Enrico Barchi UO Malattie Infettive Azienda Ospedaliera Santa Maria Nuova, Reggio Emilia
Giacomo Magnani UO Malattie Infettive Azienda Ospedaliera Santa Maria Nuova, Reggio Emilia
Premessa redazionale
Come sottolineato anche nell’Editoriale, questo lungo e dettagliato contributo sull’HIV non mira solo a colmare una lacuna di IsF su un tema che continua ad essere di grande rilevanza di salute pubblica, con dati ufficiali recenti che documentano la necessità di un rafforzamento delle campagne informative mirate alla prevenzione.
I dati epidemiologici disponibili sulla continuità assistenziale tra livelli specialistici e medicina generale, soprattutto per quanto riguarda la prevenzione dei fallimenti terapeutici dovuti a non compliance, e la gestione delle comorbidità non-infettive sono molto scarsi. L’ integrazione del corpo principale del contributo, ovviamente centrato sulla gestione primaria ed esclusiva dell’HIV a livello/specialistico, con la sua seconda parte (certo, ma inevitabilmente, troppo breve in questa sede) dedicata alla medicina generale mira, nella logica formulata nel titolo dell’Editoriale ma soprattutto fortemente sostenuta dagli autori specialisti dell’articolo, a stimolare lo sviluppo di iniziative-progetti che possano colmare le lacune conoscitive esistenti.
L’infezione da HIV si presenta attualmente con le caratteristiche di una malattia cronica che consente al paziente una lunga aspettativa di vita, potendosi pertanto associare alle patologie tipiche dell’età avanzata. Per tale motivo il Medico di Medicina Generale e gli altri specialisti devono conoscere gli aspetti più rilevanti della terapia antivirale anche se questa rimane di competenza dello specialista infettivologo, in particolare quelli riguardanti le interazioni e gli effetti indesiderati; da qui la decisione di riproporre una revisione approfondita dell’ argomento.
La terapia antiretrovirale ormai da anni associa nella prescrizione più farmaci con attività su bersagli e momenti diversi della replicazione virale (inibitori della trascrittasi inversa, della proteasi, dell’integrasi virale, della fusione, del corecettore) o attivi sullo stesso bersaglio, ma con meccanismi diversi ed effetto di sommazione (inibitori nucleosidici/nucleotidici e inibitori non nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa). Questo approccio terapeutico, definito di alta efficacia (highly active antiretroviral therapy o HAART), ha prodotto una drastica riduzione della morbilità e mortalità per infezione da HIV. Poiché non consente di eradicare il virus, che si riattiva immediatamente all’interruzione della stessa, deve essere proseguita a tempo indefinito, per tutta la vita.
Data la necessità di un trattamento regolare, i costi del trattamento per il Sistema Sanitario, la morbidità e mortalità residua legate soprattutto al ritardo di diagnosi e all’assunzione irregolare dei farmaci, le difficoltà di tipo psicologico, relazionale e sociale tuttora associate alla condizione di sieropositività, rimangono ancora fondamentali le attività di prevenzione, il counselling e l’offerta attiva del test di screening alle persone a rischio di trasmissione e alle donne in gravidanza al fine di ridurre l’incidenza dell’HIV.
Scopo dell’articolo è quello di fare il punto sulle conoscenze e la gestione della terapia antiretrovirale sulla base delle Linee Guida Italiane aggiornate al 2017 e prodotte dalla SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) in collaborazione con il Ministero della Salute. Il livello di evidenza raggiunto nei vari aspetti è classificato come indicato in tabella.
Quando iniziare il trattamento
Studi prospettici randomizzati e di coorte, basati su indicatori clinici quali la riduzione della morbilità e mortalità, indicano di iniziare il trattamento a tutte le persone con infezione da HIV indipendentemente dal numero dei linfociti CD4+ (AI). L’indicazione è più forte e i number needed to treat minori nei pazienti sintomatici e/o con basso numero di linfociti CD4+. Studi prospettici randomizzati hanno inoltre dimostrato che la negativizzazione della carica virale plasmatica ottenuta con l’assunzione regolare della terapia antivirale determina la perdita quasi completa della contagiosità nei rapporti sessuali completi non protetti sia etero che omosessuali. Da qui la definizione, anche da parte dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, di TASP (Treatment As Prevention).
