Si definisce ipotensione ortostatica la condizione clinica caratterizzata dalla riduzione della pressione arteriosa sistolica di almeno 20 mmHg o della pressione arteriosa diastolica di almeno 10 mmHg dopo 3 minuti di ortostatismo attivo1.
In genere, la sua insorgenza è espressione di un danno a carico del sistema nervoso autonomo cardiovascolare, soprattutto di quei meccanismi che consentono al soggetto sano di adattarsi a differenti stimoli ambientali ed in particolare allo stimolo gravitazionale.
Non sono disponibili dati di prevalenza nella popolazione generale; in letteratura l'ipotensione ortostatica è associata a patologie come il diabete e il morbo di Parkinson. Si calcola che l'ipotensione ortostatica sia responsabile dell'8% circa di tutte le sincopi e ne diventi la principale causa (30% dei casi) nella popolazione anziana2. In particolare nella terza età, la prevalenza varia dal 6% negli anziani che vivono a casa propria fino al 33% di quelli istituzionalizzati3. L'ipotensione ortostatica è largamente sottostimata nella comune pratica clinica e dunque meritevole di maggiore attenzione. Determina, infatti, un netto peggioramento della qualità di vita dei pazienti ed è responsabile di grave disabilità e di elevati costi sociali poiché frequentemente responsabile di cadute a terra e fratture che richiedono un ricovero ospedaliero. Fisiopatologia
I meccanismi responsabili dell'insorgenza dell'ipotensione ortostatica sono molteplici (Figura 1). Nel soggetto sano, l'assunzione della posizione eretta comporta il sequestro di circa 800 ml di liquidi all'interno del distretto venoso ad alta capacitanza situato al di sotto del cuore. Questo sequestro causa una istantanea caduta della pressione venosa centrale, una riduzione della gittata cardiaca ed una ipotensione sistemica4 determinando una riduzione dell'attività di scarica dei barocettori arteriosi e delle afferenze cardiopolmonari. La conseguente riduzione dell'attività vagale e l'aumento dell'attività nervosa simpatica efferente diretta al cuore e ai vasi provocano una vasocostrizione arteriosa e venosa, un incremento della frequenza cardiaca, dell'inotropismo cardiaco e la liberazione di catecolamine finalizzato al mantenimento dell'omeostasi pressoria sistemica ed in particolare cerebrale5. Inoltre, l'incremento generalizzato dell'attività di modulazione simpatica cardiovascolare può essere sostenuto anche da meccanismi di feedback positivo correlati all'eccitazione delle fibre simpatiche afferenti6, generati dall'afflusso di sangue nel distretto splancnico a bassa pressione conseguente allo stimolo gravitazionale. Altro meccanismo rilevante nel contrastare la caduta pressoria in posizione eretta è costituito dall'attivazione della muscolatura degli arti inferiori. L'attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone contribuisce anch'esso al mantenimento dello stato normotensivo, ma il suo contributo avviene tardivamente.
L'alterazione di uno di questi complessi meccanismi regolatori può condurre ad una occasionale (isolata) o abituale (cronica) ipotensione ortostatica, sintomatica o asintomatica. A parità di variazioni pressorie, i soggetti asintomatici possiedono un miglior meccanismo di autoregolazione del flusso cerebrale7 che consente loro di salvaguardarsi meglio dal danno ipossico causato dai ripetuti episodi di ipoperfusione. L'approccio terapeutico dovrebbe tenere conto di questo dato clinico al fine di riservare solo ai pazienti con ipotensione ortostatica sintomatica una terapia più aggressiva.
In questa breve rassegna ci occuperemo prevalentemente dell'ipotensione ortostatica cronica in quanto più interessante sotto il profilo clinico e più difficile sia dal punto di vista diagnostico che terapeutico. Eziologia
L'ipotensione ortostatica è il segno finale prodotto da diverse patologie assai differenti per frequenza e prognosi. Esse possono essere distinte in acute e croniche ed in primitive e secondarie7 (Tabella 1).
