifene (30 mg, 60 mg, 150 mg) o a placebo. Al momento dell’arruolamento e in seguito ogni 6 mesi si è proceduto alla misurazione della densità minerale ossea a livello vertebrale tramite densitometria a raggi X a doppia energia. In ogni braccio dello studio, il 55% circa delle donne presentava una bassa densità ossea al momento dell’arruolamento. Durante lo studio, tutte le donne assumevano giornalmente integratori di calcio. La densità minerale ossea complessiva e quella specifica a livello delle vertebre, del collo del femore e dell’anca sono aumentate in misura significativa con tutte le dosi di raloxifene. Dopo 2 anni, la densità minerale in tali sedi risultava aumentata dell’1,2-1,6% nelle donne trattate con raloxifene (60 mg/die) rispetto alla riduzione dello 0,6-1,3% osservata nel gruppo trattato con placebo.
Un secondo studio randomizzato, in doppio cieco, della durata di 1 anno, ha confrontato il raloxifene (60 mg e 120 mg/die) contro nessun trattamento in 143 donne in menopausa con osteoporosi documentata e con una storia di una o più fratture vertebrali di origine non traumatica. Nel corso dello studio tutte le pazienti assumevano supplementi di calcio e vitamina D. Il raloxifene ha incrementato significativamente la densità minerale ossea, rispetto ai controlli, solo a livello del radio (del 2,9% con 60 mg/die e del 2,5% con 120 mg/die) e dell’anca (dell’1,7% con 60 mg/die) Il raloxifene ha ridotto anche l’incidenza di nuove fratture vertebrali (definite come una riduzione del 30% o più dell’altezza vertebrale, misurata radiograficamente) con 8 nuove fratture nelle 43 pazienti trattate con 60 mg al giorno e 4 nelle 45 pazienti trattate con 120 mg al giorno, rispetto alle 13 nuove fratture registrate nelle 45 pazienti che fungevano da controlli. Il raloxifene non ha influenzato l’incidenza delle fratture non vertebrali.
I risultati di un recente studio di grandi dimensioni (studio MORE), della durata di tre anni, in doppio cieco, randomizzato, controllato, condotto su 7.705 donne in menopausa (età media 66,5 anni) con osteoporosi, confermano che, rispetto al placebo, il trattamento con raloxifene (60 mg o 120 mg/die) è in grado di ridurre dal 30 al 50% il numero di fratture vertebrali rilevate clinicamente o radiograficamente, ma non riduce le fratture non vertebrali. La riduzione del rischio è stata solo di poco superiore nel gruppo trattato con 120 mg. Gli effetti del farmaco si sono sommati a quelli della terapia con calcio e vitamina D, assunta da tutte le donne. Il numero di pazienti da trattare per prevenire una frattura vertebrale è stato molto inferiore (42) nel caso di donne con precedente frattura vertebrale rispetto a quelle senza (113).
Mancano studi a lungo termine che abbiano confrontato il raloxifene con la terapia ormonale sostitutiva (o con altri trattamenti per l’osteoporosi, in modo particolare i difosfonati).
Effetti sull’endometrio
In uno studio controllato con placebo, l’esame bioptico endometriale non ha mostrato alcun segno di stimolazione endometriale nelle 108 donne in menopausa che erano state trattate con raloxifene ad alte dosi (200 mg o 600 mg/die) per 8 settimane. In uno studio controllato con placebo, della durata di 2 anni, effettuato su 601 donne in menopausa, il raloxifene (60 mg o 150 mg/die) non ha indotto iperplasia endometriale (valutata tramite ecografia transvaginale) né la frequenza dei sanguinamenti vaginali (3% con raloxifene vs 2,2% con placebo). In un altro studio, della durata di 1 anno, il raloxifene (60 mg o 120 mg/die) non ha aumentato la frequenza dei sanguinamenti vaginali né lo spessore dell’endometrio rispetto alle paziente non trattate. A tutt’oggi, i dati disponibili non hanno dimostrato un aumento del rischio di cancro endometriale con un trattamento con raloxifene della durata massima di 3 anni.
Effetti sui lipidi
In uno studio in doppio cieco, controllato con placebo, che lo ha confrontato col trattamento ormonale sostitutivo in 390 donne in menopausa sane, il raloxifene (60 mg o 120 mg/die) ha ridotto i livelli di colesterolo LDL del 12% senza però influenzare le concentrazioni di colesterolo HDL o dei trigliceridi. Una analoga riduzione del colesterolo LDL (14%) è stata osservata nelle donne randomizzate alla terapia ormonale sostitutiva, ma con un aumento contemporaneo del colesterolo HDL e dei trigliceridi (rispettivamente +11% e +12%). Così come succede con il trattamento ormonale sostitutivo, non si sa se queste modificazioni del quadro lipidico si traducano in vantaggi sotto il profilo cardiovascolare. Ulteriori dati sono attesi dall'analisi dei risultati dello studio RUTH (Raloxifene Use for The Heart), che si è da poco concluso, in cui la malattia cardiovascolare rappresenta l’endpoint primario.
Altre azioni
Non vi sono studi pubblicati sugli effetti del raloxifene sulla esposizione estrogenica dell’apparato genitale e non si sa se il farmaco assomigli alla terapia ormonale sostitutiva nell’alleviare i sintomi come la secchezza vaginale e la dispareunia. La tensione e la dolorabilità mammaria (presenti nel 2-4% delle donne trattate con raloxifene) risultano più frequenti rispetto al placebo, ma hanno una incidenza inferiore rispetto alla terapia ormonale sostitutiva.
