1 Struttura Governo Clinico, Azienda USL di Reggio Emilia
2 Unità di Sanità Pubblica, Dip. di Scienze Biomediche, Biotecnologiche e Traslazionali, Università degli Studi di Parma
3 Struttura Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera – IRCCS S. Maria Nuova, Reggio Emilia
4 Dipartimento Farmaceutico, Azienda USL Romagna
5 Cardiologia, Dipartimento Cure Primarie Azienda USL di Reggio Emilia
6 Odontoiatra, libero professionista
Introduzione
L’endocardite infettiva (EI) è un’infezione microbica endovascolare di strutture cardiovascolari, principalmente le valvole native, ma può riguardare l’endocardio atriale e ventricolare e di fatto il termine include anche le endoarteriti di vasi intratoracici (dotto arterioso pervio, shunt artero-venosi, coartazione aortica) o di dispositivi intracardiaci (ad esempio, protesi valvolari, elettrodi di un pace-maker o di un defibrillatore impiantato). La lesione caratteristica è rappresentata dalla “vegetazione”, una massa di dimensioni variabili contenente piastrine, eritrociti, fibrina, cellule dell’infiammazione e microrganismi.
Il termine “endocardite infettiva” è oggi preferito al precedente “endocardite batterica”, poiché della patologia possono essere responsabili oltre a batteri anche clamidie, rickettsie, micoplasmi, miceti e probabilmente anche virus.
Nonostante i progressi compiuti in ambito diagnostico e terapeutico, ancora oggi l’EI rimane una condizione morbosa gravata da una prognosi severa e da elevata mortalità, che in ambito intraospedaliero oscilla tra 15-22% e a un anno dalla diagnosi sale al 33%, fino ad arrivare a cinque anni al 40%.
Epidemiologia, microbiologia e fattori di rischio
L’EI rappresenta una malattia relativamente rara, con un’incidenza media stimata di 3-10 casi per 100.000 abitanti/anno, range che riflette le sensibili differenze diagnostiche e di metodologia delle rilevazioni epidemiologiche più che una variabilità reale dell’incidenza. Attualmente l’incidenza è più elevata dopo i 50 anni di età, a differenza di un secolo fa, quando l’età mediana dei pazienti era inferiore ai 30 anni. Complessivamente è più frequente nei maschi (rapporto M:F all’incirca 3:2), ma nei soggetti di età inferiore a 30 anni è più frequente nel sesso femminile.
Negli ultimi cinquant’anni l’incidenza complessiva dell’EI è rimasta stabile, mentre si è assistito a significative modificazioni delle caratteristiche clinico-epidemiologiche e del relativo profilo microbiologico. Soprattutto con il declino della malattia reumatica si sono osservate variazioni della popolazione a rischio, con aumento di soggetti in età senile, di pazienti sottoposti a precedente intervento cardiochirurgico o impianto di dispositivi intracardiaci, di pazienti affetti da importanti comorbidità (diabete, tossicodipendenza, infezione da HIV, neoplasie in trattamento chemioterapico, emodialisi, trapianto d’organo). Si è poi aggiunto un nuovo importante fattore di rischio: l’esposizione nosocomiale a dispositivi medici invasivi.
Praticamente quasi ogni tipo di alterazione strutturale cardiaca può predisporre all’EI, specialmente se è all’origine di turbolenze emodinamiche. Si evidenziano:
- la cardiopatia reumatica;
- difetti cardiaci congeniti fra i quali principalmente la persistenza del dotto arterioso, difetto del setto ventricolare, coartazione aortica, tetralogia di Fallot;
- lesioni cardiache di origine degenerativa (ad es. calcificazione dell’anulus mitralico, lesioni aterosclerotiche);
- presenza di protesi valvolari, pacemaker, defibrillatori;
- la presenza di prolasso mitralico è associata ad aumentato rischio di EI. Questo punto richiederebbe approfondimenti per i quali si rinvia ad altre letture; anticipiamo comunque che anche in presenza di questo fattore di rischio non è indicata la profilassi antibiotica dell’EI.
Conseguentemente alle variazioni epidemiologiche di cui si è detto, anche il profilo eziologico si è sostanzialmente modificato negli anni. Le percentuali di EI da S. aureus e da enterococchi sono aumentate mentre risultano ridotte quelle da streptococchi e con colture negative.
Sebbene moltissime specie di batteri e funghi siano in grado di causare l’EI, poche specie batteriche sono responsabili della maggior parte dei casi: streptococchi (S. viridans, S. bovis e altri) e stafilococchi (S. aureus e stafilococchi coagulasi negativi) sono assieme responsabili dell’80 - 90% dei casi con coltura positiva, seguiti dagli enterococchi.
Relazione tra batteriemie ed EI
I dati oggi disponibili non documentano evidenza certa di causalità diretta tra procedure chirurgiche e insorgenza di EI. Anche per questo motivo la ricerca si è soffermata estensivamente sulle batteriemie transitorie, che sono un esito surrogato dell’EI.
In modelli sperimentali una batteriemia può causare EI quando associata a lesioni endocardiche, ma con entità di batteriemia molto alta (106-108 UFC/ml) e comunque maggiore rispetto a quelli riscontrati nell’uomo (<104 UFC/ml). In passato si sosteneva che le batteriemie da attività quotidiane erano di entità minore, rispetto a quelle associate a determinate procedure, e quindi non potevano per lo più essere responsabili di EI, ma attualmente prevale un atteggiamento più critico. L’entità della batteriemia dopo procedure odontoiatriche è relativamente bassa (<104 UFC/ml), simile a quella delle attività quotidiane, ma minore di quella indotta sperimentalmente (106-108 UFC/ml); quindi in base ai dati pubblicati non vi sono differenze tra frequenza, natura, grandezza e durata di batteriemie associate a procedure o spontanee quotidiane.
