Andrea Emiliano Acciarini, Simonetta Rubino Dip. di Medicina Clin. e Sperim.- Sez. di Med. Interna e Scienze Oncologiche Università degli Studi di Perugia
Introduzione
L'artrite reumatoide (AR) è una affezione grave con decorso cronico, spesso progressivo che può provocare distruzione articolare, deformità e disabilità. Oltre il 70% dei pazienti affetti da questa malattia ha probabilità di sviluppare danno articolare o erosioni entro 2 anni dall'esordio dell'affezione1 ed entro 5 anni dalla diagnosi fino al 50% dei pazienti ha difficoltà a fare ciò che vorrebbe. Quasi il 90% dei pazienti con malattia aggressiva diventerà clinicamente disabile entro 20 anni2.
L'obiettivo del trattamento dell'artrite reumatoide consiste nell'alleviare i sintomi, migliorare la funzionalità articolare, rallentare la progressione della malattia e, se possibile, determinarne la remissione.
Per un buon trattamento sono importanti una precoce diagnosi e la tempestiva introduzione di farmaci che possono ridurre il danno articolare irreversibile1. L'approccio tradizionale alla terapia del paziente con artrite reumatoide si è basato sinora sull'impiego dei vari presidi terapeutici secondo una strategia definita "a gradini" ("step up") di tipo piramidale. Essa prevede l'impiego iniziale dei farmaci analgesici ed antinfiammatori ai quali si può far seguire l'uso degli steroidi per arrivare al gradino più alto della piramide con l'impiego dei farmaci cosiddetti "modificanti il decorso della malattia" (disease-modifying antirheumatic drugs, DMARDs).
In questi ultimi anni però alcuni studi1 hanno dimostrato come un approccio terapeutico più aggressivo possa apportare notevoli vantaggi terapeutici nel controllare l'evoluzione della malattia. Questa nuova strategia definita "step down", ha rovesciato la tradizionale piramide e prevede un trattamento con DMARDs più precocemente e, se necessario, con l'associazione di più farmaci, semplificando la terapia solo dopo aver ottenuto un buon controllo clinico dell'affezione.
Ulteriori prospettive terapeutiche si sono inoltre aperte con l'avvento dei nuovi farmaci "biologici" diretti contro il tumor necrosis factor alfa (TNF-alfa).
Dette novità terapeutiche, cioè nuove strategie di impiego e farmaci innovativi, impongono una revisione dello stato dell'arte circa la terapia medica dell'artrite reumatoide dell'età adulta (per quanto concerne i farmaci tradizionali e quelli più recentemente utilizzati), con l'intenzione di suggerire linee pratiche di comportamento al medico che deve confrontarsi quotidianamente con questa malattia cronica. Domande cui rispondere per trattare al meglio un paziente con artrite reumatoide
Sperando di rendere più efficace l'informazione si è cercato di identificare gli interrogativi più frequenti e importanti che il medico si pone quando deve decidere (o condividere le scelte dello specialista) a proposito della strategia terapeutica migliore per il proprio paziente. A tali quesiti si è cercato di dare una risposta chiara ed esaustiva, ove possibile.
Quali sono gli obiettivi da raggiungere nel paziente affetto da artrite reumatoide?
Tre sono gli obiettivi fondamentali che il medico deve porsi nel momento in cui si fa carico di impostare la terapia di una artrite reumatoide3,4:
alleviare i sintomi;
prevenire/rallentare la progressione del danno articolare e delle sue conseguenze;
cercare di indurre una remissione completa e duratura della malattia.
Anche se tutti e 3 questi obiettivi sono importanti, il loro raggiungimento è tutt'altro che facile, richiede l'impiego di farmaci diversi e l'adozione di strategie terapeutiche variabili a seconda della condizione clinica e delle aspettative del paziente.
Cercheremo inoltre di chiarire se è preferibile utilizzare il classico schema "step up" oppure il più aggressivo "step down" fin dall'esordio dell'artrite.
FANS: quali, quando e perché?
Il primo obiettivo del trattamento dell'artrite reumatoide è alleviare il dolore, ridurre la tumefazione articolare e quindi migliorarne la funzionalità.
I farmaci generalmente più utilizzati in prima istanza per ottenere tale risultato sono i FANS i quali, pur non essendo capaci di alterare il decorso della malattia e prevenire il danno articolare, hanno buone proprietà analgesiche ed antiinfiammatorie1,5 e risultano perciò farmaci sintomatici molto utili.
Contrariamente a quanto suggerito dall'attività promozionale, non vi sono significative differenze nell'efficacia dei diversi FANS e la scelta si basa pertanto non solo e tanto sulla risposta clinica, ma soprattutto sui possibili effetti collaterali e sul costo1. Infatti la tollerabilità soggettiva ai vari FANS può talora essere diversa da paziente a paziente e lo spettro di tossicità può presentare alcune peculiarità che fanno preferire alcune molecole rispetto ad altre. Vedi, ad esempio, il profilo di gastrolesività diverso evidenziato da studi epidemiologici attendibili (tabella 1). Il costo diverso per giorno di terapia può essere un ulteriore ragionevole criterio di scelta.
