Emilio Maestri Servizio Assistenza Territoriale, Direzione Generale Sanità e Politiche Sociali, Regione Emilia Romagna
Endocrinologo, Azienda USL di Reggio Emilia
Alla portata di tutti
La rubrica “alla portata di tutti” è stata concepita con un formato agile, fatto di contributi brevi per comunicare in poche righe concetti pratici per chi cura la gente.
Non abbiamo cambiato idea: anche se “lungo”, questo contributo è stato concepito come “spacchettabile” in sotto-argomenti distinti, da prendere (o buttare) singolarmente.
Come dire che si può indifferentemente iniziare dall’ultimo, dal secondo o dal primo topic: ognuno vive di vita propria ma, essendo tutti dedicati all’impiego della tiroxina, è sembrato più appropriato mantenere il filo che li unisce piuttosto che inserire rimandi agli altri numeri.
Buona lettura…e … buona prescrizione…
Levotiroxina: un trattamento molto diffuso
La levotiroxina (l-T4) è tra i farmaci più prescritti in assoluto: con 19-20 milioni di confezioni all’anno prescritte in Italia, è facilmente ipotizzabile che ne vengano consumate circa un miliardo di dosi all’anno (vedi Tabella 1).
Il diffuso impiego del prodotto può essere attribuito a diversi motivi; tra essi:
• l’elevata diffusione dell’iperplasia tiroidea in Italia, favorita dalla iodocarenza, non adeguatamente corretta dalle deboli iniziative per l’impiego del sale iodato1,2;
• l’enorme diffusione delle indagini di funzionalità tiroidea, con conseguente scoperta di casi asintomatici di ipotiroidismo, principalmente subclinico.
Se consideriamo la naturale “cronicità” delle condizioni per le quali la l-T4 è impiegata e la generale convinzione della sua sostanziale innocuità, in quanto “sostanza naturale”, è facile comprendere come possa raggiungere volumi di prescrizione elevatissimi.
La prima prescrizione risulta più frequentemente di provenienza specialistica, la prosecuzione del trattamento è molto più soggetta alla decisione del medico curante che tende a compilare la ricetta quasi “in automatico” per indicazioni la cui durata è spesso etichettata col classico “per tutta la vita”; da una rilevazione in Germania emerge che il 48% dei pazienti in trattamento cronico con l-T4 assume la terapia senza che il Medico di Famiglia abbia documentazione precisa dell’indicazione alla prescrizione3.
Al di là delle curiosità, delle abitudini, delle cifre e degli insegnamenti dei “Grandi Maestri”, tutti - Medici di Famiglia e Specialisti – dovrebbero verificare quali evidenze esistono a favore di alcune indicazioni così seguite come il trattamento del gozzo o dell’ipotiroidismo subclinico. Ma soprattutto dovrebbero chiedersi se, vista la durata di un trattamento, non sia giunto il momento di valutarne la possibile interruzione.
Indicazioni: alcune condivise ed altre controverse
Tra le indicazioni all’impiego della l-T4 esistono condizioni nelle quali esiste una pressoché totale concordanza tra linee guida ed esperti di settore (es. l’ipotiroidismo grave post-chirurgico), ma anche aree nelle quali esistono opinioni discordi sulla efficacia del trattamento e quindi sulla effettiva appropriatezza nell’impiego.
Le indicazioni discusse sono principalmente il trattamento dell’iperplasia tiroidea e dell’ipotiroidismo subclinico (o lieve). Per entrambe la prescrizione tende a rappresentare una specie di “atto di fede” che rischia di prolungarsi all’infinito senza che esistano reali riscontri della sua effettiva utilità clinica. Inoltre - per il trattamento dell’iperplasia - le dosi “soppressive” o “sub-soppressive” spesso utilizzate ravvicinano la dose terapeutica a quella tossica in misura inaccettabile per un trattamento di efficacia tutto sommato modesta.
La stima delle prescrizioni per indicazione, e quindi il rapporto tra i volumi di prescrizioni appropriate e quelle “discutibili”, è difficile da quantificare con precisione.
