L'ipertrofia prostatica benigna è un problema molto comune. Studi autoptici hanno rilevato che è presente nella metà dei pazienti con più di 50 anni e in 3/4 di quelli con più di 80 anni, ma l'iperplasia della prostata è anatomicamente evidente già nel 10% della popolazione maschile di età compresa tra i 25 e i 30 anni. I sintomi compaiono però in una percentuale molto più bassa di pazienti: solo il 43% degli ultra70enni lamenta disturbi soggettivi.
Le complicanze correlate sono rare: l'occlusione urinaria completa, la più grave, ha una incidenza stimata dell'1% all'anno.
La causa precisa non è nota, ma l'alterazione dell'equilibrio ormonale nel rapporto tra androgeni ed estrogeni associata all'età sembra giocare un ruolo decisivo nello sviluppo della malattia. Dopo i 35 anni, nella zona periuretrale della prostata si sviluppano piccoli noduli sferici di tessuto stromale che, sotto l'influenza del diidrotestosterone e per una complessa interazione tra epitelio e stroma coinvolgente fattori di crescita, aumentano progressivamente sino a comprimere l'uretra.
Nell'ipertrofia prostatica l'ostruzione allo svuotamento della vescica dipende dalla combinazione di due componenti, una statica (iperplasia delle componenti fibromuscolari e ghiandolari della prostata) e una dinamica (aumento del tono dei muscoli prostatici). L'aumento pressorio richiesto per l'eliminazione urinaria porta a ipertrofia del detrusore della vescica.
Quadro clinico
L'iperplasia prostatica benigna produce due principali tipi di sintomi:
sintomi ostruttivi (difficoltà ad iniziare la minzione, flusso debole, interruzione del getto, sgocciolamento a fine minzione);
sintomi irritativi (minzione frequente o imperiosa, nicturia e sensazione di svuotamento incompleto).
L'ostruzione progressiva del deflusso di urina e lo svuotamento incompleto della vescica causano stasi e predispongono all'insorgenza di complicanze quali infezioni urinarie, ematuria, formazione di calcoli e diverticoli vescicali, ritenzione urinaria acuta. La ritenzione urinaria prolungata può produrre idronefrosi e insufficienza renale.
Diagnosi ed accertamenti laboratoristici e strumentali
Nei pazienti con ipertrofia prostatica che presentano dei sintomi, l'anamnesi assume un ruolo molto importante. Poiché non esiste una correlazione diretta tra entità dei disturbi e volume della ghiandola prostatica, nella clinica occorre basarsi essenzialmente su due fattori:la gravità dei sintomi che deve essere stabilita con uno strumento adeguato. L'adozione di un questionario a punteggio consente una valutazione obiettiva dei sintomi e si rivela essenziale sia per decidere il tipo di trattamento che per verificarne l'efficacia; la scala a punteggi più utilizzata è quella dell'American Urologist Association (AUS) (riquadro);
la presenza o meno di complicanze.
Esame clinico
Alla esplorazione rettale la prostata appare generalmente ingrossata, di consistenza gommosa, e spesso presenta perdita del solco mediano.
La vescica urinaria distesa può essere palpabile o reperibile con la percussione.
Esami di laboratorio
Le uniche analisi di laboratorio necessarie sono quelle volte a verificare la funzionalità renale (azotemia e creatininemia) e a confermare un infezione in atto (esame delle urine e urocoltura).
La determinazione dell'antigene prostatico specifico (PSA), sebbene possa essere utile nel rilevamento di un carcinoma prostatico localizzato, non deve essere praticata routinariamente, dal momento che:
esiste una larga sovrapposizione di valori comuni a pazienti con ipertrofia prostatica benigna e a quelli con tumore. Inoltre, il 43% dei pazienti portatori di cancro intra-prostatico ha un PSA sierico normale e il 25% dei pazienti con IPB ha un PSA elevato;
non vi è accordo sulle procedure da seguire quando il PSA è lievemente alterato. Molti dati suggeriscono che valori compresi tra 4 e 10 di PSA siano poco indicativi: vanno perciò evitati atteggiamenti inutilmente invasivi;
il PSA è il marker più sensibile per monitorare la progressione del carcinoma prostatico e la risposta alla terapia, ma il suo ruolo nella diagnosi precoce e nella stadiazione deve essere ancora valutato; non è infatti dimostrato che il suo utilizzo intensivo (screening) produca effetti favorevoli sulla mortalità da cancro prostatico. Attualmente, nei casi dubbi (PSA tra 4 e 10) è possibile ricorrere al PSA ratio o alla PSA velocity, due metodiche in grado di fornire informazioni aggiuntive.
