Proprietà farmacologiche
Il ranibizumab è un frammento di anticorpo monoclonale umanizzato ricombinante diretto contro il Fattore di Crescita Vascolare Endoteliale extracellulare (VEGF). Il VEGF è una proteina endogena coinvolta nei processi biologici che iniziano e mantengono lo sviluppo sia fisiologico che patologico di nuovi vasi sanguigni, regolano la permeabilità dei vasi e l’infiammazione, tutti fattori che si ritiene contribuiscano allo sviluppo e alla progressione della degenerazione maculare neovascolare (essudativa)1. Il VEGF è presente in quattro isoforme principali. A differenza del pegaptanib, il ranibizumab non è selettivo per una particolare isoforma2.
Efficacia clinica
La degenerazione maculare legata all’età (AMD: aged-related macular degeneration) è una malattia che colpisce la parte centrale della retina (macula), provocando distorsione delle immagini e perdita della visione centrale (necessaria per guidare, leggere i caratteri minuscoli e altre attività simili). Il 90% circa dei pazienti con AMD in stadio avanzato presenta la forma secca (atrofica), associata a lento deterioramento della visione centrale, la forma meno invalidante per la quale non esistono al momento trattamenti né curativi né preventivi. La AMD neovascolare (essudativa) è caratterizzata invece dalla formazione di vasi sanguigni anormali sotto la retina e la macula che causano emorragie e fuoriuscita di liquidi, responsabili della perdita progressiva della visione centrale. La maggior parte dei pazienti con AMD con una perdita della vista sino alla cecità legale (acuità visiva corretta non superiore a 20/200 per l’occhio meno compromesso) presenta la forma neovascolare3.
Per trattare questa patologia fino a poco tempo fa era disponibile unicamente la terapia fotodinamica con verteporfina per via endovenosa (Visudyne), in grado di stabilizzare la perdita della visione circa nella metà dei pazienti, per un periodo di due anni e con effetti indesiderati accettabili4. In rapida successione sono stati poi commercializzati il pegaptanib e il ranibizumab ed è inoltre stato autorizzato per questa indicazione anche il bevacizumab, utilizzato da tempo off-label (determinazione AIFA del 23 maggio 2007, GU n. 122 del 28 maggio 2007).
L’efficacia del ranibizumab è stata valutata in due studi randomizzati, controllati che hanno valutato il farmaco rispetto ad un’iniezione fittizia o alla verteporfina. In entrambi gli studi, la misura primaria di esito era rappresentata dalla percentuale di pazienti la cui acuità visiva si era ridotta di meno di 15 lettere rispetto al basale sulla tavola ETDRS (equivalenti a circa tre linee sulla tavola di Snellen). Nel primo studio (MARINA)5, 716 pazienti (età media 77 anni) sono stati randomizzati a ricevere un’iniezione di 0,3 mg o di 0,5 mg di ranibizumab o un’iniezione fittizia in un occhio con una cadenza mensile per 2 anni (24 inezioni). Dopo 12 mesi, un maggior numero di pazienti nel gruppo trattato con ranibizumab (94,5% con 0,3 mg e 94,6% con 0,5 mg) aveva raggiunto l’esito primario rispetto a quelli che avevano ricevuto iniezioni fittizie (62,2%). L’acuità visiva era migliorata di 15 o più lettere rispetto al basale nel 24,8% dei pazienti trattati con 0,3 mg di ranibizumab e del 33,8% dei pazienti trattati con 0,5 mg, rispetto al 5,0% dei pazienti che avevano ricevuto iniezioni fittizie. Dopo 12 mesi, l’incremento medio dell’acuità visiva era di 6,5 lettere con 0,3 mg di ranibizumab e di 7,2 con 0,5 mg, rispetto ad una riduzione di 10,4 lettere con le iniezioni fittizie. In base ai risultati, il beneficio si manterrebbe a 24 mesi e sarebbe indipendente dalla dimensione o tipologia delle lesioni o dall’acuità visiva basale.