Le prescrizioni appropriate in Emilia Romagna sarebbero stimabili sul 35% analizzando i codici di esenzione inseriti dal medico nella ricetta ed includendo: codice 048 (pazienti operati per carcinoma), codice 027 (ipotiroidismo grave per qualsiasi causa) e codice 056 (tiroidite, decisione questa ampiamente discutibile se non presente ipotiroidismo). Riesce tuttavia difficile risalire alle effettive indicazioni nelle ricette che riportano esenzioni per reddito, disoccupazione o per invalidità e un ulteriore fattore di confusione è nel fatto che molti assistiti preferiscono acquistare direttamente il farmaco dato il basso costo per evitare le perdite di tempo.
È comunque ipotizzabile che circa un 50% dei trattamenti con l-T4 sia assunto da persone con indicazioni discutibili o francamente inappropriate con un margine di risparmio non trascurabile considerando una spesa complessiva di oltre 4.700.000 € per la sola Emilia Romagna.
Esiste una notevole difformità nella distribuzione prescrittiva territoriale, legata essenzialmente all’orientamento dei singoli operatori ed alla loro “scuola di provenienza”: ne deriva la non infrequente possibilità per un paziente di ricevere indicazioni contrarie per la stessa condizione addirittura da sanitari che operano nella stessa struttura.
Perché dare levotiroxina quando il gozzo è normofunzionante?
La somministrazione di l-T4 è in grado di controllare la secrezione del TSH, ormone tireostimolante che rappresenta il principale fattore di stimolo noto per l’iperplasia e la funzione delle cellule tiroidee. Questo effetto TSH inibitore è la base logica per l’impiego della l-T4 nella prevenzione e nel trattamento del gozzo diffuso o nodulare, oltre che nella prevenzione della recidiva dei tumori differenziati della tiroide.
Occhio all’etichetta ! Per una curiosa stranezza le schede tecniche delle varie specialità citano indicazioni terapeutiche non identiche. Tutte le specialità contenenti tiroxina per uso orale condividono l’indicazione “ipofunzione tiroidea” (senza specificazioni di gravità). L’indicazione “gozzo” invece è presente solo per il generico Levotiroxina Teva®, per le specialità Tiroide IBSA®, Tirosint® e Tiche®, mentre le schede tecniche del “mitico” Eutirox®, dominatore del mercato, e Syntroxine® non considerano il gozzo come indicazione autonoma e lo menzionano solo come una tipologia degli “stati di ipofunzione tiroidea”. Si arriva all’evidente paradosso di rendere in pratica off label la prescrizione nei casi di iperplasia con normofunzione tiroidea, che rappresenta verosimilmente l’area di maggiore prescrizione della l-T4 in Italia.
La terapia avrebbe quindi l’effetto di “sopprimere” il TSH o quantomeno di ridurne sensibilmente le concentrazioni ematiche, senza innalzare i livelli di ormoni tiroidei oltre i limiti di norma, inducendo una condizione assimilabile all’ipertiroidismo subclinico.
Nonostante sia sostenuto da una forte tradizione culturale, basata sui presupposti fisiopatologici ed adottata in Centri Clinici italiani di ampia credibilità, le prove di efficacia a sostegno del trattamento del gozzo con l-T4 non sono univoche e provengono principalmente da studi realizzati in aree a moderata carenza iodica.
Iperplasia tiroidea: la storia “naturale”
L’iperplasia tiroidea è un problema clinico a tutt’oggi non completamente chiarito. Oltre alla patogenesi autoimmune, sappiamo che l’iperplasia è favorita dalla iodocarenza e da fattori geneticamente predeterminati, ma numerosi sono i punti ancora oscuri nonostante l’enorme diffusione del problema e l’impegno nella ricerca della comunità scientifica. Del processo che porta all’iperplasia, nodulare o diffusa, si sa che procede in modo non uniforme e che – anche senza interventi terapeutici – l’evoluzione è solitamente lenta e poco prevedibile. Non necessariamente si assiste ad un accrescimento graduale e progressivo: nella maggioranza dei casi si verificano fasi accrescitive alternate a fasi di stabilità o di regressione spontanea.
