Studi controllati con placebo
Spesso i nuovi farmaci vengono valutati in studi disegnati per dimostrare che il loro effetto su una o più misure di esito è superiore al placebo. Quando, però, esiste già una terapia di provata efficacia, questi studi possono non essere etici. Inoltre, uno studio controllato con placebo non fornisce alcuna informazione su come il nuovo trattamento si rapporti alla terapia standard. Alternative al confronto con placebo
Gli studi di superiorità sono impostati per stabilire se un nuovo farmaco è effettivamente superiore alla terapia standard. In questo tipo di studi, i test di significatività statistica vengono utilizzati per determinare se è possibile rifiutare l'ipotesi nulla (non c'è "alcuna differenza" tra i farmaci confrontati), mentre i limiti di confidenza servono per stimare l'entità di eventuali differenze. Il fatto che lo studio di superiorità non evidenzi differenze significative non significa, di per sé, che i due trattamenti siano equivalenti: l'apparente mancanza di differenze può dipendere, ad esempio, dalla numerosità del campione, che, se troppo piccola, impedisce di rilevare una differenza, se esistente. Negli studi di superiorità che prevedono un controllo attivo, la differenza attesa tra i farmaci è inferiore rispetto a quella rilevata negli studi di confronto col placebo e perciò è necessario un campione più ampio perché lo studio abbia una potenza adeguata a dimostrarla.
Sia per questo motivo sia perché non necessari ai fini registrativi, raramente si ricorre a studi di questo tipo per i nuovi farmaci.
Più spesso, invece, la speranza dei ricercatori si limita al fatto che il nuovo farmaco abbia tutt'al più la stessa efficacia del trattamento standard, ma possieda qualche vantaggio in termini di sicurezza, convenienza o costo, oppure non presenti vantaggi chiari, ma sia semplicemente un "me-too", una copia, o una terapia di seconda scelta. Di conseguenza, gli studi clinici possono essere deliberatamente disegnati proprio per dimostrare che il farmaco è "equivalente" o "non inferiore" alla terapia standard1-3.
Dimostrare l'equivalenza
Poiché dimostrare che due farmaci sono equivalenti è impossibile, uno studio di equivalenza, in realtà, si pone l'obiettivo di dimostrare che qualsiasi differenza esistente tra due farmaci su una determinata misura di esito ricade all'interno di un determinato intervallo (noto come margine di equivalenza)3. I due farmaci si definiscono equivalenti se l'intervallo di confidenza relativo alla differenza osservata ricade all'interno del margine di equivalenza. In altre parole, il nuovo farmaco ha un effetto grossomodo simile al farmaco di controllo, accettando che possa essere leggermente meno efficace o più efficace. Dimostrare la non-inferiorità
Contrariamente ad uno studio di equivalenza, uno studio di non-inferiorità ha il solo obiettivo di dimostrare che il nuovo farmaco non è peggiore (entro un margine specificato) del farmaco di confronto. Il nuovo farmaco viene giudicato "non-inferiore" se il limite inferiore di confidenza per la differenza tra i due farmaci non è inferiore ad valore prefissato (noto come margine di non-inferiorità)1,3. Uno studio di non-inferiorità non esclude che il farmaco testato possa essere più efficace del farmaco controllo: una volta dimostrata la non-inferiorità, è possibile (ed accettabile) effettuare un'ulteriore test statistico che valuti specificamente l'eventuale superiorità del nuovo farmaco5. In genere, gli studi di non-inferiorità richiedono l'arruolamento di un numero di pazienti inferiore rispetto agli studi di equivalenza o superiorità; di conseguenza, sono più brevi e sono meno costosi, e hanno minori probabilità di produrre risultati deludenti5. Non sorprende, quindi, che gli studi di non-inferiorità vengano condotti più frequentemente rispetto a studi di equivalenza o superiorità per confrontare nuovi farmaci rispetto a terapie consolidate. Potenziali problemi Definizione dei margini di confidenza
La definizione del margine di equivalenza o di non-inferiorità è fondamentale, ma la scelta è arbitraria e può essere complicata1,3,6. Di solito, il margine rappresenta la differenza minima clinicamente accettabile3. Più ristretto è il margine, tanto più alto deve essere il numero di pazienti da arruolare per identificare con certezza una differenza tra i trattamenti. Ne consegue che chi progetta lo studio, per limitare le dimensioni del campione, tende a fissare margini quanto più ampi possibili. L'ampiezza dei margini influenza anche la probabilità di risultati fuorvianti: più ampi sono i margini, maggiore è il rischio che un trattamento meno efficace risulti erroneamente non-inferiore (percentuale di falsi-positivi); più ristretti sono i margini, più aumenta il rischio di rifiutare erroneamente un trattamento che è realmente non-inferiore (percentuale di falsi-negativi).
Possiamo essere sicuri che i farmaci siano realmente efficaci?
