Aspirina in prevenzione primaria in soggetti con diabete
Stessi dati, conclusioni divergenti
Giorgia De Berardis, Michele Sacco, Gianni Tognoni, Antonio Nicolucci Dipartimento di Farmacologia Clinica e Epidemiologia Consorzio Mario Negri Sud, S. Maria Imbaro
Le complicanze macrovascolari rappresentano la causa principale di morbilità, mortalità e consumo di risorse correlate al diabete di tipo 2 e sono destinate ad aumentare nei prossimi anni, a causa dei trend in continua crescita della malattia diabetica.
La necessità di un approccio globale e integrato al diabete e alle patologie cardiovascolari, riconosciuto prioritario negli ultimi anni, è stato ulteriormente sottolineato dagli sforzi congiunti di società di diabetologi e cardiologi sia negli Stati Uniti sia in Europa, che hanno portato allo sviluppo delle recenti raccomandazioni (Tabella 1).
Lo scorso gennaio sono state, infatti, pubblicate da parte dell'"American Heart Association" (AHA) e dell'"American Diabetes Association" (ADA) le linee-guida sulla prevenzione primaria di patologie cardiovascolari in soggetti con diabete1. Contemporaneamente, la "European Society of Cardiology" (ESC) e la "European Association for the Study of Diabetes" (EASD) hanno sviluppato le raccomandazioni sul diabete e le patologie cardiovascolari2.
Tutte e due le linee-guida coprono un ampio spettro di aspetti rilevanti della pratica clinica. L'uso dell'aspirina per la prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nei soggetti con diabete è certamente uno dei più rilevanti e allo stesso tempo più controverso. Il confronto tra gli approcci usati dagli esperti europei e americani fornisce un tipico esempio di come dalle stesse evidenze possano derivare raccomandazioni completamente divergenti.
Nelle linee-guida europee, definite come "evidence-based" da parte degli autori, non c'è menzione dell'uso di aspirina nella prevenzione primaria dell'infarto del miocardio e della morte cardiovascolare, mentre è raccomandata per la prevenzione primaria dell'ictus. Non è tuttavia chiaro quali evidenze siano state usate per sostenere tale raccomandazione, dal momento che appare in netto contrasto con le recenti linee-guida sulla prevenzione dell'ictus ischemico pubblicate nel 2006 dall'"American Heart Association" (AHA) e dall'"American Stroke Association" (ASA)3. In particolare, quest'ultima linea guida riconosce formalmente la mancanza di efficacia dell'aspirina per la prevenzione primaria dell'ictus ischemico negli uomini, e lascia solo la possibilità di utilizzo nelle donne, mentre avverte che non è stato documentato alcun chiaro beneficio in termini di morbilità e mortalità cardiovascolare.
Contrariamente alla posizione europea, le linee guida americane raccomandano l'uso dell'aspirina a basse dosi come strategia di prevenzione primaria in tutti gli individui con diabete di età superiore ai 40 anni o che abbiano ulteriori fattori di rischio1. Queste raccomandazioni sono in linea con quelle precedentemente pubblicate dall'ADA4, e condividono lo stesso approccio non sistematico nella revisione della letteratura esistente.
Effettivamente, le raccomandazioni sembrano essere basate più sull'estrapolazione dei dati di efficacia relativi a popolazioni ad alto rischio, che non su dati convincenti derivanti da studi specifici su soggetti con diabete. Di conseguenza la domanda è: "quali sono le evidenze a sostegno dell'efficacia dell'aspirina in soggetti con diabete?"
Nonostante il consenso generale, le evidenze a supporto di queste raccomandazioni sono sorprendentemente scarse (Tabella 2).
La sola evidenza utilizzata a sostegno dell'efficacia dell'aspirina nella prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nei soggetti con diabete deriva dal Physicians' Health Study, che mostra una riduzione del 60% nel rischio di infarto del miocardio5. Tuttavia, tale riduzione non era statisticamente significativa a causa del limitato numero di eventi nel gruppo di soggetti con diabete (11/275 nel gruppo trattato con aspirina vs. 26/258 nel gruppo trattato con placebo; p=0,22); nessuna informazione, inoltre, era disponibile in merito all'effetto complessivo sugli end-point cardiovascolari.
