Nell'uomo la temperatura corporea viene mantenuta in un arco di oscillazione molto ristretto attraverso un delicato equilibrio tra produzione e dispersione di calore. Il centro termoregolatore, situato nell'area preottica dell'ipotalamo, controlla la temperatura modificando la circolazione cutanea, il sudore e l'attività muscolare involontaria (brividi). La febbre coincide con un innalzamento del livello di temperatura fissato dall'ipotalamo, determinato dall'azione di pirogeni endogeni che, direttamente o indirettamente, vanno ad elevare il grado di attivazione dei neuroni termo-sensibili.
La febbre può essere l'unico, o il sintomo principale, di quello che è l'effetto indesiderato di un farmaco. L'iperpiressia, in questo caso, si sviluppa in seguito alla somministrazione del farmaco e scompare alla sua sospensione, per ricomparire ad una successiva riesposizione, in assenza di altre cause evidenziabili ad un attento esame clinico e/o laboratoristico.
A fronte di una definizione piuttosto semplice, la febbre da farmaci è in realtà un problema piuttosto complesso.
I meccanismi coinvolti sono numerosi e possono essere riconducibili:
alla induzione di una reazione di ipersensibilità
ad una suscettibilità su base idiosincrasica geneticamente determinata
ad una reazione legata alla somministrazione
ad una alterazione della termoregolazione con meccanismi centrali, periferici o metabolici
ad una interferenza con la dispersione periferica del calore
ad un danneggiamento dei tessuti.
Si tratta di una reazione avversa che rappresenta, secondo un calcolo probabilistico molto approssimato, il 3-4% di tutti gli effetti indesiderati da farmaci. Diversamente da quanto avviene di solito, l'atopia, il sesso femminile o l'età avanzata non sembrano rappresentare condizioni predisponenti all'insorgenza di questo effetto indesiderato.
Le reazioni di ipersensibilità rappresentano la causa più frequente di febbre da farmaci. Le manifestazioni allergiche che possono accompagnare il rialzo termico comprendono rash, orticaria, malattia da siero e, talora, eosinofilia. L'ipersensibilità è presumibilmente mediata da una risposta di tipo umorale: nei confronti del farmaco o di un suo metabolita si formano degli anticorpi circolanti, soprattutto IgG, IgM e IgE. Il complesso antigene-anticorpo, combinato con fattori del complemento, può causare il rilascio di endotossine pirogene (proteine a basso peso molecolare) da parte dei leucociti. La febbre di solito inizia nei primi 7-10 giorni di terapia, particolarmente con gli antibiotici e questo può portare a difficoltà diagnostiche.
La riesposizione del paziente al farmaco implicato, anche a distanza di anni dall'iniziale episodio di ipersensibilità, provoca una tipica reazione accelerata con comparsa di febbre nell'arco di alcune ore. Tali reazioni sono indipendenti dall'azione farmacologica posseduta dal farmaco e non hanno una relazione dose-effetto nello scatenamento dei sintomi.
Reazioni idiosincrasiche. Una reazione febbrile può essere il risultato di una predisposizione genetica legata ad un difetto biochimico ereditario. L'esempio sicuramente più drammatico è rappresentato dall'ipertermia maligna da neurolettici o da anestetici generali. Il quadro clinico è caratterizzato, oltreché dal rapido incremento della temperatura corporea, da rigidità muscolare, tachicardia, aritmie, acidosi, shock. La reazione è rapidamente progressiva e spesso letale (80% dei casi non trattati). Il trattamento specifico consiste nella tempestiva somministrazione di dantrolene per via endovenosa. L'alotano e le fenotiazine sono i principi attivi più frequentemente implicati nell'insorgenza di questa sindrome, ma ne sono responsabili anche butirrofenoni e risperidone. Il mecccanismo è sconosciuto, ma si ritiene che in qualche modo coinvolga una anomalia nella regolazione intracellulare del calcio.
Nei pazienti con deficienza di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi (G6PD) l'assunzione di farmaci come il chinino, i sulfamidici e la chinidina può scatenare una reazione emolitica che induce la liberazione di pirogeni endogeni e comparsa di febbre.
Reazioni legate alla somministrazione. L'infiammazione e l'irritazione nella sede dell'inoculo di un farmaco somministrato per via parenterale possono causare un rialzo termico, così pure gli effetti pirogenici posseduti dal farmaco stesso, intrinseci o legati alla presenza di contaminanti. Si possono manifestare indifferentemente in ogni paziente trattato. I farmaci possono agire da pirogeni diretti o indiretti. L'amfotericina B e la bleomicina sono dotati entrambe di attività pirogenica intrinseca; la somministrazione di questi due farmaci provoca il rilascio di pirogeni endogeni da parte dei leucociti. I vaccini e gli allergeni (estratti desensibilizzanti) possono provocare iperpiressia per la presenza di contaminati di origine virale o batterica. Le cefalosporine, la vancomicina e l’eritromicina, possono causare una flebite chimica che comporta la comparsa di una reazione febbrile, così come i farmaci citotossici, l’amiodarone e il diazepam.
