La rivoluzione digitale, con le sue molteplici applicazioni, permea ogni aspetto della nostra società, diventandone di fatto il linguaggio principale. I dati sono l’elemento chiave del nostro tempo, il nuovo petrolio, la nuova fonte energetica. La cultura digitale sta provocando radicali trasformazioni anche della professione medica. Secondo molti esperti, in futuro non si parlerà più di “medicina personalizzata o smart” ma solo di medicina3. Le tecnologie stanno trasformando i tempi e gli spazi della salute, in particolare attraverso il monitoraggio continuo delle persone, a casa, durante il tempo libero e anche sui luoghi di lavoro, registrando gli eventi che accadono durante i cosiddetti “altri 362 giorni all’anno”, quando i pazienti non sono visti dai sanitari4. I dati di salute del mondo reale, molti dei quali in precedenza non disponibili, vengono ottenuti direttamente dagli stessi proprietari che, nel giro di circa 20 anni, finiranno forse per assumerne il controllo, modificando definitivamente il tradizionale rapporto medico-paziente5. La vita stessa rischia di diventare di pertinenza della medicina, in quanto oggettivabile in termini medici. Le nuove tecnologie, utili per studiare condizioni patologiche, sono attualmente utilizzate soprattutto in condizioni di benessere (v. box sottostante), per l’importanza che molte persone attribuiscono, nella cultura attuale, al monitoraggio delle proprie condizioni di salute, realizzando una sorta di data-driven world6.
Nell’Hundred Person Wellness Project1, 100 volontari sani sono stati seguiti intensivamente per mesi mediante monitoraggio continuo del sonno, dell’attività fisica, della frequenza cardiaca, associato ad una batteria di circa 100 test biochimici su sangue, saliva (genoma), urine, feci (micro bioma) ogni 3 mesi. Lo studio, senza gruppo di controllo, ha evidenziato qualcosa di anomalo in quasi tutti i partecipanti, dalla riduzione dei livelli di vitamina D al prediabete. E’ seguita la proposta di una piattaforma a pagamento per effettuare gli stessi esami con la supervisione di un coach e la promozione di uno studio su larga scala, su 100.000 persone in buona salute2.
I dispositivi indossabili Figura 1 – I sensori indossabili47 Lo scenario al centro di questo contributo è riassunto nella Figura 1. Gli strumenti principali della medicina digitale, oltre alla tecnologia delle cartelle elettroniche, dei servizi online (consultazione di referti diagnostici o specialistici) e degli strumenti utilizzati per l’interazione con i pazienti (e-mail, sms, social network) sono i wearable device o dispositivi indossabili (DI), costituiti da uno o più biosensori, inseriti su capi di abbigliamento quali orologi (smartwatch), magliette, scarpe, pantaloni, cinture, fasce (smart clothing), occhiali (smart glasses), che possono rilevare e misurare diversi parametri biologici (frequenza cardiaca, respiratoria, saturazione di ossigeno, temperatura corporea, pressione arteriosa, glucosio, sudore, respiro, onde cerebrali) e fornire informazioni sullo stile di vita (attività fisica, sonno, alimentazione, calorie consumate).
I DI possono inviare un primo feedback alla persona che li indossa, in genere attraverso applicazioni per smartphone, e poi al servizio cloud di competenza, dove vengono organizzati mediante algoritmi per essere disponibili e interpretabili dall’utente o da altre figure, ad esempio il medico curante o il suo team. Per una trattazione completa delle caratteristiche dei sensori e delle loro funzionalità si invita alla lettura del riferimento bibliografico7.
I DI sono una categoria ad alto potenziale di crescita. Negli Stati Uniti solo il 2-4% delle persone ne possiede uno, ma si stima che quest’anno ne verranno acquistate 115 milioni di unità con un ricavato complessivo di 50 miliardi di dollari8.
In Italia, secondo un’indagine di mercato della IDC (International Data Corporation), nel 2018 verranno consegnati quasi 3 milioni di dispositivi, risultato di una crescita media annua nel periodo 2013-2018 pari al 67% e un ricavo che supererà i 450 milioni di euro9. La crescita di questi dispositivi è alimentata da vari fattori, ad esempio dai costi sempre più ridotti e dai miglioramenti della tecnologia, che hanno permesso di miniaturizzare le componenti elettroniche, rendendo i dispositivi leggeri e di dimensioni contenute così da poter essere indossati o integrati nell’abbigliamento10, diventando in certi casi dei veri e propri status symbol.
