L'utilizzo sempre più diffuso del microscopio a luce polarizzata e di altre tecniche cristallografiche quale presidio diagnostico fondamentale nell'analisi del liquido sinoviale ha consentito di chiarire meglio la patogenesi e il quadro clinico delle artropatie da cristalli.
Inizialmente raggruppate sotto una unica definizione di "gotta", a sua volta causata dalla deposizione di cristalli di urato monosodico, via via si è chiarito il fatto che numerosi sono i cristalli che possono causare una "artrite" (vediBox).
Non solo, ma malgrado le rilevanti diversità tra i diversi cristalli in termini morfologici e di proprietà chimico-fisiche, si è chiarito anche che i diversi quadri clinici che conseguono al deposito di tali cristalli a livello articolare o periarticolare risultano essere spesso tra loro indistinguibili (vedi Tabella 1).
L'esame del liquido sinoviale risulta perciò indispensabile sia per chiarire se si ha a che fare con una artrite da cristalli, e di che tipologia, sia per escludere altre affezioni, in particolare una infezione concomitante. L'articolo vuole fare il punto sul trattamento dei quadri clinici più rilevanti. Gotta da deposizione di cristalli di urato monosodico
E' un disordine metabolico che notoriamente affligge soprattutto il sesso maschile e le donne in post-menopausa. E' tipicamente associato ad un aumentato pool dell'acido urico, iperuricemia e a episodi acuti o cronici ricorrenti di artrite mono o poliarticolare, nonché deposizione di cristalli di acido urico a livello tessutale. L'iperuricemia ha un ruolo centrale nel manifestarsi della gotta ma non è di per sé sufficiente a causare l'artropatia. Altri fattori infatti concorrono al manifestarsi della gotta quali: ipertensione arteriosa, uso di diuretici, obesità centrale, eccessivo consumo di alcool, insufficienza renale. Va ricordato come i livelli plasmatici di acido urico siano spesso ricompresi nei valori normali durante gli attacchi acuti di gotta. Altri eventi in grado di precipitare un attacco di gotta ricomprendono: eccessi dietetici, traumi, interventi chirurgici, sospensione di un trattamento con corticosteroidi o ACTH, inizio di una terapia ipouricemizzante, comparsa di affezioni morbose gravi (es. infarto e ictus). Va infine ricordato come in corso di gotta cronica si possa avere una nefrolitiasi da precipitazione di acido urico e una nefropatia uratica (o nefrosica) interstiziale causa di insufficienza renale.
Il trattamento della gotta da urato monosodico richiede, perciò, una strategia di interventi che vanno al di là del trattamento dell'iperuricemia per interessare diversi momenti patogenetici (vedi Tabella 2).
Clinicamente la gotta si manifesta in tre fasi successive. La prima è caratterizzata da una fase generalmente lunga di iperuricemia asintomatica. La seconda è caratterizzata da attacchi ricorrenti di artrite separati da intervalli più o meno lunghi asintomatici. La terza, che si ritrova nel 10% circa dei pazienti, è caratterizzata dalla comparsa dei tofi e dalla artrite tofacea cronica. Fasi che richiedono approcci terapeutici e/o profilattici specifici.
Punto di partenza essenziale di ogni forma di trattamento è, però, la certezza diagnostica. Se il quadro clinico non è sufficientemente chiaro, specie quando deve essere presa in considerazione in diagnosi differenziale una artrite settica o una cellulite, è opportuno eseguire una artrocentesi di conferma. Trattamento dell'attacco acuto
L'obiettivo primario della terapia dell'attacco di gotta, qualsiasi sia la scelta, sta nel controllare nel più breve tempo possibile la sintomatologia dolorosa, talora insopportabile, obiettivo che può essere raggiunto in genere senza incorrere in rischi di recidiva e con tossicità accettabili ove si utilizzino correttamente i farmaci a disposizione (vediTabella 3). Infatti anche se le indicazioni proposte e gli schemi terapeutici adottati non sono, tranne in rari casi, "evidence based", essi sono ampiamente condivisi e sicuramente efficaci.
