I motivi di questo editoriale sono molti. Quello più immediato lo si ritrova nei contenuti di questo bollettino, che li richiama con due contributi specifici (Bussola: "Reboxetina; "Tollerabilità degli antidepressivi"). L'occasione più generale è data dal rientro nella rimborsabilità da parte del SSN degli antidepressivi di "nuova generazione", dopo un'attesa di anni, che aveva suscitato a suo tempo molte polemiche, spesso accese, e le cui conseguenze tuttavia non hanno mai trovato una documentazione epidemiologica o clinica da parte di coloro che si dichiaravano molto preoccupati in nome dei diritti inviolabili dei pazienti. Strano modo, questa assenza scientifica, di contribuire alla risposta tempestiva di gravi bisogni inevasi, mentre l'andamento del mercato documentava che non erano certo i fondi, né i pazienti, a far difetto.
Uno sguardo un po' più allargato riporta alla memoria la proliferazione mass-mediatica di iniziative, gruppi, fondazioni che riportano periodicamente alla ribalta l'epidemia crescente della depressione, con pochi dati consolidati (soprattutto per quanto riguarda l'epidemiologia di coloro che trovano o meno risposte), e molte storie "esemplari", non riferite a denominatori in grado di qualificarne la rappresentatività.
Il quadro di riferimento non sarebbe completo se non si ricordasse il rapporto congiunto della Banca Mondiale e dell'OMS che, un paio di anni fa, ha "scoperto" che la depressione si pone tra le prime tre patologie che sono/saranno la causa del maggiore carico di disabilità per le popolazioni di tutti i paesi1.
La depressione, non c'è dubbio, è una condizione di vita e di sofferenza estremamente seria. E' proprio su questo sfondo di gravità (qualitativa e quantitativa: anche se tutti i dubbi sono legittimi ed obbligatori sulla affidabilità delle proiezioni preposte dal rapporto GBD appena ricordato!) che è utile porsi alcune domande a partire dagli antidepressivi "nuovi", il cui ultimo arrivato è commentato in questo bollettino, e la cui lista è ricordata nel riquadro.
1. Il primo dato che colpisce, guardando la "nuova" letteratura, è la permanenza di una dissociazione che sembra essere strutturale in questo settore. Al moltiplicarsi di affermazioni sulla estensione epidemica della depressione corrisponde la ripetitività di trial che lavorano su numeri molto limitati di pazienti: la "potenza statistica" dei trial stessi è sostanzialmente garantita dal fatto che i criteri di valutazione sono basati su punteggi di scala, molto più che su pazienti che risultano effettivamente migliorati-guariti. Alla riaffermazione del "peso di disabilità cronica" della depressione, risponde la prevalenza di trial che continuano a guardare a storie di depressione molto limitate nel tempo: le settimane continuano ad essere l'unità di misura, con poche eccezioni che guardano a ciò che succede alle storie di lungo periodo.
2. La seconda riflessione a partire dalla "novità" tocca più direttamente la farmacologia. La novità della selettività serotoninergica si affianca a quella della selettività noradrenergica. Alle due novità risponde la documentazione "controllata" della sostanziale equivalenza clinico-epidemiologica della efficacia delle diverse molecole, vecchie e nuove, con l'aggiunta di una "dichiarazione" di migliorare tollerabilità ed accettabilità, che fatica a tradursi in dati sufficientemente estesi e consistenti che supportino le affermazioni.
3. Sono ancor più rari, e sostanzialmente insufficienti, i dati che documentano il fatto che ai "nuovi" farmaci sono in grado di rispondere i non-responders ai farmaci vecchi. Logica (= rispetto dei bisogni inevasi e dei diritti dei pazienti più gravi) vorrebbe che la novità fosse sperimentata soprattutto come strumento per ampliare le possibilità terapeutiche, e non solo per ottimizzare quelle esistenti. Che cosa succede, nei trial e nella vita, a quel 30% di pazienti che continuano ad essere gli esclusi dai benefici del trattamento farmacologico di "prima scelta"? Stanno ancor più male? Vanno incontro a risoluzioni "neutrali" del loro problema? Rispondono quando "ricadono" in episodi più o meno gravi o prolungati di depressione? La farmacologia sembra prescindere dalle storie e dall'epidemiologia.