Ad allargare le possibili opzioni del medico nella scelta del FANS "migliore" ha recentemente contribuito l'immissione in commercio dei nuovi inibitori selettivi dell'enzima COX-2 (celecoxib e rofecoxib).
Se infatti i FANS tradizionali e i nuovi inibitori selettivi della COX-2 hanno una efficacia analoga nell'alleviare i sintomi dei pazienti affetti da artrite reumatoide6, resta aperto il problema se i nuovi COX-2 inibitori abbiano una minore tossicità rispetto ai FANS tradizionali.
Per quanto riguarda la gastrolesività, evidenza dei potenziali vantaggi dei COX-2 rispetto ai FANS tradizionali è ancora limitata e controversa. Infatti da studi di efficacia emerge che l'incidenza di disturbi gastrointestinali (dispepsia, dolore epigastrico, nausea, diarrea) è analoga a quella riscontrata con i FANS tradizionali6 mentre studi endoscopici condotti in pazienti affetti da artrite reumatoide hanno mostrato minori lesioni gastriche e duodenali nei pazienti trattati con i nuovi COX-2 rispetto a quelli che assumevano i vecchi FANS6.
Purtroppo il significato clinico delle erosioni e delle ulcere endoscopicamente riscontrabili è controverso6, cioè non è chiaro se esse costituiscano un surrogato di esito clinico come la perforazione, l'ostruzione o il sanguinamento intestinale6. Sicuramente il loro significato clinico è nettamente diverso rispetto alle complicanze gravi che i FANS possono causare e cioè le emorragie o le perforazioni gastrointestinali. La gran parte delle ulcere e delle erosioni endoscopicamente rilevabili guarisce spontaneamente e non si complica, anche continuando il trattamento.
Sfortunatamente, studi sulle complicanze gravi (perforazione, ostruzione o sanguinamento) sono di difficile esecuzione perché la loro percentuale assoluta è bassa (circa il 2% per anno)6 e per poterle ben valutare sarebbe necessario esaminare una popolazione più numerosa rispetto a quelle sin qui studiate.
Un recente ampio studio di tollerabilità, prospettico, randomizzato, in doppio cieco, eseguito su 8.059 pazienti affetti da AR o OA7, ha confrontato il celecoxib con FANS tradizionali (ibuprofene e diclofenac) dimostrando che l'inibitore della COX-2, usato per 6 mesi a dosi 2-4 volte maggiori a quelle indicate rispettivamente per AR ed OA, era associato ad una più bassa incidenza di ulcere (sintomatiche e complicate) rispetto agli altri FANS (p=0,02). Nel sottogruppo dei pazienti che non assumevano concomitantemente ASA (20% circa nei 2 gruppi) l'incidenza annua di ulcere complicate a carico del tratto gastrointestinale superiore era inferiore con il celecoxib rispetto agli altri FANS (0,44% vs 1,27%, p=0,04; RR celecoxib vs FANS 0,35 (95% CI, 0,14-0,98; NNT=100)7.
In conclusione, anche se gli studi clinici sembrano mostrare una minore tossicità gastrica da parte dei COX-2 inibitori rispetto ai FANS tradizionali, va tenuto conto che anche con tali farmaci sono state descritte ulcere complicate6. Inoltre il loro profilo di tossicità nel lungo termine risulta ancora mal definito; in particolare, la loro tossicità renale è probabilmente analoga a quella dei FANS tradizionali e non si può escludere un rischio di incremento di eventi cardiovascolari.
Solamente il risultato di studi randomizzati, prospettici, a lungo termine e su larga scala volti a valutare la sicurezza (mucosa gastrointestinale, piastrine e rene) dei nuovi inibitori della COX-2 ed un loro più ampio uso nella pratica clinica accompagnato da una efficace attività di farmacovigilanza, consentirà di chiarire il dilemma delle scelte preferenziali tra vecchi e nuovi FANS.
I corticosteroidi: quale impiego nell'artrite reumatoide?
I corticosteroidi sono dotati di una potente attività antinfiammatoria, sfruttata da oltre 50 anni per controllare con successo i sintomi del processo infiammatorio sinovitico caratteristico dell'artrite reumatoide8. Il loro impiego, in questa affezione, è estremamente diffuso ed ampiamente documentato.
Diversi trial clinici hanno dimostrato che il beneficio ottenuto dal trattamento con basse dosi orali di corticosteroidi è presente sia nel breve che nel più lungo termine (> 3 mesi).