Gli ambiti di applicazione ... wearable ... but where?
Il monitoraggio continuo di parametri biomedici sarebbe in grado, secondo le intenzioni di chi li propone, di educare i pazienti, e in generale i cittadini, ad assumere comportamenti salutari e a modificare il proprio stile di vita, in un’ottica non solo di promozione e prevenzione della salute, ma anche, per quanto riguarda i malati, di attività diagnostica, gestione dei trattamenti, riabilitazione.
Lasciando qui da parte le domande di fondo sulle molto ambivalenti relazioni tra digitalizzazione e democratizzazione11, è chiaro il potenziale di una tecnologia che consente di effettuare test diagnostici e di monitorare le funzioni corporee individuali sia nel contesto di cura, che in remoto (Point-of-Care Testing)12.
La “sensorizzazione” fa ormai parte della vita quotidiana di molte persone, soprattutto peraltro di utilizzatori “sani” che confidano in una gestione della vita come fenomeno misurabile mediante strumenti specifici: esemplare lo sviluppo di una rete globale di appassionati, nell’ambito di un ampio movimento culturale, chiamato quantified self, il cui slogan è: “la conoscenza di sé attraverso i numeri”13.
Interessano più specificamente in questo contributo le applicazioni “pratiche” dell’utilizzo delle nuove tecnologie in ambito più strettamente clinico.
Gli ambiti più classici: cardiovascolare, diabete, neurologia.
Sensori indossabili, non posti sui classici bracciali, basati sulla fotopletismografia e sulla tecnologia radar, possono ad esempio misurare continuativamente e in maniera non invasiva la pressione arteriosa (PA), valutandone le variazioni in funzione delle attività del paziente, giorno per giorno, minuto per minuto, oltre alle classiche traiettorie circadiane notte-giorno. I dati pressori possono essere aggregati e visualizzati su smartphone, in maniera istantanea, per ottenere un feed-back diretto per l’utilizzatore. Nel prossimo futuro, è previsto l’utilizzo di assistenti vocali che, attraverso l’apprendimento automatico del machine learning, analizzano i trend del singolo individuo, insieme ad altre covariate come sonno, attività fisica, peso, alimentazione, comorbilità, terapie in atto, e attivano approcci terapeutici graduati, personalizzati, rivolti al paziente o al curante.
La tecnologia digitale continua potrebbe peraltro determinare una conoscenza molto più profonda del costrutto PA e consentire una ridefinizione della classica, imprecisa, diagnosi in fenotipi clinici distinti e individualizzati, non evidenziabili con i comuni strumenti, con il fine di realizzare un approccio terapeutico veramente centrato sulla persona, pragmatico, di vasta portata epistemologica e clinica14. Esistono peraltro ancora molte incertezze, relative ad esempio all’accuratezza dei dati ottenibili, ai criteri di trattamento e all’effettivo valore in termini di miglioramento dei risultati clinici rispetto alla terapia tradizionale.
Documenti di consenso hanno evidenziato il potenziale dei DI nel riconoscimento e nel monitoraggio della fibrillazione atriale (FA)15, anche se l’accuratezza del segnale, buona nel rilevamento dell’aritmia, non è sempre adeguata nel monitoraggio della frequenza cardiaca (FC). Risultati promettenti sono stati ottenuti soprattutto mediante l’utilizzo di sensori dotati sia di tecnologia fotopletismografica sia ECGrafica.
Per quanto riguarda la gestione del diabete, lo sviluppo di dispositivi indossabili è ancora in fase di sviluppo, anche se le prospettive sono affascinanti, soprattutto per quanto riguarda i metodi non invasivi enzimatici, ad esempio lenti a contatto per le lacrime e patch cutanei per il sudore16.
Diversi lavori hanno valutato le tecnologie emergenti per il monitoraggio a lungo termine dell’EEG in pazienti epilettici, in vari contesti, con risultati incoraggianti, soprattutto per un possibile utilizzo in ambito domiciliare17.
