La partecipazione dei cittadini alla produzione di conoscenza
Giampaolo Collecchia MMG, CSeRMEG, Massa (MS)
La sezione della MG cambia, questa volta, non solo l’autore, ma un poco anche l’approccio. Dall’analisi di una tematica centrale nel dibattito attuale sul “vecchio” tema della partecipazione, si formula uno scenario operativo sul quale riuscire a produrre esperienze concrete che possano verificare la possibile-difficile continuità tra dichiarazioni e realizzazioni concrete.
1- Quadro di riferimento
La partecipazione dei cittadini in ambito sanitario dovrebbe essere una pratica di democrazia, l’affermazione di un diritto, un’occasione per promuovere una effettiva cultura di cittadinanza. La salute è (dovrebbe essere) infatti normale luogo e tempo di partecipazione-condivisione. In realtà, anche se la tendenza a coinvolgere il cittadino, o sue associazioni, in questioni sanitarie è sempre più diffusa, tale principio, accettato sul piano teorico, è spesso usato nella pratica quotidiana per condividere scelte predefinite o confinato nello spazio ridotto dei reclami di clienti-consumatori, anziché fungere da collegamento tra il linguaggio della salute-sanità e quello del diritto. Nello scenario di verifica attuale, i diritti alla salute del cittadino sono infatti subordinati a quelli economici e si evidenzia una tendenza nell’ambito della sanità volta principalmente a ridurre il progetto salute ad opzione, quadro di riferimento da enunciare, senza impegni da mantenere. Il cittadino è considerato in pratica un “portatore” di diritti senza esserne fruitore. La Società/Sanità appare “caleidoscopica”, frammentata, senza un senso complessivo. Assistiamo ad un riduzionismo perverso: il medico è sostituito dal “procedimento”; il cittadino dai “dati” sui benefici e costi. I pazienti diventano sovente entità classificate secondo codici diagnostici più o meno rimborsabili, titolari di interventi più o meno evidence-based, ma non di reale presa in carico della disabilità fisica, mentale, comportamentale o dell’equità e della solidarietà.
In pratica si possono descrivere due principali orientamenti, peraltro non coincidenti negli obiettivi e nei contenuti e sicuramente non esaustivi della complessità del problema. Il primo è un auspicato riconoscimento del diritto alla partecipazione/condivisione delle scelte e delle decisioni per un cittadino non più oggetto passivo dell’atto medico ma soggetto attivo in una equa redistribuzione delle responsabilità. Il secondo, molto più realistico, considera la partecipazione una moda, un adeguamento ad una concezione sempre più di “mercato” di tutta l’area dei servizi, per ottenere una valutazione del grado di accettazione dei beni di mercato da parte dei clienti-compratori, la cosiddetta “customer satisfaction”, determinando una sorta di “lifting qualitativo”, forse per rendere tollerabile (= legittimata) la mancanza di una reale progettualità politica1.
Eccezioni sono rappresentate da modelli di democrazia deliberativa come le giurie dei cittadini, caratterizzate da piccoli gruppi di persone cui vengono fornite informazioni ritenute chiare, oneste ed esaurienti su un determinato argomento, in modo che le stesse possano deliberare efficacemente e il più possibile in modo unanime, in considerazione dell’interesse collettivo e non di interessi particolari2.
2- Scenari di domande aperte 2.1- Dal quotidiano …..