In uno studio italiano durato 5 anni il volume era lievemente aumentato nel 56% dei soggetti seguiti mentre era rimasto stabile nel 22% e si era addirittura ridotto nel 22% senza interventi terapeutici4. Un ulteriore studio italiano effettuato sempre su 5 anni ma su un campione molto più ampio ha confermato che la crescita del gozzo si osserva in circa ¼ dei soggetti seguiti mentre sempre circa ¼ mostrava una riduzione del volume5. In studi realizzati in altre popolazioni, residenti in aree con un normale apporto iodico, la percentuale di persone che presentava una tendenza alla riduzione spontanea del volume dei noduli è risultata ancora superiore6.
Trattamento medico dell’iperplasia tiroidea: pro e contro
L’impiego della l-T4 è in genere indicato dell’iperplasia tiroidea diffusa legata a tireopatie autoimmuni sia negli adulti7 che negli adolescenti e nei bambini8 anche se eutiroidei. A parte i primi studi che sostenevano dosi “soppressive” sul TSH, vengono ora suggerite dosi in grado di mantenere il TSH a livelli bassi-normali ma non soppresso.
Trattamento medico dei noduli benigni25 • Le dosi soppressive di l-T4 non sono raccomandate; • In aree geografiche moderatamente iodocarenti possono essere presi in considerazione supplementi iodici e/o un trattamento non TSH soppressivo con l-T4 in pazienti giovani con piccoli gozzi nodulari e TSH a livelli medio-alti; • La terapia sostitutiva con l-T4 è raccomandata in pazienti giovani che presentino ipotiroidismo subclinico o qualora il gozzo sia dovuto a tiroidite autoimmune; • La terapia con l-T4 non è raccomandata nella prevenzione della recidiva di iperplasia dopo lobectomia in presenza di livelli normali di TSH. (Raccomandazioni AACE/AME/ETA 2016)
Esistono diversi risultati a sostegno dell’efficacia della l-T4 nel contenimento e/o nella riduzione del volume dei noduli tiroidei normofunzionanti, valutato con ecografia e nella prevenzione dello sviluppo di nuovi noduli nelle ghiandole iperplastiche4,9-16. Si tratta tuttavia di risultati contradditori, provenienti in genere da studi metodologicamente deboli (popolazioni di dimensioni limitate, con caratteristiche disomogenee per funzionalità, dimensioni di partenza e dosi impiegate). La durata degli studi risulta in genere troppo limitata: dai 6 ai 24 mesi (un solo studio protratto a 5 anni), quando il problema dell’iperplasia è di lunga- lunghissima durata.
Nessuno studio riporta dati di efficacia a lungo termine (la reale dimensione di impiego della l-T4) e soprattutto mancano dati sulla mortalità e altri esiti importanti come fratture o eventi vascolari.
Il ricorso alle tecniche meta-analitiche non ha consentito di dirimere definitivamente il problema per la disomogeneità dei campioni studiati: il risultato ottenuto sul volume dei noduli risulta al massimo modesto con 6-8 pazienti da trattare con l-T4 per conseguire un risultato favorevole in 2 anni17,18. Una terza meta-analisi, con criteri di inclusione degli studi più rigorosi giunge alla conclusione di inefficacia della terapia19.
I risultati più significativi si riscontrerebbero per i noduli con diametri inferiori ai 2 cm20 mentre i gozzi voluminosi (gli unici sintomatici) in genere non rispondono.
I risultati migliori sono stati conseguiti con dosi relativamente elevate4,13,21, che si possono tradurre in condizioni di ipertiroidismo subclinico, non sostenibili a lungo nella pratica per il possibile sviluppo di demineralizzazione o fratture in donne post-menopausa22,23 ed aritmie anche i pazienti di età inferiore a 65 anni24.
Tiroxina e iperplasia: lo scenario “reale”
Nel complesso le prove di efficacia compongono il profilo di un ruolo favorevole per la l-T4 nel controllo dell’iperplasia tiroidea nodulare o diffusa nel medio periodo.
Questa promessa di benefici - al massimo modesti con 6-8 persone da trattare per conseguire un risultato favorevole – va calata in uno scenario clinico “pratico” dove vanno considerati i lunghissimi tempi di utilizzo e il ristretto indice terapeutico del trattamento con l-T4, che si riduce con l’avanzare dell’età.
Levotiroxina e gozzo La terapia con l-T4 dell’iperplasia tiroidea normofunzionante dovrebbe essere presa in considerazione solo in caso di tendenza all’accrescimento tenendone ben presente il rapporto beneficio/rischio non esaltante.