I DI possono consentire diagnosi predittive, evidenziando sintomi precoci, ad esempio nel morbo di Parkinson18,19, anche per mezzo di strumenti di analisi vocale20. Nel Parkinson sono stati studiati anche disturbi motori in fase avanzata, come le alterazioni della deambulazione, il freezing, i disturbi dell’equilibrio, soprattutto in situazioni in genere difficilmente esplorabili, ad esempio durante la notte. Ciò potrebbe essere utile per valutare in maniera più accurata l’efficacia della terapia. Peraltro, al momento, non sono evidenziati con esattezza i benefici clinici per il paziente.
La rilevazione EEG è stata utilizzata anche per quantificare, attraverso specifici algoritmi, la sensazione di dolore, ottenendo informazioni utili, ad esempio, per oggettivare la durata di azione degli analgesici. Sono in corso studi per paragonare tali informazioni con quelle delle comuni scale soggettive21.
Un “where” con molti interrogativi
La medicina digitale si propone di fornire strumenti che potrebbero contribuire alla mancanza di risposte agli enormi bisogni inevasi dei pazienti affetti da disturbi mentali22. I dispositivi, smartphone e sensori indossabili, vengono utilizzati per monitorare diversi parametri, con l’obiettivo di realizzare una sorta di finestra continua sullo stato emotivo e comportamentale dei pazienti nel mondo reale, non in quello limitato nel tempo e nello spazio (artificiale) di ambulatori e ospedali.
Gli strumenti sono infatti in grado di analizzare:
• markers di modulazione del sistema nervoso autonomo (variabilità della frequenza cardiaca e respiratoria, risposta galvanica, conduttanza e temperatura cutanea);
• analisi vocale;
• valutazione del sonno per durata e qualità;
• riconoscimento facciale (soprattutto per disabili e bambini);
• movimento, attività fisica, pattern di comunicazione;
• comportamento sui social media (interruzione, chiamate, richieste di amicizia, scelte di filtri-immagine).
Nell’ambito dello studio del sonno esistono studi di confronto tra dispositivi indossabili e monitoraggio “gold standard”, rappresentato dalla polisonnografia. Gli apparecchi testati hanno ottenuto risultati affidabili sul tempo totale di sonno, inferiori sulla qualità23.
Molti studi caso-controllo, peraltro su piccoli numeri e per breve durata di osservazione, hanno valutato l’attività motoria, con oscillometri alla caviglia, dei pazienti depressi. In sintesi, è risultato, molto prevedibilmente, che il ridotto tono dell’umore si associa a minore attività fisica, sia nella depressione maggiore sia nei disturbi bipolari, sia nella schizofrenia. Strumenti di analisi vocale, in corso di sviluppo sempre più avanzato, sarebbero in grado di diagnosticare la gravità della depressione maggiore analogamente a metodi tradizionali quali la scala di Hamilton24.
Altri studi hanno valutato la relazione bidirezionale tra malattie neuropsichiatriche e cardiovascolari, ad esempio analizzando la variabilità della frequenza cardiaca, indicatore di disfunzione autonomica. E’ risultato che lo stress aumenta la frequenza cardiaca e ne riduce la variabilità. Le disfunzioni autonomiche sono inoltre associate alla gravità dei sintomi nei disturbi bipolari, nella schizofrenia in fase acuta e nel disturbo post-traumatico da stress25.
Attese e proposte “digitali” non sono peraltro nuove nell’ambito dei disturbi mentali. Esiste una vasta letteratura sulla terapia cognitivo-comportamentale internet-based per depressione, ansia e disturbi alimentari, anche se, nella maggioranza dei casi, questi programmi sono basati su sessioni condotte sullo schermo di un computer tradizionale, non su DI o app26. Secondo i fautori delle tecnologie avanzate, i sensori digitali potrebbero in futuro integrare gli approcci basati su attività di counselling online, avatar virtuali, terapie comportamentali cognitive, evidenziando segni precoci di recidiva, aderenza alla terapia, efficacia del trattamento, per consentire un eventuale aggiustamento farmacologico o cogliere la necessità di interazione con i servizi psichiatrici.