La digitalizzazione del quotidiano, sempre più pervasiva, (da cui la nascita del cittadino digitale: “the netizen”) ha portato allo sviluppo di realtà conoscitive quali la cosiddetta Citizen science, ritenuta ambito sperimentale in grado di adottare modelli alternativi di democrazia e produzione di conoscenza. In essa i cittadini dovrebbero creare conoscenza e la conoscenza creare i cittadini, realizzando comunità, condivisione di valori, sensibilizzazione alla ricerca: una vera e propria cittadinanza scientifica (da science for people a science by people). In ambito medico, i risultati più eclatanti sono la partecipazione ad iniziative come lo Human Food Project, nel quale le persone pagano per ottenere informazioni sulla composizione del microbiota intestinale e confrontarle con altri partecipanti, senz’altro un’iniziativa interessante ma riduttiva rispetto alle reali possibilità di conoscenza basata sulla partecipazione dei diretti interessati. La partecipazione alla conoscenza relativa alla cittadinanza digitale potrebbe infatti consentire risposte ad alcune importanti domande, soprattutto informative e metodologiche:
Latabella 1 propone una lista di domande esemplari ricorrenti nella ormai vasta letteratura a disposizione. Non è difficile rilevare un mix di problemi estremamente eterogenei, che rimandano tuttavia ad un universo di “utilizzatori”, che assomiglia molto alla “popolazione di consumatori”, molto più che a quella dei “portatori di bisogni complessi” e/o di incertezze sulle possibilità di cura. La realtà (non solo anagrafica) dei pazienti con più bisogni è caratterizzata da situazioni inevitabili di non-autonomia culturale, di giudizio e di decisioni, soprattutto quando le domande riguardano situazioni critiche di vita.
2.2- Alla ricerca …..
Un approccio più significativo alla conoscenza “citizen-based” è la ricerca partecipata, oggetto negli ultimi anni di una letteratura sempre più numerosa, anche all’interno della comunità scientifica. Sono sempre più frequenti, infatti, gli articoli indicizzati con la parola-chiave consumer participation, termine che nella National Library of Medicine indica l’inclusione di cittadini/pazienti nelle sue diverse forme3. Un editoriale del BMJ richiama peraltro che, nonostante qualche segnale positivo, nella pratica la vera partecipazione dei cittadini/pazienti non è realizzata e che su oltre 3 milioni di pazienti coinvolti nella ricerca negli ultimi 5 anni nel Regno Unito, nessuno ha partecipato al progetto nella scelta delle domande, nella valutazione degli esiti e nemmeno nella diffusione dei risultati4. Una vera partecipazione alla ricerca dovrebbe infatti essere intesa come coinvolgimento attivo del cittadino/paziente in tutto il processo: identificazione delle priorità, generazione di domande di ricerca e interpretazione dei dati, ma soprattutto partecipazione ad un processo di condivisione, tra persone che cercano e creano insieme condizioni migliori per fruire insieme del diritto ad una vita degna di essere vissuta. E’ per questo fondamentale un diverso approccio culturale, che si potrebbe definire “vettoriale”, anziché puntuale come spesso accade: un cambiamento di attenzione, di prospettive, di obiettivi di salute e di variabili di riferimento: diseguaglianze, bisogni, presa in carico, accessibilità a informazione e cure/servizi, progettualità di salute. Complessivamente, una ridefinizione delle priorità di ricerca e di valutazione della appropriatezza, qualità ed equità delle cure, un dare spazio alle voci di cittadinanza per fornire risposte basate su di un approccio globale, incentrato sulla identificazione e condivisione di valori, senso, interessi, obiettivi.
2.3- Il problema non è solo dei pazienti-cittadini
In uno studio su Lancet5, Jain Chalmers ha evidenziato che, nell’ambito dell’evitabilità dello spreco nella ricerca, un aspetto fondamentale è la scelta dei temi su cui indirizzare gli studi, in particolare per ridurre lo scollamento esistente tra le priorità dei trial e quelle dei pazienti, che non desiderano l’enfasi sui farmaci, ma l’attenzione su temi trasversali, quali aspetti educativi, organizzativi e psicologici, oltre che sui consigli relativi allo stile di vita e all’utilizzo di trattamenti non prescritti dal medico 6. È quanto ha dimostrato anche il lavoro della James Lind Alliance, con la costruzione di un database delle incertezze circa gli effetti dei trattamenti, per individuare quali fossero i dubbi più importanti di pazienti e medici ed indirizzare la ricerca in quella direzione7.