Gli antinfiammatori non steroidei tradizionali (FANS) vengono ancor oggi indicati come i farmaci di scelta. La loro azione è pronta e l'efficacia si manifesta in genere entro le 24h. Non v'è ragione per preferire uno o l'altro fra i numerosi composti a nostra disposizione (indometacina, naproxene e diclofenac sono tra i più prescritti), essendo la loro efficacia e tollerabilità sostanzialmente equivalenti.
Esistono però situazioni per le quali può risultare preferibile ricorrere all'impiego di altri farmaci, in particolare i corticosteroidi (vedi Tabella 4). Tale scelta è comprensibile se si deve tenere conto del profilo di tossicità dei FANS che include, tra gli altri, tossicità gastrointestinale, renale, cardiovascolare, ritenzione idrosalina e ipersensibilità all'ASA.
Anche se impiegati, più spesso in combinazione e nella fase precoce dell'attacco acuto, gli analgesici oppiacei non hanno offerto, in studi clinici controllati, alcun vantaggio terapeutico documentato rispetto ai FANS e non trovano perciò un utilizzo razionale.
I corticosteroidi hanno, invece, un ruolo di primo piano ove impiegati nei pazienti che presentano controindicazioni all'impiego dei FANS e della colchicina. Le ragioni per privilegiare l'impiego dei corticosteroidi nella terapia dell'attacco di gotta acuto rispetto all'utilizzo dei FANS e della colchicina è la presenza di comorbilita' quali:
scompenso cardiaco
ipertensione non controllata
insufficienza renale
ulcera peptica
sanguinamento gastrointestinale
diatesi emorragica
anticoagulanti
ipersensibilita' ai FANS
mancata risposta a FANS o colchicina.
I vantaggi apportati da questa classe di farmaci stanno nella flessibilità della via di somministrazione [via orale, parenterale (i.m. e e.v.) o intraarticolare], nella possibilità di impiego nelle situazioni di comorbilità più varie (es. insufficienza renale, epatica, anticoagulazione in atto) e nel profilo di minore tossicità. Il loro impiego va comunque evitato (specie per via intraarticolare) ove sussista il dubbio di una artrite settica e in presenza di un diabete scompensato. La scelta tra le varie formulazioni disponibili dipende dall'obiettivo che ci si pone (es. rapidità d'azione: via parenterale), dalle preferenze del paziente (es. evitare artrocentesi) o necessità di una conferma diagnostica (artrocentesi e contemporaneamente iniezione intra-articolare).
Accanto ai corticosteroidi viene citato in letteratura uno studio controllato che supporta l'impiego dell'ACTH sintetico nell'attacco acuto di gotta, offrendo questo farmaco una efficacia più rapida dell'indometacina e con meno effetti indesiderati. L'efficacia è risultata simile rispetto a quella dei corticosteroidi. Problemi con l'impiego dell'ACTH sono però rappresentati dalla necessità di somministrazione parenterale, dalla possibile sensibilizzazione al farmaco e dalla sua difficile reperibilità.