IoT (Internet of Things)
L’integrazione tra le tecnologie di connessione tra smartphone e biosensori e la disponibilità delle cosiddette home utility sta trasformando in modo specifico il “dove” la cura sarà fornita negli anni a venire, soprattutto per i pazienti affetti da malattie croniche, trasportabili con difficoltà dalla propria casa all’ospedale. Il cosiddetto Internet delle cose (IoT) ha l’obiettivo di realizzare la smart medical home, caratterizzata dallo sviluppo di sensori a livello del pavimento e indossabili, telecamere, apparecchi a infrarossi, che possono valutare il rischio di caduta e in generale la validità della deambulazione, o riconoscere la caduta, con segnali di allerta per care givers o centri di riferimento collegati in remoto. Nella smart home PA, FC, peso corporeo, urine e feci potranno essere analizzate quando il paziente si siede sul water. Sono inoltre disponibili sensori, posti tra il materasso e le lenzuola, in grado di registrare automaticamente i dati relativi al sonno e inviarli mediante una connessione blue tooth ad un’app su smartphone o tablet. Il sensore riconosce quando il paziente si sdraia e avvia automaticamente il monitoraggio, raccogliendo e analizzando la durata e l’efficacia del sonno, la FC, la respirazione, il movimento, il russamento, la temperatura e l’umidità della stanza.
Algoritmi di machine learning sarebbero in grado di identificare e analizzare l’introduzione di cibo e combinare tali informazioni con la variazione di peso monitorata passivamente, a livello di pavimento o toilet, per realizzare piani dietetici individualizzati, tenendo conto anche del consumo calorico. L’accuratezza dell’introduzione alimentare è peraltro difficile da assicurare. Ad esempio, per il comune utente può essere difficile identificare e quantificare le singole componenti di cibi complessi27.
La FDA ha approvato il primo farmaco “digitale”, una pillola di aripiprazolo, chiamata Abilify MyCite, contenente un sensore che, al contatto con i succhi gastrici, genera un segnale elettrico trasmesso ad un cerotto, posto sull’addome del paziente, che riceve il segnale e lo trasmette allo smartphone, in grado di registrare l’effettiva assunzione del farmaco28.
Sensori di riconoscimento facciale, video, specchi-video, in grado di analizzare la deglutizione stessa del farmaco sono in via di sviluppo. Dispositivi in grado di tracciare l’aria respirata con gli inalatori, per i pazienti affetti da asma e BPCO, sono già disponibili29.
Wearable … but ... for whom, and how much “able”?
La maggior parte degli studi clinici ha riguardato l’impatto della tecnologia indossabile su attività fisica e perdita di peso.
Una recente metanalisi ha esaminato 27 trial relativi all’utilizzo di monitoraggio remoto, sostanzialmente “neutri” per i 6 outcome: body mass index (BMI), peso, circonferenza vita, percentuale di tessuto adiposo, pressione arteriosa sistolica e diastolica.
Gli studi, altamente eterogenei per quanto riguarda il protocollo, i tipi di device e gli esiti considerati, suggerivano efficacia (come del resto altri studi30) per interventi personalizzati e con la supervisione di personale qualificato. Gli autori segnalano la necessità di maggiori prove di efficacia prima di implementare la tecnologia a distanza in ambito clinico31.
Un trial, condotto in pazienti anziani, ha trovato che l’utilizzo dei pedometri, associati alla consulenza infermieristica, consentiva di aumentare l’attività fisica32. Una review ha identificato 35 studi, in maggioranza RCT, nel 77% dei quali si confermava il miglioramento delle performance di attività33. Una metanalisi del 2017 su 21 trial mostrava invece effetti limitati34.
Il MyHeart Counts mobile CV health study, effettuato dalla Università di Stanford, ha dimostrato la fattibilità della ricerca smartphone-based in ambito cardiovascolare e la possibilità di analizzare, in tempi rapidi, su larga scala e in maniera dettagliata alcuni parametri quali attività, sonno e forma fisica, dieta, stato di benessere, percezione del rischio, attività lavorativa e di svago, sonno, parametri cardiovascolari. In particolare, lo studio ha confermato la scarsa correlazione tra l’attività fisica misurata e quella auto-riportata. Lo studio peraltro presenta diverse e pesanti limitazioni, riconosciute dagli stessi autori. La prima è la sovra-rappresentazione dei soggetti classici utilizzatori di smartphone, giovani (età media 36 anni) e maschi (82%). Inoltre si è assistito, come in altri studi di questo genere35, alla ridotta partecipazione nel tempo, con perdita di dati36. Circa 49.000 soggetti infatti hanno acconsentito alla partecipazione ma solo 20.345 individui (41,5%) hanno completato 4 dei 7 giorni di registrazione e 4.552 soggetti (9,3%) tutti i 7 giorni.