I Farmaci
Gli inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa virale(NRTI) agiscono come falsi precursori dei nucleotidi che vengono incorporati nella catena di DNA virale nascente ad opera dell'enzima virale trascrittasi inversa; l'incorporazione di tali falsi precursori determina il blocco dell'enzima. L'utilizzo di più inibitori contemporaneamente comporta un potenziamento di tale effetto e ne giustifica, con alcune attenzioni, l'uso in associazione.
Gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) agiscono legandosi direttamente al medesimo sito dell'enzima virale. Questi farmaci non sono attivi contro l'HIV-2 (variante presente soprattutto nell'Africa occidentale) e non vengono utilizzati quando vi è la presenza di questo tipo virale, riscontrabile in una minoranza di persone nel nostro Paese (immigrati dall'Africa, persone che hanno contratto l'infezione all'estero, ecc).
Gliinibitori dell’integrasi virale (classe INSTI) agiscono occupando interamente la posizione del DNA all’interno dell’enzima.
Gliinibitori della proteasi virale (IP) agiscono legandosi direttamente a siti differenti dell'enzima virale; l'assunzione contemporanea di più farmaci di questa classe a dose piena può potenziarne l'effetto, ma può causare interazioni farmacologiche non sempre prevedibili e favorevoli; per tali motivi non è utilizzata abitualmente.
Gli inibitori della fusionedell'involucro virale alla membrana cellulare non sono indicati per il paziente naive in quanto sono somministrabili solo per via parenterale (sotto cute) e hanno un costo elevato.
Gli inibitori del corecettore agiscono inibendo il legame tra HIV e le proteine di superficie (recettori CCR5) dei linfociti CD4 e quindi il successivo ingresso del virus all’interno della cellula; poiché esistono varianti virali che utilizzano altri recettori di superficie (es. CXCR4), per essere utilizzati richiedono la determinazione su sangue del tropismo virale, cioè quale corecettore venga usato dal virus per il legame con la superficie cellulare.
Quali combinazioni di farmaci
Per ottenere un beneficio clinico maggiore e più prolungato si utilizza una combinazione di farmaci in grado di ottenere la soppressione virologica plasmatica (non rilevabilità di HIV RNA) solitamente entro 3–6 mesi dall’inizio della terapia. Nel paziente mai trattato in precedenza (naive) tali obiettivi vengono raggiunti utilizzando una combinazione di 3 farmaci. Studi recenti, ancora non conclusivi, mostrano la possibilità con specifiche molecole di poter utilizzare una combinazione di soli 2 farmaci, al momento non raccomandata (AI).
Attualmente le combinazioni risultate più efficaci e con le maggiori evidenze sono quelle costituite:
- da 2 inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI) + 1 inibitore dell’integrasi virale (INSTI) (AI)
- da 2 inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa + 1 inibitore non nucleosidico/nucleotidico della trascrittasi inversa (NNRTI) solo in particolari condizioni (AI).
In alternativa:
- 2 inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa (NRTI) + 1 inibitore della proteasi virale con booster di ritonavir o cobicistat (IP) (AII).
Sono da considerare combinazioni di prima scelta nei pazienti che iniziano il trattamento (AI):
- Tenofovir Disoproxil (TDF) o Tenofovir Alafenamide (TAF) + Emtricitabina (FTC) + Raltegravir
- Tenofovir Disoproxil (TDF) o Tenofovir Alafenamide (TAF) + Emtricitabina (FTC) + Dolutegravir
- Abacavir (ABC) + Lamivudina (3TC) + Dolutegravir
- TAF + FTC + Elvitegravir/cobicistat
- TDF o TAF + FTC + Rilpivirina se linfociti CD4 > 200/ml e HIV RNA < 100.000 copie/ml
Combinazioni alternative
- TAF + FTC + Atazanavir/Ritonavir o Atazanavir/Cobicistat
- TAF + FTC + Darunavir/Ritonavir o Darunavir/Cobicistat
La maggior parte dei Clinici attualmente preferisce prescrivere, tra le combinazioni considerate di prima scelta, quelle per le quali è disponibile una coformulazione o addirittura la combinazione dei 3 farmaci in un’unica compressa (BII) .
