House of Commons Health Committee - Fourth Report of Session 2004-05
Il ruolo di Editoriale è stato affidato questa volta ad un testo decisamente atipico, da un certo punto di vista, ma nello stesso tempo perfettamente (e forse in modo unico) rappresentativo, nell'insieme dei contributi (metodologici, concettuali, operativi) che lungo gli ultimi anni (nei modi più diversi e con il contributo di tante "letterature") si sono intrecciati per documentare e discutere quella area - tanto poco definibile, quanto più "evidente" - che rimanda a termini/problematiche di:
- conflitti di interessi;
- [non]autonomia della ricerca;
- rapporti tra regole-pratiche di mercato ed esigenze-criteri di salute pubblica;
- codici di comportamento volontari ed obbligatorietà delle regole;
- ICH/GCP EBM ;
- [im]possibilità ed [in]efficienza di accuratezza informativa in tempi di mercato.
Non è difficile riconoscere che siamo fino in fondo nel campo di interesse, competenza, priorità di IsF. Verrebbe perfino la tentazione di commentare-annotare il testo, via, via che lo si legge, con riferimenti che ne identificano le anticipazioni e la traccia in tanti contributi pubblicati proprio sullo stesso IsF.
Di fatto il testo che segue è talmente lineare, e, nella sua sinteticità, completo, da non aver bisogno di sottolineature né esplicitazioni. È solo opportuno riprendere, e giustificare, i due termini citati all'inizio per qualificare l'editoriale.
a) Il testo è molto atipico: come sintesi, e perciò come raccomandazione esecutiva, di un documentatissimo rapporto della House of Commons prodotto attraverso un lavoro molto articolato di ricerca, propone, con una autorevolezza pari alla chiarezza, una "diagnosi" complessiva ed istituzionale del settore farmaco. L'"atipicità" è nella rarità-solennità del documento: il rapporto precedente è di un secolo prima. Si tratta dunque del primo rapporto dell'era farmacologica. Niente di nuovo in sé nella "diagnosi": conferma semplicemente che tutti i peggiori sospetti sul precario stato di salute del comparto-farmaco non solo sono fondati, ma sono strutturali: non sintomi scollegati di malessere, ma espressione organica di una patologia profonda. L'atipicità è il fatto di ricevere questa conferma diagnostica senza sfumature da un livello ed un organo istituzionale che si è costruito nella storia una reputazione strettamente legata alla sua vocazione-capacità di "understatement".
La diagnosi è fatta per/in un Paese (UK) (troppo) spesso citato come categoria di riferimento, modello metodologico, esemplarità di iniziative di valutazione. La lettura completa del rapporto (cui evidentemente si rimanda) toglie qualsiasi eventuale dubbio su una [per quanto improbabile] eccessiva severità dell'estensore della sintesi. E documenta bene che tutti proprio tutti gli attori dello scenario del farmaco recitano ruoli attivi, non solo di comparse, anche se (è il compito di un rapporto istituzionale di questo tipo) l'indicazione di responsabilità a livello dell'autorità regolatoria è d'obbligo.
b) Il rapporto è specificamente "rappresentativo" anche se sembra trattare di un solo Paese. La situazione inglese proprio per la sua [acclamata] esemplarità è la cassa di risonanza "strutturale", da dentro, di osservazioni-critiche che sembravano proprie di "minoranze illuminate" (e perciò ancor più certamente "perdenti"). Le implicazioni non sono banali: la diagnosi sembrerebbe infatti essere: "fate bene a non fidarvi di quanto vi si dice e propone: il sistema proprio non funziona. Non sappiamo se si può cambiare. Verosimilmente bisognerebbe cambiare tante altre cose".
Non è semplice. Non è una diagnosi "cattiva": è una diagnosi lucida: positiva, perché dà la dimensione del problema. Ricolloca al loro posto (necessario, se sa di essere marginale) buone volontà, buoni propositi,risk management, clinical governance.
La prognosi dice la diagnosi molto tecnica fatta da quest'organo politicamente rappresentativo dei cittadini dipende da quanto si prende sul serio la diagnosi, che è politica. E non sembra essere compatibile con trattamenti sintomatici o palliativi.