Una revisione di 10 studi clinici randomizzati (402 soggetti) ha confrontato il trattamento con una bassa dose di prednisolone a breve termine (15 mg/die per alcune settimane) verso placebo o FANS9, dimostrando che lo steroide riduce più efficacemente l'attività di malattia e la flogosi articolare rispetto al placebo e al FANS.
L'efficacia dei corticosteroidi non sembra però limitarsi ad un effetto sintomatico. Infatti uno studio clinico controllato10 ha dimostrato che il trattamento con prednisolone (7,5 mg/die) per lungo tempo può ridurre in modo significativo la progressione radiologica di malattia rispetto al placebo, anche se uno studio di follow up dei soggetti inclusi in questo trial ha riscontrato che la distruzione articolare riprende dopo la sospensione del prednisolone11. Una revisione sistematica12 non ha peraltro evidenziato differenze significative fra prednisolone orale a basse dosi e clorochina nel migliorare l'attività di malattia.
Se l'impiego dei corticosteroidi appare pienamente giustificato sul piano dell'efficacia, rimangono tuttavia problemi riguardo la tossicità cumulativa a lungo termine che ne ha limitato il loro impiego diffuso, specie quando utilizzati a dosi elevate13.
Le reazioni avverse in seguito ad un uso a lungo termine possono essere importanti ed includono comunemente ipertensione, diabete, osteoporosi, infezioni, obesità, irsutismo. Studi osservazionali hanno documentato che la mortalità può essere aumentata in pazienti affetti da artrite reumatoide che assumono steroidi nel lungo termine14; tuttavia molti di questi studi hanno incluso soggetti che assumevano dosi maggiori di 7,5 mg/die di prednisone (che sono superiori a quelle solitamente raccomandate). Il rapporto rischio/beneflcio dei corticosteroidi orali a bassa dose (< o = a 7,5 mg/die di prednisone) rimane tutt'oggi ancora controverso.
L'impiego diffuso ne testimonia l'utilità sintomatica ma va ricordato come usualmente non si debba superare la dose di 15 mg/die di prednisone per os e come si debba cercare comunque di utilizzare la dose minima efficace per scongiurare gli effetti indesiderati inevitabili nel lungo termine. Uno di questi merita particolare attenzione: l'osteoporosi.
Negli ultimi anni, diversi lavori hanno cercato di definire qual è la strategia migliore per contrastare la perdita ossea steroido-indotta. Consigli pratici per la prevenzione dell'osteoporosi
Vi sono evidenze che supplementi di calcio e vitamina D prevengono la perdita ossea della colonna in pazienti affetti da artrite reumatoide in trattamento steroideo cronico15e che i bisfosfonati (di cui il più studiato è l'etidronato) e forse anche la calcitonina possono prevenire l'osteoporosi steroido-indotta16,17.
Va subito precisato però che benché tali farmaci riducano l'osteopenia, mancano dati conclusivi circa la capacità di prevenire crolli vertebrali o fratture dell'anca indotte da steroidi16,17.
Un approccio ragionevole è somministrare la dose minima efficace di steroide15, incoraggiare il paziente a modificare lo stile di vita (sospensione del fumo di sigaretta, limitazione del consumo di alcool, attuazione di un adeguato programma di attività fisica), mantenere un adeguato introito di calcio (1000-1.500 mg/die tramite dieta o supplementi) e vitamina D (400-800 UI/die)18.
Poiché non è ancora chiaro se detti approcci farmacologici siano in grado di prevenire le fratture o semplicemente di correggere una anomalia strumentale (la massa ossea determinata con il mineralometro), la decisione riguardo il loro utilizzo deve seguire una attenta valutazione dei benefici e dei possibili rischi. Il trattamento con farmaci che prevengono la perdita di massa ossea è probabilmente giustificato per pazienti già osteopenici e per quelli con una storia di osteopenia steroido-indotta. Quando iniziare il trattamento con un DMARD?
Cinque studi recenti hanno sottolineato l'importanza di iniziare precocemente un trattamento con DMARD per ottenere il massimo beneficio terapeutico e tentare di ridurre/ritardare la disabilità nel miglior modo possibile.
In 2 casi si tratta di analisi retrospettive che hanno mostrato come i pazienti trattati precocemente abbiano un maggior beneficio funzionale a distanza di 5 anni19,20.
Uno studio clinico controllato, in aperto, eseguito su 238 pazienti consecutivi con diagnosi recente di artrite reumatoide ha assegnato i partecipanti a ricevere precocemente (entro 1 anno dall'inizio dei sintomi) o solo successivamente, uno DMARD. Lo studio ha dimostrato che il gruppo che riceveva il trattamento precocemente aveva significativi vantaggi dopo 12 mesi sulla disabilità funzionale, sul dolore, sulla infiammazione articolare e sulla VES. Nessuna differenza però è stata osservata sulla progressione radiologica della malattia a distanza di un anno21.