Associando la determinazione del PSA con l'esplorazione rettale si innalza decisamente la predittività delle informazioni raccolte.
La determinazione della fosfatasi acida prostatica (PAP) è un esame del tutto inutile.
La diagnostica per immagini
L'ecografia è in grado di valutare le dimensioni ed eventualmente la natura dell'ingrandimento prostatico, di fornire il peso approssimativo della ghiandola e, soprattutto, di determinare il volume residuo vescicale post-minzionale in modo accurato e non invasivo. L'ecografia risulta però raramente determinante nelle scelte terapeutiche e nella valutazione dell''efficacia delle stesse.
Nella maggior parte dei pazienti con ipertrofia prostatica benigna (75% dei casi) l'urografia risulta normale. Anche nei pazienti con anomalie urografiche è raro che queste siano tali da modificare il piano terapeutico.
Il ricorso a tecniche di visualizzazione come l'ecografia o l'urografia va perciò riservato ai casi con ematuria o con infezioni delle alte vie urinarie.
Gli studi urodinamici
Una valutazione urodinamica può risultare utile nell'obiettivare il grado di ostruzione intravescicale. Generalmente si ritiene che un picco di flusso urinario inferiore a 10 ml/sec. costituisca un sicuro segno di tale disturbo. Esami urodinamici più dettagliati sono da riservare a pazienti molto giovani o in coloro che manifestano esclusivamente disturbi di natura irritativa. Questi esami sono indicati anche per i casi con patologie urinarie associate.
All'osservazione del medico di medicina generale possono perciò presentarsi tre tipi di pazienti:
il paziente con sintomi lievi e nessuna complicanza (score sino a 7)
il paziente con sintomi da moderati a gravi e nessuna complicanza (score 8 e oltre)
il paziente con una complicanzaAllo stato attuale delle conoscenze si possono definire delle linee di orientamento generale nel trattamento dell'ipertrofia prostatica.
Nel paziente con disturbi lievi (score fino a 7) si dovrebbe adottare l'atteggiamento di "attendere e stare a vedere", rivalutandolo una volta all'anno con:
l'anamnesi e il punteggio dei sintomi sulla scala dell'AUS
la visita medica con l'esplorazione digitale rettale
l'esame delle urine con apposito stick
i dati di creatininemia.
Un numero relativamente elevato di questi pazienti può migliorare o veder stabilizzati i propri disturbi nel tempo senza provvedimenti terapeutici; questo spiega l'elevata percentuale di miglioramenti ottenuti col placebo negli studi controllati e costituisce il presupposto razionale dell'atteggiamento di vigile attesa.
I pazienti con sintomatologia medio-grave andrebbero correttamente informati sulle varie soluzioni possibili (mediche e chirurgiche) e guidati nella scelta in base al miglioramento ottenibile nella qualità di vita. Un identico punteggio allo score non determina infatti lo stesso impatto sulla qualità della vita del paziente, per cui è necessario tenere conto più di come il paziente vive il proprio disturbo che dell'entità del disturbo stesso.
Gli studi sin qui condotti sono pochi e si sono limitati a valutare i benefici e i rischi dei singoli farmaci indicati nel trattamento dell'ipertrofia prostatica senza confrontarli in modo diretto nei diversi stadi clinici della malattia.
L'unico studio comparativo è stato condotto su 1.229 pazienti e ha avuto la durata di 1 anno. Ha confrontato finasteride e terazosina in rapporto al miglioramento dei sintomi, del flusso urinario e del volume residuo, evidenziando una netta superiorità dell'alfa-bloccante sulla finasteride sui primi due end-point. La finasteride risulterebbe infatti del tutto inefficace sui disturbi, fornendo risultati sovrapponibili al placebo, almeno per quei pazienti che presentano un modesto incremento del volume prostatico. L'associazione dei due farmaci non ha migliorato gli esiti ottenuti con la sola terazosina. La finasteride si è dimostrata invece efficace nella riduzione del volume prostatico. La terazosina risulta quindi sicuramente efficace nel ridurre i sintomi, ma non c'è alcuna evidenza che possa ridurre il ricorso alla chirurgia. Questo dato è particolarmente rilevante dal momento che la resezione transuretrale della prostata in termini di frequenza è il secondo degli interventi chirurgici dell'anziano.