Nota Bene: Importante
1- Prima di iniziare la terapia antivirale è indicato eseguire, mediante campione di plasma, la ricerca di mutazioni genomiche del virus HIV che comportino resistenza parziale o completa del virus stesso a uno o più farmaci delle classi terapeutiche che si utilizzeranno (NTRI, NNRTI, IP, INSTI) (AII).
2- Tra gli NRTI, la zidovudina presenta maggiore rischio di effetti collaterali e viene utilizzata solo in situazioni di fallimento virologico o in donne in stato di gravidanza sino al parto in quanto è documentata l'efficacia nella prevenzione dell’infezione verticale.
Tra gli NNRTI, emtricitabina comporta la necessità di una assunzione bid, efavirenz e nevirapina presentano un maggior rischio di effetti collaterali, incluso per nevirapina un maggior rischio di epatotossicità in particolare nelle donne con livello iniziale di CD4>250/mm3.
Tra gli IP, fosamprenavir o lopinavir entrambi associati a ritonavir comportano l’assunzione di un numero maggiore di compresse e la necessità di assunzione bid e non vengono utilizzati abitualmente.
3- Semplificazione della terapia antivirale.
Nei pazienti che non mostravano mutazioni del genoma virale prima dell’inizio della terapia antivirale, che, senza andare incontro a successivi fallimenti terapeutici, hanno negativizzato la carica virale con numero di copie virali minori di 50 su plasma e che hanno poi mantenuto a lungo tale valore, è possibile semplificare la terapia antivirale, sostituendo il regime terapeutico iniziale a 3 farmaci con uno a 2 farmaci, riuscendo a mantenere la soppressione virale (HIV RNA < 50 copie / ml) ma riducendo il carico farmacologico, in particolare dei farmaci della classe degli NRTI.
I regimi terapeutici a due farmaci studiati sino ad ora e per i quali esiste una evidenza di grado variabile sono:
- Dolutegravir + Rilpivirina [AI];
- Atazanavir/ritonavir + Lamivudina, Darunavir/Ritonavir + Lamivudina [AI per switch da IP con booster, BI per switch da altri regimi];
- Darunavir/Ritonavir + Raltegravir, Darunavir/Ritonavir + Rilpivirina [CI];
- Dolutegravir + Lamivudina [BII].
Come valutare la risposta al trattamento Da un punto di vista clinico, se il paziente è sintomatico l'efficacia della terapia si caratterizza per la scomparsa dei sintomi costituzionali nell'arco di 6 mesi. Nel caso in cui la scoperta della sieropositività avvenga in occasione di manifestazioni di AIDS conclamato (ad es. neurotoxoplasmosi o polmonite da P. carinii), viene trattata prima l'infezione opportunista specifica e la terapia antiretrovirale viene associata al trattamento in corso o viene iniziata una volta concluso il trattamento in corso.
Se si sono già verificati danni d'organo, questi difficilmente potranno regredire, ma le condizioni generali del paziente miglioreranno e si ridurrà o scomparirà il rischio di ulteriori infezioni opportunistiche.
Da un punto di vista laboratoristico, la risposta al trattamento viene valutata mediante la determinazione di HIV RNA plasmatico (carica virale) e delle sottopopolazioni T linfocitarie nel sangue, in particolare della percentuale e del numero assoluto dei linfociti CD4+. Una terapia antiretrovirale efficace induce un netto calo della carica virale plasmatica e l'obiettivo è di portare il numero di copie virali a meno di 50 o 40 copie per ml, valore al di sotto della soglia di determinazione del test quantitativo in polymerase chain reaction (PCR). Questo risultato si associa al maggior guadagno possibile in termini di ricostruzione immunitaria e consente di mantenere il più a lungo possibile il beneficio clinico e immunologico, ritardando o evitando la comparsa di mutazioni nel genoma di HIV e di resistenza ai farmaci utilizzati. Il netto calo dell'attività virale è generalmente accompagnato da un importante aumento del numero dei linfociti CD4+ sia in percentuale che in valore assoluto.
