Il Decreto 9 dicembre 2015, pubblicato sulla G.U. il 20 gennaio 2016 definisce le “condizioni di erogabilità” e le “indicazioni di appropriatezza prescrittiva” di centinaia di prestazioni specialistiche, strumentali e di laboratorio. Gran parte del Decreto riguarda esami di stretta competenza specialistica: si può immaginare che nasca quindi dalla percezione ministeriale dell'esistenza di inopinate inappropriatezze specialistiche, altrimenti non si vedrebbe il motivo di mettere dei limiti a quel tipo di esami. Ovviamente sarebbe avventato pensare che un Decreto ministeriale si basi su valutazioni meramente aneddotiche delle prescrizioni anziché su precise analisi, tuttavia sarebbe un peccato veniale, perché se teoricamente si può controllare il numero di specifiche prescrizioni, di fatto è impossibile accertarne le motivazioni cliniche.
Per quanto riguarda la Medicina Generale, diversi esami le sono stati sottratti e sono stati riservati all’esclusiva prescrizione specialistica, evidentemente supponendo che lo specialista sia più appropriato, cosa a dir poco discutibile, se si vuol rimanere per coerenza sul piano aneddotico, visto e considerato che di storie dimostrative i medici di Medicina Generale ne avrebbero da raccontare probabilmente non meno degli specialisti. La conclusione è che evidentemente sono tutti un po’ inappropriati, ma il ministero (come in generale le istituzioni sanitarie) ha una concezione dello specialista che lo colloca un gradino più in alto, in una supposta scala gerarchica, rispetto al medico di Medicina Generale. Sinceramente dà anche un po’ fastidio commentare il modo in cui questo Decreto tenta di tagliare la spesa (spesso spiccioli di spesa) spacciando l'operazione per "appropriatezza". E per dirla tutta, oramai dà anche fastidio il termine stesso di appropriatezza, visto l'uso mistificante che se ne fa.
Il Decreto stabilisce per di più, in una sorta di mobbing burocratico, che il medico debba riportare sulla prescrizione (analogamente alle famose “Note AIFA” sui farmaci) la nota di riferimento per gli esami identificati come “a rischio di inappropriatezza”: sono ben 178 note su altrettante prestazioni. La nota va indicata “nell’apposito spazio” sulla ricetta (peccato che in una prescrizione ci possano essere più prestazioni soggette a queste note e allora lo spazio manca dopo la seconda). Inoltre vanno trascritte “le condizioni di erogabilità, contrassegnate da lettere identificative da riportare sulla ricetta, di seguito alla prestazione prescritta”, e anche “le indicazioni di appropriatezza prescrittiva, contrassegnate da lettere identificative”, sempre da riportare sulla ricetta, “di seguito alla prestazione prescritta”. Si tratta quindi di un tentativo di fare una specie di Bignami di linee-guida, sulla cui base il medico è obbligato a referenziare ogni singola prescrizione.
Si direbbe che nessuno di coloro che hanno redatto il Decreto abbia mai visto una ricetta in vita sua, con i 3x12 cm di spazio per scrivere il testo della prescrizione e due soli spazi per le note (originariamente riferiti al massimo di due farmaci per ricetta) mentre di esami specialistici, tipicamente le analisi del sangue, possono essercene fino ad otto. Anche se molte prestazioni non interessano la Medicina Generale, tanto basta per trasformare letteralmente in un incubo qualsiasi prescrizione di esami.
Nel merito, stabilire che i dosaggi di colesterolo e trigliceridi vanno ripetuti non prima di 5 anni se il risultato è normale (concetto oramai desueto, non più applicabile al colesterolo, il cui valore normale dovrebbe tendere a zero) ha un metasignificato: il servizio sanitario italiano garantisce (si fa per dire) comportamenti “scientifici”, non comportamenti professionali. Perché scienza e professione sono due cose diverse: non si esercita la scienza, si esercita una professione, che ha come principio costitutivo il rapporto tra un soggetto che ha una formazione e uno sguardo scientifico alle cose della natura con un soggetto (paziente o assistito) che non ha uno sguardo scientifico, ma manifesta bisogni, problemi, intenzioni di prendersi cura di sé, desideri su cui mediare, negoziare, anche educare e a volte negare, certo, ma dandosi un progetto, o almeno uno scopo concretamente perseguibile e condiviso. Da questa situazione, che i medici di Medicina Generale definiscono “conflitto” e che è costitutivo dell’essere medici di Medicina Generale, deriva che le decisioni non sono, non debbono e non possono essere prese solo su basi scientifiche, posto che dosare il colesterolo ogni 5 anni, anziché 1, 3 o 6, abbia qualcosa di scientifico, e non solo la concordanza con l’opinione di esperti che danno legittimamente basi scientifiche alla professione, la quale deve però poi negoziarle, adattarle all'incontro con le persone e al contesto delle cure, oggi immerso in un misto di scienza, marketing, shopping, bisogni, desideri, consuetudini, preoccupazioni più o meno vere o false ma con cui si deve fare i conti. Perché di un medico di Medicina Generale “scienziato” i pazienti non sanno cosa farsene, e giustamente: hanno bisogno di una interfaccia tra loro e la scienza, non di essere respinti per una domanda considerata inappropriata.