Alterazioni della termoregolazione. Nel caso degli antidepressivi più recenti che agiscono sul sistema serotoninergico bloccando selettivamente il reuptake della serotonina (es. fluoxetina), la risposta ipertermica è da addebitare ad una aumentata disponibilità della serotonina a livello centrale e induce ad ipotizzare un ruolo del neurotrasmettitore nei meccanismi di controllo centrale della temperatura corporea. Per altri farmaci come l'interferon, la comparsa dello stato febbrile riscontrabile in una elevata percentuale di pazienti, può essere verosimilmente attribuita ad una aumentata sintesi di prostaglandine nell'area preottica ipotalamica. Il meccanismo chiamato in causa per spiegare l'effetto ipertermico degli anti-H2 è invece un blocco dei recettori H2 dell'istamina nel centro termoregolatore ipotalamico. Alcuni farmaci sono in grado di modificare la termoregolazione aumentando o limitando la dispersione del calore. L'alterazione, però, è evidenziabile solo ad alte dosi o in caso di sovradosaggio. La levotiroxina, ad esempio, aumenta la produzione di calore elevando il metabolismo basale, mentre l'atropina, gli antidepressivi triciclici e gli antistaminici riducono la sudorazione, come risultato della loro attività anticolinergica, limitando così la dispersione del calore. Altri farmaci come le amine simpaticomimetiche provocano vasocostrizione periferica e intervengono direttamente sul centro ipotalamico innalzando la temperatura corporea.
Diagnosi della febbre da farmaci. In ogni paziente iperpirettico la prima cosa da ricercare è la presenza di un processo infettivo. L'ipertermia, però, può essere una caratteristica di molte altre patologie non-infettive come la tireotossicosi, le malattie collageno-vascolari (es. artrite reumatoide), i tumori maligni (leucemie, linfomi), le trombosi o le emorragie cerebrali, le occlusioni arteriose periferiche, le affezioni metaboliche come la gotta. Anche un trauma può essere causa di febbre.
Di fronte ad uno stato febbrile di origine incerta si deve quindi prendere in considerazione un'ampia gamma di possibili cause; tra queste non va tralasciato il fatto che possa trattarsi di un effetto indesiderato di un farmaco che il paziente sta usando, in modo particolare se si tratta di un farmaco che risulta fortemente indiziato o anche solo occasionalmente responsabile di tali reazioni sulla base delle casistiche attualmente disponibili.
La diagnosi di febbre da farmaci è difficile in quanto viene confermata solo dopo l’eliminazione di altre cause, dopo dimostrazione del rapporto fra inizio della terapia ed esordio della febbre (ma a volte la sequenza temporale non è facilmente individuabile) e, soprattutto, dopo la scomparsa della febbre entro alcuni giorni dalla sospensione dell’agente causale. Una diagnosi certa può essere fatta solo sulla base della rapida ricomparsa dello stato febbrile alla successiva riesposizione del paziente al farmaco sospetto.
L’eventualità che si tratti di febbre da farmaci andrebbe sempre presa in considerazione prima di sottoporre il paziente a inutili, quanto spesso disagevoli, indagini strumentali-laboratoristiche e trattamenti farmacologici.
La tabellapropone un elenco esemplificativo di principi attivi per i quali questo effetto è stato segnalato (con maggiore o minore frequenza) e i meccanismi d'azione ipotizzati.
Insorgenza e duratadella febbre da farmaci. L'intervallo di tempo che intercorre tra l'inizio del trattamento con un farmaco e la comparsa della febbre può rappresentare un utile elemento diagnostico, anche se esiste una significativa variabilità tra le varie categorie di farmaci che non consente di definire un quadro di riferimento omogeneo. Sulla base dei dati di letteratura si può affermare che tra la somministrazione di un antibiotico e l'inizio del rialzo termico passano in genere 7-8 giorni. Gli antineoplastici presentano il lasso di tempo più breve tra il momento della somministrazione e l'elevazione della temperatura corporea (in media 6 giorni), mentre i farmaci cardiovascolari quello più lungo (44-45 giorni). La febbre da farmaci non ha un andamento temporale tipico. Nei casi segnalati in letteratura la febbre si è più spesso manifestata con un decorso continuo ricorrente con punte massime che hanno seguito il ritmo circadiano diurno (aumenti nel tardo pomeriggio). Va detto però che l'uso di antipiretici e di spugnature fredde, a cui si è fatto spesso ricorso nei casi riportati in letteratura, può aver contribuito a falsare l'andamento della febbre.
Esame fisico. Il paziente con febbre da farmaci, ad esclusione del rialzo termico, non lamenta altri sintomi e può avere un polso relativamente regolare o una modesta bradicardia. Solo in una minoranza di casi possono esservi sintomi concomitanti quali brividi, cefalea e mialgia. Rash di tipo urticarioide sono segnalati nei pazienti con una febbre indotta da un meccanismo umorale.
Esami di laboratorio. Una conta leucocitaria normale, che rimane tale anche con la febbre ricorrente può costituire un utile indicatore diagnostico. In alcuni pazienti può esservi eosinofilia. Il controllo dei parametri ematologici serve, però, soprattutto per escludere un eventuale processo infettivo o infiammatorio in corso.
Trattamento. Il trattamento della febbre da farmaci consiste nella sospensione del farmaco potenzialmente incriminato. Se non è possibile interrompere il trattamento in corso si può ricorrere ad un farmaco appartenente ad una diversa categoria terapeutica utilizzabile in quella stessa patologia. Quando non dovesse essere possibile sostituire il farmaco con un altro "analogo", com'è il caso dell'amfotericina B, è consigliabile far precedere al trattamento la somministrazione di un inibitore delle prostaglandine (FANS), un antistaminico o un cortisonico, capaci di ridurre l'insorgenza o l'entità della reazione febbrile.
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