Nel trial controllato randomizzato IDEA (Innovative Approaches to Diet, Exercise and Activity), condotto su 470 giovani adulti, con BMI tra 25 e 39, per un periodo di 2 anni, l’aggiunta della tecnologia indossabile a interventi comportamentali, confrontata con un trattamento standard, si è associata a minore perdita di peso37. Dato limitante è stato anche in questo studio la mancanza di costanza degli utenti nel tempo: il 32% dei soggetti smette di usare i dispositivi dopo circa 6 mesi, il 50% dopo un anno. Le motivazioni per la cessazione dell’utilizzo sono essenzialmente la dimenticanza di indossare il dispositivo, il fastidio durante il monitoraggio, la mancanza di valore estetico, la perdita di interesse per la metodica, l’appagamento per aver raggiunto i risultati prefissati38,39. E’ quindi fondamentale che la tecnologia indossabile sia inserita in una adeguata e sostenuta strategia di coinvolgimento/motivazione dei pazienti, per mantenere i comportamenti salutari o modificare quelli negativi.
I disagi attribuibili al monitoraggio costante, secondo alcuni esperti, sarebbero limitabili riducendo i periodi di sorveglianza e limitandoli ad una sola condizione patologica alla volta40.
Un articolo di SM Patel propone altre strategie di engagement41:
• rimborsabilità del costo degli strumenti una volta dimostrati risultati in termini clinici oltre che, per effetto del loro utilizzo, risparmi sui costi delle prestazioni sanitarie;
• individuazione di obiettivi specifici, ad esempio il peso ideale o il numero di chilometri percorsi giornalmente;
• maggiore semplicità nel loro impiego per i soggetti meno “tecnologici”;
• maggiore utilizzo di strumenti di feed back in grado di stimolare l’utilizzatore.
A tale scopo le industrie e i ricercatori hanno realizzato piattaforme per consentire il miglioramento delle performance e rinforzato l’impegno delle persone mediante la condivisione tra pari, anche mediante tecniche di gamification, con pubblicazione dei risultati on line, gare tra i partecipanti, in alcuni casi organizzati in gruppi, con incentivi economici per i risultati raggiunti42-44, peraltro con risultati contrastanti, in alcuni casi negativi, soprattutto per quanto riguarda la fase iniziale, negli anziani e nei soggetto a basso reddito45.
Per una valutazione dell’applicabilità clinica di alcuni DI per la promozione dell’attività fisica si rimanda ad un recente focus dell’AHA, nel quale peraltro sono descritte molteplici difficoltà, soprattutto per l’eterogeneità nelle misurazioni dell’attività e degli studi di validazione, oltre che per la limitata integrazione con i dati a disposizione da parte degli operatori sanitari, in particolare con le cartelle cliniche elettroniche46. Confronti tra diversi dispositivi per il monitoraggio dell’attività fisica hanno inoltre mostrato ampie variazioni in accuratezza tra i diversi apparecchi, con margine di errore fino al 25%47,48. L’accuratezza è particolarmente ridotta durante l’intensa attività fisica per artefatti da movimento49.
Un utilizzo importante dei DI è il riconoscimento della FA non diagnosticata, anche se i trial di valutazione clinica sono limitati50,51. Peraltro, i dati sui quali si basa il trattamento della FA sono quelli relativi alla presentazione clinica e quindi occorrono studi per capire quali popolazioni sottoporre a screening e quali casi di FA occulta richiedono effettivamente un trattamento52.
Una review ha analizzato 9 studi riguardanti il rilevamento del rischio di caduta, mediante DI in genere posizionati alla cintura. Peraltro i risultati, che hanno dimostrato una buona sensibilità (≥ 85,7%) e specificità (≥ 90%), riguardavano in maggioranza scenari artificiali, con eventi simulati in laboratorio su giovani adulti. Sono quindi indispensabili ampi studi di validazione su popolazioni reali, in grado di rilevare il rischio di caduta, l’eventuale caduta e anche le attività quotidiane53. Viene da chiedersi se gli sforzi per tale problematica non sarebbero meglio indirizzati verso una maggiore educazione dei pazienti e dei care giver agli accorgimenti standard per prevenire le cadute, dimostratisi efficaci in molti studi.