Detto che almeno il 6% degli anziani non ospedalizzati soffre di ipotensione ortostatica secondaria ai processi fisiologici di invecchiamento, va aggiunto che, per l'elevata prevalenza dell'ipertensione arteriosa nell'anziano, la causa di gran lunga più frequente di ipotensione ortostatica è quella secondaria al trattamento antipertensivo, in particolare quello con effetto vasodilatatore periferico (nitrati, calcio-antagonisti), beta-bloccante e diuretico (deplezione di volume). Le categorie di farmaci che causano ipotensione come effetto indesiderato sono, comunque, numerose: dagli alfalitici utilizzati per il trattamento dell'ipertrofia prostatica, agli antidepressivi triciclici, ai farmaci antiparkinsoniani quali la levodopa e la bromocriptina e alle sostanze voluttuarie come l'alcool e la cannabis7.
Tra le patologie di interesse internistico che si associano ad ipotensione ortostatica, il diabete mellito è la più diffusa. Il 20% circa dei diabetici soffre di disturbi a carico del sistema nervoso autonomo8 e nello specifico cardiovascolare, ma non è possibile stabilire l'esatta prevalenza di ipotensione ortostatica per la variabilità di incidenza osservata (probabilmente dovuta alla scarsa confrontabilità dei pazienti)9,10. Oltre che all'incremento del normale sequestro sanguigno splancnico, l'ipotensione ortostatica può essere dovuta anche all'ipersensibilità del diabetico all'effetto ipotensivo dell'insulina11,12 nonché ai danni neurologici associati alla microangiopatia. In questi pazienti, è molto importante valutare la presenza di disautonomia dato che essi mostrano un rischio relativo di morte per ogni causa e di ischemia cardiaca silente raddoppiato rispetto alla popolazione generale8. L'ipotensione ortostatica è di frequente riscontro anche nell'insufficienza renale cronica terminale (paziente dializzato), nell'alcoolismo acuto e cronico, nella cirrosi epatica, nelle sindromi paraneoplastiche, nell'HIV e nell'amiloidosi. La sua presenza costituisce sempre un indice prognostico sfavorevole.
Una menzione particolare meritano le disautonomie primitive ovvero quelle patologie di tipo degenerativo a carico del sistema nervoso autonomo che spesso sono caratterizzate da importante ipotensione ortostatica e che sono associate a prognosi grave o addirittura infausta. Tra queste, la Pure Autonomic Failure (PAF), disordine neurodegenerativo raro caratterizzato da una grave ipotensione ortostatica non associata ad alcun incremento compensatorio della frequenza cardiaca7,13. E' causata da una degenerazione periferica delle fibre simpatiche postgangliari e si manifesta principalmente intorno ai 60 anni con prevalenza per il sesso maschile. Spesso l'ipotensione ortostatica è l'unica manifestazione della malattia essendo il sistema nervoso autonomo cardiovascolare selettivamente colpito; l'eziologia è tuttora ignota. La Multiple System Atrophy (MSA), nota anche come Shy-Drager syndrome, è un disordine caratterizzato da una degenerazione nervosa a livello centrale nel quale un grave coinvolgimento cardiovascolare si associa ad un marcato coinvolgimento viscerale (apparati urogenitale e gastrointestinale)7,14,15. Essa è più frequente rispetto alla PAF, soprattutto se includiamo in questa categoria anche quella consistente parte dei soggetti affetti da malattia di Parkinson e ipotensione ortostatica16-18. Si stima che la frequenza di ipotensione ortostatica in questi pazienti vari dal 16% al 58%16. Alterazioni del sistema nervoso autonomo sono presenti già nelle fasi precoci della malattia prima del manifestarsi dell'ipotensione ortostatica19,20. Non sono correlate né alla durata né alla gravità della malattia né in modo significativo all'effetto collaterale della levodopa17 e vanno sempre sospettate in tutti i pazienti con morbo di Parkinson. Approccio al paziente Anamnesi ed esame obiettivo
In tutti i pazienti a rischio va effettuata una ricerca attiva dei sintomi di ipotensione ortostatica; in caso affermativo è necessario confermare la condizione clinica, ricercarne le cause ed intervenire precocemente nel trattamento.
