La "Dichiarazione di Helsinki" sull'etica della ricerca clinica.
Quali novità nella quinta revisione?
Albano del Favero
Il progresso in medicina, sia pure inteso in senso restrittivo come la capacità di prevenire e curare le malattie, è strettamente connesso alla sempre più approfondita conoscenza dei fenomeni biologici e clinici e perciò la ricerca è il motore indispensabile di tale progresso. Questa interconnessione ricerca - conoscenza - maggiori capacità di affrontare i problemi di salute, a livello di tutte le popolazioni, non è però così lineare specie per quanto attiene la ricerca di nuovi farmaci. L'industria infatti investe là dove pensa di poter realizzare un buon profitto e persegue questo obiettivo cercando la strada che porti nel tempo più breve e nel modo più rapido alla registrazione e commercializzazione del farmaco. Spesso ciò comporta che si vengano a scontrare due interessi contrapposti: quello dell'industria e quello del paziente che partecipa alla ricerca stessa. L'attenzione ai problemi etici posti da tale possibile conflitto di interessi ha fatto sì che si sia avvertita da parte della comunità scientifica la necessità di stabilire una serie di norme che regolamentino la sperimentazione clinica in modo da evitare, o ridurre al minimo, i possibili danni derivabili al paziente dal partecipare ad uno studio di ricerca clinica. Dette norme hanno avuto la loro prima codifica nella "Dichiarazione di Helsinki" pubblicata nel 1964 per conto della Associazione Medica Mondiale (W.M.A.). Questo documento ha esercitato una influenza notevolissima nella formulazione di legislazioni, codici di condotta o altre regolamentazioni della ricerca medica a livello internazionale (vedi ad esempio le "Linee Guida etiche internazionali per la ricerca biomedica sulla specie umana pubblicate dall'O.M.S. nel 1994).
La prima versione di questa dichiarazione è stata poi aggiornata e rivista in altre 3 occasioni: a Tokyo nel 1975, a Venezia nel 1983 e a Hong Kong nel 1989. Il bollettino ha già pubblicato (nel 1988, vol.l2 pag.155) la revisione del 1983 di Venezia.
Va ricordato che la dichiarazione definisce delle linee guida etiche per i medici impegnati nella ricerca biomedica clinica e non, e fornisce le regole per il consenso informato dei soggetti, per la revisione etica dei protocolli di ricerca e per quant'altro possa risultare utile perché la ricerca venga condotta nel rispetto di tre principi etici generali: il rispetto della persona, il principio di beneficenza e quello di giustizia.
Sarà bene ricordare come il rispetto per la persona incorpori due considerazioni etiche fondamentali:
il rispetto della autonomia dell'individuo, in base al quale coloro che sono in grado di compiere una scelta individuale devono essere trattati nel rispetto della loro capacità di autodeterminazione;
la protezione degli individui la cui autonomia è compromessa o diminuita, in base alla quale gli individui dipendenti da altri o vulnerabili devono essere garantiti da danni o violenze.
Il principio di beneficenza si riferisce invece al dovere etico di trattare le persone con giustizia ed equità. Tale principio si riferisce in modo particolare alla giustizia distributiva, che richiede una equa distribuzione di vantaggi e svantaggi dalla partecipazione alla ricerca ma si riferisce anche al fatto che in presenza di individui particolarmente vulnerabili (cioè non in grado di proteggere i propri interessi) questi ultimi debbano essere in qualche modo protetti nei loro diritti e nel loro benessere.
Cosa c'è di nuovo nella quinta revisione della dichiarazione della W.M.A. a Edimburgo, nella sua prima riunione all'inizio del nuovo millennio?
Le nuove raccomandazioni riguardano alcuni aspetti cruciali della ricerca clinica, aspetti in parte già presenti nelle precedenti versioni ma che qui vengono ulteriormente approfonditi e chiariti anche alla luce dei nuovi problemi posti dalla ricerca. Quattro sono i temi affrontati:
Viene risottolineato con forza e in modo inequivocabile come sia necessario ottenere il consenso informato, preferibilmente scritto, da parte di tutti i soggetti partecipanti alla ricerca e come la partecipazione alla ricerca di individui non in grado di fornire detto consenso debba risultare solo una rara eccezione alla regola.
