Il colecalciferolo ed i vari analoghi sono liposolubili e la loro biodisponibilità dopo somministrazione orale risulta migliore dopo un pasto abbondante contenente grassi1,2.
La vitamina D3 (colecalciferolo) è la sostanza “nativa” sulla quale esistono più dati, viene indicata dalla nota AIFA 79 come prodotto di riferimento.
È disponibile in fiale da 100.000 e 300.000 UI iniettabili (e bevibili), in gocce (ogni goccia contiene 250 UI di colecalciferolo in veicolo oleoso) ed in flaconi monouso contenenti 25.000 o 50.000 UI. Per le gocce ed i flaconi bevibili da 25.000 UI è disponibile il prodotto generico. La somministrazione orale o parenterale fornisce normalmente effetti apprezzabili clinicamente e sui livelli sierici di 25OH vitamina D (25OHD) nel corso di settimane o mesi.
La vitamina D è disponibile anche sotto forma di ergocalciferolo (vitamina D2) di derivazione vegetale, in fiale contenenti 400.000 UI di vitamina D2, somministrabili per os o intramuscolo.
Ha effetti non dissimili dalla vitamina D3 anche se l’effetto della sua somministrazione sui valori ematici di 25OHD è controverso3,4.
Il 25OH colecalciferolo (calcidiolo o calcifediolo) è disponibile in Italia solo in gocce per assunzione orale: ogni goccia contiene 5 mcg di calcifediolo.
La sua somministrazione trova piena giustificazione farmacologica nei pazienti con difetto epatico di idrossilazione, ma studi di farmacocinetica ne mostrano una rapidità superiore nell’indurre un incremento della calcemia e dei livelli sierici di 25OHD rispetto alla vitamina D non idrossilata5,6.
Studi clinici inoltre ne mostrano una maggiore efficacia in condizioni di ridotto assorbimento7.
Il calcitriolo [1,25(OH)2 colecalciferolo] è il metabolita della vitamina D attivo sui recettori, ottenuto dopo doppia idrossilazione (prima epatica poi renale) e rappresenta il prodotto di scelta nei pazienti con insufficienza renale grave. Viene inoltre utilizzato nell’ipoparatiroidismo idiopatico e postchirurgico. Disponibile (anche come farmaco equivalente) in capsule molli da 0,25 e 0,5 mcg, possiede un effetto rapido e, somministrato per via orale, aumenta il livello della calcemia nell’arco di alcune ore.Per il fatto di essere il metabolita attivo, non sottoposto ad alcun ulteriore step di controllo sulla attivazione, espone con maggiore frequenza ad effetti avversi come ipercalcemia e urolitiasi8.
Il diidrotachisterolo è un analogo sintetico indicato in condizioni di ipoparatiroidismo idiopatico e postchirurgico o pseudoipoparatiroidismo ma non è raccomandato dalle linee guida nel trattamento della ipovitaminosi D.
L’analogo idrossilato 1(OH)colecalciferolo o alfacalcidiolo, fornisce un substrato rapidamente metabolizzabile dal fegato, potenzialmente utile in pazienti con insufficienza renale. La scheda tecnica include numerose indicazioni: “osteodistrofia da insufficienza renale in dialisi o meno, ipoparatiroidismo rachitismo ed osteomalacia D resistente o D dipendente ed osteoporosi post menopausale”.
Il suo effetto tuttavia risulta tracciabile solo con dosaggi non disponibili correntemente e, secondo le linee guida, l’alfacalcidiolo non è incluso tra i farmaci di riferimento nella terapia della ipovitaminosi D.
Quale dose somministrare?
La dose andrebbe decisa sulla base di una considerazione sui livelli di assunzione raccomandati per fascia di età o stato e sui risultati delle varie meta-analisi che hanno mostrato una riduzione del rischio di frattura in popolazioni trattate con vitamina D: 700-1000 UI (3-4 gocce dei comuni preparati) sono ritenute dose giornaliera adeguata per mantenere livelli di 25OHD fisiologici9.