A seguito di una terapia antivirale efficace e assunta correttamente, la carica virale tende a scendere al disotto del livello di determinazione plasmatica entro 6 mesi dall'inizio della terapia, ma la risalita dei CD4+ è più lenta e può proseguire per molti mesi dopo che la carica virale è scesa sotto il livello di determinazione del test. In una minoranza di pazienti (es. pazienti con età >50 anni o con grave immunodeficienza), la risalita dei CD4+ può essere modesta anche in presenza di un ottimo risultato della terapia da un punto di vista virologico, probabilmente per l'assenza completa di funzione timica residua; in questi casi si ottiene, comunque, una riduzione importante, anche se di minore entità, della mortalità e della morbilità.
Ottimizzazione della terapia antivirale
Il limite delle terapie antiretrovirali di combinazione (ART) attualmente disponibili consiste nell’impossibilità di ottenere l’eradicazione dell’infezione: il trattamento deve quindi essere continuato a tempo indefinito ed è probabile che, per motivi differenti (tossicità, invecchiamento, comorbilità, prevenzione di danni d’organo, interazioni farmacologiche, ridotta aderenza), nel corso degli anni si rendano opportune modifiche al regime in atto, anche in assenza di fallimento virologico.
Il termine ottimizzazione della ART è utilizzato per indicare strategie finalizzate alla miglior salute psico-fisica del paziente, attraverso modifiche al regime terapeutico in atto, con finalità differenti, ma sempre in condizioni di soppressione virologica (HIV RNA < 50 copie/ml).
Le principali finalità di un’ottimizzazione terapeutica sono:
• ovviare a una tossicità in atto (switch reattivo);
• prevenire una tossicità prevedibile (switch preventivo o proattivo);
• favorire l’aderenza attraverso una riduzione in sicurezza del numero di compresse o di dosi;
• ovviare a interazioni farmacologiche sfavorevoli.
Senza entrare in eccessivi dettagli, le modifiche della terapia che si possono effettuare sono numerose; in generale, in assenza di fallimenti precedenti, sono possibili sostituzioni tra le varie classi di farmaci o all’interno della stessa classe mantenendo un regime a 3 farmaci, incluso l’utilizzo dell’inibitore del CCR5 maraviroc associato a 2 NRTI, purché il virus sia CCR5 tropico come da apposito test.
Inoltre, come già detto, è possibile passare a uno degli schemi a 2 farmaci per i quali esistono evidenze disponibili.
Infine la riduzione del numero di compresse è possibile mediante l’utilizzo di co-formulazioni in singola compressa.
Fallimento terapeutico
Il fallimento della terapia antivirale è attualmente meno frequente di una volta. Nell'ambito degli studi clinici, la percentuale dei pazienti che raggiunge e mantiene, ad 1-2 anni dall'inizio, una risposta ottimale al trattamento supera l’80%.
Le persone con infezione da HIV in trattamento antiretrovirale vanno controllate regolarmente da un punto di vista clinico e viro-immunologico, dopo 2 mesi dall’inizio della terapia poi almeno ogni 4-6 mesi.
Il fallimento della terapia determina il mancato calo della viremia plasmatica, o un suo aumento dopo un iniziale calo con successiva riduzione del numero dei linfociti CD4: se l'attività virale procede e viene sempre meno inibita, col tempo il livello dei CD4+ può diventare estremamente basso e possono comparire segni e sintomi di malattia conclamata. Per tale motivo e per evitare la comparsa di ulteriori mutazioni del genoma virale e della resistenza ai farmaci è indicato modificare lo schema terapeutico iniziale senza attendere a lungo, considerando tale possibilità nel caso che la viremia non dovesse scendere sotto le 50 copie/ml entro 6-9 mesi dall'inizio della terapia, o dovesse risalire oltre tale limite dopo negativizzazione iniziale e tale mantenersi in una successiva determinazione a 2-4 mesi di distanza dalla precedente [AII].