Sembrerà strano che ancora oggi a distanza di più di vent'anni dalla promulgazione della Dichiarazione vi sia la necessità di ribadire con forza l'importanza di tale raccomandazione. Al di là dei grandi limiti che caratterizzano (o possono caratterizzare) il consenso informato, appare inconcepibile che esso possa non essere richiesto. Purtroppo esempi recenti dimostrano il contrario (R. Horton Retraction: Interferon alfa-2b in Behcet's disease - Lancet 2000; 356:1292) e tali evenienze probabilmente rispecchiano solo la punta di un iceberg. Sarebbe interessante sapere quanti Comitati Etici nel corso della loro attività, ormai spesso poliennale, hanno verificato la correttezza della informazione realmente fornita al paziente e quale consenso in realtà è stato dato e da parte di chi. Per esperienza personale, detta attività di verifica e controllo che dovrebbe essere esercitata anche dai comitati etici si limita alla approvazione del testo del consenso informato ma assai raramente si concretizza in una verifica "sul campo", assieme allo sperimentatore, dell'adeguatezza delle informazioni fornite al paziente e della reale comprensione da parte del paziente stesso del reale significato della ricerca nella quale viene coinvolto.
E' da sperare che il messaggio della W.M.A serva da stimolo per iniziative in questo senso, non a scopo punitivo o di controllo burocratico ma al fine di creare una cultura sempre più fondata sul rispetto dell'autonomia decisionale dell'individuo e sulla correttezza e rilevanza clinica della ricerca.
Viene stabilito che ogni ricerca deve garantire la possibilità di un beneficio reale a chi vi partecipa. Viene esplicitamente affermato che una ricerca risulta giustificata solo se la popolazione oggetto di studio potrà usufruire dei benefici eventuali derivati dalla ricerca stessa. E' questo un chiaro segnale rivolto a tutte le istituzioni di ricerca e soprattutto all'industria farmaceutica, col quale si vuole evitare quanto già successo in passato e cioè che le popolazioni più ricche possano sfruttare quelle più povere testando su queste ultime nuovi farmaci che però potranno essere disponibili solo a chi ha i soldi per comprarli. L'esempio più eclatante di tale evenienza è quello della sperimentazione clinica dei farmaci antivirali da impiegare nella terapia dell'AIDS. La popolazione coinvolta nello studio di nuovi farmaci dovrà essere garantita nel suo diritto a beneficiare dei risultati della ricerca indipendentemente dalle disponibilità economiche o da impedimenti di altra natura.
Viene affermato con forza che qualsiasi studio volto a documentare l'efficacia di un trattamento deve comunque garantire ai partecipanti la miglior terapia disponibile. Solo in caso di mancanza di un efficace trattamento si potrà ricorrere al confronto col placebo. Trattasi di un grosso passo in avanti verso la protezione dell'individuo che partecipa alla ricerca e dovrebbe porre fine alle richieste, spesso non motivate, che alcune istituzioni regolatorie (es. la stessa FDA) fanno di condurre comunque studi contro placebo anche laddove esistono trattamenti efficaci consolidati. Richieste chiaramente non etiche.
Viene finalmente richiesto che tutti gli sperimentatori partecipanti allo studio debbano dichiarare l'esistenza di eventuali interessi economici o altri potenziali conflitti di interesse, in modo che si possa oggettivamente valutare il potenziale rischio di un'interpretazione dei dati della ricerca motivata da altri interessi che non siano solo quelli scientifici.
Come si vede, apparentemente, nulla di straordinariamente nuovo ma sicuramente un passo in avanti nel rafforzare più le indicazioni dei principi etici fondamentali da seguire, in presenza di una "ricerca" sempre più attenta al "mercato" più che agli interessi dei pazienti e alla loro autonomia decisionale. Non a caso per questa quinta revisione sono occorsi vari anni di consultazioni tra W.M.A, associazioni scientifiche, autorità regolatorie, associazioni di consumatori e industria farmaceutica prima di trovare un consenso. Essa verrà diffusa capillarmente ed è sperabile che venga utilizzata dai comitati etici di tutto il mondo non come un documento da allegare burocraticamente ai protocollo di ricerca e alla documentazione necessaria per poter iniziare uno studio clinico ma come espressione di una nuova cultura dell'etica sempre più vicina agli interessi veri dei soggetti della sperimentazione e delle popolazioni più in generale.
(Il testo è disponibile al sito www. wma.net).