Da sottolineare la prevalenza dell’attenzione degli studi sulla fattibilità del sensing: nessun trial su grandi numeri ha evidenziato un impatto positivo su esiti clinici25. Le possibilità tecnologiche sono ancora in fase di sviluppo, vi sono molte perplessità per quanto riguarda affidabilità e validità, sicurezza e privacy. Sono ancora da risolvere i possibili “artefatti di registrazione”, la mancanza di standardizzazione e calibrazione dei dispositivi, la stima non ottimale, ad esempio, dell’attività fisica e del consumo energetico54.
Alcuni studi hanno utilizzato una complessa integrazione degli strumenti di telemedicina ma non hanno portato a risultati significativi. Il trial Whole System Demonstrator ha fornito, in termini di rapporto costo/efficacia, risultati praticamente nulli55. Una review dell’Health Innovation Network, commissionata dal Servizio sanitario inglese e peraltro limitata da una serie di problematiche metodologiche, non ha rilevato prove di efficacia nella gestione delle comuni malattie croniche attraverso video consultazioni, mentre il telemonitoraggio ha fornito buoni risultati nel controllo di diabete, ipertensione, cardiopatie e BPCO. Gli sms hanno dimostrato effetti benefici nel monitoraggio del diabete, nella cessazione del fumo a breve termine e nell’aderenza a terapie complesse, come quelle antiretrovirali. Le app hanno avuto risultati non conclusivi56.
Gli studi sull’utilizzo dei DI in generale coinvolgono piccoli numeri, sono di breve durata, spesso condotti dagli stessi sviluppatori o da strutture con interessi finanziari diretti e non da ricercatori indipendenti, non raramente sono fondati sui risultati di soggetti che descrivono le loro esperienze, non condotti in setting del mondo reale. Non sono disponibili dati sui possibili effetti negativi. Mancano studi contro placebo, tanto che si ritiene che una parte delle risposte positive dipendano da un “effetto placebo digitale”, dato anche lo stretto rapporto tra le persone ed i loro smartphone. Non sono disponibili analisi definitive sul rapporto costo/efficacia nella pratica, sulla effettiva capacità/volontà delle persone di prendere direttamente in carico la propria salute. Esistono difficoltà di acquisizione dei dati da parte delle persone anziane o comunque sono evidenziati disagi tali da non rendere percorribile un monitoraggio intensivo (vedi box).
Sicurezza e privacy
I dati, teoricamente di proprietà degli utilizzatori dei dispositivi, in realtà sono registrati e depositati dalle industrie produttrici. In generale, inoltre, la sicurezza dei dati e l’anonimato non sono garantiti. Le “tracce digitali” di un soggetto, ad esempio i comportamenti, i parametri biologici e la posizione, rilevate mediante complessi algoritmi, ma soprattutto le eventuali informazioni su ambiti delicati, a rischio stigma, come quelli dei disturbi mentali, target vulnerabili, dati sensibili, sono facilmente intercettabili e manipolabili, per discriminare, prevedere o influenzare le scelte delle persone o per richiedere maggiori premi assicurativi57.
In Europa le app realizzate per la finalità di diagnosi, cura e prevenzione sono equiparate a veri e propri dispositivi medici e come tali sottoposti a specifica regolamentazione. Sono peraltro presenti criticità in merito alla certificazione di qualità, alla privacy e ad aspetti bioetici. I sensori indossabili accumulano infatti grandi quantità di informazioni sensibili che possono essere accessibili senza il consenso degli interessati. Per una sintesi sulle problematiche relative alla privacy delle applicazioni che utilizzano dati sanitari, si rimanda al comunicato realizzato dall’Information Commissioner’s Office (ICO) del Regno Unito in qualità di autorità leader dell’indagine Sweep 2017, uno studio di carattere internazionale condotto da 24 Autorità per la protezione dei dati personali di tutto il mondo, tra cui il Garante italiano, che ha accertato il bisogno di maggiore apertura, onestà e trasparenza nel modo in cui le imprese descrivono le modalità di trattamento dei dati nelle loro informative privacy online, concludendo che “c’è un significativo margine di miglioramento per quanto attiene i dettagli specifici che devono essere indicati nelle comunicazioni in materia di privacy https://www.privacy.it/2017/10/26/sweep-2017-informative-privacy-siti-app-inadeguate/. Per quanto riguarda specificamente l’Internet delle cose” il Garante italiano ha avviato una consultazione per definire regole e tutele (https://www.garanteprivacy.it/web/guest/home/docweb/-/docweb-display/docweb/3898743).