La relazione tra durata della batteriemia e rischio di EI è incerto, anche se intuitivamente si può assumere che quanto più dura la batteriemia, tanto maggiore è la probabilità di EI. Di conseguenza il rischio di EI dipenderebbe principalmente dalla frequenza delle batteriemie, per cui il rischio cumulativo. Ciò significhi che ad esempio per le procedure odontoiatriche, in un anno l’esposizione è 5,6 milioni di volte minore rispetto a quello calcolabile per l’esposizione a batteriemie spontanee quotidiane. Non stupisce quindi che nella maggior parte dei casi d’EI non vi sia anamnesi positiva per alcuna procedura odontoiatrica precedente.
Le Linee Guida: profilassi antibiotica o no?
In virtù dei dati di incidenza e di mortalità di cui è gravata l’EI, potrebbe apparire (e in passato è apparso) logico che la profilassi antibiotica rappresenti un pilastro della prevenzione, ma così non è.
Il razionale storico su cui si è basata la profilassi è stato quello di individuare i pazienti a rischio e di proteggerli durante episodi di presunto aumento del rischio; infatti si è ritenuto che le batteriemie transitorie potessero determinare EI: dopo procedure odontoiatriche e non odontoiatriche molti pazienti con cardiopatia hanno batteriemie transitorie con microrganismi che causano frequentemente EI. Inoltre, antibiotici dati preventivamente sono risultati efficaci negli animali e si è supposto per inferenza logica che questo fosse vero anche negli uomini.
Sebbene l’efficacia della profilassi antibiotica non fosse stata mai effettivamente dimostrata nell’uomo, nel 1955 l’American Heart Association (AHA) pubblicava le prime linee guida che raccomandavano tale pratica nei soggetti con cardiopatia predisponente. Il razionale delle linee guida fu per 50 anni basato soltanto su considerazioni fisiopatologiche e sull’opinione di esperti.
Negli anni ’70 si cominciarono a sollevare dubbi, ma fu negli anni ’90 che si ammise esplicitamente che la pratica della profilassi antibiotica per la prevenzione dell’EI si fondava non su prove di efficacia ma quasi esclusivamente su opinioni di esperti. Da quel momento iniziava una progressiva “demolizione” delle indicazioni, che è poi giunta alle drastiche restrizioni attuali.
Nel 2007 l’AHA aggiornava le proprie LG e raccomandava la profilassi antibiotica solo nei soggetti in cui l’eventuale insorgenza di EI sarebbe associata a rischio molto alto di prognosi severa, in sostanza veniva data più importanza al rischio dovuto all’eventuale EI che non al rischio di contrarre la malattia.
Nel 2008 le LG NICE, successivamente aggiornate in pochi dettagli, raccomandavano la completa abolizione della profilassi antibiotica nei pazienti a rischio di EI che vanno incontro a procedure odontoiatriche e di altro genere, a meno che la procedura riguardi un sito già sede di sospetta infezione. Il NICE motiva queste raccomandazioni con la non provata efficacia della profilassi antibiotica per la prevenzione dell’EI e sottolinea l’assenza di trial controllati randomizzati che dimostrino un’associazione concreta tra procedure interventistiche e sviluppo di endocardite (un trial randomizzato richiederebbe l’arruolamento di almeno 6000 pazienti ad alto rischio), e i rischi correlati ad un uso estensivo degli antibiotici, incluso quello di reazioni avverse gravi. Al proposito, uno studio di Duval e coll. dimostrò che a fronte di una riduzione complessiva del rischio di EI nei pazienti sottoposti a profilassi (1:46.000 senza profilassi vs. 1:150.000 con profilassi), il rischio di reazioni avverse gravi era dello stesso ordine di grandezza (2-4 casi/10.000 pazienti).
La scelta del Comitato interaziendale per il buon uso degli antibiotici di Reggio Emilia
Riportiamo integralmente il protocollo adottato dall’Azienda USL e dall’Azienda Ospedaliera-IRCCS di Reggio Emilia, su proposta del Gruppo operativo per l’uso responsabile degli antibiotici, che a nostro avviso espone in modo sintetico e chiaro le raccomandazioni di letteratura.
Le indicazioni per la profilassi dell’EI sono radicalmente cambiate negli ultimi anni. Le linee guida più recenti della American Heart Association (AHA) e dalla European Society of Cardiology (ESC) limitano sostanzialmente la profilassi ai pazienti con cardiopatie ad alto rischio che si sottopongono a procedure bucco-dentarie con manipolazione del tessuto gengivale o della regione periapicale dei denti o con perforazione della mucosa orale (Tabella 1).
Le Linee Guida inglesi NICE addirittura non consigliano più la profilassi .
In assenza di solide evidenze sulla reale efficacia della profilassi antibiotica, nei pazienti a rischio la priorità è affidata all’igiene orale per prevenire le batteriemie da streptococchi orali, e in ambito chirurgico alla limitazione dell’utilizzo di cateteri vascolari a permanenza per ridurre il rischio di batteriemie da stafilococchi.
Le uniche cardiopatie a rischio in presenza delle quali alcune Linee Guida americane ed europee continuano a raccomandare la profilassi sono richiamate in tabella 2. Attualmente, la profilassi antibiotica dell’endocardite infettiva non è mai raccomandata al di fuori di queste condizioni.
I regimi di profilassi sono indicati intabella 3.
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