La misurazione della pressione arteriosa in clinostatismo e dopo 3 minuti di ortostatismo rendono semplice e a basso costo la diagnosi di ipotensione ortostatica; la contemporanea misura della frequenza cardiaca in clinostatismo e successivamente in ortostatismo consente, in caso di assenza di tachicardia compensatoria, di orientare verso il sospetto di danno a carico del sistema nervoso di regolazione cardiovascolare. L'approccio al paziente può essere relativamente semplice se si tratta di forme di tipo iatrogeno, e quindi in assenza di disautonomia, ma può essere molto complesso, e richiedere il coinvolgimento di strutture specialistiche, se l'ipotensione ortostatica deriva da una alterazione del sistema nervoso autonomo. Nel primo caso è sufficiente una rivalutazione della terapia, che in alcune circostanze può determinare la sospensione del farmaco, in altre una variazione dell'orario di somministrazione (es. antipertensivo assunto la sera anzichè la mattina). Al contrario, l'identificazione di ipotensione ortostatica nell'ambito di patologie come il diabete mellito o il morbo di Parkinson può essere indice del coinvolgimento del sistema nervoso autonomo di regolazione cardiovascolare e richiede un approccio più ampio. Purtroppo sia gli interventi di tipo comportamentale che farmacologico risultano a volte solo parzialmente in grado di contrastare i disturbi e la conseguente disabilità del paziente.
I sintomi legati all'ipotensione ortostatica si manifestano ai cambi di posizione (da sdraiato a seduto, da seduto a in piedi) e al mantenimento della posizione ortostatica soprattutto se prolungata; sono frequenti dopo esercizio fisico e in ambienti caldi. Inoltre, ne va indagata la relazione temporale rispetto all'assunzione della terapia antipertensiva. Offuscamento del visus, senso di testa leggera, visione a tunnel, sudorazione profusa, nausea e vomito, dolore interscapolare, fino alla perdita di coscienza sono i principali sintomi di intolleranza ortostatica. Generalmente regrediscono rapidamente con l'assunzione del clinostatismo.
Come noto, il sistema nervoso autonomo controlla numerosissime funzioni dell'organismo. Gli apparati controllati dalla doppia innervazione simpatica e parasimpatica afferenti ed efferenti sono le pupille, le ghiandole salivari, il cuore ed i vasi, i bronchi, la muscolatura scheletrica, lo stomaco, il pancreas, il fegato, i surreni, i reni, la vescica i dotti deferenti e le vescicole seminali, l'utero. L'equilibrio che si crea nel funzionamento istantaneo tra il sistema nervoso eccitatorio (simpatico) ed inibitorio (parasimpatico o vagale) garantisce il normale funzionamento dell'organismo umano. L'anamnesi disautonomica deve essere sempre volta ad indagare specificamente tutti gli apparati con particolare attenzione verso il gastroenterico ed il genitourinario. Per quanto riguarda l'apparato gastroenterico vanno escluse la presenza di disfagia e le alterazioni della motilità gastrica e intestinale (stipsi ostinata): non sono infatti infrequenti gli interventi chirurgici per quadri di addome acuto secondari ad un completo blocco della motilità intestinale (ileo adinamico). Sul versante genitourinario, l'impotenza è sintomo precoce e comune così come le alterazioni dello svuotamento vescicale. Queste ultime condizionano quadri di globo vescicale, che viene spesso interpretato come secondario all'ipertrofia prostatica con incongrue indicazioni chirurgiche. Sono presenti anche quadri di incontinenza sfinterica totale.