La colchicina rappresenta il rimedio più "vecchio" ma tutt'ora ampiamente utilizzato. Uno dei pochi studi controllati disponibili ha dimostrato come 2/3 dei pazienti con attacco acuto di gotta hanno risposto al trattamento con colchicina nell'arco di poche ore dall'inizio della terapia, questo a patto che la colchicina venisse somministrata al più presto possibile (entro 18 ore circa) dopo la comparsa di sintomi che caratterizzano l'attacco acuto. Il farmaco è di semplice utilizzo e il paziente può essere educato ad assumerlo all'insorgenza dei primi sintomi con il vantaggio così di risolvere più rapidamente il quadro artritico acuto. Cruciale ai fini del successo terapeutico è la conoscenza delle modalità di somministrazione e dei suoi effetti tossici. Il farmaco, in commercio nel nostro paese in granuli da 1 mg, deve essere somministrato alla dose di 1 mg per os, ripetibile soltanto a distanza di 1 ora per un totale di 2 mg-3 mg come dose massima/die. Il farmaco va interrotto alla prima comparsa di nausea, vomito o diarrea. Un impiego prolungato di colchicina può essere giustificato, a dosi ridotte, solo come profilassi degli attacchi di gotta nel momento in cui si inizia una terapia ipouricemizzante. Ciò richiede però un attento monitoraggio clinico e laboratoristico del paziente per cogliere in tempo eventuali effetti tossici, es. debolezza muscolare, aumento CPK, depressione midollare, insufficienza renale. Esistono numerose segnalazioni che documentano come la colchicina al fine di accelerare il controllo della sintomatologia dolorosa possa essere somministrata per via endovenosa. Questa formulazione non è in commercio nel nostro paese, ma il suo impiego va bandito dalla pratica clinica dato il numero elevato e la gravità degli effetti indesiderati osservati (insufficienza renale, epatica, miopatia, depressione midollare) anche a dosi < ai 2mg. Condizioni predisponenti alla tossicità da colchicina sono l'età avanzata, l'insufficienza renale, e l'interazione con alcuni farmaci quali eritromicina, claritromicina, simvastatina, ciclosporina, che sono in grado di ridurre la eliminazione della colchicina inibendo l'attività del citocromo P450 e del sistema di trasporto della P-glicoproteina.
Accanto all'impiego terapeutico sopra descritto, FANS e colchicina trovano impiego profilattico sia pure meno rilevante, negli attacchi acuti ricorrenti particolarmente frequenti nei pazienti nei quali è stata iniziata da poco una terapia antiuricemica o alla sospensione di una terapia corticosteroidea a suo tempo prescritta per il controllo di un attacco acuto. In realtà, gli studi a sostegno di tale impiego profilattico riguardano quasi esclusivamente la colchicina. Lo schema più utilizzato suggerisce l'utilizzo di 1 mg di colchicina al dì per i primi 6 mesi di terapia ipouricemica o per qualche giorno dopo l'attacco acuto trattato con steroidi. La riacutizzazione artritica ("flare") nei pazienti trattati con steroidi è peraltro meno frequente se il prednisone viene ridotto gradualmente nel giro di 1-2 settimane. L'uso protratto profilattico della colchicina va però ponderato attentamente, alla luce dei possibili effetti indesiderati (vedi sopra) e della necessità di monitorare attentamente la funzionalità renale del paziente. Il trattamento dell'iperuricemia
L'iperuricemia gioca un ruolo fondamentale nella patogenesi della gotta. L'uomo non esprime l'enzima uricasi che può degradare l'acido urico che così risulta essere il prodotto terminale della degradazione delle purine. Nell'uomo i livelli di acido urico sono prossimi ai limiti di solubilità (7 mg/dl, 37°C) e richiedono un delicato sistema di controllo per evitare la precipitazione in organi e tessuti. L'iperuricemia, pur importante nella patogenesi della gotta, non causa inevitabilmente malattia. I fattori concomitanti che aumentano il rischio di comparsa della gotta sono numerosi: ipertensione, obesità, eccesso di alcol e utilizzo di certi farmaci (es. diuretici, ciclosporina). Appare ovvio, perciò, che l'approccio terapeutico più corretto non dovrà essere limitato a quello farmacologico ma soprattutto dovrà prendere in attenta considerazione la correzione della comorbilità sopra citata. Più controversa l'importanza di una dieta appropriata anche se uno studio di grandi dimensioni recente, prospettico, della durata di 12 anni ha dimostrato come un consumo più elevato di carne o pesce sia associato ad un aumentato rischio di gotta, mentre una dieta più ricca in prodotti derivati dal latte diminuisce tale rischio. Infine, un moderato apporto di vegetali ricchi di purine o proteine non aumenta il rischio di gotta.
Le più importanti indicazioni per iniziare un trattamento volto a ridurre l'iperuricemia nei pazienti con gotta sono la presenza di tofi e la ricorrenza di episodi artritici gottosi, (in genere 3 o più l'anno) nonché, ove possibile, la documentazione di una aumentata produzione di acido urico. La terapia, una volta iniziata, va portata avanti in modo continuo se si vuole ottenere un risultato apprezzabile e duraturo. Non è opportuno iniziare un trattamento ipouricemizzante durante o vicino l'inizio di una terapia di un attacco acuto per non correre il rischio di una riacutizzazione dell'artrite. Per evitare ciò, può essere utile associare al farmaco ipouricemizzante piccole dosi di colchicina.