Il quarto studio, prospettico e con un follow-up di 3 anni, eseguito su 119 pazienti affetti da artrite reumatoide precoce, ha riportato che i pazienti che ricevevano il trattamento precocemente avevano un beneficio sul dolore e sugli esiti fisici rispetto ai pazienti che ritardavano il trattamento di 9 mesi22.
Infine, un altro studio randomizzato in 38 soggetti con artrite reumatoide precoce ha dimostrato che i pazienti che assumevano minociclina dopo 4 anni avevano avuto minor necessità di DMARD rispetto a coloro che assumevano placebo23.
A fronte di questi dati abbastanza convincenti, dobbiamo però considerare le difficoltà diagnostiche di un'artrite insorta da poco tempo ed il fatto che circa il 10% dei soggetti con artrite reumatoide ha una malattia che si risolve o rimane quiescente in larga misura. Va perciò considerato che un trattamento precoce può esporre tali pazienti agli eventi avversi causati da DMARDs che invece potrebbero essere evitati.
Quale DMARD usare (cioè quale DMARD è il trattamento di scelta)?
Premesso che il disegno degli studi disponibili spesso non è adeguato per la scarsa numerosità dei pazienti arruolati, la breve durata e gli end point terapeutici presi in considerazione, non esistono chiare evidenze che suggeriscano che uno DMARD sia più efficace di un altro per il trattamento iniziale dell'artrite reumatoide (tabella 2).
Studi osservazionali hanno trovato che gli DMARD più spesso prescritti come trattamento iniziale dell'artrite reumatoide sono metotrexato, sulfasalazina ed antimalarici24-27.
Riassumiamo nei paragrafi che seguono le caratteristiche dei farmaci attualmente disponibili.
Sulfasalazina
La sulfasalazina è un farmaco ancora oggi ampiamente usato nella terapia dell'artrite reumatoide.
Una revisione (8 studi clinici randomizzati, 903 persone) ha valutato i benefici della sulfasalazina rispetto al placebo28dimostrando che il farmaco è più efficace del placebo nel ridurre l'attività di malattia e l'infiammazione articolare (miglioramento di tutte le misure di outcome usate, con riduzione del numero di articolazioni tumefatte del 51% nel gruppo sulfasalazina vs 26% nel gruppo pIacebo, p < 0,0001).
Per quanto concerne il confronto con altri DMARD, la sulfasalazina non ha mostrato differenze significative in termini di efficacia28-32.
Uno studio clinico randomizzato (60 persone)33 ha confrontato la sulfasalazina con l'idrossiclorochina riscontrando che la prima è significativamente migliore nel controllare il danno radiologico, benchè una certa progressione si sia verificata con entrambi i farmaci. Tuttavia, in questo studio, l'idrossiclorochina è stata somministrata ad una posologia inferiore a quella usualmente raccomandata. In un altro studio la sulfasalazina è risultata efficace quanto la leflunomide nel ridurre la progressione radiologica della malattia34.
Studi osservazionali hanno però riportato una efficacia a lungo termine della sulfasalazina inferiore rispetto ad altri DMARDs, come metotrexato o sali d'oro, e molti pazienti hanno sospeso la terapia per mancanza di efficacia27.
Il farmaco provoca comunemente disturbi gastrointestinali, rash cutanei ed incremento degli enzimi epatici; rare sono la tossicità epatica ed ematologica gravi. Occasionalmente sono state osservate leucopenia o agranulocitosi, reversibili con l'interruzione del trattamento.
Metotrexato
Il metotrexato è uno dei farmaci più utilizzati nel trattamento dell'artrite reumatoide.
In una revisione sistematica che ha analizzato 5 studi clinici randomizzati controllati con placebo su 161 persone, una bassa dose del farmaco (<20 mg/settimana) è risultata più efficace del placebo nel ridurre l'infiammazione articolare e la progressione radiologica, e nel migliorare lo stato funzionale nel breve termine (12-18 settimane)35.
Quattro revisioni sistematiche comparative di studi clinici randomizzati non hanno dimostrato differenze significative in termini di efficacia fra metotrexato e altri DMARDs29-32.
Una revisione sistematica di studi osservazionali che ha confrontato gli effetti del metotrexato rispetto ad altri DMARDs sulla progressione radiologica della malattia, ha trovato un beneficio significativo dal metotrexato soltanto quando confrontato con azatioprina (p = 0,049), mentre non si sono osservate differenze significative fra metotrexato e sali d'oro parenterali36.
lì metotrexato è risultato efficace quanto la leflunomide nel ridurre la progressione radiologica della malattia37.
Quattro studi osservazionali (3 prospettici ed 1 retrospettivo) hanno riscontrato che i pazienti con artrite reumatoide continuano più a lungo il metotrexato rispetto ad altri DMARDs24-27.
In una revisione sistematica che ha analizzato 5 studi clinici controllati con placebo, il 22% dei pazienti che assumeva metotrexato ha sospeso il trattamento per eventi avversi (soprattutto incremento degli enzimi epatici)35. Altri eventi avversi osservati sono stati: manifestazioni mucocutanee, gastrointestinali ed ematologiche.