È chiaro che da questo derivano anche numerose vere inappropriatezze, ma andrebbero valutate soppesando le capacità di contenimento dei medici di Medicina Generale, non la loro sana e robusta costituzione di scienziati appropriati. Credo che ci sa molto bisogno (anche in termini economici) in sanità di una capacità di contenimento, esercitabile solo con autonomia professionale e un’appropriata flessibilità delle risposte. Questo è il lavoro dei medici di Medicina Generale, solitamente persino riconosciuto, almeno a parole, ma allora si deve ammettere che abbia anche i suoi metodi. Altrimenti, se le flessibilità non si possono esercitare all’interno del Servizio Sanitario, rimarranno in mano agli stregoni della salute e ai fautori della più deteriore “libertà di cura”.
Ci sarebbe molto da dire sull’incapacità istituzionale di percepire un ruolo e un ambito di competenza della Medicina Generale in un ecosistema delle cure che, se ha trovato il suo "punto G" alla fine della parola "marketinG", non è non certo per colpa dei medici di Medicina Generale, ma è grazie all'incontrastato potere mediatico dei cantastorie della prevenzione basata su misure e tecnologie, grazie al fascino dei “check up annuali” offerti da assicurazioni private, da accordi aziendali, nei centri commerciali, alle poste e persino sulle autostrade. Ci vuole una buona dose di inconsapevolezza (se non impudenza) per pensare di correre ai ripari con un Decreto.
Una Medicina Generale costituzionalmente priva di conflitti di interesse (prima di rassegnarsi a non avere più interessi tout-court) poteva essere un utile punto di riferimento per il sistema sanitario (e in generale per tutti i professionisti della sanità), se non la si fosse in Italia accuratamente emarginata, privandola progressivamente di autorevolezza professionale e relegandola a ruoli di funzionariato come quelli previsti da questo Decreto, che porta tecnicamente ai limiti delle possibilità umane redigere una semplice prescrizione di analisi.
Non ho avuto la pazienza di leggere tutto il Decreto (38 pagine per lo più di tabelle): mi sono limitato ad una lettura a campione, sufficiente tuttavia per chiedersi di che appropriatezza stiamo parlando. Sulle analisi del sangue ci sono osservazioni tipo “esame obsoleto”, come nel caso della fosfatasi acida (nota 63, nessuna condizione di erogabilità), esattamente come per l’11-deossicortisolo (nota 43), il che introduce nel Decreto anche un pizzico di surrealismo (c’era un abuso di richieste di fosfatasi acide e desossicortisolo? non bastava toglierli dal nomenclatore tariffario?); svarioni come il dosaggio dell’uricemia (nota 76), per la quale non sono previste come condizioni di erogabilità ed appropriatezza né il sospetto di gotta, né la terapia diuretica; il tempo di protrombina (nota 95), che sarebbe indicato “per la prevenzione e la profilassi della trombosi venosa” (?); la potassiemia, indicata nel caso (inaudito) di “intossicazione da diuretici” ma non per la loro semplice assunzione, per finire con tre inutili ovvietà: il test del sudore (nota 74), che è indicato nella diagnosi di fibrosi cistica, il dosaggio dell’acido 5-idrossi-indolacetico, indicato nel sospetto di carcinoidi (nota 44) e la lipasi (nota 68) “utile nella diagnosi e prognosi (?) delle patologie pancreatiche”. Come dire che l’uso dell’ombrello è appropriato se piove.