I risultati, infine, si riferiscono solo alla popolazione maschile, arruolata nei primi anni ottanta, periodo in cui non erano disponibili altre terapie efficaci per la prevenzioni delle patologie cardiovascolari (es. ACE-inibitori, statine). Osservazioni più recenti indicano la possibilità di una ridotta efficacia dell'aspirina nei soggetti affetti da diabete. Infatti, i risultati di una meta-analisi sull'efficacia della terapia antiaggregante nella prevenzione degli eventi cardiovascolari maggiori hanno mostrato un chiaro beneficio della terapia antiaggregante per l'intera popolazione di oltre 140.000 soggetti (riduzione del 22% nel rischio degli eventi cardiovascolari maggiori), ma nessun beneficio statisticamente significativo è stato documentato nel sottogruppo di circa 5.000 soggetti con diabete (riduzione del rischio del 7%)6. Inoltre, i risultati relativi all'aspirina nei soggetti diabetici derivavano principalmente dallo studio ETDRS, il solo condotto in modo specifico sulla popolazione diabetica. In questo studio, che includeva 3.711 pazienti con e senza pregressa patologia cardiovascolare, il trattamento con una dose giornaliera di 650 mg di aspirina per una durata media di 5 anni era associato ad una riduzione non significativa del 9% degli eventi vascolari gravi (mortalità cardiovascolare, infarto del miocardio non fatale, ictus non fatale)7.
Consistentemente con i risultati della meta-analisi, lo studio PPP (Progetto Prevenzione Primaria)8, effettuato su un sottogruppo di oltre 1.000 soggetti con diabete, ha confermato una riduzione del 10%, statisticamente non significativa, nell'incidenza di eventi cardiovascolari maggiori nei soggetti trattati con aspirina rispetto ai controlli dopo 3 anni di follow-up (RR = 0,90; IC 95% 0,50-1,62)9.
Più recentemente, i risultati del Women's Health Study hanno documentato in 1.027 donne con diabete una riduzione non significativa del 10% nel rischio di eventi cardiovascolari maggiori associata al trattamento con aspirina rispetto al placebo (RR = 0,90; IC 95% 0,63-1,29). L'effetto complessivo era il risultato netto di una riduzione del rischio di ictus (RR = 0,46; IC 95% 0,25-0,85) associato ad un aumento non significativo del rischio di infarto del miocardio (RR = 1,48; IC 95% 0,88-2,49)10. In contrasto con le convinzioni che emergono dalle linee-guida, tutti i dati esistenti suggeriscono, quindi, che l'efficacia clinica dell'aspirina a basse dosi nei pazienti con diabete è sostanzialmente inferiore rispetto ad individui senza diabete.
Una crescente mole di evidenze supporta l'ipotesi che il diabete possa rappresentare una condizione particolare di aspirino-resistenza, principalmente correlata alla presenza di uno stato infiammatorio e trombogenico11. Pertanto, ci sono sufficienti motivazioni per supporre che il diabete sia da considerare come una entità separata, e non come uno dei tanti sottogruppi ad alto rischio cardiovascolare.
Alla luce delle evidenze disponibili, la raccomandazione all'utilizzo dell'aspirina per la prevenzione primaria degli eventi cardiovascolari nei soggetti con diabete non può pertanto essere considerata "basata sulle evidenze". Le attuali conoscenze derivano principalmente da studi clinici relativamente vecchi, che includevano un numero ridotto di pazienti, e che difficilmente rappresentano le attuali strategie per la gestione dei fattori di rischio cardiovascolare. In particolare, non è ancora chiaro se l'aspirina produca qualche beneficio in aggiunta a quello conferito da statine, ACE-inibitori e stretto controllo metabolico. Inoltre, c'è la plausibilità di meccanismi fisiopatologici che conducono ad una ridotta efficacia clinica.