Tossicità polmonare, fibrosi epatica, ed infezioni possono verificarsi, seppur raramente, anche alle basse dosi usate nell'artrite reumatoide.
La somministrazione concomitante di acido folico riduce il rischio di eventi avversi gastrointestinali e mucocutanei, senza influenzare negativamente l'efficacia del farmaco38. L'uso contemporaneo di alcuni FANS con il metotrexato può dar luogo a maggiore tossicità da metotrexato (discrasie ematiche, mucosite, neuropatia).
Idrossiclorochina ed auranofin
L'idrossiclorochina e l'auranofin (sale d'oro orale) non assicurano un maggior beneficio rispetto ad altri DMARDs.
L'idrossiclorochina è più efficace del placebo nel ridurre l'attività di malattia e la flogosi articolare39, mentre non ci sono differenze significative in termini di efficacia rispetto ad altri DMARDs29-32. Tre studi osservazionali (2 prospettici, 1 retrospettivo) hanno rilevato che i pazienti con artrite reumatoide continuano più frequentemente un altro DMARD rispetto agli antimalarici24-26, e molte persone li sospendono per mancanza di efficacia25. Se usati ai dosaggi raccomandati, gli antimalarici hanno una tossicità molto limitata e il numero di pazienti che ha sospeso tali farmaci per eventi avversi è sovrapponibile al placebo39. Anche la tossicità oculare (l'evento avverso più temuto) è rara e lieve (osservata una tossicità oculare lieve in una sola persona su 471 in quattro studi clinici placebo-controllati e nessun partecipante ha sospeso il trattamento per questo tipo di tossicità)39; il farmaco va comunque monitorato con visite oculistiche periodiche con frequenza ogni 6-24 mesi.
Altri eventi avversi comuni (25% circa delle persone) sono a carico del tratto gastrointestinale (anoressia, nausea, epigastralgia, crampi addominali, diarrea). Più rare sono le reazioni cutanee e lievi anomalie neurologiche (vertigine, visione offuscata, ecc.). Estremamente rare sono miocardiopatia e malattia neurologica grave.
L'efficacia dell'auranofin è stata valutata in 2 revisioni che hanno dimostrato come questo sale d'oro, somministrato per via orale, è più efficace del placebo nel ridurre l'attività della malattia e la flogosi articolare29,30, mentre mancano evidenze dei suoi effetti sulla progressione radiologica e sullo stato funzionale a lungo termine. Una di tali revisioni ha concluso che il farmaco è significativamente meno efficace di altri DMARDs30 ed è meno efficace dell'oro parenterale nel controllare l'attività di malattia40.
L'auranofin provoca spesso diarrea e disturbi gastrointestinali29,30. Eventi avversi gravi (come quelli associati all'oro parenterale) sono raramente osservati con l'auranofin41.
Penicillamina, sali d'oro parenterali
L'uso di penicillamina e sali d'oro intramuscolo è limitato principalmente dalla loro frequente tossicità, a volte seria.
Sia la penicillamina che i sali d'oro parenterali si sono dimostrati più efficaci del placebo nel ridurre l'attività di malattia e l'infiammazione articolare42.
Mentre i sali d'oro parenterali sembrano rallentare la progressione radiologica della malattia43, non è noto l'effetto della penicillamina su questo parametro così come, per entrambi i farmaci, non si conosce l'effetto sullo stato funzionale a lungo termine.
Non esistono differenze significative in termini di efficacia rispetto ad altri DMARDs, sia per la penicillamina29,30che per i sali d'oro parenterali29-32, sebbene in alcuni trial la penicillamina sembri più efficace degli antimalarici30.
Studi osservazionali hanno dimostrato che molti pazienti in terapia con penicillamina hanno sospeso il farmaco entro i primi 2 anni di trattamento24,26 per eventi avversi comuni e a volte seri (reazioni mucocutanee, alterazione del gusto, reazioni gastrointestinali, proteinuria, miosite, malattie autoimmuni, discrasie ematiche come anemia, leucopenia, agranulocitosi e trombocitopenia).
In una revisione sistematica42, circa il 30% dei pazienti che hanno ricevuto l'oro parenterale ha sospeso il trattamento (rispetto al 15 % del placebo) per eventi avversi (inclusi dermatite, stomatite, proteinuria).
Reazioni gravi (come anemia aplastica o sindrome nefrosica) sono rare.
I sali d'oro parenterali sono più efficaci ma anche più tossici dei sali d'oro somministrati per via orale40.
Azatioprina, ciclofosfamide e ciclosporina
Il problema tossicità limita l'uso anche di questi 3 farmaci.