Da studi farmacocinetici risulta che con la somministrazione di 100 UI per 60 gg si ottiene un aumento di 1 ng/mL di 25OHD10, per cui ipotizzando di somministrare 2.000 UI di colecalciferolo (8 gocce dei comuni preparati, che rientrano nelle massime dosi consentite dallo IOM)11 si dovrebbe ricondurre a valori normali in due mesi anche una persona che abbia presentato livelli carenti (< 10 ng/mL).
Nell’iniziare una terapia in persone che partono da livelli molto bassi la pratica comune è di somministrare una dose terapeutica “di attacco” per colmare il deficit, seguita da una dose di mantenimento12.
Questo comportamento si basa su presupposti logici ma non è supportato da dati clinici che documentino un vantaggio reale di questa pratica rispetto ad un approccio meno aggressivo. Al contrario esistono dati che mostrano a tre mesi dall’inizio un’efficacia analoga della dose di 1.000 UI/die di colecalciferolo in pazienti trattati con placebo o con dosi iniziali di 50.000 o 100.000 UI di vitamina D213.
Quale schema posologico? Dosi giornaliere, settimanali, mensili o addirittura stagionali o annuali?
Secondo alcuni studi la somministrazione di basse dosi giornaliere o settimanali avrebbe una migliore resa in termini di miglioramento dei livelli di 25OHD mentre la stessa dose somministrata con cadenza mensile fornirebbe risultati peggiori14. I risultati dei vari studi non sono concordi15, ma la scelta di una cadenza mensile non presenterebbe certamente alcun vantaggio se non quello di una asserita “maggiore comodità” giustificabile in persone anziane o ipovedenti.
In questa scelta non può non essere rimarcato che – incredibilmente – in Italia le preparazioni in flaconi orali bevibili da 25.000 UI hanno un costo addirittura quadruplo per la stessa dose di prodotto rispetto alla preparazione in gocce commercializzata dalla stessa azienda.
La somministrazione dei cosiddetti “boli” di vitamina D, ritenuta farmacologicamente compatibile con il conseguimento ed il mantenimento di livelli “fisiologici” di 25OHD16, è stata fortemente messa in discussione dai risultati di due studi nei quali dosi orali di vitamina D (500.000 UI suddivisi in 5 dosi da 100.000 UI a dì alterni all’inizio dell’inverno) o parenterali (300.000 UI intramuscolo in autunno) inducevano inaspettatamente un aumento significativo di cadute e di fratture nelle donne trattate17,18.
L’impiego della via parenterale andrebbe prudenzialmente limitato alle persone con accertata o presunta ridotta capacità di assorbimento orale (es. celiachia, chirurgia bariatrica o malattie infiammatorie intestinali). Uno studio ha dimostrato l’innocuità di dosi di 100.000 UI ripetute ogni 3-4 mesi19.
Per quanto tempo e come continuare la terapia?
Le persone predisposte alla carenza di vitamina D dovrebbero continuare ad assumerne una dose “sostitutiva” finché persistono le condizioni predisponenti (esempio assunzione di glucocorticoidi o immunosoppressori).
Non vi sono dati ampi che aiutino a scegliere tra una modalità di somministrazione continuativa o intermittente. Ragionando in termini di opportunità fisiologica, nelle condizioni di mantenimento in persone che possono beneficiare di una esposizione al sole, sembra giustificata la sospensione o la riduzione della dose da maggio a settembre assicurando la somministrazione di dosi sostitutive nei mesi a minore esposizione, nei quali la somministrazione di vitamina D conduce ai migliori risultati sui livelli di 25OHD20.
Gli anziani istituzionalizzati sono in genere carenti di vitamina D: il monitoraggio dei livelli di 25OHD non aggiunge nulla e in questa categoria di persone vengono ritenuti utili supplementi vitaminici “di mantenimento” di 1.000 UI giornaliere o 7.000 UI settimanali oppure 100.000 UI ogni 3-4 mesi.
Sullo stesso argomento:
• Vitamina D: figlia del sole (IsF vol.2, 2015)
• Quando dosare e come interpretare i valori della Vitamina D (IsF vol.3, 2015)