Il tema
Questo numero di ISF ruota intorno a due contributi:
a) uno, più "autorevole" per i suoi contenuti, propone la versione italiana, accompagnata da un inquadramento storico-legislativo, dell'ultima versione della Dichiarazione di Helsinki, la magna charta dell'etica medica in campo di ricerca (sperimentazione clinica);
b) il secondo è il commento, molto sintetico e denso, ad alcuni dei più recenti (e rilevanti) risultati di ricerca clinica in uno dei settori certo più critici (ed importanti, sia dal punto di vista dell'interesse dei/delle pazienti, che della salute pubblica), quale è il diabete . Insieme, i due contributi vogliono giustificare-commentare il titolo di questa nota editoriale. Qual è il messaggio di una "traduzione" della Dichiarazione?
«È tolta anche l'ultima scusa per non conoscere che cosa vi è contenuto; non continuate a citarne il nome e l'autorità, senza sapere di che cosa parlate e che cosa implica; l'uso dell'etica come proclamazione di principi che dispensano dalle pratiche rischia di essere molto simile alla aggressività di una cultura concentrata sulla suggestione-manipolazione delle apparenze e delle formalità, che mirano a far sentire come secondario-facoltativo il senso e l'opportunità dei contenuti».
Ed i risultati degli studi sul diabete aggiungono l'ipotesi - sempre più pubblicizzata come "evidenza" già dimostrata - che un'aggressività di "controllo" misurata in termini di bassi livelli di HbA1c, e di abbassamenti "estremi" di pressione arteriosa, fosse non solo opportuna, ma imprescindibile, si è rivelata sostanzialmente falsa: all'assenza di benefici documentabili si aggiunge la verosimiglianza di rischi. Il messaggio è ben confermato, tra l'altro, da pubblicazioni indipendenti ed autorevoli, che:
Il contesto medico
La raccomandazione di sobrietà riguardante il diabete rimanda alla logica di Helsinki: si sperimenta qualcosa "in più" quando ci sono ragioni veramente solide per andare al di là di una buona pratica clinica; la "responsabilità" complessiva nel gestire un problema è conditio sine qua non per giustificare un'aggressività supplementare. L'ambito di rilevanza di quest'affermazione si estende al di là del diabete.
Il contesto "macro"
Referenza obbligata sono qui tutte le pubblicazioni — pro, contro, in tutto, in parte, — che hanno riguardato il caso della riforma Obama della Sanità. Non è più certo il luogo di ripercorrerlo, la sua citazione è tuttavia imprescindibile, in una riflessione nell'aggressività, perché quello scenario ne ha dato lo spettacolo completo. Con tutti gli attori. Assicurazioni. Industrie farmaceutiche. Lobbies. Con tutta la loro violenza: politica, economica, culturale. Senza esclusioni di colpi. Fino a vendere/comprare per 1-2 voti il "diritto alla scelta" delle donne rispetto alla loro vita e a quella dei figli nell'interruzione volontaria della gravidanza. Il "passaggio storico" è un dato di fatto16; ma la "guerra è tutt'altro che finita"17. Il linguaggio non tradisce. Le guerre si lanciano, si combattono, si vincono, si perdono anche con le "emozioni" del linguaggio. Guerre ed emozioni sono i termini di editoriali dello stesso giornale medico leader nel settore, ma anche (con altro linguaggio) del film "The Hurt Locker" vincitore dell'Oscar 2010, che fa "vedere" e "sentire" che l'aggressività della guerra è entrata nella vita, anche se travestita da quella che si vorrebbe fosse solo una diagnosi psichiatrica, PTSD, (Post-Traumatic–Stress–Disorder). E rischia di non andarsene mai.
Condannati all'aggressività?
Anche la Dichiarazione di Helsinki così "pacifica", è stata accusata di aggressività18 tanto che la sua citazione è proibita dall'autorità regolatoria degli Stati Uniti : forse perché l'hanno letta, e questo pericolo è assente in Europa? E' bene, semplicemente, sapere che viviamo in un mondo non-lineare, né acquisito in cui si deve ogni giorno ri-scoprire che:
Conclusioni
È bello riconoscere – facendo il proprio mestiere "professionale", in una logica d'informazione indipendente, cioè disincantata – che ci si trova a porsi le stesse domande, ed a sperimentare le stesse possibili risposte, di tutte/i quelle/i con le/i quali siamo "cittadini": sempre più – tutte/i, noi e loro, – esposte/i a scelte tra l'aggressività (fino alla violenza) delle sicurezze proclamate, e la difesa condivisa e responsabile dei "beni comuni" della vita.