Infine, di frequente riscontro sono la spontanea riduzione del senso della sete che comporta un aggravamento della deplezione di volume e le alterazioni della sudorazione, spesso ridotta e distribuita in maniera asimmetrica o a "chiazze". Monitoraggio 24 ore della pressione arteriosa
Il monitoraggio della pressione arteriosa nelle 24 ore è indicato sia per valutare la eventuale frequenza e l'entità degli episodi ipotensivi diurni sia per valutare la presenza di ipertensione clinostatica. In questi pazienti può essere importante soffermarsi anche sulla lettura delle singole misurazioni diurne, per poter cogliere isolati episodi ipotensivi. Documentare la presenza e l'eventuale gravità dell'ipertensione notturna, inoltre, permette di meglio definire la necessità di una adeguata terapia antipertensiva e consente di decidere quali farmaci e quali dosaggi potranno essere utilizzati per il trattamento dell'ipotensione ortostatica diurna.
Tilt test
L'indicazione all'esecuzione del tilt-test, ovvero del test di ortostatismo passivo3, nell'ipotensione ortostatica si pone in caso di sospetta disautonomia per definire in modo preciso le caratteristiche della risposta emodinamica del paziente e quindi valutare il grado di compromissione del controllo cardiovascolare e valutare nel tempo l'evoluzione del danno e l'efficacia dei presidi terapeutici. Durante il tilt-test è importante poter effettuare anche il dosaggio delle catecolamine plasmatiche sia in clinostatismo che in ortostatismo. Infatti nelle forme avanzate di disautonomia, come ad esempio in alcuni pazienti con malattia di Parkinson, il mancato incremento dei valori di catecolamine plasmatiche durante stimolo ortostatico conferma il danno a carico dell'attività nervosa simpatica efferente e contribuisce a quantificarlo.
Analisi spettrale della variabilità della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa
Recentemente, l'introduzione di tecniche di analisi spettrale della variabilità spontanea della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa hanno consentito di identificare indicatori in grado di quantificare la bilancia simpato-vagale di regolazione del sistema cardiovascolare e di fornire quindi importanti informazioni riguardo il disturbo a carico del sistema nervoso autonomo e quindi orientare meglio l'approccio terapeutico5,6,21-26. Tale metodica è di particolare rilevanza dato che permette di individuare, oltre che nei casi conclamati, anche in fase precoce (pre-clinica)27 le iniziali alterazioni della cosiddetta bilancia simpato-vagale che saranno successivamente responsabili della sintomatologia disautonomica22. Il suo più ampio impiego permetterebbe, quando applicata sul paziente a rischio, l'inizio di una specifica terapia comportamentale potenzialmente in grado di ritardare l'insorgenza dei sintomi. Ipotensione ortostatica e ipertensione clinostatica
Nei pazienti affetti da ipotensione ortostatica, l'ipertensione clinostatica è di comune riscontro (50% dei casi) e pone ulteriori problemi nella gestione della terapia. Essa provoca una diuresi notturna pressoria che contribuisce alla deplezione di volume in genere già presente nel paziente con ipotensione ortostatica e ne peggiora la tolleranza all'ortostatismo. Inoltre, è noto che l'ipertensione clinostatica induce un danno d'organo pari a quello che si riscontra nell'iperteso essenziale28 e pertanto richiede un trattamento terapeutico adeguato. Si ritiene che l'ipertensione clinostatica possa essere causata da un aumento delle resistenze vascolari sistemiche determinato da una residua attività nervosa simpatica che agirebbe in una condizione di ipersensibilità dei recettori alfa-adrenergici post-sinaptici secondaria al danno a carico delle efferenze nervose simpatiche dirette al cuore e ai vasi. Tale fenomeno è noto come "ipersensibilità da denervazione". L'ipertensione clinostatica potrebbe dunque essere sostenuta da una residua attività nervosa simpatica che in ortostatismo non sarebbe tuttavia in grado di garantire il mantenimento di valori pressori normali.