La scelta farmacologica è tra farmaci uricosurici, cioè in grado di aumentare l'eliminazione di acido urico [probenecid, (non in commercio in Italia), sulfinpirazone, (in Italia non ha indicazione nella gotta)], farmaci che inibiscono la sintesi di acido urico [allopurinolo, febuxastat, (non ancora in commercio in Italia)] o degradano l'acido urico [uricasi (non più in commercio in Italia), rasburicasi] (Tabella 5).
Due sono gli approcci terapeutici possibili al trattamento dell'iperuricemia. Il primo si basa sulla identificazione dei pazienti che hanno un'eccessiva produzione di acido urico (definita come > 800-1000mg di acido urico nelle urine delle 24h). Anche se tale test può essere utile nell'identificare i pazienti nei quali è sconsigliabile l'impiego di un farmaco uricosurico che aumenterebbe il rischio di urolitiasi, esso presenta alcune limitazioni: può fornire risultati falsamente positivi, rende impossibile l'identificazione di una aumentata produzione di urati nei pazienti con insufficienza renale (clearance < 60ml/min) e non vi sono studi che abbiano dimostrato che un tale monitoraggio della escrezione urinaria di acido urico comporti qualche vantaggio clinico. Per tale motivo il test oggi è raramente praticato.
Il secondo possibile approccio terapeutico si basa invece sull'impiego empirico dell'allopurinolo (farmaco in grado di inibire la sintesi di acido urico) indipendentemente dal fatto che il paziente sia o meno in grado di produrre un eccesso di urati.
Nella pratica clinica si è fatta sempre più chiara la tendenza a considerare questa come scelta terapeutica ottimale, indipendentemente dalla causa dell'iperuricemia. Ciò è dovuto a fattori molteplici: l'efficacia dimostrata in studi clinici controllati non solo nel ridurre l'uricemia ma anche nel ridurre gli attacchi ricorrenti di gotta, la riduzione delle dimensioni dei tofi, la possibilità di impiego in pazienti con insufficienza renale e, infine, la facilità di somministrazione. La tollerabilità dell'allopurinolo nella terapia prolungata è buona, ma va monitorata con attenzione per cogliere, alla loro prima comparsa, eventuali sintomi d'allarme di manifestazioni di ipersensibilità gravi che coinvolgono più organi e apparati configurando una situazione ben conosciuta (interessamento variamente combinato di tossicità cutanea, renale, epatica, vasculitica) talora letale. Le sindromi d'ipersensibilità più gravi si manifestano con maggiore frequenza in pazienti con insufficienza renale e trattati con dosi elevate del farmaco. L'impiego dell'allopurinolo non va perciò fatto alla leggera ma seguendo con attenzione indicazioni d'impiego, precauzioni d'uso e attento monitoraggio clinico.
Non sempre le reazioni di ipersensibilità risultano gravi e ciò può consentire l'impiego di una procedura di de-sensibilizzazione. L'impiego del metabolita attivo dell'allopurinolo, oxipurinolo (Oxyprim - non in commercio in Italia) potrebbe essere utile così come una possibile ulteriore prospettiva terapeutica è rappresentata dal nuovo inibitore della xantina-ossidasi, il febuxastat. In studi randomizzati controllati, questo farmaco si è dimostrato un efficace ipouricemizzante, almeno attivo quanto l'allopurinolo. La efficacia clinica e la sua tollerabilità nel lungo termine attendono conferma.
Un ruolo terapeutico importante è quello svolto dalla uricasi (urato ossidasi) ricombinante (rasburicasi), ora la sola disponibile in commercio, che trova impiego elettivo nella prevenzione della sindrome da lisi tumorale ma sono in fase di avanzata sperimentazione altre formulazioni (es. uricasi pegilata) che vengono studiate anche nel trattamento della gotta refrattaria ad altri trattamenti.