L’indice terapeutico si riduce con l‘avanzare dell’età soprattutto dopo la menopausa ed in pazienti “fragili”.Non esistendo studi oltre i 5 anni di cura, dopo tale periodo dovrebbe essere valutata la sospensione della l-T4.
Visto anche l’andamento del nodulo in assenza di trattamento, nelle persone con iperplasia tiroidea nodulare la somministrazione di l-T4 non dovrebbe essere lo standard di partenza nella gestione ma dovrebbe essere limitata a persone giovani, con noduli di dimensioni non superiori a 2 cm, in fase di accrescimento, sintomatici25.
Levotiroxina e gozzo: per quanto tempo?
Nei pazienti portatori di gozzo o noduli le opinioni su quando interrompere la cura con l-T4 sono discordi anche se si concorda sul fatto che il trattamento abbia rischi maggiori dopo la menopausa e non dovrebbe essere protratto oltre i 60 anni.
In base agli studi disponibili – in assenza di difetto funzionale - non vi sono buone motivazioni per protrarre la terapia dell’iperplasia oltre i 5 anni ed i clinici dovrebbero - dopo tale periodo - valutare la possibilità di ridurne le dosi gradualmente fino a sospenderla, consapevoli della possibile ripresa della crescita dopo sospensione25.
Ipotiroidismo: diversi gradi di importanza
L’enorme diffusione delle indagini di funzionalità tiroidea si traduce nella frequente scoperta di anomalie, solitamente di entità lieve. La più frequente è il cosiddetto ipotiroidismo subclinico (I-Scl), caratterizzato da livelli elevati di TSH, in presenza di valori normali degli ormoni tiroidei: questo interessa il 4,3% della popolazione generale fino ad arrivare nelle donne > 60 anni al 16,9% dei prelievi eseguiti. Esaminando la popolazione asintomatica in generale, il 4,3% presenta un I-Scl, con percentuali che risultano più elevate nel sesso femminile e con l’avanzare dell’età (16,9% nelle donne > 60 anni di età)26.
Si riconoscono due diversi gradi di gravità dell’I-Scl: per livelli di TSH < 10 mU/L si parla di I-Scl “lieve” mentre oltre le 10 mU/L è stata proposta la definizione di I-Scl “grave”27 pur con la consapevolezza della contraddizione di principio nel definire “grave” una condizione asintomatica e a rischio non ben definito.
Pochi argomenti dividono le opinioni dei medici come l’importanza dell’I-Scl: perfino tra gli esperti non c’è accordo sui limiti di normalità del TSH, l’indicatore più sensibile di ipotiroidismo, e sul limite soglia oltre il quale iniziare un trattamento. Questa diversità di opinioni deriva dalla mancanza di prove di efficacia “decisive” sull’argomento e per i pazienti si traduce nella possibilità non infrequente di trovarsi di fronte ad indicazioni e raccomandazioni diametralmente opposte.
Quando e perché trattare un paziente ipotiroideo
Esiste un’abbondanza di informazioni provenienti da studi osservazionali sull’argomento mentre gli studi randomizzati, per lo più di dimensioni modeste, sono decisamente pochi e diretti su esiti surrogati più che sugli esiti importanti dei quali i clinici avrebbero bisogno. Esistono pertanto numerosi punti di discussione aperta/incertezza e pochi punti di convergenza in grado di trasformarsi in solide raccomandazioni al trattamento.
L’I-Scl è ritenuto condizione predisponente all’ipotiroidismo clinicamente manifesto (l’ipotiroidismo ”overt” degli Anglosassoni): il rischio di sviluppare un ipotiroidismo clinico è più elevato in presenza di positività per la ricerca di anticorpi anti TPO ed aumenta parallelamente con l’aumentare del livello di TSH28, ma questo rilievo non significa automaticamente la necessità di trattare l’I-Scl con la finalità di “prevenire” il peggioramento del quadro metabolico, in quanto l’evoluzione verso l’ipotiroidismo clinicamente manifesto non rappresenta la regola nell’I-Scl ed è – quando presente – solitamente lenta.
