A che punto siamo con gli studi clinici randomizzati controllati (RCT)?
Gianni Tognoni IRCCS Istituto Mario Negri, Milano
Quadro di riferimento
All’origine di questa nota ci sono due motivazioni opposte, che si spera possano emergere come fortemente complementari:
a) Il New England Journal of Medicine (NEJM) ha pubblicato nel 2016 una Clinical Trial Series1-9, le cui referenze, accompagnate da una brevissima guida alle loro parole chiave, sono riportate nella Tabella 1, che propone una rilettura complessiva del ruolo, dell’affidabilità, delle prospettive di sviluppo e di utilizzazione dei RCT (Randomized Controlled Trial), non solo (né prevalentemente) per la valutazione di farmaci, ma come strumento e snodo culturale di tutto l’ambito della Salute Pubblica, e dell’interfaccia tra evidenze scientifiche clinico-assistenziali e variabili non-mediche che ne determinano la trasferibilità nella realtà dei diversi contesti socio-economici10. b) Tutta la serie può essere letta come una constatazione-conferma che riguarda con la stessa intensità due attori imprescindibili dei percorsi, delle strategie, della gestione complessiva dell’assistenza: il mondo della medicina generale e quello infermieristico risultano sostanzialmente assenti (o rintracciabili come eventi occasionali-rari) durante il lungo percorso (metodologico e fattuale) proposto dal NEJM, nel campo definito dal titolo (di cui non è certo necessario sottolineare la rilevanza generale).
Questa dissociazione tra la centralità data dalla più autorevole rivista medica alla metodologia considerata come gold standard, e l’assenza dal mondo di produzione di conoscenze di due attori centrali come la medicina generale e il mondo infermieristico, è tanto più interessante (e provocatoria?) dal momento in cui non viene neppure menzionata negli articoli che fanno parte della serie.
Dal punto di vista che qui interessa, si è pensato che il dato di fatto della dissociazione-assenza può e deve essere l’occasione di una riflessione propositiva, indicando:
– le implicazioni immediatamente rilevanti e da tener presenti degli scenari metodologici ed operativi che vengono proposti, dal punto di vista dell’uso delle conoscenze scientifiche esistenti;
– la prospettiva di sviluppo di attività di ricerca ben innestate nella pratica corrente di contesti assistenziali che, proprio per l’assenza degli operatori del quotidiano (medici di base e infermieri), si possono considerare orfani in attesa di adozione per programmi estremamente concreti di ricerca di grande rilevanza (sia a livello sperimentale che epidemiologico).
Per una visione di insieme
La Tabella 1 che elenca, nell’ordine in cui sono stati pubblicati, gli articoli del NEJM può essere considerata, anche soltanto attraverso la sottolineatura di alcuni termini e/o concetti che compaiono nel titolo, un primo riassunto-messaggio, che viene esplicitato, e dovrebbe essere riconoscibile, nella lettura (quasi come in un unico testo) dei brevissimi commenti. Per suggerire una comprensione più completa, si è fatto anche un rimando ( sono le due prime citazioni della Tabella) a due testi pubblicati sullo stesso numero che dà inizio alla serie, che contengono affermazioni particolarmente interessanti, che si ri-propongono come chiave di lettura più generale. 1) I RCT sono il miglior strumento che abbiamo a disposizione per tradurre un’informazione medica che riteniamo possa essere vera, in una evidenza di cui possiamo affermare, che secondo criteri e limiti che devono essere ben definiti, è di fatto corrispondente ad un’informazione fondata. Non si poteva mettere meglio in evidenza il doppio volto del ruolo e del contributo dei RCT: strumento solido, ma puntuale; veri, ma in quadri di riferimento ben definiti; strumento privilegiato, ma mai esclusivo; che è in permanente evoluzione. 2) Il titolo dato alla serie di articoli, che hanno come autori protagonisti di tutte le fasi di una ricerca basata su RCT, (da metodologi ad autorità registrative, a clinici, epidemiologi, esperti di salute pubblica e di economia) è ulteriormente suggestivo di un approccio che deve essere dinamico: Il volto [che sempre cambia- in cambiamento] dei RCT. Se l’obiettivo – produzione di verità di cui è sempre ben disponibile la probabilità – è lo stesso, le componenti tecniche che possono garantire l’affidabilità dello strumento sono/devono essere quanto mai flessibili, per essere coerenti non tanto con la definizione formale di cosa è un RCT, ma con la funzione concreta ed esplicita che è assegnata a questa tecnica in un dato tempo e contesto. 3) La storia dei RCT è più illuminante, e metodologicamente fondamentale della loro correttezza formale. Il secondo articolo citato nella tabella (da leggere!) è molto chiaro in questo senso, concludendo così il suo lungo viaggio negli ultimi 70 anni: siamo ad un incrocio molto critico nella storia dei RCT. Concepiti originalmente per ridurre le possibilità di bias nella ricerca, i RCT sono diventati luoghi di conflitti di interessi da esaminare, di volta in volta, con estrema attenzione… Come strumenti storicamente condizionati, il loro sviluppo dipende, con la stessa importanza, da variabili scientifiche, politiche, economiche. Solo la comprensione di questa complessità permette di usarli criticamente, e perciò efficacemente… Nel quadro di sempre crescenti disuguaglianze nella salute globale, siamo sicuri che i RCT possano essere il gold standard per la produzione di conoscenze di valore generale per la salute pubblica? Questa domanda è il test posto alla capacità dei ricercatori-operatori sanitari di tradurre il proprio ruolo e le proprie responsabilità in risultati affidabili ed utilizzabili dalla società.