Il tema delle priorità condivise ha riscosso grande interesse anche nell’ambito della Cochrane Collaboration, tanto che da alcuni anni è nato un gruppo dedicato a questa area di ricerca: the Cochrane Agenda and Priority Setting Methods Group. In particolare i pazienti sono stati coinvolti su temi quali asma, schizofrenia, vitiligine, diabete, disturbi dell’equilibrio. Sono state evidenziate priorità quali effetti a lungo termine, sicurezza, utilizzo di trattamenti non prescritti dal medico, problemi dell’autocura8.
Un aspetto fondamentale della partecipazione dei cittadini nella ricerca potrebbe riguardare la loro prospettiva nella identificazione e valutazione degli eventi, che in Medicina generale hanno qualità di esiti, in quanto ognuno di essi contribuisce alla costruzione di senso e alla storia del paziente. I diretti interessati possono fornire indicazioni certe per verificare l’accettabilità/fattibilità delle cure per le quali sono stati dimostrati determinati outcome. Possono indicare la distanza tra il previsto e l’effettivamente ottenuto, tra il programmato e il realizzato, tra i bisogni e le offerte, tra il disease e il goal oriented (“posso fare quello che vorrei?”).
La tabella 2 riassume gli “auspici” formalmente condivisi su ciò che si “potrebbe fare”. La partecipazione dei cittadini/pazienti può consentire una corretta valutazione/rendicontazione in ambiti nei quali la sanità, nella attuale società altamente medicalizzata, fornisce risposte di tipo sanitario a bisogni non (solamente) sanitari, ad esempio la prescrizione di antidepressivi nell’anziano, paradigma di risposta ambigua, spesso non pertinente, al disagio di vivere. Il coinvolgimento diretto dei pazienti può inoltre consentire una analisi più corretta dell’epidemiologia degli eventi avversi “reali”, in termini di frequenza e rilevanza.
3- Produrre conoscenza: dai “mantra” al “qui ed ora”.
E’ noto che i “mantra” che pre-annunciano, o pretendono di indicare, che ciò che appartiene alla necessità, inevitabilmente retorica, di immaginare che la realtà coincide con i desideri, sono molto attraenti. E’ altrettanto chiaro che la metodologia con cui affrontare il mantra della partecipazione è il disincanto che permette di mantenere tutte le ricchezze delle ipotesi (e dei cammini già esplorati e disponibili), e di verificarle con approcci di ricerca praticabile (e necessaria) nell’ “intervallo” tra ciò che sarebbe bello e ciò che si può realizzare.
Latabella 3, nelle sue due componenti, che esplicitano da una parte le barriere reali che si incontrano nella pratica medica, e propone un mini-elenco di scenari critici concreti con cui ci si deve confrontare, può essere un pro-memoria utile, e sobrio, per un programma (non di breve periodo, fatto di tanti tasselli differenziati, e che devono essere pensati-programmati come complementari) che permetta al “mantra” della partecipazione di trasformarsi in attività che, sostanzialmente, coincidono con buone, civili, praticabili e praticate, umane e professionali, strategie di riconoscimento-accompagnamento delle persone.
Bibliografia 1. Tognoni G. Partecipare, condividere, comunicare. Assistenza infermieristica e Ricerca 2005; 24: 158-161 2. Mosconi P, Satolli R, Roberto A et al. Giurie dei cittadini: coinvolgere e deliberare nell’interesse pubblico. Ricerca e pratica 2015; 31: 149-158 3. Not Ist Super Sanità 2008; 21 (6 Suppl 2): 5-8 4. Godlee F. Research is the future: get involved. BMJ 2015; 351: h6525. Doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.h6525 5. Chalmers I, Glasziou P. Avoidable was te in the production and reporting of research evidence. Lancet 2009; 374: 86-9 6. Tallon D et al. Relation between agendas of the research community and the research consumer. Lancet 2000; 355: 2037–2040 7. https://www.hearinglink.org/get-involved/james-lind-alliance-priority-setting-partnership/ 8. http://methods.cochrane.org/prioritysetting/ 9. INVOLVE (2013) Exploring the impact of public involvement on the quality of research: examples, Eastleigh: INVOLVE www.invo.org.uk