Gianni Tognoni
I farmaci contribuiscono in misura rilevante alla salute di una nazione. Se da un lato la scoperta, lo sviluppo e l'impiego di farmaci efficaci hanno consentito di migliorare la qualità di vita di molte persone, ridotto la necessità di interventi chirurgici, ridimensionato la durata dei ricoveri ospedalieri e salvato molte vite, dall'altro non si può negare che il consumo di farmaci sia enorme e in continuo aumento. Solo i medici di medicina generale effettuano 650 milioni di prescrizioni ogni anno. In Inghilterra, la spesa per farmaci sostenuta annualmente dal Servizio Sanitario supera i 7 miliardi di sterline, l'80% dei quali per specialità. E' comprensibile perciò che l'industria farmaceutica, che per l'entità dei profitti si colloca al terzo posto dopo il turismo e le attività finanziarie, venga descritta come "un'industria di livello mondiale e una gemma nella corona dell'economia inglese". E' vero che gli Stati Uniti rappresentano il mercato più vasto e che lì si concentra la maggior parte della ricerca e dello sviluppo, ma l'industria farmaceutica inglese detiene un record notevole, che va assolutamente sottolineato: spende in Ricerca e Sviluppo un importo pari al 10% della quota mondiale il che le conferisce una posizione di preminenza in ambito scientifico. Si calcola che, in Inghilterra, il 65% dei progetti di Ricerca e Sviluppo in ambito sanitario sia finanziato dall'industria farmaceutica.
L'uso inappropriato ed eccessivo dei farmaci, tuttavia, ha anche conseguenze negative: si registrano infatti con sempre maggiore frequenza situazioni di disagio, patologie iatrogene, ospedalizzazioni e persino morti. In Inghilterra, gli effetti indesiderati da farmaci sono responsabili del 5% circa di tutti i ricoveri ospedalieri.
Gli interessi delle ditte farmaceutiche e quelli dei cittadini, dei pazienti e del Servizio Sanitario, anche se spesso coincidono, non sono gli stessi. Per l'industria, le esigenze di salute non devono essere disgiunte dalla probabilità di un ragionevole ritorno economico degli investimenti. Per garantire che l'industria lavori nel pubblico interesse sono indispensabili perciò regole efficaci. Sfortunatamente il sistema normativo attuale non è in grado di offrire queste garanzie risultando troppo attento a dettagli poco importanti e, come descriveremo più avanti, non abbastanza efficace.
Per troppo tempo il Ministero della Salute ha ritenuto invece, con eccessivo ottimismo, che i due interessi, quello per la salute e quello dell'industria, potessero procedere di pari passo. Questa convinzione può derivare dal fatto che da un lato si deve occupare della salute dei cittadini ma dall'altro, acquistando i farmaci, di fatto finanzia l'industria. Il risultato è che troppo a lungo l'industria ha avuto carta bianca. E' significativo il fatto che questa sia la prima inchiesta importante da almeno 100 anni che una commissione parlamentare conduce nei confronti dell'industria farmaceutica l'ultima è stata effettuata dalla Commissione sulle Specialità Farmaceutiche, e il suo rapporto risale al 1914.
Come conseguenza di questo lassismo, l'industria farmaceutica ha espanso la sua influenza dando origine e consolidando prassi che contrastano con l'interesse pubblico, ad ogni livello e in ogni settore che ha a che fare con forniture sanitarie, a partire dagli studi clinici iniziali che portano alla scoperta e allo sviluppo di nuovi farmaci, alla promozione dei farmaci presso la classe medica e gruppi di pazienti, alla prescrizione dei farmaci, alla compilazione delle linee guida. Ci sono stati segnalati casi di studi clinici dal disegno non adeguato ad esempio studi impostati in modo tale da produrre risultati più favorevoli per un nuovo farmaco e di studi che, talvolta, già prima di iniziare si sa che non produrranno risultati importanti per la salute dei pazienti. Conosciamo anche parecchi casi gravi in cui i risultati di studi importanti sono stati cancellati, di altri in cui si è scelto di pubblicare solo parte dei dati o, infine, studi firmati da autori che con gli studi non avevano avuto nulla a che fare. Se i risultati negativi degli studi non vengono pubblicati, i dati disponibili non rifletteranno il reale rapporto beneficio/rischio di un farmaco. Se non vengono pubblicati tutti i dati o se i dati negativi vengono tenuti nascosti, anche le Linee Guida prodotte, come quelle del NICE o di altri organismi che si basano sulla letteratura pubblicata, non potranno essere accurate né le decisioni dei medici basarsi veramente sulle evidenze.
Per sviluppare un nuovo farmaco un'azienda farmaceutica investe somme ingenti ed è indispensabile che questi costi vengano recuperati nel più breve tempo possibile dopo la commercializzazione. Una volta ricevuta l'autorizzazione all'immissione in commercio, i farmaci sono oggetto perciò di una intensa campagna promozionale presso la classe medica. Se a questo si aggiungono le informazioni sponsorizzate, pubblicate su riviste e supplementi, il materiale destinato "all'aggiornamento medico", le inserzioni pubblicitarie e le sponsorizzazioni per conferenze, workshop o altri eventi "formativi", non c'è da meravigliarsi che la prescrizione ne sia influenzata. I destinatari preferenziali di tutte queste attività sono i medici di medicina generale, che hanno una maggiore libertà prescrittiva rispetto ai medici ospedalieri in quanto non sono tenuti a rispettare i vincoli imposti dai prontuari in vigore in ospedale. Non va tralasciata infine l'importanza della promozione dei farmaci rivolta direttamente ai pazienti e i legami che le ditte farmaceutiche instaurano con le organizzazioni di pazienti, i quali vengono così sollecitati a richiedere al medico i nuovi farmaci. Il problema però non è legato ad uno solo di questi fattori, ma è piuttosto tutto l'insieme che distorce la pratica prescrittiva. Il nocciolo del problema è che le redini dell'industria sono sempre più nelle mani del marketing.