Le lezioni di metodologia ed operative che può essere utile memorizzare
Anche quest’ultimo paragrafo parte da una breve citazione della referenza 1. È una dedica ad uno degli autori che avevano immaginato la serie degli articoli. Ne riassume il cammino con una frase che sembra perfettamente declinabile al futuro, come un augurio per quei protagonisti-soggetti di ricerca non menzionati negli articoli, ed alle/ai quali è specificamente diretta questa parte: “…[avere] la passione di cambiare quello che si pensa-sogna in qualcosa che si conosce e si comunica”.
L’augurio può essere la parafrasi di un’indicazione molto tecnica e che risponde non solo alla sfida di dissociazione-assenza da cui si è partiti, ma alla logica complessiva con la quale è possibile orientare questa lettura in una identità pratica-metodologica: il passaggio da fare è quello di rappresentarsi non solo né principalmente come lettori-destinatari, ma come produttori di conoscenze. I pezzi del puzzle degli articoli del NEJM definiscono di fatto uno scenario che è su misura per coloro che lavorano oggi e stanno perciò sperimentando – sia quotidianamente, che nel lungo periodo, all’incrocio di competenze, organizzazione, cultura- il cambiamento del sistema sanitario-assistenziale-sociale che impone (ha imposto) il cambiamento di volto anche al gold standard della metodologia, che è il RCT.
Le indicazioni operative che si possono derivare dall’insieme dei contenuti della tabella sono molto dirette. 1. Sperimentare è la tecnica più semplice ed efficiente per produrre conoscenza. Che sia questa di tipo valutativo, di intervento, o di comprensione e di rapporto causale tra variabili/funzioni, e di confronto tra strategie, ruoli, competenze… 2. Il passaggio essenziale è a costo zero dal punto di vista economico-organizzativo: è la formulazione di una domanda a partire da un non so-vorrei sapere- non sono convinto- sarebbe bello se… La verifica della rilevanza e dell’intelligenza della domanda-curiosità-ipotesi-attesa, è anzitutto un lavoro di testa, di dialogo, di confronto:
– con pari e/o con chi si pensa debba essere parte (come collaboratore o come polo dialettico) della ricerca;
– con la letteratura pertinente con il tema: senza regole speciali, come quando ci si informa per partire per un viaggio: sapere dove e perché si va, e quanto si vuole investire nel viaggio, perché, come il viaggio, la ricerca può essere solo frutto di un desiderio-piacere. 3. La metodologia (tutti gli articoli lo hanno detto) è al servizio e dipendente dalle idee. Non ci sono limiti alla flessibilità: i due bias di cui preoccuparsi sono molto semplici da evitare, se si vuole: l’ignoranza (programmata e /o non evitata) del problema sul quale si vuole produrre conoscenza; la dipendenza nella formulazione/realizzazione del protocollo da interessi che, a priori, pre-determinano la direzione dei risultati e/o della loro interpretazione. 4. Lo spettro dei problemi conducibili a sperimentazioni pragmatiche e/o che valutano in modo randomizzato (ed è importante la sottolineatura di come questo termine può-deve essere declinato non per creare procedure estranee nei servizi) interventi e strategie è molto stimolante. L’aggiornamento più efficiente-efficace del personale che può produrre conoscenze dall’interno delle incertezze della propria pratica potrebbe essere quello della compilazione periodica (a livello collegiale) della lista di domande in cerca-attesa di risposta. 5. Per l’universo infermieristico, e di coloro che lavorano nella fragilità, i grandi capitoli della non – autonomia, del dolore (dalle cure palliative11 a quello cronico da varie cause), della gestione dei pazienti con disturbi cognitivi,12 della cronicità di comorbidità, 13-14 da gestire con più o meno intensità, sono totalmente aperti, e sostanzialmente orfani di reti assistenziali capaci di includere pazienti effettivamente rappresentativi delle diversità culturali, socioeconomiche, di condizioni di vita. Non sono pazienti da reclutare: sono le/i pazienti che occupano il quotidiano. In attesa di evidenze che riguardano l’uno o l’altro farmaco che è loro prescritto. 6. Sembra di grande interesse – per le scuole di formazione, e i corsi di dottorato, i progetti di valutazione aziendali – riprendere-tradurre (non linguisticamente, ma nella sostanza) le tante provocazioni e proposte della serie di articoli che hanno provocato questa nota. È un cambiamento di logica e di cultura molto interessante: che va con i suoi accenti culturali (molto centrati sulla clinica-assistenza, non su dichiarazioni generali), in chiara controtendenza con i ricorrenti deliri burocratici e organizzativi delle Agenzie regolatorie e di sanità che continuano a declinare il binomio RCT-EBC (Evidence Based Care) nel modo più rigido, regressivo, lontano dalla realtà dei bisogni e dei ruoli di produttori intelligenti di conoscenze degli operatori sanitari e della collettività e dei pazienti-cittadini.