Da notare poi la storiella, molto, molto scolastica, dei markers oncologici. Si capisce il rigido (più che rigoroso) punto di vista di qualche commissione (ci sarà stato un medico di Medicina Generale capace di intendere e di volere?), che ci ricorda, lo sappiamo da sempre e lo condivido, che i marcatori oncologici (salvo poche eccezioni) non vanno mai ricercati a scopo di screening. Dal punto di vista tecnico è talmente ovvio, basta fare due conti elementari, che solo qualche incompetente (specialista o medico di Medicina Generale che sia) li può prescrivere a tale scopo. Però non esistono solo i malati di cancro accertati da un lato, in cui bisogna valutare la risposta alla terapia, e i perfettamente sani ed asintomatici dall'altro. Se la signora Camilla, grave invalida 80enne, allettata a permanenza, non sottoponibile ad accertamenti endoscopici, all'improvviso non mangia più, perde peso o si è anemizzata, trovarle 150 di CEA o di Ca-19.9 non le salverà la vita perché comunque nessuno le farebbe una emicolectomia, ma può avere una utilità se non altro per capire con che cosa si ha probabilmente a che fare, il che può avere un senso per prendersene cura.
Non mi sento di teorizzare questo uso dei markers oncologici, anche se a volte (molto raramente) vi ricorro, e che non ha proprio nulla a che vedere con un insensato screening, ma non mi sento neppure di sostenere che è sic et simpliciter "inappropriato". Così come non ha alcun senso delegare allo specialista (ginecologo? di quelli che fanno gli screening della trombofilia per dare la pillola?) la prescrizione di un CA-125 in una donna 60enne con una massa ovarica perché è ovvio che vada fatto e non si vede come l’appropriatezza o meno possa dipendere da chi lo prescrive. Allo stesso modo, non è inappropriato dosare il CA-19.9 se si trova una massa pancreatica su un'ecografia, né ci vuole la superiore competenza dello specialista per esserne sicuri.
Ho visto anche le notazioni sugli esami allergologici, riservati agli specialisti. Trovo che la maggioranza delle visite allergologiche richieste per forme di pollinosi, spesso lievi, sia inappropriato e sostituibile con la prescrizione di un antiistaminico e, se non basta, di uno spray nasale di cortisone, se non altro per riconoscere che ci sono interventi di primo livello (che quindi il medico di Medicina Generale deve fare) e interventi di secondo livello (che non sono sempre necessari: va deciso volta per volta). Quanto ai test allergologici per le pollinosi, io dico ai pazienti che me li richiedono che, se debbono piantare un viale alberato all'entrata della loro casa in campagna, allora è utile sapere se sono allergici ai tigli o ai cipressi; negli altri casi se ne può fare a meno, posto che un antiistaminico funzioni. Naturalmente è giusto obiettare che non si può essere così sommari e superficiali: le situazioni cliniche sono molto più variegate e non sempre chiare. Ma questo vale sempre e per tutti, perciò è altrettanto sommario stabilire l’obbligatorietà della consulenza specialistica, magari per vedere se uno che starnutisce in presenza di gatti è allergico al pelo del quadrupede. Trovo tutto molto scolastico e persino offensivo verso la Medicina Generale, che non può essere messa in condizioni di non riuscire più a lavorare e che non è né gerarchicamente, né professionalmente inferiore alla medicina di II livello.
Non è il caso di continuare affrontando anche le limitazioni alla diagnostica per immagini (in Italia c’è certamente un abuso di risonanze magnetiche e TAC, a scopo diagnostico o di follow up oncologici, solitamente richieste da specialisti e gentilmente trascritte da medici di Medicina Generale in veste di loro segretari). In questo ambito si è partiti verosimilmente dalle linee guida che ne limitano l’effettuazione (ad esempio nelle comuni lombalgie e lombosciatalgie) ai casi di “red flags”, concetto purtroppo tradotto sommariamente nel Decreto come “sospetto oncologico”, dando così alle parole un significato diverso da quello comune, cioè facendone un uso platealmente inappropriato.
Non mi piacciono i giacobinismi né le rivolte corporative, e ancor meno il “parlare alla pancia” delle persone, ma certo che se 40.000 medici di Medicina Generale attaccassero nella bacheca dello studio medico un cartello con su scritto “il governo dice che puoi farti il colesterolo ogni 5 anni e non più” la cosa avrebbe probabilmente un certo impatto, visto che la semplice ragionevolezza non sembra essere più un terreno di discussione praticabile, in sanità e altrove.