Tecnologia indossabile - Possibili vantaggi e benefici
• Ruolo centrale del paziente
• Utilizzo patient-friendly (per i “nativi digitali”)
• Facilitazione delle cure domiciliari
• Limitazione delle ospedalizzazioni
• Raccolta di dati in precedenza non accessibili
• Riduzione del rischio di errore nella raccolta dei dati, in quanto automatizzati, con auspicabile aumento di efficienza e qualità
• Personalizzazione delle cure
• Miglioramento degli stili di vita
• Miglioramento degli esiti clinici
Tecnologia indossabile - Principali limiti e ostacoli
• Carente sensibilizzazione e in generale scarsa fiducia nelle soluzioni digitali da parte della maggioranza di pazienti/cittadini e operatori/istituzioni sanitarie
• Ridotta disponibilità di studi sull’affidabilità dei dispositivi (versus metodologia gold standard)
• Mancanza di standardizzazione e calibrazione comune tra i diversi dispositivi
• Mancanza di interoperabilità tra i diversi ambiti e servizi sanitari, ad esempio di integrazione tra i dati ottenuti e le cartelle cliniche elettroniche
• Carenza di studi di elevato livello metodologico in grado di fornire prove di efficacia su esiti clinici
• Ridotti investimenti e scarsi incentivi economici per supportare i costi iniziali, da parte dei pazienti e dei servizi sanitari
• Effettiva utilizzabilità/fruibilità dei dati, sia da parte del paziente che degli operatori sanitari (difficoltà di acquisizione dei dati da parte delle persone anziane per il digital device; necessità di una formazione specifica per i professionisti, modificazione del flusso di lavoro per utilizzare i dati forniti dalle tecnologie nelle attività quotidiane, definite in genere con modalità diverse)
• Ridotta disponibilità di dati validati sul valore incrementale in termini di costo/efficacia nei confronti dell’assistenza standard
• Problematiche relative a sicurezza e privacy
• Aspetti negativi di un monitoraggio intensivo
• Possibile falso senso di fiducia nella possibilità di auto-diagnosi da parte degli utenti
• Perlessità sulla reale possibilità di accesso alla tecnologia
• Possibile ulteriore medicalizzazione della salute e della vita
Riflessioni e conclusioni
L’interazione tra device e paziente è complessa e sono pertanto necessari studi per valutare le tipologie di soggetti che possono effettivamente beneficiarne. Al di là di un focus sull’efficacia clinica, sono necessarie nuove tipologie di trial pragmatici che utilizzino i principi del machine learning e delle interfacce digitali per interagire con i metodi standard di diagnosi, monitoraggio e trattamento, al fine di ottenere una reale comprensione dei dati, il tutto con modalità strettamente contestualizzate e personalizzate58. L’utilizzo dei DI peraltro non è soltanto un problema di efficacia/efficienza, ma di cambiamento di paradigma culturale e di adozione di un nuovo apparato sensoriale: “Non si tratta solo di strumenti per calcolare il numero di passi o la quantità di calorie bruciate ma di strumenti con cui stiamo costruendo la nostra nuova (idea di) soggettività umana”59.
L’industria sta investendo moltissimo nelle nuove tecnologie e si sa che, nello scontro tra interessi e valori, i primi sono destinati a prevalere. Il futuro peraltro non è completamente determinato. E’ possibile intervenire sul suo sviluppo, per cercare di reintrodurre nella cultura della medicina una dialettica esplicita, un confronto di pensieri, metodi, obiettivi, necessario per entrare nel merito dei percorsi, della gestione della progettualità, della difesa dei cittadini/pazienti, evitando una sorta di logica del power point, caratterizzata da comunicazioni “date”, presentazioni fashion di realtà considerate in maniera ottimistica definitive.
Il MMG deve prepararsi a gestire la relazione con pazienti che sempre più spesso gli sottoporranno i dati ottenuti con i DI, con il rischio di essere travolto da una enorme massa di informazioni e da nuove responsabilità, in un contesto di maggiore incertezza e confusione, ad esempio per le aspettative riposte nella tecnologia. C’è inoltre la possibilità che gli assistiti possano confidare eccessivamente nell’auto-monitoraggio e nelle diagnosi “fai da te”, in realtà poco attendibili e comunque non desumibili semplicemente dall’analisi dei dati.