P.S. Quando la serie degli articoli qui commentati sembrava conclusa, è stato pubblicato un ultimo contributo, il cui titolo esprime a sufficienza l’importanza:
Rosenblatt M. The Large Pharmaceutical Company Perspective. NEJM 2017; 376:52-60.
Le domande sul come mai questa dis-continuità, potrebbero essere molte o nessuna. La posizione assolutamente dominante nell’industria farmaceutica nel campo della normativa e della gestione concreta del mondo dei trial è troppo nota, per dover essere qui ripresa. È forse più importante sottolineare l’assenza in tutto questo percorso di un contributo esplicito, delle autorità regolatorie, i cui rappresentanti non hanno certo difficoltà di accesso al NEJM. Ed è ancor più un peccato (evitabile? programmato? imposto?) che non si sia utilizzata questa occasione per un esercizio di trasparenza sui costi reali dei trial nell’insieme dei bilanci di R&D dell’industria e delle agenzie pubbliche, per dare l’dea più concreta dell’infinita distanza e asimmetria tra gli attori in gioco, così come della falsità del citare i costi dei trial (che di fatto finiscono per essere “peanuts”, noccioline) per giustificare i prezzi ormai surreali con i quali i farmaci sono proposti, e riconosciuti da autorità che continuano a chiamarsi “pubbliche”, sul mercato.
Bibliografia 1. Woodcock J, Miller PW, McMurray JJV, Harrington DP, Drazen JM. Clinical trial series. NEJM 2016; 374:2167. 2. Bothwell LE, Greene JA, Podolsky SH, Jones DS. Assessing the gold standard- lessons from the history of RCTs. NEJM 2016;374:2175-81. 3. Fiore LD, Lavori PW. Integrating randomized comparative effectiveness research with patient care. NEJM 2016; 374:2152-8. 4. Bhatt DL, Metha C. Adaptive design for clinical trials. NEJM 2016; 375:65-74. 5. Ford I, Norrie J. Pragmatic trials. NEJM 2016;375:65-74. 6. Pocock SJ, Stone GW. The primary outcome fails- what next? NEJM 2016; 375:861-70. 7. Pocock SJ, Stone GW. The primary outcome is positive- Is it good enough? NEJM 2016; 375:971-9. 8. De Mets DL, Ellenberg SS. Data Monitoring Committees- expect the unexpected. NEJM 2016; 375:1365-7. 9. Pfeffer MA, McMurray JJV. Lesson do in uncertainty and humility- Clinical trials involving hypertension. NEJM 2016; 375:1756-66. 10. Tognoni G. Pro-memoria metodologico 2016. Assist Inferm Ric 2016; 35:2-5. 11. Malani PN, Widera E. The promise of palliative care: translating clinical trials to clinical care. JAMA 2016; 316:2010-1. 12. Hanson LC, Zimmerman S, Song MK, Lin FC, Rosemond C, Carey TS, et al. Effect of the goals of care intervention for advanced dementia: a randomized clinical trial. JAMA Intern Med 2016. doi: 10.1001/jamainternmed.2016. 13. Tarazona-Santabalbina FJ, Gómez-Cabrera MC, Pérez-Ros P, Martínez-Arnau FM, Cabo H, Tsaparas K, et al. A multicomponent exercise intervention that reverses frailty and Improves cognition, emotion, and social networking in the community-dwelling frail elderly: a randomized clinical trial. J Am Med Dir Assoc 201;17:426-33. 14. Potter K, Flicker L, Page A, Etherton-Beer C. Deprescribing in frail older people: a randomised controlled trial. PLoS One 2016; 11:e0149984. 15. Rosenblatt M. The Large Pharmaceutical Company Perspective. NEJM 2017; 376:52-60.