Uno studio successivo in doppio cieco, randomizzato, controllato, realizzato su un numero molto elevato di pazienti (3.040) seguiti per un periodo di 4 anni, ha dimostrato che la finasteride, quando confrontata col placebo, riduce la necessità di ricorso all'intervento chirurgico e la frequenza di episodi di ostruzione urinaria completa. Le differenze tra il gruppo trattato con finasteride e quello assegnato al placebo si sono rese evidenti già a partire dal quarto mese e si sono mantenute per tutta la durata dello studio. Sulla base dei risultati di questo studio, é necessario trattare 15 uomini per 4 anni per prevenire un solo evento, intervento chirurgico od ostruzione urinaria acuta. Volendo tradurre questi benefici in termini economici, ciò significa che per risparmiare un intervento di TURP del costo di 3 milioni di lire è necessario utilizzare finasteride per un importo complessivo di oltre 54 milioni.
Un risultato interessante dello studio è la riduzione dei casi di ostruzione urinaria completa dal 4% dei controlli all'1% dei soggetti trattati. Oltre ad essere dolorosa, questa complicanza aumenta il rischio operatorio nell'intervento di prostatectomia endoscopica.
Lo studio dimostra inoltre che la finasteride è discretamente efficace sui sintomi e permette di ottenere, anche nei pazienti con volume ghiandolare ridotto, una riduzione media del punteggio nella scala di valutazione dei sintomi di 3,3 punti a fronte di 1,3 dei pazienti trattati con placebo.
Non sono noti i vantaggi e gli svantaggi a lungo termine dei due trattamenti.
Sono da considerare candidati all'intervento chirurgico:
i pazienti con sintomi gravi che non rispondono al trattamento farmacologico protratto per alcuni mesi;
i soggetti con recidiva di ostruzione urinaria completa o quelli in cui sia fallito il tentativo di rimozione del catetere dopo l'episodio ostruttivo;
quelli con complicanze correlate all'ipertrofia prostatica, quali infezioni urinarie ricorrenti, calcoli vescicali, macroematuria e insufficienza renale.
L'asportazione del tessuto prostatico ostruente può essere ottenuta sia per via endoscopica (TURP) che per via laparotomica.
La resezione transuretrale della prostata (TURP) costituisce il "gold standard" della chirurgia dell'ipertrofia prostatica benigna; alle buone probabilità di ottenere risultati soddisfacenti associa il vantaggio di una migliore accettazione da parte del paziente in quanto non è richiesta alcuna incisione; è inoltre gravata da una bassa morbilità (8-10%) e mortalità (0,1%). Le complicanze sono legate a sclerosi del collo vescicale (2,7%), stenosi uretrali (2,5%) e incontinenza (1,7%). Un secondo intervento chirurgico si rende necessario in meno del 10% dei pazienti.
La TUIP è un intervento di semplice incisione del collo vescicale senza asportazione di tessuto: rappresenta un'opzione chirurgica interessante per i pazienti portatori di una prostata inferiore ai 30 grammi di peso. L'intervento è eseguibile in regime di day-hospital e fornisce risultati solo lievemente inferiori alla TURP.
L'intervento chirurgico a cielo aperto usando l'approccio sovrapubico o retropubico viene riservato alle prostate più grandi.
In questi ultimi anni sono state messe a punto procedure chirurgiche scarsamente invasive come la elettrovaporizzazione transuretrale della prostata che pare assicurare risultati analoghi a quelli della TURP ma con un ridotto rischio di sanguinamento e una minore degenza ospedaliera; gli esiti sul lungo periodo di queste nuove tecniche non sono noti.
L'ipertrofia prostatica benigna è una malattia di crescente riscontro con l'avanzare dell'età e provoca sintomi nel 43% circa dei pazienti.
La gravità dei sintomi e la necessità o meno di un trattamento devono essere obiettivate utilizzando una scala di valutazione a punteggio.
Nei pazienti con sintomatologia da lieve a moderata l'atteggiamento più corretto è quello della vigile attesa. In un arco di 5 anni molti pazienti migliorano spontaneamente, in altri i sintomi si stabilizzano; meno del 40% dei pazienti peggiora.
I sintomi più gravi o particolarmente disturbanti possono essere trattati con un alfa-bloccante.
La finasteride va riservata ai pazienti con prostata di maggiori dimensioni nei quali può ridurre il rischio di ritenzione urinaria acuta e rimandare il ricorso all'intervento chirurgico.
La chirurgia è indicata nei pazienti con sintomi gravi non responsivi al trattamento farmacologico, con recidive di ostruzioni urinarie complete e con complicanze. La resezione transuretrale della prostata (TURP) rappresenta la migliore procedura operatoria.
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