L’obiettivo “vero” del trattamento dovrebbe andare oltre la semplice correzione dell'anomalia numerica del TSH. Se all’I-Scl viene attribuito il ruolo di “fattore di rischio” nell’induzione di condizioni patologiche, il trattamento sostitutivo dovrebbe contribuire a ridurre questo rischio in misura significativa.
In realtà tante volte, in mancanza di prove di efficacia a sostegno del trattamento, la scelta si basa su opinioni personali e diventa una specie di “atto di fede” che rischia di trasformarsi in una cura che si prolunga per tutta la vita. Al medico spetta quindi di considerare il contesto clinico in cui viene rilevata l’anomalia prendendo la propria decisione in base a vari fattori, tra i quali va incluso l’orientamento favorevole del paziente (vedi Tabella 3)29,30.
Nonostante i numerosi dati osservazionali, soprattutto per le aree di maggiore controversia31, esiste un “bisogno urgente” di risultati provenienti da studi randomizzati di buona qualità su esiti clinicamente rilevanti32.
Ipotiroidismo e anomalie metaboliche
Obesità e sovrappeso sono tra le più diffuse (ed errate) motivazioni al dosaggio del TSH. Nonostante diversi studi abbiano individuato una correlazione positiva tra livelli di TSH e body mass index (BMI)33-36 non esistono evidenze in favore della terapia sostitutiva nell’indurre una perdita di peso27 mentre risulta che la perdita di peso (senza cure sostitutive) si associa a riduzione del TSH37,38.
Nei pazienti con diabete mellito di tipo 2 ed I-Scl in caso di peggioramento del controllo glicemico viene suggerita una verifica della risposta ad un trattamento con levotiroxina27,39.
Diversi studi hanno valutato le possibili relazioni tra I-Scl ed anomalie dei parametri lipidici: i risultati indicano una relazione diretta tra livelli di TSH e livelli di trigliceridi, colesterolo totale e colesterolo LDL. Gli effetti della terapia con l-T4 sono più importanti nei pazienti con livelli di TSH maggiormente elevati, ma in alcuni studi il miglioramento del profilo lipidico è stato identificato anche trattando pazienti con TSH <10 mU/L, con possibile riduzione del rischio cardiovascolare40-44.
Nella revisione sistematica di Danese, 6 studi su 13 in pazienti con TSH 4.8–9.8 mU/L mostravano un effetto favorevole della I-T4 sui livelli elevati di colesterolo totale e LDL45.
Ipotiroidismo e rischio cardiaco
I dati epidemiologici indicherebbero un aumento del rischio cardiovascolare nei pazienti affetti da I-Scl. Dai risultati del Rotterdam Study l’I-Scl sembrerebbe addirittura essere un fattore di rischio indipendente per infarto del miocardio in una popolazione di donne con un TSH medio di 5,8 mU/L soprattutto se con anticorpi anti TPO elevati46. Nonostante il rischio sia più elevato nella popolazione con TSH > 10 mU/L47,48, l’aumento di rischio di disfunzione diastolica, sistolica e valvulopatie era segnalato anche in popolazioni con TSH < 7 mU/L43,49,50.
L’aumento di rischio di malattia coronarica è risultato presente solo nella fascia di popolazione più giovane51 ed uno studio retrospettivo, su una coorte molto numerosa, avrebbe identificato un effetto favorevole del trattamento con I-T4 nel ridurre il rischio di infarto e mortalità coronarica e per tutte le cause solo in pazienti con I-Scl al di sotto dei 65 anni52.
Alcuni studi hanno riscontrato un miglioramento della funzione sistolica, diastolica a riposo e sotto sforzo in pazienti con TSH < 10 mU/L27,49,53. In un RCT su pazienti con TSH medio di 6,6 mU/L il trattamento con I-T4 induceva un miglioramento significativo su diversi fattori di rischio cardiovascolare43.
Tutti questi dati provengono da studi osservazionali o riguardano end-points surrogati; non sono al momento disponibili esiti di studi randomizzati su esiti clinici importanti ma gli esperti ritengono che nella popolazione adulta < 70 anni la terapia sostitutiva sia proponibile in presenza di fattori di rischio per malattie cardiovascolari (fumo, dislipidemie)22,54,55.