L'azatioprina44 e la ciclofosfamide45si sono dimostrate più efficaci del placebo nel ridurre l'attività di malattia. L'azatioprina si è dimostrata meno efficace del metotrexato e di efficacia sovrapponibile ad altri DMARDs. Per quanto concerne la ciclofosfamide, solo pochi studi clinici randomizzati hanno confrontato tale farmaco con altri DMARDs29,30 e questi studi non hanno apportato una chiara evidenza che ci sia una differenza significativa in termini di efficacia.
Non ci sono evidenze circa l'effetto della azatioprina sulla progressione radiologica della malattia e scarsa è l'evidenza su questo esito da parte della ciclofosfamide.
Per il profilo di tossicità (aumentato rischio di infezioni e tumori, gravi reazioni avverse ematologiche quali leuco-piastrinopenia) questi due farmaci vanno solitamente riservati a soggetti con artrite reumatoide grave non responsiva ad altri DMARDs.
La ciclosporina riduce l'attività di malattia e l'infiammazione articolare46, ma solo in pochi studi è stata confrontata con altri DMARDs (metotrexato, antimalarici, sali d'oro) e senza una chiara evidenza in termini di efficacia47.
La ciclosporina ha dimostrato la capacità di ridurre la progressione radiologica di malattia in un solo studio46.
Anche per la ciclosporina c'è il problema tossicità (aumentato rischio di infezioni e tumori, nefropatia che può essere irreversibile, ipertensione, epatotossicità, ecc.) che la rende riservata a soggetti con artrite reumatoide grave non responsiva ad altri DMARDs meno tossici.
Minociclina
Il razionale dell'uso delle tetracicline nell'artrite reumatoide si basa sulla ipotesi che tale malattia possa avere una genesi infettiva. Tuttavia, oltre all'azione antimicrobica, le tetracicline possono interferire con la collagenasi (e probabilmente con altri enzimi proteolitici) nell'articolazione reumatoidea.
Quattro studi clinici randomizzati placebo-controllati hanno dimostrato che la minociclina è superiore al placebo nel controllare l'attività di malattia23,48,49,50.
In uno di questi studi50, multicentrico, in doppio cieco, che ha incluso 46 pazienti con artrite reumatoide precoce (esordita da meno di un anno) cui non erano stati somministrati né steroidi sistemici né DMARDs, i pazienti sono stati randomizzati a ricevere 100 mg di minociclina per os due volte al giorno o placebo. L'obiettivo principale a 6 mesi era valutare quanti pazienti riuscivano ad ottenere un miglioramento del 50% secondo la scala di Paulus modificata. Hanno raggiunto l'obiettivo il 65% dei pazienti che assumevano minociclina rispetto a solo il 13% di quelli che ricevevano placebo.
Lo studio ha 3 importanti limitazioni: breve durata, piccole dimensioni e mancata valutazione radiografica.
Valutando rischi e benefici, comunque, la minociclina potrebbe essere utile per l'artrite reumatoide precoce ma non esistono confronti con altri DMARDs.
Per valutare l'efficacia della minociclina sono richiesti studi più ampi e duraturi; sono inoltre necessari studi che la pongano in confronto con altri DMARDs.
Il farmaco è in genere ben tollerato, almeno nel breve termine, fatta eccezione per l'insorgenza di vertigini che talora ne impongono la sospensione.
Leflunomide
La leflunomide (un agente immunomodulatore capace di inibire la sintesi di pirimidine) è un DMARD promettente per il trattamento dell'artrite reumatoide dell'adulto.
Quattro studi clinici randomizzati, in doppio-cieco, controllati hanno mostrato che il farmaco (studiato per un periodo di 6-24 mesi) è più efficace del placebo34,37,51, ha efficacia analoga alla sulfasalazina34 ed al metotrexato37,52, rallenta la progressione radiologica della malattia (così come sulfasalazina e metotrexato)53 ed è ben tollerato. Tuttavia va precisato come tali studi siano di breve durata (6-24 mesi) e relativamente piccoli per dimensione; sono perciò necessari ulteriori studi nel lungo termine per valutare l'efficacia della leflunomide rispetto ad altri DMARDs. Le numerose segnalazioni di casi di epatotossicità impongono ulteriore cautela nel follow up dei pazienti. Anche l'Agenzia Europea per la valutazione dei Farmaci (EMEA), in un suo documento, si è espressa in proposito69. La sua collocazione in una strategia terapeutica razionale rimane ancora non ben definita.
Le combinazioni di DMARDs offrono vantaggi rispetto alla monoterapia?
Probabilmente si; infatti cinque studi clinici randomizzati pubblicati nel triennio 1996-1999, hanno dimostrato che la combinazione di vari farmaci (antimalarici, sulfasalazina, metotrexato, ciclosporina, steroidi) garantisce un maggior beneficio rispetto alla monoterapia13,46,54-56.
Un recente studio ha favorito fortemente la combinazione di idrossiclorochina, sullasalazina e metotrexato13.