Nella pratica clinica le cause sono:
• terapia inadeguata per errore di prescrizione, che risulta insufficiente soprattutto in pazienti con viremia plasmatica molto elevata. Rappresenta una evenienza rara, ma possibile in particolare per interazioni farmacologiche con altre terapie in atto non note o delle quali non si è tenuto conto;
• terapia inadeguata per la presenza di mutazioni primarie del virus in quanto l'infezione è stata contratta da persona già in trattamento antivirale e con presenza di resistenza ad alcuni farmaci nel virus trasmesso. Va evitata eseguendo il test di resistenza genotipico del virus ai farmaci antiretrovirali prima dell’inizio della terapia;
• terapia adeguata ma assunta in modo irregolare dal paziente: è decisamente la causa più frequente e occorre discuterne in modo franco e aperto col paziente. I motivi sono differenti: dalla semplice dimenticanza (es. perché non si adatta bene agli orari lavorativi, o al contrario durante il fine settimana perché cambiano gli orari e le abitudini) a problemi di depressione, a difficoltà in famiglia (che possono comportare la necessità di dover nascondere i farmaci), ad abuso di alcol o sostanze stupefacenti, al rifiuto psicologico della malattia, alla presenza di effetti indesiderati o percepiti come tali, al trasferimento improvviso del paziente in altra città o nazione (è il caso di persone straniere o migranti) ecc. Durante i colloqui è importante far emergere il motivo e le modalità con cui la terapia è stata assunta o meno: se ad es. è stata bruscamente interrotta in modo completo questo difficilmente comporta la comparsa di mutazioni nel virus con resistenza ai farmaci e gli stessi possono essere riutilizzati con efficacia; se è stato eliminato uno dei farmaci prescritti, la comparsa di resistenze riguarderà i farmaci che sono stati mantenuti; se un po' tutti sono stati assunti in modo irregolare e/o a dosaggio inferiore a quello prescritto facilmente sarà comparsa resistenza verso tutti i componenti della combinazione terapeutica.
Per valutare quale sia la situazione è necessario effettuare dei test di resistenza del virus ai farmaci antiretrovirali [AI]; quello maggiormente utilizzato mette in evidenza le eventuali mutazioni presenti nella sequenza della trascrittasi inversa, proteasi e integrasi virale (test genotipico): sulla base di banche dati continuamente aggiornate a livello internazionale queste mutazioni sono correlate a resistenza parziale o completa nei confronti dei singoli farmaci, con una affidabilità molto elevata soprattutto nei confronti dei farmaci in uso da più tempo.
Schematicamente, possiamo dire che vi sono alcuni farmaci verso i quali si crea resistenza completa a seguito di una singola mutazione (farmaci con bassa barriera genetica): ad es. tra gli NRTI lamivudina, emtricitabina, abacavir, tenofovir; tra gli IP atazanavir; tra gli NNRTI rilpivirina, efavirenz e nevirapina; tra gli INSTI raltegravir e elvitegravir.
In altri casi occorrono più mutazioni per conferire resistenza (farmaci con alta barriera genetica): tra gli NRTI zidovudina; tra gli IP lopinavir, darunavir, fosamprenavir, tra gli INSTI dolutegravir.
Sulla base dell'esito del test di resistenza e dei colloqui col paziente sul motivo del fallimento della precedente terapia, si definisce uno schema terapeutico con l'obiettivo di ottenere la negativizzazione della carica virale, includendo almeno 2 farmaci ai quali il virus sia sensibile in una combinazione di 3. In genere, questo risultato lo si ottiene dopo un primo fallimento scegliendo almeno 1 nuovo NRTI rispetto ai 2 utilizzati in precedenza, sostituendo l'NNRTI o l’INSTI (se incluso nel precedente schema) con un IP, oppure se il paziente utilizzava uno schema con IP, sostituendo quello in uso con un altro ad alta barriera genetica oppure con un NNRTI [BII] o un INSTI ad alta barriera.