Un cenno particolare meritano le modalità di trattamento della gotta nei pazienti con trapianto d'organo. La gotta è, infatti, frequente in chi è stato sottoposto a trapianti, in particolare di rene, cuore, e nei pazienti trattati con ciclosporina che è in grado di ridurre la clearance dell'acido urico. L'esperienza di numerosi centri trapiantologici suggerisce alcune linee di comportamento prescrittivo che possono essere utili nella terapia e nella profilassi della gotta.
- Gli attacchi acuti vanno trattati con corticosteroidi con le usuali modalità, avendo cura di evitare l'impiego dei FANS o della colchicina per la loro potenziale nefrotossicità.
- Per la profilassi della gotta tofacea e degli attacchi ricorrenti si suggerisce il ricorso all'impiego prolungato di allopurinolo in associazione al trattamento immunosoppressore (azatioprina o micofenolato-mofetil). Alternativa possibile è l'impiego del probenecid con o senza allopurinolo, associato ad appropriata idratazione e alcalinizzazione delle urine. Altre artropatie da cristalli
Tre quadri clinici meritano attenzione :
- artrite da depositi di calcio pirofosfonato
- artrite da depositi di idrossiapatite
- artrite da depositi di calcio ossalato
L'espressione clinica, il decorso e il trattamento di queste artriti hanno caratteristiche simili. In particolare il loro trattamento è del tutto aspecifico e non molto efficace così da consentire l'evoluzione dell'artrite con conseguenti danni spesso irreversibili. L'interesse per queste artriti per il medico di base è assai limitato data la loro bassa prevalenza. Se ne fa perciò solo una schematica descrizione.
La Tabella 6 illustra schematicamente le principali manifestazioni cliniche delle tre entità e nella Tabella 7 viene schematizzato il loro trattamento sintomatico. Conclusioni
Le nostre conoscenze sul trattamento delle artriti da cristalli non sono supportate da studi clinici adeguati. La stessa gotta uratica manca di talune informazioni potenzialmente rilevanti:
non si sa se la gotta e l'iperuricemia sono fattori di rischio indipendenti per le malattie cardiovascolari nell'uomo e come tali vadano comunque trattati;
non si sa se un trattamento combinato di allopurinolo più probenicid sia efficace più della terapia convenzionale nella gotta refrattaria;
ove si impieghi la colchicina in profilassi, non è noto per quanto tempo tale trattamento debba essere prolungato;
non è noto di quanto vada ridotta l'uricemia, per prevenire efficacemente la comparsa di attacchi ricorrenti;
mancano degli studi adeguati "testa-testa" tra le varie opzioni terapeutiche possibili così da indicare il farmaco di scelta (sia nel trattamento dell'attacco che nella fase cronica);
studi di confronto tra le varie opzioni terapeutiche sono particolarmente auspicabili in alcune situazioni cliniche particolarmente delicate quali i pazienti trapiantati.
E' difficile pensare che tali lacune verranno sanate da nuovi studi randomizzati controllati aventi come oggetto questi vecchi farmaci. E' auspicabile però che, almeno per le nuove molecole, si presti maggiore attenzione alla esatta definizione del loro profilo comparativo di efficacia e tollerabilità rispetto ai vecchi farmaci, in modo da avere chiaro il loro reale "place in therapy" e il rapporto costo/beneficio. Bibliografia 1. R.A. Terkeltaub. Gout. N Engl J Med 2003; 347: 17. 2. N. Schlesinger et al. Gout: can management be improved? Curr Opin Rheumatol 2001; 13: 240-4. 3. R.J. Johnson et al. Uric acid diet - Insights into the epidemic of cardiovascular disease. N Engl J Med 2004;350: 11. 4. H.K. Choi et al. Purine-rich foods, dairy and protein intake, and the risk of gout in men. N Engl J Med 2004;350: 11. 5. M.H. Ellman et al. Crystal-induced arthropathies : recent investigative advances. Curr Opin Rheumatol 2006;18: 249. 6. C.A. Agudelo et al. Gout: diagnosis, pathogenesis, and clinical manifestations. Curr Opin Rheumatol 2001; 13: 234-9.