Ipotiroidismo subclinico “sintomatico”
In una proporzione di pazienti portatori di I-Scl sono presenti sintomi classicamente inclusi nel quadro clinico dell’ipotiroidismo “overt”: l’entità di questa tipologia di presentazione, che più che subclinica dovrebbe essere definita oligosintomatica, è mal-quantificabile a causa della scarsa specificità dei sintomi stessi (astenia, ipersonnia, disturbi dell’umore, sensazione di freddo, anomalie dell’ovulazione etc.) che si è tradotta sinora in esiti discordanti degli studi effettuati.
In tale tipologia di pazienti si ritiene comunque appropriata l’impostazione di una terapia sostitutiva finalizzata a riportare il TSH a valori normali verificando contemporaneamente l’effetto sul sintomo traccia e continuando il trattamento solo nel caso di un riscontro clinico favorevole27,50,56.
Ipotiroidismo e gravidanza
I dati di studi relativamente recenti hanno modificato in modo importante l’approccio alla diagnosi ed alla terapia dell’ipotiroidismo nelle donne gravide.
Studi epidemiologici hanno mostrato che le gravide con I-Scl sono a rischio aumentato di ipertensione e pre-eclampsia con aumento di rischio di nascita pretermine e perdita del feto57,58.
Nel primo trimestre l’aumento di rischio è stato riscontrato anche per livelli di TSH tra 2,5 e 5 mU/L59-62.
Durante la gestazione sono stati pertanto individuati nuovi intervalli di normalità e viene indicato un trattamento sostitutivo al fine di mantenere il TSH entro i limiti a seconda del periodo gestazionale e nelle donne che intendono pianificare una gravidanza e si presentino con un TSH >2.5 mU/L50,63.
Il TSH dovrebbe essere rivalutato ogni 4-6 settimane nel corso del primo trimestre ed almeno in un’altra occasione nei trimestri successivi32,64.
Ipotiroidismo e disturbi della memoria e dell’umore
Gli studi che hanno esplorato i rapporti tra I-Scl e disturbi dell’umore o disturbi cognitivi hanno fornito risultati non univoci. Si trattava in genere di studi di modeste dimensioni su campioni relativamente disomogenei.
Le evidenze a disposizione sostengono l’istituzione della terapia sostitutiva con l-T4 nei pazienti con I-Scl e valori di TSH > 10 mU/L. Il trattamento con l-T4 nei pazienti con I-Scl lieve (TSH< 10 mU/L) è raccomandato solo in presenza di condizioni cliniche particolari (iperplasia tiroidea, fattori di rischio cardiovascolare presenti, disturbi mestruali, dell’umore, della memoria) dopo averne valutato con attenzione il rapporto beneficio/rischio indotto. Durante la gestazione il TSH dovrebbe essere mantenuto entro limiti più ristretti per ridurre il rischio di parto prematuro, aborto o di patologie della gravidanza.
Studi osservazionali hanno rilevato un'associazione tra I-Scl lieve e disturbi della memoria65,66. Alcuni dati avrebbero anche mostrato effetti favorevoli della terapia sostitutiva67,68 ma i risultati non sono stati successivamente confermati69,70. Le recenti linee guida dell’ETA raccomandano un tentativo con I-T4 in pazienti di età < 65 anni con I-Scl lieve associato a deficit mnesici e disturbi dell’umore27.
Ipotiroidismo: una condizione irreversibile? La terapia è per tutta la vita?
La lezione dei “Grandi Maestri” arrivava solitamente ad una conclusione definitiva: la cura dell’ipotiroidismo deve continuare “per tutta la vita”. Questo concetto, tanto temuto da tanti pazienti, è ovviamente la regola nel post-chirurgia radicale, ma non sempre lo è nell’ipotiroidismo da altre cause.
Una percentuale consistente di pazienti (fino al 30%) affette da tiroidite post-partum71 o tiroidite autoimmune mostra una ripresa funzionale più o meno durevole sia in pazienti adulti72, anziani73 che nell’età pediatrica-adolescenziale74.
Per questo motivo andrebbe considerata la possibilità di “testare” la funzionalità residua della tiroide dopo un periodo di stabilità in trattamento sostitutivo. Si suggerisce di dimezzare la dose sostitutiva in corso e rivalutare l’andamento del TSH dopo circa 4-6 mesi di cura con la dose ridotta, procedendo con la sospensione se il TSH si mantiene stabilmente normale.
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