Prima di prescrivere il nuovo schema terapeutico, e in corso di assunzione, vanno affrontati e seguiti i problemi che hanno comportato l'assunzione irregolare della terapia (depressione, abuso di alcol e sostanze stupefacenti, ecc.). Se ci si trova di fronte a un paziente che ha già fallito con più schemi terapeutici, diventa molto difficile definire uno schema alternativo di terapia potenzialmente efficace: le mutazioni presenti nel virus sono di solito numerose e comportano resistenze crociate tra i farmaci nelle 4 classi utilizzate (NRTI, NNRTI, IP, INSTI) con necessità di proporre uno schema che includa l'inibitore della fusione enfuvirtide associato a farmaci con attività almeno parziale nei confronti di virus multiresistenti quali il darunavir (IP) a dosaggio potenziato, o l’utilizzo di maraviroc se il virus è CCR5 tropico, oltre al riutilizzo di farmaci della classe degli NRTI con un minimo di attività residua per mutazioni compensatorie (es. l'associazione zidovudina con lamivudina e tenofovir).
Appare evidente che è preferibile evitare una situazione di questo tipo che comporta un rischio elevato di fallimento e di conseguenze gravi per la salute del paziente; oltretutto, le possibilità che il paziente riesca a tollerare e ad assumere con regolarità una terapia ben più complessa delle precedenti sono modeste. L'obiettivo da porsi in questo caso è di ridurre il più possibile l'attività del virus, migliorando temporaneamente o mantenendo la situazione immunitaria in modo da ritardare il più possibile la progressione della malattia. Va inoltre rinforzato l'intervento di tipo educativo affinché il paziente mantenga tutte le precauzioni atte ad evitare la trasmissione dell'HIV ad altre persone, che verrebbero contagiate con un virus già resistente ai farmaci a disposizione.
Trattamento antiretrovirale in gravidanza
In caso di gravidanza in donna con infezione da HIV l’obiettivo del trattamento è impedire che trasmetta l'infezione da HIV al nascituro.
• Se la donna è già in trattamento all’inizio della gravidanza la terapia in tal caso va proseguita (AII).
• Se la donna è in trattamento e desidera una gravidanza, va evitata l’assunzione di dolutegravir che risulta associato a un aumentata incidenza di spina bifida se assunto nelle prime settimane dopo il concepimento.
• Se, al contrario, la donna all'inizio della gravidanza non è in trattamento antivirale, con condizione di asintomaticità e livello di CD4 > 350/mm3, la terapia antivirale può essere prescritta a partire dal 4° mese in quanto il rischio di trasmissione al nascituro è presente solo durante la seconda metà della gravidanza, il parto e l'allattamento. Complessivamente, in assenza di terapia, il 15-20% delle gravidanze si conclude con la trasmissione dell'infezione al nascituro, mentre a seguito di un trattamento antivirale ben effettuato il rischio si riduce a meno dell’1%. Per essere efficace nella prevenzione della trasmissione, la terapia antiretrovirale deve ridurre la carica virale il più possibile e portarla al di sotto del livello di determinazione del test o comunque non oltre le 1000 copie/ml. Il parto cesareo in elezione, che può ridurre ulteriormente il rischio di trasmissione è indicato se persiste attività virale residua, mentre in caso di carica virale non determinabile il parto può essere naturale (AI).
Infine, il neonato va trattato con zidovudina in sospensione orale per le prime 6 settimane di vita (AI); l’allattamento al seno va sconsigliato ove sia disponibile latte artificiale fornito gratuitamente (AI): la donna in terapia antivirale con carica virale stabilmente soppressa non trasmette quasi mai il virus col latte, ma l’allattamento al seno esporrebbe il neonato non infetto all’azione di farmaci per ulteriore tempo.