Il bilancio fra benefici e rischi varia in relazione al tipo di combinazione. Una volta ottenuta la risposta, per quanto tempo va continuato il trattamento?
Nell'artrite reumatoide, gli studi di lunga durata non sono di facile esecuzione. Il maggior limite all'uso di una terapia a lungo termine è legato alla comparsa frequente di eventi avversi gravi e/o alla scarsa tollerabilità e quindi alla necessità di modificare il trattamento originale. Va inoltre sottolineato che solo pochi lavori hanno seguito i pazienti per oltre un anno e molti malati hanno sospeso il trattamento con uno DMARD entro pochi anni per tossicità o inefficacia.
Uno studio su 285 pazienti che ha valutato la risposta prolungata al trattamento con DMARDs dopo 5 anni, ha dimostrato che entro un anno si è verificato un maggior numero di recidive nel gruppo randomizzato a placebo rispetto al gruppo che ha continuato il farmaco57. Questo aspetto è stato confermato da un altro studio che ha randomizzato 112 pazienti al trattamento con DMARDs verso placebo. Le riacutizzazioni si sono verificate in 42 pazienti, 33 dei quali erano nel gruppo placebo58.
Questi risultati suggeriscono come il trattamento con DMARDs sia efficace e offra maggior beneficio se introdotto precocemente, e vada proseguito nel lungo termine (a tempo indefinito?).
Alla luce dei dati sopra esposti appare chiaro come fornire una risposta al quesito "quale DMARD usare preferibilmente" sia tutt'altro che facile. Sorprendentemente ci si trova a confrontarsi con pochi studi clinici ben condotti, sufficientemente grandi dal punto di vista numerico e di lunga durata. Dette deficienze comportano purtroppo il persistere di incertezze nella scelta ottimale.
Un orientamento può venire dalla frequenza di impiego (i più usati sono metotrexato, sulfasalazina e idrossiclorochina) e soprattutto della tollerabilità ed efficacia a lungo termine nel singolo paziente. Quello che risulta certo è che nessuno dei composti esaminati costituisce una opzione terapeutica ottimale ai fini sia del controllo dei sintomi sia dell'inibizione della progressione della malattia. Benvenuti sono perciò i tentativi di trovare nuove e più soddisfacenti proposte terapeutiche. Che ruolo hanno oggi i nuovi farmaci inibitori del TNF?
Il TNF-alfa è una citochina proinfiammatoria prodotta in eccesso nelle articolazioni dei pazienti affetti da artrite reumatoide59 e responsabile della flogosi articolare.
Con l'avvento dei nuovi farmaci inibitori del TNF-alfa, infliximab (un anticorpo monoclonale chimerico) ed etanercept (una versione ricombinante del recettore umano solubile p75 del TNF-alfa legato alla porzione Fc dell'immunoglobulina umana IgG1), la scelta terapeutica per il medico è più ampia.
Infliximab
Le prove della superiorità dell'infliximab rispetto al placebo nel ridurre l'attività di malattia sono chiare60; tuttavia nel tempo vi è una riduzione della risposta che sembra correlata alla comparsa di anticorpi antichimerici.
Studi di efficacia, in pazienti affetti da artrite reumatoide di lunga durata, attiva e refrattaria, hanno dimostrato la superiorità dell'associazione infliximab + metotrexato rispetto alla monoterapia (infliximab o metotrexato) nel ridurre segni/sintomi di malattia 61-63.
Inoltre, il lavoro di Lipsky e coll, ha dimostrato una minore progressione radiografica del danno articolare dopo 12 mesi di trattamento, con l'associazione infliximab + metotrexato rispetto al solo metotrexato (variazione media nel punteggio radiografico con monoterapia vs terapia di associazione rispettivamente 7,0 vs 0,6, p < 0,001)63.
lì profilo di tossicità dell'infliximab è accettabile e i dati sulla sua sicurezza a 12 mesi sono rassicuranti. Gli effetti indesiderati più frequenti sono infezioni delle vie respiratorie superiori, cefalea, diarrea, dolore addominale; si sono verificate reazioni da ipersensibilità al farmaco (nausea, cefalea, orticaria) generalmente lievi e transitorie, soprattutto con la prima infusione62. Sebbene la tossicità a breve termine sia bassa, mancano dati sulla sicurezza a lungo termine.
Etanercept
Come per l'infliximab, diversi studi clinici randomizzati, in doppio-cieco, placebo controllati, hanno dimostrato che, nell'artrite reumatoide attiva e refrattaria, l'etanercept possiede una efficacia clinica superiore al placebo nel ridurre l'attività di malattia e la flogosi articolare nel breve e medio termine (3-6 mesi), sia in adulti che in bambini che hanno avuto una risposta inadeguata ad altre terapie64-67.