Nel secondo studio (ANCHOR)6, 423 pazienti (età media 77 anni) sono stati randomizzati a 0,3 mg o 0,5 mg di ranibizumab oppure a verteporfina. Il ranibizumab è stato somministrato per iniezione intraviteale nell’occhio in studio una volta al mese per 12 mesi; se necessario, a loro discrezione gli esaminatori potevano somministrare verteporfina per infusione endovenosa ai mesi 3, 6, 9 o 12. Per mantenere il cieco sono state utilizzate iniezioni intravitreali fittizie e infusioni di fisiologica. In tutti i pazienti la macula è stata irradiata, trattamento necessario per l’attivazione della verteporfina. Dopo 12 mesi, l’esito primario era stato raggiunto in un numero maggiore di pazienti nel gruppo trattato con ranibizumab (94,3% con 0,3 mg di ranibizumab e 96,4% con 0,5 mg) rispetto alla verteporfina (64,3%). L’acuità visiva è migliorata di 15 o più lettere rispetto al basale nel 35,7% dei pazienti trattati con 0,3mg di ranibizumab e nel 40,3% dei pazienti trattati con 0,5 mg, rispetto al 5,6% nel gruppo trattato con verteporfina. L’incremento medio dell’acuità visiva rispetto al basale è stato di 8,5 lettere con 0,3mg di ranibizumab e di 11,3 lettere con 0,5 mg rispetto ad una riduzione media di 9,5 lettere con verteporfina.
In un terzo studio il ranibizumab è stato valutato in associazione alla verteporfina7. L’associazione è risultata più efficace della sola verteporfina ma, in mancanza di un gruppo trattato con solo ranibizumab non è possibile dire se sia stato utile mantenere la verteporfina. La frequenza ottimale delle iniezioni non è nota ma sembra possibile, dopo tre mesi di somministrazioni mensili passare a una somministrazione ogni tre mesi8.
Al momento non sono disponibili studi di confronto con il pegaptanib, ma ciò è comprensibile vista lo sviluppo quasi contemporaneo dei due farmaci. In base ad un confronto indiretto, ma con dati limitati, il ranibizumab sembra più efficace in particolare per quanto riguarda il mantenimento dell’efficacia a due anni4.
Non esistono confronti con il bevacizumab (l’anticorpo completo di cui il ranibizumab è un frammento), non registrato per somministrazione intravitreale nella AMD la cui valutazione di efficacia si basa al momento unicamente sull’esperienza clinica condotta utilizzando il farmaco off-label, in studi di breve durata e in assenza di un gruppo controllo e di un metodo standardizzato per misurare le modificazioni dell’acuità visiva.
Effetti indesiderati
Gli effetti indesiderati osservati comunemente nel corso degli studi clinici sono risultati simili per tipo ed frequenza a quelli indotti dal pegaptanib. L’incidenza degli eventi avversi gravi per entrambi è compresa fra lo 0,4% e lo 0,8%: scollamento della retina, endoftamiti, iridocicliti, emorragie retiniche, aumento della pressione intraoculare, diminuzione transitoria della vista. La comparsa di effetti indesiderati ha indotto il 3% dei pazienti a sospendere il trattamento4.
La percentuale di infiammazioni intraoculari (uveiti) è stata più elevata in entrambi i gruppi trattati con ranibizumab rispetto alla verteporfina o alle iniezioni fittizie. Il ranibizumab per via intravitreale non è stato associato agli effetti avversi segnalati con la somministrazione sistemica di anti-VEGF, come gli eventi avversi tromboembolici e l’ipertensione2.
Una analisi combinata degli studi ANCHOR e MARINA ha evidenziato un aumento degli eventi avversi ischemici rispetto al placebo e alla verteporfina. In una lettera inviata ai medici negli USA, la ditta produttrice ha recentemente avvisato di un aumento del rischio di ictus associato al dosaggio di ranibizumab da 0,5 mg rispetto a 0,3 mg (1,2% vs. 0,3%,) evidenziatosi in uno studio in corso (studio Sailor)4.
Controindicazioni
Poiché il rischio di eventi avversi cerebrovascolari è più elevato in pazienti con una storia di eventi cerebrovascolari, in questi pazienti il farmaco è controindicato.