Il trattamento dell'ipotensione ortostatica non deve sovrapporsi sotto il profilo temporale con quello dell'ipertensione clinostatica (notturna); la terapia antipertensiva dovrebbe pertanto essere somministrata, come già accennato, alla sera anziché alla mattina ed i farmaci utilizzati dovrebbero possedere una emivita non superiore alle 8-12 ore in modo da essere già quasi completamente metabolizzati al risveglio del paziente. Con lo stesso razionale l'ultima somministrazione dei farmaci pressori (vedi oltre) non dovrebbe avvenire dopo le ore 1629. Terapia non farmacologica
I primi presidi da applicare al malato con ipotensione ortostatica sono di tipo non farmacologico. Ogni terapia dovrebbe tener conto del fatto che l'ipotensione non è costante in tutti i momenti della giornata, essendo solitamente peggio tollerata, perché più grave, al mattino. Inoltre, ogni terapia dovrebbe essere personalizzata e valutata dopo una attenta anamnesi. L'obiettivo della terapia non è quello di eliminare l'ipotensione ortostatica, ma di ottenere l'aumento della pressione arteriosa anche di quei pochi mmHg che consentano al paziente una accettabile vita di relazione. In altre parole l'obiettivo della terapia è quello di rendere l'ipotensione ortostatica sintomatica una ipotensione asintomatica.
- Stimolare l'esecuzione di una attività fisica di tipo aerobico è un intervento efficace che il medico deve consigliare. Poiché spesso il paziente non e' in grado di mantenere la stazione eretta per periodi prolungati, può essere indicato iniziare l'attività da seduto o, meglio, in acqua dove il corpo lavora in parziale assenza di gravità e dove, quindi, l'ipotensione legata all'ortostatismo non si manifesta. I distretti muscolari che vanno privilegiati sono quelli degli arti inferiori il cui trofismo contribuisce ad ottimizzare il ritorno venoso, altrimenti deficitario, verso il cuore.
- Per contrastare la deplezione di volume, è consigliabile aumentare l'introito di acqua (2-2,5 litri di acqua al giorno) associando una dieta ricca di sale qualora la presenza di ipertensione clinostatica o patologie legate al sovraccarico di volume lo consentano. E' importante ricordare che l'acqua è un farmaco30. Infatti, nel soggetto con disautonomia, il semplice passaggio di acqua all'interno dell'esofago e dello stomaco è in grado di incrementare la pressione arteriosa fino a 40 mmHg dopo circa 20 minuti dall'ingestione e per circa 1 ora30-34. Non è chiaro il meccanismo di questo riflesso pressorio; si ritiene che l'attivazione di recettori situati nella parete esofagea e gastrica portino ad un incremento di attività simpatica residua con ipertensione arteriosa secondaria. E' stato ipotizzato anche un meccanismo umorale con rilascio di sostanze vasoattive e, da ultimo, è da considerare una azione ipertensiva secondaria alla ridistribuzione dei liquidi. Quest'ultima è tuttavia meno probabile data la rapidità dell'effetto ottenuto. Dal punto di vista pratico ciò si traduce nel consiglio di bere almeno due bicchieri d'acqua al mattino subito dopo il risveglio per minimizzare il disagio legato alle primissime fasi della giornata. Altra bevanda considerata utile è il caffè, soprattutto se assunto a digiuno, per i suoi effetti vasocostrittori. Tuttavia i risultati degli studi finora disponibili sono contrastanti35-37. Analogamente, deve essere considerata l'assunzione di liquirizia.
- Come norma generale è consigliato il frazionamento dei pasti per limitare l'ipotensione post-prandiale. In particolare, dato l'effetto ipotensivo dell'insulina, sono consigliati numerosi piccoli pasti poveri in carboidrati distribuiti nell'arco della giornata7,11,12.
- Altri interventi utili sono rappresentati dalle calze elastiche a media compressione da indossare prima di alzarsi dal letto che contribuiscono a facilitare il ritorno venoso.
- Utile è il posizionamento di spessori di 7-8 cm alla testiera del letto che, simulando un tilt notturno a 30°, hanno la funzione di sottoporre il paziente, durante tutto il periodo notturno, ad un parziale stimolo gravitazionale, necessario ad evitare il decondizionamento all'ortostatismo che si instaura già dopo il fisiologico riposo notturno7. Terapia farmacologica
Considerando che, qualora ricercata, l'ipotensione ortostatica risulta ancora più frequente di quanto non sia, sarebbe ragionevole aspettarsi di avere a disposizione numerosi farmaci di comprovata efficacia per il suo trattamento. Purtroppo non è così e spesso, in mancanza di farmaci ad azione ipertensiva utilizzabili per via orale, si finisce per utilizzare l'effetto indesiderato di altri farmaci. Il prospetto dei farmaci impiegati nel trattamento dell'ipotensione ortostatica è schematizzato nella Tabella 2.