Profilassi pre-esposizione
Nelle persone ad alto rischio di acquisizione di HIV la profilassi pre-esposizione (PrEP) con l'associazione di tenofovir (TDF)/emtricitabina (FTC), eseguita in maniera continua (quotidiana) o intermittente (“on demand”), è efficace per la prevenzione dell'infezione di HIV [AI]. L’efficacia è stata dimostrata sia in numerosi studi clinici controllati che nelle loro estensioni “aperte” o in altri studi osservazionali. Gli studi, condotti anche in Europa, dimostrano che l'efficacia della PrEP nel prevenire l'infezione da HIV è fortemente correlata con l’aderenza al trattamento.
Sulla base delle evidenze disponibili sono state emanate specifiche linee guida e la Commissione Europea, su raccomandazione del Comitato per i Medicinali per uso umano dell’Agenzia europea dei medicinali (EMA), ha rilasciato l’estensione dell’autorizzazione all'immissione in commercio nei 28 Paesi dell'Unione europea per Truvada® come PrEP.
In seguito sono stati autorizzati da EMA medicinali generici emtricitabina/tenofovir disoproxil (TDF/FTC), alcuni dei quali riportano la PrEP fra le indicazioni terapeutiche. Alcuni di questi farmaci generici sono attualmente iscritti nel nostro paese in fascia "C", soggetti a prescrizione da parte di uno specialista.
La disponibilità di generici può contribuire all’implementazione di programmi nazionali di PrEP; questi sono in fase di avvio o avviati in diversi paesi europei, che si confrontano con il problema di rispondere ai bisogni, minimizzare il possibile impatto negativo ed essere sostenibili.
Fra gli aspetti che possono limitare l’efficacia della PrEP sono stati segnalati due casi di acquisizione di ceppi di HIV con resistenze multiple a farmaci (MDR) sotto PrEP assunta con aderenza adeguata. In questi casi, è probabile che sia stato trasmesso un ceppo MDR ma non è possibile escludere che la resistenza si sia evoluta sotto la pressione di TDF e FTC. La possibilità di infezione con ceppi MDR, per quanto al momento sembri verificarsi con una frequenza estremamente bassa, così come i possibili casi di fallimento vanno illustrati nell’ambito del counselling, inserendo la PrEP in un approccio combinato alla prevenzione di HIV.
Attualmente la PrEP è indicata per le persone che hanno rapporti sessuali a rischio non protetti sia omo- che eterosessuali; va associata a un azione di counselling sulla corretta modalità di assunzione, sul rischio di contrarre infezioni sessualmente trasmissibili (IST) e sulla necessità di periodici controlli sia clinici che laboratoristici per escludere la presenza di IST incluso l’HIV.
Le prospettive attuali
La terapia antiretrovirale oggi a disposizione, e la flessibilità degli schemi di combinazione di farmaci guidati da un sempre più mirato monitoraggio delle resistenze permettono senz’altro di guardare alla gestione di HIV come uno dei settori che (al di là delle dimensioni economiche della spesa, certo non compatibile con le risorse di molti paesi) meglio può rispettare le attese di una ulteriore progressiva diminuzione della morbi-mortalità HIV-correlata.
Le novità farmacologiche più recenti riguardano soprattutto miglioramenti farmaceutici che favoriscono la compliance (cabotegravir e rilpivirina in formulazione i.m. long-acting da somministrare ogni 4-8 settimane in pazienti con carica virale minore di 50 copie/ml), schemi semplificati anche per il paziente naive al trattamento (dolutegravir e lamivudina), migliore efficacia verso ceppi virali resistenti (un NRTI come MK8591; un NNRTI come dorivirina), un anticorpo monoclonale per via endovenosa (ibalizumab) che si lega al recettore CD4 dei linfociti ed interferisce con l’ingresso intracellulare del virus.