Non dimentichiamo che la nostra identità è ancora fondamentalmente analogica, pur in un mondo sempre più digitale. A questo proposito è interessante segnalare che il termine digitale deriva dall'inglese digit ( che significa cifra, riferita in questo caso al codice binario), che a sua volta deriva dal latino digitus, "dito" (con le dita infatti si contano i numeri). Nonostante l’etimologia, il concetto di medicina digitale è diventato nell’uso pratico un ossimoro: il tocco umano versus la sua antitesi, il contatto versus il monitoraggio, con un rischio sempre maggiore di perdita della relazione medico-paziente.
La tecnologia che fa corpo con la vita rischia di diventare la versione digitale del panopticon di J. Bentham, il dispositivo di sorveglianza carceraria che, a fine Settecento, profetizzava la moderna società del controllo. In un certo senso, i suoi occhi sono infatti adesso nello schermo degli orologi digitali. Forse non è un caso, che, in lingua inglese, la parola watch significhi sia guardia, sentinella sia orologio: “Così ognuno di noi diventa un sorvegliante sorvegliato”60.
Lo specchio computazionale, prototipo di semeiotica digitale (vedi Box sottostante), si colloca esattamente nel main stream delle richieste delle persone, che sembrano sempre più necessitare di conferme esterne del proprio stato di salute (vedi Box iniziale), espropriate della coscienza che “la salute è di fatto l’abilità di dimenticare di essere sani”61,62.
Il wise mirror (specchio saggio), progetto di ricerca condotto da centri di eccellenza (Istituto di Fisiologia Clinica, sedi di Pisa e di Milano, Centre de Recherche en Nutrition Humaine di Lione), consiste in un sistema di automonitoraggio, con l'aspetto di uno “specchio”, in grado di aiutare le persone a migliorare il proprio stile di vita al fine di ridurre il rischio cardio-metabolico . Mediante sensori viene ricostruito il volto in 3D mentre l’acquisizione di sequenze video consente la valutazione della FC e la rilevazione di segni collegati a stati psicologici negativi, come stress, ansia e fatica e immagini multispettrali valutano la perfusione cutanea e l’accumulo di colesterolo e di prodotti di glicazione nella pelle. Un dispositivo, chiamato Wize Sniffer, analizza inoltre la composizione dell’esalato per monitorare l’effetto di abitudini nocive, quali fumo e abuso di alcol. I descrittori ottenuti sono integrati in un "indice di benessere" la cui evoluzione temporale descrive lo stato dell’individuo. Un sistema di coaching guiderà l’utente, mediante messaggi e suggerimenti, nel mantenimento di un corretto stile di vita riducendo le abitudini nocive. I pazienti saranno anche in grado di condividere, se lo desiderano, i propri dati, memorizzati in un diario, con il MMG o altri professionisti sanitari. Nella fase finale del progetto, sarà effettuata una validazione del sistema rispetto alla riproducibilità delle misure, all'efficacia nel rilevare cambiamenti dei fattori di rischio cardio-metabolici analizzati, nonché all'accettabilità da parte degli utenti63.
Glossario CT (Information and Communication Technologies): tecnologie riguardanti i sistemi integrati di telecomunicazione (linee di comunicazione cablate e senza fili), i computer, le tecnologie audio-video e relativi software, che permettono agli utenti di creare, immagazzinare e scambiare informazioni. Algoritmo: sequenza di istruzioni da svolgere per ottenere la soluzione di un determinato problema Machine learning o apprendimento automatico: sottocampo dell’intelligenza artificiale, studio di algoritmi che migliorano con l’esperienza, “insegnano alle macchine come imparare” Cloud computing: serie di tecnologie che permettono di elaborare, archiviare e memorizzare dati grazie all’utilizzo di risorse hardware e software distribuite nella rete Internet delle cose (Health Internet of Things): rete di oggetti connessi a Internet in grado di raccogliere, registrare, analizzare e condividere dati di natura sanitaria utilizzando sensori e altre tecnologie Applicazioni (app) per la salute: software applicativi progettati per dispositivi mobili (smartphone, tablet e smartwatch) Mobile Health: pratica medica e di salute pubblica supportata da dispositivi mobili, dispositivi per il monitoraggio dei pazienti, dispositivi di assistenza personale ed altri strumenti wireless Point-of-Care Testing: esami medici sul (o in prossimità del) posto di cura del paziente Digital divide: divario esistente tra chi ha accesso effettivo alla Rete e chi ne è escluso, in modo parziale o totale
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