La conseguenza immediata più preoccupante di questa situazione è che si impiegano dei farmaci di cui non è certa la sicurezza. L'eccessiva prescrizione dei COX-2 inibitori Vioxx e Celebrex ha causato migliaia di morti e un numero ancora maggiore di casi di insufficienza cardiaca. Tutto ciò denuncia una serie di inadempienze a vari livelli. Si sa, ad esempio, che negli Stati Uniti i produttori hanno soppresso alcuni studi condotti con questi farmaci, e lo stesso può essere accaduto in Inghilterra. Inoltre, vi sono state carenze sia nelle procedure di autorizzazione all'immissione in commercio che nell'attività di farmacovigilanza postmarketing. Da ultimo, vi è stata una attività promozionale eccessiva presso la classe medica.
Anche ciò che viene definito come "medicalizzazione della società" ossia la convinzione che per ogni problema si debba ricorrere ad un trattamento medico - può essere in parte attribuito alle attività dell'industria farmaceutica la quale, se è vero che non è direttamente colpevole della fiducia morbosa nei farmaci e del loro consumo eccessivo, certamente ha contribuito ad aumentarli. C'è una tendenza crescente a classificare artificiosamente sempre più persone come "malate" o bisognose di trattamento farmacologico.
L'industria farmaceutica non è tuttavia la sola a dover essere biasimata per la difficile situazione descritta. Chi si occupa dell'aspetto normativo da un lato e i medici che prescrivono i farmaci dall'altro hanno le loro responsabilità. Da parte della Medicines and Healthcare products Regulatory Agency (MHRA), l'organismo che si occupa degli aspetti normativi, vi sono state carenze sia nel controllo dei dati presentati per la registrazione sia nell'attività di farmacovigilanza. Il Responsabile dell'MHRA ha affermato che un rapporto di fiducia è una componente essenziale per la effettività di un sistema regolatorio: è chiaro tuttavia che una logica di fiducia può anche coincidere con controlli non sufficientemente rigorosi. Questo organismo si è rivelato troppo legato all'industria, una vicinanza rafforzata da una politica con obiettivi comuni, da metodi di lavoro concordati, da contatti frequenti, da consultazioni e scambi di personale. La nostra preoccupazione è che questa situazione, già troppo accomodante, venga ulteriormente aggravata alla necessità dell'MHRA di competere con altre agenzie regolatorie Europee per assicurarsi gli introiti che le ditte devono versare insieme alle domande di registrazione.
Motivo di particolare preoccupazione sono le prescrizioni inappropriate dei medici di medicina generale. Ne è un esempio la prescrizione su vasta scala degli antidepressivi inibitori del riassorbimento della serotonina (SSRI) da parte di alcuni di essi. Oltre alle motivazioni già ricordate, questo è dovuto anche alla loro formazione professionale inadeguata. Solo pochi di loro, tranne quelli con una specifica specializzazione, sono in grado di valutare oggettivamente il valore di un farmaco mentre troppi sembrano non rendersi conto di quanto poco si sappia dei vantaggi di un farmaco, ma soprattutto della sua sicurezza, al momento dell'immissione in commercio. Il comportamento responsabile e la moderazione di molti medici rende tuttavia ancora più criticabili gli altri che non lo sono stati. I medici di medicina generale non devono attenersi ai vincoli che limitano la prescrizione da parte dei medici ospedalieri. Infine, se da un lato le ditte farmaceutiche sono da criticare perché offrono ospitalità e reclutano "professionisti" che si trovano in posizione strategica per condizionare la prescrizione, i medici a loro volta sono ugualmente da condannare perché questa ospitalità l'accettano e alcuni "opinion leaders" perché prestano i loro nomi, spesso in cambio di somme molto consistenti, a lavori cui non hanno partecipato.
Anche il Governo, come l'MHRA, è stato propenso a ritenere che tutto andasse bene. Sostiene che non esiste un sistema alternativo migliore e su questo siamo d'accordo: le ditte farmaceutiche continueranno inevitabilmente a predominare, influenzando le decisioni su quali ricerche effettuare, conducendole, pubblicandone i risultati e producendo l'informazione per i medici. Questo tuttavia non significa che non siano necessari dei cambiamenti.