Come già ricordato, una linea di intervento-ricerca che meriterebbe una maggiore attenzione è quella che riguarda la gestione più complessiva di una popolazione con le caratteristiche di cronicità, di invecchiamento, di co-morbidità che potrebbe beneficiare di un più attivo coinvolgimento collaborativo con i MMG che possono essere anche i migliori mediatori di altre competenze specialistiche (al di là del loro ruolo fondamentale già sopra ricordato nel favorire-garantire la compliance con le terapie antiretrovirali specifiche).
Le co-morbidità più frequenti riguardano certamente le complicanze cardiovascolari e quelle collegate alle situazioni riconducibili al disagio psichico, soprattutto alle diverse forme depressive e, molto più raramente, a manifestazioni psichiatriche (le complicanze infettive, in particolare le forme tubercolari, rientrano più normalmente nelle competenze specialistiche responsabili di HIV).
La condizione HIV di base non comporta cambiamenti diagnostico-terapeutici particolari rispetto alle co-morbidità: è chiaro tuttavia che un loro monitoraggio attento nelle situazioni più conclamate favorisce un rapporto più fiducioso del/la paziente con il suo stato generale, e una più efficace gestione anche di situazioni sintomatiche che possono essere anche il prodotto di effetti collaterali dei farmaci anti-retrovirali e/o (ancor più raramente) di interazioni. Il Box che segue propone un quadro riassuntivo delle informazioni essenziali da tener presente in questi ambiti.
Effetti collaterali ed interazioni farmacologiche
- L’importanza degli effetti collaterali da terapie antiretrovirali è fortemente diminuita in termini di frequenza ed intensità, grazie alla progressiva ottimizzazione dei dosaggi, delle strategie di somministrazione, della semplificazione degli schemi terapeutici di mantenimento.
- Mentre una informazione sugli effetti specifici possibili per alcuni gruppi terapeutici è prassi di routine a livello di prescrizione (es. parestesie orali transitorie con farmaci IP), sono da tener presenti sintomatologie come disturbi gastrointestinali, modificazioni dei profili lipidici, alterazioni di funzione epatica e renale, rash.
- Come è noto per tutte le co-morbidità e cronicità, la prevenzione-gestione tempestive ed efficaci delle diverse sintomatologie sono il prodotto di informazioni coerenti e regolarmente scambiate tra curanti e pazienti. Di particolare importanza la segnalazione di possibili effetti sull’umore e sul sonno, sull’agitazione, che può indurre/produrre uso occasionale o prolungato di psicofarmaci che spesso, più che ridurre, peggiorano la situazione, per combinazione di effetti, più che per interazioni farmacologiche (v. sedazione prolungata con benzodiazepine).
- In maschi con disfunzione erettile è possibile un’accentuazione dell’azione del sildenafil, ed è consigliabile eventualmente una riduzione della dose iniziale, distanziando di almeno 72 ore le diverse utilizzazioni.
- Farmaci induttori di metabolismo enzimatico a livello epatico (carbamazepina, rifampicina, iperico od alcuni antiretrovirali) devono essere considerati come a rischio di ridotto effetto di terapie concomitanti.
Rimane fondamentale il ruolo del MMG di collaborare a fare del paziente HIV una persona con crescente autonomia e “normale” responsabilità decisionale, sia per la sua malattia di base, che per l’insieme dei suoi stili di vita:
-sottilineando l’obbligo di adottare le necessarie precauzioni per evitare di trasmettere ad altri l’infezione da HIV e contrarre altre MST in condizioni di malattia attiva;
- sollecitando la regolarità dei controlli per verificare l’azzeramento totale e persistente nel tempo della carica virale (HIV RNA < 50 copie/ml) che si associa alla ragionevole sicurezza di non trasmettere il virus con rapporti sessuali penetrativi non protetti (certo, una volta che il/la partner etero/omosessuale sia informato e consenziente);
- favorendo al massimo stili di vita e di alimentazione sani;
- monitorando i di rischi di mantenimento/ritorno a abitudini come alcool, fumo e droghe.
Bibliografia
Per tutte le referenze si rimanda alle citate Linee Guida Italiane prodotte dalla SIMIT (Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali) in collaborazione con il Ministero della Salute, aggiornate al 2017.