L'utilizzo di questi farmaci è basato su dati di letteratura relativamente scarni e difficili da interpretare perché scarsamente confrontabili in termini di protocolli applicati e di definizione di risposta clinica, spesso effettuati su pochi pazienti.
Midodrina
L'unico farmaco ipertensivo la cui efficacia sia stata definita sulla base di studi controllati in doppio cieco in pazienti (231 complessivi) con disautonomia è la midodrina (Gutron)38-40. La ridotta numerosità del campione non consente, tuttavia, di ritenere solidi i risultati ottenuti. La midodrina è un profarmaco che viene convertito nel suo metabolita attivo desglimidodrina in vari tessuti incluso il fegato. Si tratta di un alfa1-agonista che incrementa la pressione arteriosa tramite vasocostrizione venosa e arteriosa. E' ben assorbita dopo somministrazione orale anche in pazienti con disautonomia. Il picco della concentrazione plasmatica del metabolita attivo viene raggiunto dopo un'ora dall'assunzione orale. Nei pazienti con disautonomia, la sua emivita è di circa 4 ore e dopo 5 ore l'effetto pressorio è trascurabile38. Non attraversa la barriera ematoencefalica e non causa effetti indesiderati a livello del sistema nervoso centrale29. Per dosaggi compresi tra 2,5 mg e 20 mg, l'incremento pressorio è direttamente proporzionale al dosaggio somministrato38. Nei pazienti con disautonomia, l'assunzione di 10 mg 3 volte al giorno di midodrina comporta un incremento della pressione arteriosa sistolica di 20 mmHg e della diastolica di 15 mmHg dopo 1 ora dalla somministrazione del farmaco39,40. I principali eventi avversi sono l'ipertensione clinostatica, presente nel 25% circa dei pazienti29, che può essere minimizzata assumendo l'ultima dose giornaliera almeno 4 ore prima di coricarsi. Altri effetti indesiderati comuni sono la piloerezione (13%), il prurito/parestesie del cuoio capelluto (10%) e la ritenzione urinaria (6%). Non sono stati riportati episodi indicativi di ischemia cardiaca, ma il suo utilizzo non è consigliato in pazienti con gravi patologie cadiovascolari ed in particolare nell'anziano con vasculopatia periferica7,35.
Piridostigmina
Nuovo farmaco nel panorama del trattamento dell'ipotensione ortostatica è la piridostigmina che agisce tramite l'inibizione delle colinesterasi con effetto vasocostrittore periferico. L'unico studio ha valutato 58 pazienti con disautonomia di diversa eziologia trattati con 60 mg/die di piridostigmina, con piridostigmina 60 mg + midodrina (2,5 o 5 mg) o con placebo41. L'end point primario, costituito dalla diminuzione della caduta pressoria in ortostatismo dopo 1 ora dalla somministrazione del farmaco, ha mostrato che la piridostigmina, da sola o associata a 5 mg di midodrina, è in grado di ridurre l'ipotensione ortostatica e di migliorarne i sintomi. Inoltre, il trattamento con piridostigmina non determina ipertensione clinostatica, principale effetto collaterale della midodrina ad alto dosaggio.
Ergotamina
L'ergotamina agisce inducendo vasocostrizione sia arteriosa che venosa e deve il suo effetto ipertensivo ad una complessa interazione in parte agonista ed in parte antagonista sui recettori adrenergici, dopaminergici e serotoninergici. Può essere somministrata per via orale, nasale e sottocutanea ed è in grado di incrementare la pressione arteriosa soprattutto se somministrata in concomitanza con la caffeina42-44. Questo farmaco possiede, però, un'azione pressoria clinicamente utile solo quando somministrato sotto cute (0,1-0,5 ml 2 volte al giorno).
