l titolo virgolettato di questo editoriale riproduce quello di un numero speciale di Prescrire dell’agosto 2014. Abbandonata almeno per una volta la tradizione di proporre riflessioni dettate dalla cronaca, o dai contenuti del numero corrente di IsF, o dalla letteratura, si propone l’ascolto di una rivista che da sempre è un riferimento-chiave, per la rete internazionale dei bollettini indipendenti, sia dal punto di vista dei contenuti tecnici che delle strategie culturali. Il percorso preparato da Prescrire sembra infatti di particolare pertinenza per la situazione generale che si sta vivendo in Italia, ma non solo, e specificamente nel rapporto tra sanità e società.
I punti che seguono non pretendono certo di rappresentare in pieno la ricchezza di un lavoro estremamente articolato, che si sviluppa lungo 72 pagine, con contributi molto agili, ognuno non più di 2 pagine, che propongono temi tecnici, casi clinico-assistenziali, scenari organizzativi, narrazioni di esperienze, puntualizzazioni concettuali e metodologiche.
Con criteri ovviamente soggettivi, e tenendo conto di quanto soprattutto succede in una Italia sempre meno capace di progettare collaborativamente il futuro della sanità, assorbita come è in una gestione empirica e al ribasso di soluzioni organizzative slegate da progetti culturali, si mettono in evidenza solo alcune tematiche che sembrano più originali e stimolanti.
1. Il metodo anzitutto. Il “numero speciale” è il prodotto di uno di quei “Rencontres Prescrire” che da anni riuniscono per confronti intensi lungo più giorni di lavoro comune professionisti sanitari e pazienti. La parola chiave di questo anno, (É)changer: mettersi in situazione di condividere per cambiare – riassume il bisogno e la sfida di riconoscere reciprocamente di avere domande aperte in cerca di risposte, ed esperienze-sperimentazioni di percorsi innovativi indispensabili per non lasciarsi intrappolare dalla ripetività frammentata, e difficilmente declinabile al futuro, del quotidiano.
Necessità di confrontarsi faccia a faccia, come persone che scelgono di darsi del tempo per parlare-ascoltare, fuori dal ricatto della comunicazione più o meno “digitale”, obbligata in “pacchetti” pre-confezionati di parole, concetti, evidenze, prescrizioni, linee guida, raccomandazioni. Secondo le parole che concludono l’editoriale: “Condividere iniziative, piene di incertezze e di esperienze concrete, coincide con il mettere in comune l’ambizione tranquilla di poter produrre idee nuove – (É)changer è un modo di regalarsi la voglia di continuare a fare passi in avanti concreti, ognuno al suo livello e/con la sua competenza, per cambiare”.
2. La tesi generale. “Insieme costruire un’alleanza equilibrata con i pazienti.” Nulla, e tutto, di originale. La semplicità di riaffermare e documentare con grande libertà – in tempi dominati dalla amministrazione e dalla rendicontazione contrattuale e istituzionale, che ha come “avvenire” un pareggio, o un risparmio, o un contenimento gestionale – che il quadro di riferimento obbligatorio è la capacità di darsi il diritto-dovere di prendere decisioni insieme con i pazienti.
Passo in avanti “verso”: dalle informazioni condivise alle decisioni lucidamente consensuali: scambio che cambia rapporti di potere: con esempi relativi all’oncologia, al rinunciare all’inutile, e ad adottare l’incerto: per essere reciprocamente responsabili di rendicontarsi sul come va a finire. Osservazione qualitativa di outcome, la si chiamerebbe tecnicamente, senza protocolli da presentare a C.E. sempre più formali, ma al giudizio della trasparenza reciproca, che è dimensione difficile da recuperare nella pratica, visto che è stata tanto esiliata e confinata nelle raccomandazioni.