4. Vecchi e nuovi farmaci sono sperimentati e approvati sulla base di risultati ottenuti su pazienti inquadrati diagnosticamente e valutati nel loro essere "responders" o meno con "scale" che da anni continuano ad essere le stesse. Questa coerenza nel tempo degli strumenti è, certo, un dato positivo perché facilita le comparabilità delle diverse coorti di pazienti, e perciò del profilo di beneficio/rischio dei farmaci "nuovi". La domanda più di fondo che si pone è molto semplice: quanti sono, nella realtà dei servizi e delle pratiche specialistiche e nella medicina generale, i pazienti che sono inquadrati e valutati con gli stessi strumenti dei trial? Le tante verifiche fatte suggeriscono che le scale, o gli esami clinici strutturati, non fanno parte della routine. Quale è la conseguenza è facile da immaginare: è verosimile che la decisione diagnostico-prognostica e il monitoraggio dell'efficacia obbediscano a criteri molto più empirici, a giudizi clinici che possano includere nei trattamenti pazienti solo parzialmente comparabili a quelli dei trial, verosimilmente meno gravi, suggerendo così impressioni-valutazioni di efficacia nelle quali gli (eventuali) benefici delle novità sono ancor più diluiti.
5. Gli studi di farmacoepidemiologia, in Italia e fuori, continuano di fatto a documentare una "epidemia permanente" di discrepanza tra le raccomandazioni basate sulle "evidenze" e la pratica: sono i trial che iper-diagnosticano ed ipertrattano? o è la maggioranza dei pazienti che vivono la depressione che viene esclusa dalla tempestività ed efficienza delle novità? Bisognerà aspettare ancora molto una epidemiologia clinica "robusta" della "sofferenza (e dei suicidi, se il rischio di suicidio è una delle indicazioni più preoccupate per un'aggressività farmacologica alla depressione?) evitabile" con pratiche (e non solo con protocolli fortemente pubblicizzati?) basate sulle evidenze? Di chi è la responsabilità di questa sostanziale assenza di documentazione della disabilità più o meno cronica che continua a resistere (ad aumentare, sembrano suggerire le proiezioni del GBD) nel pieno dell'esplosione delle novità farmacologiche?
6. E se fossero anche vere, all'estremo opposto, le affermazioni fortemente documentate di Medawar sulla "epidemia di dipendenza" da antidepressivi, che ricorda quella, per tanto tempo negata, da benzodiazepine?2
7. Gli antidepressivi sono accompagnati, all'entrata in fascia A, da una nota CUF molto articolata.
È noto il destino molto "causale" delle note. Forse sarebbe un segno di rispetto per i diritti di questi pazienti così fortemente reclamizzati, ed altrettanto orfani di studi seri, fare di questa nota un'eccezione: considerarla cioè un buon "quadro di riferimento" per una epidemiologia che, al di là delle prescrizioni più o meno appropriate, renda visibili, in tutta la lunghezza delle loro storie, le popolazioni di pazienti reali. Sarebbe la novità sostanziale, capace di fungere da denominatore e da prova del nove delle novità (farmacologicamente probabili, clinicamente ipotetiche) promesse dalle tante molecole rimborsabili. Sarebbe un buon test - per le industrie produttrici, per i clinici pubblici e privati che si dicono professionalmente ed eticamente preoccupati e responsabili per la sofferenza provocata dalla depressione, per i medici di medicina generale che cercano spazi di originalità di ricerca e di ruoli, per i servizi farmaceutici istituzionalmente incaricati del monitoraggio della applicazione delle note a fini di salute pubblica e non solo di contenimento delle spese, forse anche per le autorità centrali o regionali - per sperimentare concretamente l'interesse riscoperto e programmato per la farmacovigilanza. Questo, ormai lo si sa, non può essere solo un esercizio di attesa più o meno attiva-passiva di segnalazioni di reazioni avverse, ma è la presa in carico complessiva della adeguatezza delle risposte farmacologiche a bisogni complessi.
Non c'è dubbio che la depressione è uno di questi.
Bibliografia 1. Tognoni G. GBD ovvero: acronimi e dizionari di fine-inizio millennio. Ricerca & Pratica 1997;13:133-137. 2. Medawar C. The antidepressant web. Marketing depression and making medicines work. Int J Risk & Safety Med 1997; 10: 75-126.