Se un nuovo farmaco risulta equivalente o non-inferiore al farmaco di controllo non significa necessariamente che entrambi i trattamenti siano efficaci. L'efficacia dei due farmaci può essere confermata introducendo nello studio un gruppo placebo, ma ciò richiederebbe un campione più ampio e potrebbe non essere accettabile sotto il profilo etico. Un altro approccio consiste nel considerare efficace il trattamento utilizzato come controllo, sulla base dei risultati ottenuti negli studi precedenti verso placebo3, ma questo implica che l'impostazione dello studio di equivalenza o di non-inferiorità rispecchi fedelmente quella dei precedenti studi controllati con placebo3.
L'analisi "intention-to-treat" non è sufficiente
Negli studi di superiorità, in cui l'obiettivo è valutare se due trattamenti sono diversi, solitamente si preferisce adottare il criterio dell'"intention-to-treat", che analizza i dati di tutti i pazienti randomizzati, indipendentemente dal fatto che abbiano portato a termine lo studio o meno. Questo metodo di analisi fornisce risultati più affidabili dell'analisi "per-protocol", che si basa solo sui dati relativi ai pazienti che sono stati effettivamente trattati secondo quanto previsto dal protocollo e hanno completato lo studio. L'analisi per-protocol tende ad accentuare le differenze tra i trattamenti anziché ridurle, escludendo dai risultati le interferenze dovute ai pazienti che, per qualsiasi motivo, non hanno seguito il trattamento previsto.
Negli studi di equivalenza e di non-inferiorità, l'analisi "intention-to-treat" può risultare fuorviante perché rischia di non evidenziare differenze esistenti tra i trattamenti, aumentando la probabilità di concludere erroneamente che sono equivalenti o l'uno non-inferiore all'altro2,3. Pertanto, in uno studio di equivalenza o di non-inferiorità, devono essere condotti entrambi i tipi di analisi. E' possibile affermare l'equivalenza o la non-inferiorità solo se entrambe le analisi le supportano3.
Questo tipo di studi è adeguato?
Gli studi di equivalenza e di non-inferiorità che non prevedono un braccio di trattamento con placebo non possono essere utilizzati se per quella patologia non esiste un trattamento di provata efficacia, quando esiste una elevata risposta al placebo o una variabilità stagionale o di altro tipo (ad es. nella demenza, nella depressione, nella rinite stagionale)6. Non devono essere utilizzati nemmeno quando un risultato di inferiorità non è accettabile (ad es. per i trattamenti salvavita o nella profilassi di malattie irreversibili). Secondo alcuni, gli studi di non-inferiorità non sono etici in quanto i pazienti potrebbero essere esposti ad un trattamento effettivamente meno efficace o meno sicuro rispetto a quelli disponibili5. Cosa ricercare nel report di uno studio
E' importante essere consapevoli dei limiti potenziali degli studi di equivalenza e non-inferiorità che possono portare a risultati errati o fuorvianti3,7. In particolare, quando si valuta questo tipo di studi, occorre porsi le seguenti domande:
- Il report indica se lo studio ha valutato la non-inferiorità o l'equivalenza, e ne indica le ragioni?
- E' stata utilizzata come confronto una terapia standard di efficacia comprovata?
- I partecipanti, la struttura dello studio e i risultati sono stati simili a quelli degli studi che hanno dimostrato l'efficacia del trattamento utilizzato come controllo?
- Nel report è specificato il margine di equivalenza o di non-inferiorità, oltre alle ragioni della scelta?
- Il margine è clinicamente accettabile?
- Nel report è descritto il calcolo delle dimensioni del campione, tenendo conto del margine di equivalenza o di non-inferiorità?
- Sono state impiegate le analisi "intention-to-treat" e "per-protocol"? Sono state illustrate?
Se la risposta ad alcune o a tutte queste domande è negativa bisogna dubitare della qualità e del valore dei risultati dello studio. Bibliografia 1. Pocock SJ. The pros and cons of noninferiority trials. Fundam Clin Pharmacol 2003; 17: 483–90. 2. European Medicines Agency, 1998. Notes for guidance on statistical principles for clinical trials [online]. Available: http://www.emea.europa.eu/pdfs/human/ich/036396en.pdf [Accessed 13 June 2008]. 3. Piaggio G et al. Reporting of noninferiority and equivalence randomized trials: an extension of the CONSORT statement. JAMA 2006; 295: 1152–60. 4. European Medicines Agency, 2000. Points to consider on switching between superiority and non-inferiority[online]. Available: http://www.emea.europa. eu/pdfs/human/ewp/048299en.pdf [Accessed 13 June 2008]. 5. Garattini S, Bertele' V. Non-inferiority trials are unethical because they disregard patients' interests. Lancet2007; 370: 1875–7. 6. European Medicines Agency, 2005. Guideline on the choice of the noninferiority margin [online]. Available:http://www.emea.europa.eu/pdfs/human/ewp/215899en.pdf [Accessed 13 June 2008]. 7. Le Henanff A et al. Quality of reporting of noninferiority and equivalence randomised trials. JAMA 2006; 295: 1147–51.