3. I passi concreti. “Migliorare contenuti e qualità delle cure-prestazioni analizzando il vissuto delle/dei pazienti”. Dopo un rimando ad un sito inglese di condivisione di vissuti personali (www.healthtalkonline.org), si passano in esame scenari concreti che vanno dal racconto dei tanti modi con cui si percepisce il come si è malati, alla gestione della farmacovigilanza, alle modalità di inserire le/i pazienti nelle équipe di presa in carico, alla automedicazione, alla sospensione di trattamneti cronici ragionevolmente superflui, alla gestione dell’Alzheimer con o senza trattamenti più o meno sintomatici o “causali”, ai tranquillanti, ipnotici, alla gestione dei rischi.
4. Organizzarsi per comunicare meglio. I tempi ed i luoghi dove si possono condividere e sperimentare desideri e bisogni di un’alleanza tra persone (al di là degli appuntamenti conteggiati in minuti e degli incontri secondo protocolli di urgenza-rilevanza previsti per contratto) non è semplice.
La mappa dei luoghi-tempi che favoriscono la continuità e la specificità (secondo le età e le patologie, il contesto ospedaliero e/o la medicina generale) dell’alleanza medico-paziente è particolarmente istruttiva e stimolante: va dalla continuità dopo la dimissione ospedaliera, alle case della salute, al tempo pre-post natale, alle prestazioni di laboratorio, all’uso di tecnologie preoccupate di “non dis-connettere gli umani” alle diverse e controverse teleconsultazioni, a corsi di formazione per “imparare” a lavorare insieme, al modo con cui, pazienti e professionisti, scambiano le proprie esperienze di “scegliere” di, e liberarsi da, le dipendenze dai tanti mercati, siano quelli della propaganda, o delle associazioni dei pazienti più o meno sponsorizzate, o delle mode, o delle abitudini…
5. Preparare l’avvenire. Il ritorno, per concludere, al tema centrale di questo numero speciale, è obbligatorio. In fondo, il messaggio più originale (più innovativo perché più antico) dei colleghi (professionisti ↔ pazienti) di Prescrire è proprio in questa idea: per essere appropriati oggi, e domani, è imprescindibile avere un progetto lucido e disincantato da realizzare, per dopo-domani, e dopo.
Se si è operatori sanitari - o cittadini portatori coscienti di diritti – un progetto, qualsiasi esso sia, deve avere come criterio e metodo quello di immaginare-agire, ampliare, approfondire, rendere generatori di interesse e futuro i rapporti con/tra le persone. Specie quando ci si trova ad incontrarsi per (É)changer saperi ed incertezze, poteri e bisogni, riconoscendo in questo senso la stretta continuità e complementarietà tra ciò che si fa a livello individuale, per tradurlo in condivisione collettiva. Un tempo concentrato su evidenze da rispettare come paletti (di qualsiasi tipo) è inevitabilmente esposto a divenire un invito implicito a guardare indietro, o al futuro molto vicino del prossimo “controllo”, lasciando che l’avvenire sia affidato a qualcuno che decide, fuori da qualsiasi confronto reale con i cambiamenti culturali e sociali, oltre che tecnici. Verrebbe voglia – cedendo ad un vecchio vizio che sempre si riaffaccia – di leggere questo “invito all’avvenire” come eco di un ritornello di IsF che può riassumersi come se fosse una citazione senza bisogno di referenze bibliografiche: “una pratica appropriata è possibile solo se la capacità addormentante e demotivante della routine è abitata, non appena possibile, dalla discontinuità della ricerca, soprattutto collettiva, e sempre più fatta nella logica di confronto-condivisione con i vissuti delle/dei pazienti”.
Ma, di questi tempi soprattutto, la citazione più appropriata, e l’invito meglio formulato, è quello di un libretto, molto didattico, parte di una collana che si è data come obiettivo quello di ri-chiamare le cose per nome, e nel suo titolo offre una traduzione più esplicita e libera del titolo di Prescrire: ”La dittatura del presente” (Laterza). L’autore è noto: G. Zagrebelsky.
Il tema anche: è la “vecchia” democrazia: avviata verso nuove dittature, soft, quando si limita ad essere parola che si afferma e si scambia su tutto e tra tutti, senza un avvenire concreto su cui possa essere misurata dalle e per le persone vive, può divenire-essere solo un salto indietro: una delega dell’avvenire ad altro/i.
Buona lettura. Buon avvenire.
Data di Redazione 8/2014