Le raccomandazioni contenute in questo documento vertono su diverse aree che destano preoccupazione, in primo luogo il processo di autorizzazione all'immissione in commercio. Per migliorare le cose, un aspetto cruciale è una maggiore trasparenza che consenta ai medici, agli esperti e alla gente comune di valutare indipendentemente i dati disponibili. Accogliamo con soddisfazione la decisione dell'industria di istituire un registro degli studi clinici, ma raccomandiamo che ne venga garantita l'indipendenza.
Una maggiore trasparenza è fondamentale anche per il sistema normativo sui farmaci. L'accesso pubblico al materiale che l'MHRA valuta prima di autorizzare un farmaco dovrebbe essere reso più facile.
Lo scopo di ogni nuovo farmaco dovrebbe essere quello di apportare un reale beneficio terapeutico al paziente. L'utilizzo di misure di esito rilevanti per il paziente dovrebbe essere l'aspetto centrale degli studi clinici. A questo scopo, si raccomanda una migliore comunicazione tra l'MHRA e le ditte farmaceutiche nelle fasi iniziali dello sviluppo di un farmaco. Sono assolutamente necessari anche miglioramenti nell'attività di farmacovigilanza postmarketing. Questo dovrà comportare una rivalutazione sistematica dei farmaci.
Si raccomanda di indagare meglio l'aspetto della sicurezza dei farmaci, con studi ad hoc, condotti sia nelle fasi dello sviluppo che dopo la loro immissione in commercio. Il Governo dovrebbe finanziare, con una certa urgenza, studi per verificare il costo delle patologie iatrogene.
Si raccomanda all'MHRA di cercare strumenti per limitare la promozione dei farmaci, soprattutto nel periodo immediatamente successivo all'immissione in commercio. Dovrebbero, inoltre, essere rafforzate le linee guida che prevedono la dichiarazione dell'esistenza di legami fra le ditte farmaceutiche e i gruppi di pazienti.
In considerazione delle inefficienze emerse, si raccomanda una radicale revisione dell'organizzazione dell'MHRA per garantire che vengano autorizzati farmaci sicuri ed efficaci, con le limitazioni prescrittive necessarie.
E' singolare che gli specialisti ospedalieri siano sottoposti a controlli più rigorosi rispetto ai medici di medicina generale. Si raccomanda perciò di imporre restrizioni più severe per la prescrizione nella medicina di base e un maggiore controllo per evitare una prescrizione eccessiva e inappropriata. Deve essere attentamente monitorato anche quello che consigliano farmacisti e infermieri. I medici, e in particolare gli opinion leaders che si trovano in una posizione strategica per condizionare la prescrizione, devono essere obbligati a dichiarare se ricevono somme significative o regali, come ad esempio ospitalità. Gli ordini professionali devono tenere un registro di queste dichiarazioni.
Il Governo ha cercato giustamente di sostenere l'industria, ma deve fare di più per aiutare le ditte farmaceutiche a fare ricerca. Esse infatti devono far fronte da un lato all'etica confondente delle procedure di approvazione dall'altro alla penuria di ricercatori con una preparazione adeguata e di strutture specializzate nella ricerca. L'esperienza positiva del National Cancer Research Network dovrebbe essere il punto di partenza per facilitare la ricerca in altri ambiti di trattamento.
Il Ministero della Salute non deve promuovere unicamente gli interessi dell'industria farmaceutica, ma, deve salvaguardare anche la salute della gente e garantire l'efficienza del Servizio Sanitario. Qui sta il dilemma che non ha facile soluzione. Il Segretario di Stato per la Salute non può dipendere da due padroni. Il Ministero sembra incapace di anteporre gli interessi dei pazienti, dei cittadini e la salute pubblica a quelli dell'industria farmaceutica. Si raccomanda perciò che la responsabilità di rappresentare gli interessi dell'industria passi dal Ministero della Salute a quello dell'Industria e del Commercio.
L'industria farmaceutica inglese è eccellente sotto molti aspetti. Crediamo che queste raccomandazioni siano finalizzate non solo a difendere la salute, ma anche ad aiutare l'industria. Non è nell'interesse a lungo termine dell'industria che medici e cittadini perdano la fiducia. Abbiamo bisogno di un'industria che sia trainata dal valore dei suoi scienziati non dalla forza del suo marketing. Queste raccomandazioni sono state ampiamente ispirate da un commento di Sir Richard Sykes che ci ha molto colpito: "Oggi l'industria si è fatta una cattiva reputazione, un vero peccato per un'industria che dovremmo ammirare, in cui dovremmo credere e che dovremmo sostenere. Credo che molte cose dovrebbero cambiare".