Octreotide
L'octreotide è un analogo della somatostatina ed agisce inibendo il rilascio di alcuni peptidi intestinali che mediano l'ipotensione postprandiale secondaria al sequestro ematico splancnico45. Inoltre, favorisce l'incremento delle resistenze vascolari a livello splancnico ed incrementa la gittata cardiaca tramite azione diretta vascolare. Viene somministrato per via sottocutanea ad un dosaggio compreso tra 0,2 e 1,5 µ/kg con effetto pressorio della durata tra 3 e 6 ore46. E' generalmente ben tollerato, ma l'elevato costo ne limita l'impiego. I principali effetti indesiderati sono la nausea ed il dolore addominale, entrambi dose-correlati.
Fludrocortisone
Il fludrocortisone (non in vendita in Italia) è un mineralcorticoide sintetico ampiamente utilizzato nel trattamento dell'ipotensione ortostatica in corso di disautonomia. Ha un'emivita di 3,5 ore, ma la sua emivita biologica è variabile tra le 18 e le 36 ore35. Il suo impiego è basato su indicazioni provenienti da studi non randomizzati, non controllati, con ridotta numerosità47-49. Si ipotizza che il fludrocortisone agisca con meccanismo differente a seconda del dosaggio impiegato: l'effetto mineralcorticoide si manifesta a dosaggio elevato, per espansione del volume plasmatico. Gli effetti indesiderati quali l'ipertensione clinostatica, lo scompenso cardiaco e l'ipokaliemia possono essere, però, frequenti. Impiegato a basso dosaggio incrementerebbe la sensibilità degli alfa-adrenocettori alla noradrenalina.
Eritropoietina
L'eritropoietina avrebbe la funzione di espandere la massa sanguigna circolante mediante un incremento dei globuli rossi. E' stata valutata in 8 pazienti con disautonomia ed anemia che hanno presentato un incremento dell'ematocrito e della pressione arteriosa50. Il suo impiego non è mai stato considerato in assenza di anemia. Tuttavia, giova ricordare che le cellule dell'apparato iuxtaglomerulare, responsabili della produzione di eritropoietina, sono sottoposte ad una modulazione simpatica. L'assenza di tono simpatico sarebbe responsabile dell'anemia in tali pazienti.
Altri farmaci
Tra i farmaci sperimentati nel trattamento dell'ipotensione ortostatica si possono elencare anche gli inibitori della ricaptazione della serotonina, FANS come l'ibuprofene e l'indometacina, il pindololo, la yoimbina e la clonidina, ma al pari degli altri menzionati sopra non sono disponibili dati conclusivi.
Infine è stato recentemente dimostrato in un case report che la disautonomia potrebbe essere riferibile ad un disordine autoimmunitario dovuto ad anticorpi sierici contro il recettore dell'acetilcolina51. Il fatto che la rimozione di questi anticorpi tramite plasmaferesi porti ad un miglioramento dell'ipotensione ortostatica apre un nuovo capitolo nella comprensione e nel trattamento di questa condizione.
La terapia di associazione non è ancora stata valutata in studi controllati. Bibliografia 1. Consensus statement on the definition of orthostatic hypotension, pure autonomic failure, and multiple system atrophy. The Consensus Committee of the American Autonomic Society and the American Academy of Neurology.Neurology 1996; 46:1470. 2. Kapoor WN. Syncope. N Engl J Med 2000; 343:1856-62. 3. Brignole M et al. Guidelines on management (diagnosis and treatment) of syncope-update 2004. Europace2004; 6:467-537. 4. Robertson DBI. Disorders of the Autonomic Nervous System. 1995. Harwood Academic Publishers. 5. Furlan R et al. Orthostatic intolerance: different abnormalities in the neural sympathetic response to a gravitational stimulus. Auton Neurosci 2001; 90:83-8. 6. Pagani M et al. A positive feedback sympathetic pressor reflex during stretch of the thoracic aorta in conscious dogs. Circ Res 1982; 50:125-32. 7. Bannister R, Mathias CJ. Autonomic Failure. 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