Un recente studio68 della durata di 12 mesi, eseguito su 632 pazienti, ha dimostrato la superiorità dell'etanercept rispetto al metotrexato anche nell'artrite reumatoide attiva in fase precoce (durata < 3 anni) nel ridurre i sintomi ed il danno articolare (aumento medio nel punteggio delle erosioni dopo 12 mesi: 0,47 nel gruppo trattato con etanercept e 1,03 nel gruppo che riceveva metotrexato, p = 0,002). La tossicità dell'etanercept a breve termine è scarsa (gli effetti indesiderati più frequenti sono reazioni cutanee nella sede di iniezione del farmaco e processi infettivi soprattutto a carico delle vie aeree superiori). Anche per l'etanercept mancano però dati sulla sicurezza a lungo termine. In un suo documento, l'EMEA ha reso nota la segnalazione di disordini ematologici gravi in pazienti che assumevano etanercept.
I risultati favorevoli dei lavori pubblicati (sia in monoterapia che in associazione al metotrexato) sembrano giustificare l'ottimismo per questa nuova classe di farmaci seppure la brevità degli studi (durata non superiore ad un anno) e la scarsa numerosità della popolazione studiata non consentano di trarre conclusioni definitive.
La mancanza di dati riguardo efficacia e sicurezza a lungo termine, la somministrazione parenterale e l'alto costo sono importanti ostacoli per un loro impiego esteso.
La giusta collocazione dell'infliximab e dell'etanercept nel trattamento dell'artrite reumatoide deve perciò ancora essere definita. Conclusioni
La gestione del paziente affetto da artrite reumatoide è complessa e richiede applicazione, conoscenza e intesa tra il medico di medicina generale e gli specialisti che si fanno carico di questi pazienti (reumatologo, ortopedico, fisioterapiste, ecc).
L'approccio terapeutico verso questa (o qualsiasi altra) condizione, si basa su prove scientifiche e sulla esperienza personale del medico70. Purtroppo, spesso, la carenza di studi metodologicamente corretti e non sponsorizzati, nonché la brevità del follow up, possono far venir meno un elemento fondamentale (cioè la base scientifica) del processo decisionale terapeutico di fronte ad un paziente con artrite reumatoide. È questo il caso di un confronto diretto tra i due approcci precedentemente illustrati (approccio aggressivo o "step down" rispetto a quello classico più prudente o "step up").
Alla luce di quanto detto risulta difficile rispondere alla domanda "quale DMARD sia preferibile" in base ai dati attualmente disponibili, e un atteggiamento ragionevole per la gestione dell'adulto affetto da artrite reumatoide (problemi a parte costituiscono la forma del bambino e dell'anziano) è di affidarsi alle linee guida internazionali più qualificate1 e alla esperienza del medico.
Oggi molti reumatologi concordano sul fatto che la terapia con farmaci di fondo vada iniziata precocemente, per prevenire/limitare l'attività erosiva (che spesso sopravviene entro 1-2 anni dall'esordio dell'affezione) e vada proseguita per tutto il tempo in cui la malattia rimane attiva.
In base alla nostra esperienza lo steroide a piccole dosi (< o = a 15 mg/die nella gran parte dei casi e a dosi maggiori nelle riacutizzazioni) ed il metotrexato possono essere con ragionevolezza considerati per molti pazienti con malattia precoce, essendo farmaci efficaci, relativamente ben tollerati e di buona "compliance", fermo restando l'utilità di uno stretto monitoraggio del paziente (ogni 15-20 giorni specialmente per i primi 1-2 anni di malattia).
I FANS rimangono ottimi sintomatici e i nuovi COX-2 inibitori andrebbero riservati ai pazienti ad alto rischio di ulcere gastrointestinali da FANS.
E' nostro parere che l'impiego della minociclina meriterebbe maggiore attenzione da parte di studi clinici controllati, visti i dati di letteratura che sembrano indicare una relativa efficacia e una buona tollerabilità.
Per le forme refrattarie è lecito utilizzare altri farmaci di fondo sicuramente più problematici (ciclosporina, farmaci anti-TNF, ecc.), anche in associazione, pur rischiando potenziali eventi avversi importanti che peraltro possono, in alcuni casi, essere minimizzati, rivalutando frequentemente il paziente. Bibliografia 1. American College of Rheumatology Ad Hoc Committee on Clinical Guidelines. Guidelines for the management of rheumatoid arthritis. Arthritis Rheum 1996; 39(5): 713-22. 2. Buckley CD. Science, medicine and the future: treatment of rheumatoid arthritis. Br Med J 1997; 305: 236-8. 3. Stenger AA et al. Early effective suppression of inflammation in rheumatoid arthritis reduces radiographic progression. BrJ Rheumatol 1998; 37: 1157-116. 4. Emery R, Salmon M. Early rheumatoid arthritis: time to aim for remission? Ann Rheum Dis 1995; 54: 944-947. 5. Farmaci per l'artrite reumatoide. The Medical Letter on Drugs and Therapeutics. Anno XXIX. 17. 2000. ed italiana. 6. 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