La necessità di considerare il diabete come condizione separata sia in termini di rischio cardiovascolare sia in termini di strategie terapeutiche preventive da adottare è documentata dall'attivazione di diversi studi clinici (ASCEND, POPADAD, JPAD, ACCEPT-D) disegnati in modo specifico per valutare l'efficacia dell'aspirina per la prevenzione di eventi cardiovascolari in soggetti con diabete (Tabella 3).
Infine, occorre sottolineare che la stessa FDA non supporta l'indicazione dell'aspirina per la prevenzione primaria di patologie cardiovascolari in pazienti a rischio moderato. Quali sono le implicazioni per la pratica clinica alla luce delle raccomandazioni promosse dalle più importanti società scientifiche?
La prima ha a che fare con i succitati grandi trial clinici in corso sui pazienti diabetici; quali criteri di riferimento e quali dati vengono utilizzati dagli sperimentatori e dai comitati etici dai due lati dell'Atlantico per definire i criteri di inclusione ed esclusione, per giustificare l'uso del placebo, e per informare di conseguenza i pazienti?
Una seconda implicazione riguarda il significato normativo delle raccomandazioni in merito alla decisione clinica dei prescrittori. In un'era di Evidence Based Medicine, la decisione di prescrivere un farmaco così vecchio come l'aspirina per una condizione clinica comune deve essere presa sulla base del singolo paziente, dopo un'accurata valutazione del bilancio tra i benefici attesi e il rischio significativo di sanguinamento maggiore. Diversi studi hanno dimostrato un eccesso di rischio di sanguinamenti maggiori pari a 1-2 casi per mille pazienti trattati per un anno con aspirina a basse dosi12. I benefici dell'aspirina compensano il rischio di sanguinamento maggiore in pazienti di età inferiore ai 50 anni, senza altri fattori di rischio cardiovascolare?13 L'aspirina dovrebbe essere prescritta a pazienti con età superiore ai 70 anni considerando la mancanza di informazioni affidabili in questo fascia di età e il netto aumento del rischio di sanguinamento gastrointestinale?12
Se, dagli studi in corso, il beneficio dell'aspirina negli individui con diabete si confermerà inferiore rispetto a quello atteso, il suo uso per la prevenzione primaria di patologie vascolari in popolazioni non selezionate potrebbe tramutarsi in un rischio netto. Studi recenti, che maggiormente riflettono l'effettiva pratica clinica in termini di controllo dei fattori di rischio cardiovascolare, suggeriscono che l'incidenza di eventi cardiovascolari maggiori in individui con diabete e senza pregresso evento cardiovascolare dovrebbe essere compresa tra 10 e 20/1.000 persone anno14-17. Assumendo una riduzione di rischio relativo associata al trattamento con aspirina di circa il 10%, come suggeriscono gli studi esistenti, 1.000 pazienti dovrebbero essere trattati per un anno per prevenire da 1 a 2 eventi cardiovascolari maggiori. Di conseguenza, il beneficio atteso non supera in modo evidente il rischio di sanguinamenti maggiori, in particolare tra gli individui più anziani.
In conclusione, a fronte di una situazione di elevato rischio cardiovascolare, le evidenze di efficacia di strategie di prevenzione primaria nei soggetti con diabete sono sorprendentemente carenti. In un'ottica di prevenzione del peso sociale, clinico ed assistenziale legato alla malattia diabetica, tale carenza di informazioni è particolarmente preoccupante, soprattutto considerando che un buon controllo metabolico, pur rappresentando un prerequisito fondamentale di un'adeguata assistenza diabetologica, non è di per sé sufficiente a prevenire la maggior parte delle complicanze cardiovascolari.
La valutazione dell'efficacia di strategie di prevenzione primaria cardiovascolare nei soggetti con diabete rappresenta pertanto una importante priorità in termini di salute pubblica.
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