Dosaggio
La dose raccomandata è 0,5 mg (0,05 ml). Il trattamento con LUCENTIS viene iniziato con una fase di attacco di una iniezione al mese per tre mesi consecutivi, seguita da una fase di mantenimento in cui i pazienti devono essere controllati mensilmente per l’acuita’ visiva. Se il paziente manifesta una perdita dell’acuita’ visiva superiore a 5 lettere (ETDRS o l’equivalente di una linea di Snellen), si deve somministrare LUCENTIS. L’intervallo tra due dosi non deve essere inferiore a 1 mese.
Costi
Il costo di una singola fiala è di € 2.019,40. Considerando 3-12 iniezioni all’anno, il costo annuo è compreso tra € 6.058 e € 24.232.
Ogni fiala di ranibizumab contiene 3 mg (0,3 ml di una soluzione da 10mg/ml), tuttavia ogni somministrazione richiede solo 0,5mg (0,05ml) e la scheda tecnica raccomanda di scartare la soluzione rimanente. Lo schema di somministrazione del ranibizumab, così come indicato dalla ditta produttrice, non permette di utilizzare la stessa fiala per trattare più di un paziente con evidente spreco di farmaco. Una siringa preriempita con il dosaggio adeguato potrebbe ridurre i costi. Il costo di un trattamento annuo (9 somministrazioni) sfiora i 14.000 euro.
Il ranibizumab è un frammento di anticorpo monoclonale umanizzato ricombinante diretto contro il Fattore di Crescita Vascolare Endoteliale extracellulare (VEGF), una proteina endogena coinvolta nello sviluppo e progressione della degenerazione maculare neovascolare (essudativa). Gli studi hanno dimostrato che la somministrazione intravitreale ripetuta del farmaco rallenta la perdita della visione fino a due anni e i pazienti che traggono beneficio dal trattamento sono in percentuale superiore rispetto al trattamento con verteporfina. La somministrazione intravitreale comporta tuttavia rischi infiammatori e infettivi. Anche in considerazione del rischio di effetti avversi cerebrovascolari, il ranibizumab andrebbe perciò riservato ai pazienti che non rispondono alla verteporfina. Il farmaco ha un costo molto elevato. Il bevacizumab rappresenta un’alternativa meno costosa; è l’unico autorizzato nell’ambito del SSN, anche se efficacia e sicurezza nel trattamento della degenerazione maculare si basano ad oggi solo sull’esperienza clinica di impiego off-label e su pochi studi di breve durata, non controllati. In mancanza di un confronto diretto (sarà realizzato uno studio su 1.200 pazienti dal National Eyes Institute), non è possibile fare valutazioni di superiorità rispetto ad efficacia, sicurezza, frequenza di somministrazione.
Bibliografia 1. Ferrara N. Vascular endothelial growth factor: basic science and clinical progress. Endocr Rev 2004; 25: 581-611. 2. I nuovi farmaci per la degenerazione maculare. DTB 2007; 45: 49-52. 3. PT de Jong. Age-related macular degeneration. N Engl J Med 2006; 355:1474-85. 4. Ranibizumab. La Rev Prescr 2007; 284: 414. 5. Rosenfeld PJ et al. Ranibizumab for neovascular age-related macular degeneration. N Engl J Med 2006; 355: 1419-31. 6. Brown DM et al. Ranibizumab versus verteporfin for neovascular agerelated macular degeneration. N Engl J Med 2006; 355: 1432-44. 7. Heier JS et al. Ranibizumab combined with verteporfin photodynamic therapy in neovascular age-related macular degeneration: year 1 results of the FOCUS Study. Arch Ophthalmol 2006; 124:1532-42. 8. Rosenfeld PJ et al. Ranibizumab: Phase III clinical trial results. Ophthalmol Clin North Am 2006; 19:361-72. 9. Avery RL et al. Intravitreal bevacizumab (Avastin) for neovascular agerelated macular degeneration. Ophthalmology 2006; 113:363–72. 10. Michels S et al. Systemic bevacizumab (Avastin) therapy for neovascular age-related macular degeneration: twelve-week results of an uncontrolled open-label clinical study. Ophthalmology 2005; 112:1035-47. 11. Bashshur ZF et al. Intravitreal bevacizumab for the management of choroidal neovascularization in age-related macular degeneration. Am J Ophthalmol 2006; 142:1-9.