Gli effetti a lungo termine sul rischio di cancro mammario sono stati valutati, come end point secondario, nello studio MORE: il raloxifene si è dimostrato protettivo rispetto al placebo, nei confronti del cancro al seno positivo per i recettori degli estrogeni, risparmiando all’incirca un tumore ogni 126 donne trattate per tre anni (riduzione del 76 % del rischio di cancro al seno). E’ in corso uno studio di grandi dimensioni (STAR - Study of Tamoxifen And Raloxifene) su 22.000 donne in postmenopausa ad alto rischio per stabilire l’incidenza di cancro al seno dopo sette anni. I risultati definiranno meglio il ruolo del farmaco in questo ambito.
Effetti indesiderati
Gli effetti indesiderati più frequenti sono vampate di calore e sudorazione (soprattutto durante i primi 6 mesi di trattamento), crampi alle gambe, edemi periferici e sintomi simil-influenzali. Al pari della terapia ormonale sostitutiva, il raloxifene aumenta di circa 2,5 volte rispetto al placebo il rischio di tromboembolismo venoso, corrispondente ad un rischio assoluto di circa 3 eventi tromboembolici venosi ogni 10.000 donne per anno. A tutt’oggi viene segnalato un solo caso di epatite, con rash e modesta eosinofilia, associato con l’uso del raloxifene. Un eventuale sanguinamento uterino, così come la presenza di anomalie a livello del tessuto mammario, in corso di trattamento con il farmaco vanno indagati con attenzione.
Raramente possono comparire rash cutanei e disturbi gastrointestinali (nausea, vomito e diarrea).Gli studi sull’animale hanno messo in evidenza un’aumentata incidenza di cancro ovarico nei ratti trattati con alte dosi del farmaco; a tutt’oggi non vi sono segnalazioni di casi analoghi nelle pazienti che hanno assunto il raloxifene nel corso degli studi clinici.
Controindicazioni e precauzioni
Il raloxifene non deve essere utilizzato in premenopausa. Va inoltre evitato nelle donne con una storia di trombosi venosa profonda o tromboembolismo, con sanguinamenti uterini di origine sconosciuta e con carcinoma mammario o endometriale. Il farmaco è controindicato anche nelle pazienti con epatopatia di grado moderato-grave e in quelle con insufficienza renale grave.
Interazioni
Il raloxifene non deve essere impiegato insieme alla colestiramina che ne riduce sia l’assorbimento che il ricircolo enteroepatico. Anche se modificano la flora batterica intestinale, gli antibiotici possono essere utilizzati senza problemi. Nelle pazienti in trattamento con anticoagulanti orali, la contemporanea somministrazione di raloxifene può causare un modesto allungamento del tempo di protrombina; questa eventualità va monitorata. Non sono emerse interazioni con paracetamolo, FANS, H1 e H2 antagonisti e benzodiazepine.
Dosaggio e somministrazione
Una unica somministrazione giornaliera di 60 mg, indipendentemente dai pasti.
Costo
Il costo di un trattamento di un anno con raloxifene è di 475,28 euro, con la confezione da 28 compresse, e di 491,97 euro, con la confezione da 14 compresse.
Il trattamento ormonale sostitutivo con soli estrogeni (da riservare alle donne isterectomizzate), con una assunzione giornaliera senza interruzione (Premarin0,625 mg), ha un costo annuo di 58,53 euro. Lo schema di trattamento combinato continuo [1 compressa di estrogeno+ ½ compressa di progestinico (es. Provera G 5 mg)] ha un costo complessivo di 85,04 euro.
La terapia ormonale sostitutiva continua per via transdermica ha un costo annuo di 115,20 euro con le specialità che prevedono l’applicazione di 1 solo cerotto alla settimana (Climara) e di 118,80 euro con le specialità che prevedono 2 applicazioni settimanali (es. Estraderm, Estroclim, Dermestril 50). Il trattamento combinato continuo (cerotto + 1/2 compressa di progestinico) ha un costo rispettivamente di 141,97 euro e 145,57 euro.
Lo schema combinato ciclico (con comparsa del flusso mestruale) che prevede l’assunzione dell’estrogeno (es. Premarin 0,625) per 28 giorni di seguito e del progestinico (1 compressa di Provera da 5 mg) dal 17° al 28° giorno ha un costo di circa 75,00 euro.
Il trattamento annuo con alendronato (10 mg/die)(es. Alendros, Fosamax) ha un costo di 524,82 euro.
Il raloxifene è un modulatore selettivo dei recettori per gli estrogeni. Nelle donne in postmenopausa diminuisce il turnover osseo e produce un discreto miglioramento della densità minerale dell’osso. Negli studi condotti in donne in postmenopausa con osteoporosi documentata, associato a supplementi di calcio e vitamina D, si è dimostrato in grado di ridurre l’incidenza delle fratture vertebrali, senza però incidere su quelle non vertebrali. Non esistono studi comparativi diretti, a lungo termine, coi difosfonati.
Il farmaco non è efficace nel trattamento dei sintomi menopausali, come le vampate di calore.
Nelle donne in menopausa a rischio di osteoporosi che non desiderano la ricomparsa delle mestruazioni, il raloxifene rappresenta un’alternativa ai difosfonati e al trattamento ormonale continuo. In virtù dei dati preliminari promettenti, relativi alla protezione nei confronti del tumore della mammella, il raloxifene potrebbe trovare una sua collocazione nella prevenzione delle fratture osteoporotiche nelle donne asintomatiche ad alto rischio di neoplasia mammaria (es. anamnesi familiare positiva, storia pregressa). I risultati degli studi in corso (STAR, CORE) e dello studio RUTH appena terminato potranno meglio definire gli effetti a lungo termine sul rischio di carcinoma mammario e sulla prevenzione delle cardiopatie.
Il trattamento con raloxifene ha un costo leggermente inferiore a quello dei difosfonati.
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