Secondo una tradizione ormai consolidata per questi editoriali, se ne dichiarano anzitutto l'occasione prossima ed insieme le radici più di fondo. Il punto di partenza è il primo di due articoli dedicati al tema delle demenze ("Malattia di Alzheimer: farmaci e/o assistenza?"). Il tema è già stato indirettamente toccato attraverso i profili dei farmaci utilizzati, ma si è deciso di dedicargli una attenzione particolare, non solo a scopo di aggiornamento, ma per adottare questo problema come oggetto d'interesse prolungato anche al di là dei due contributi sopra ricordati (il secondo, dedicato più direttamente agli interventi di assistenza-trattamento, uscirà sul numero di settembre del bollettino). Si vorrebbe compiere un viaggio in compagnia delle tante, diverse, più o meno [s]conosciute popolazioni che vivono nell'universo diagnostico delle demenze, perché si pensa che possano essere una guida particolarmente istruttiva per seguire più da vicino, da dentro, lo sviluppo conoscitivo, ma ancor più per comprendere quali sono gli orizzonti, le possibilità, gli obblighi della medicina nel rapporto con un problema che pone domande non solo di conoscenza, ma di valori.
Materiali di viaggio
Per chi volesse "viaggiare informato" su questo percorso si consigliano tre letture, che sono nello stesso tempo molto concrete, e più generalmente rappresentative dello spettro di interessi cui è necessario essere aperti.
La prima è una "nota CUF" atipica, molto bella, pubblicata con il titolo "Alzheimer problema sociale e della famiglia" sul Il Sole 24 Ore/Sanità dell'11-17 maggio 1999, insieme alle sintesi della ricerca CENSIS sull'impatto della patologia nel tessuto sociale.
La nota è "atipica" per la sua estensione, l'impianto fortemente strutturato, che rimanda a tutta la filosofia del Piano Sanitario Nazionale e delle priorità dei suoi "patti di solidarietà", la collocazione del problema farmacologico all'interno del quadro epidemiologico e sociale più complessivo delle demenze. La "nota CUF" è anche disponibile sul sito web del Dipartimento del farmaco, ed è un buon esempio di metodologia, e di invito al dialogo, in preparazione alla eventuale-attesa rimborsabilità dei farmaci.
La seconda lettura è un articolo pubblicato dal New England Journal of Medicine del 24 giugno 1999: l'oggetto è la revisione delle conoscenze sulla genetica delle malattie neurodegenerative, tra le quali le demenze occupano un posto-chiave. Siamo all'estremo opposto della logica della "nota CUF": invitati ad un "ascolto di conoscenze", ad un tempo affascinanti per la velocità del loro avanzamento e provocatorie per le domande che pongono sul modo con cui ci si deve attrezzare a gestire una conoscenza che cerca di anticipare il sapere di essere "destinati" a sviluppare una patologia estremamente grave per la quale non si hanno (ancora) rimedi.
La terza lettura è sempre presa del New England Journal of Medicine del 20 maggio 1999: non parla di Alzheimer, ma è particolarmente pertinente per il tema complessivo che qui ci interessa: la gestione di una cronicità-disabilità molto "hard", quando si hanno a disposizione solo strumenti molto "soft", come la solidarietà, ed una speranza che sconfina continuamente nella disperazione. L'autrice dell'articolo non è un tecnico, è una donna-moglie che racconta "la solitudine di un care-giver cronico", nel contesto di un sistema sanitario e di una società sempre più orientati a dare spazio solo ad interventi di cui è documentata la "evidenza di efficacia".
Parole da ricordare-ascoltare in viaggio
In un viaggio "esemplare" come quello che la medicina e la società intraprendono quando sono forzate ad esplorare un paese come quello delle demenze, è utile fare un po' il ripasso delle categorie di riferimento delle attese di cui si è portatori, per lo più in modo solo implicito, come attori della medicina e cittadini della società. Le coppie di parole che possono prestarsi a riassumere le cose da ricordare non sono nuove (come è giusto sia, quando ci si confronta con una situazione "modello"). Le si ripropongono perché in un contesto concreto acquistano echi specifici e possono perciò lasciare più facilmente trasparire i loro significati-messaggi più generali.
Evidenze vs parzialità. Il peso crescente che le "evidenze" assumono nella medicina attuale non ha bisogno di essere sottolineato.
L'accezione che qui prende questo termine, ce ne ricorda l'altra faccia: è molto "evidente" il peso e l'opacità della malattia, è molto parziale la capacità di risposta disponibile. L'"evidenza" rimanda allo statuto della medicina come disciplina che gestisce in modo scientificamente efficiente risorse e strategie: la parzialità ricorda lo statuto permanente della medicina come una delle discipline che esplorano, accompagnano, cercano di penetrare e gestire in modo positivo lo spettro ampio delle forme dello star male di tanta gente.
Ignoranza vs impotenza. Non appena lo star male diventa un modo di vivere, e non semplicemente una patologia di cui (non si riesce a) favorire uno sviluppo positivo ci si accorge di essere portatori di saperi frammentati. Vivere periodicamente l'esperienza di non avere risposte è un esercizio essenziale per la "salute mentale" di una categoria come quella medica portata ad organizzarsi, a percepirsi, a presentarsi come lo snodo imprescindibile di tutto ciò che ha a che fare con la salute. Se non c'è (nulla) da fare bisogna divenire capaci di saperi diversi, complementari: dell'attesa, dell'ascolto, del mettere la propria parzialità dentro le tante parzialità. Sono ancora molto pochi i medici che lavorano in gruppi multidisciplinari, dove l'attenzione, e il lasciar spazio, ad altre esigenze e punti di vista può essere uno dei modi-chiave per svolgere un lavoro di ricerca non limitato a testare le proprie ipotesi.
Surrogati vs sintomi. Nel caso delle demenze, la presa di coscienza operativa (non solo a livello di affermazioni) della parzialità, dell'ignoranza, dell'impotenza può essere una scuola importante per imparare che cosa significa avere risposte solo "surrogate", capaci al massimo di intervenire su o migliorare sintomi, più o meno rilevanti.
La disponibilità di risposte solo sintomatiche-surrogate chiede di sviluppare-ricercare-sperimentare atteggiamenti non-surrogati di dialogo, di spiegazione, di accompagnamento. Nell'attesa (quanto lunga?) delle risposte "hard" evocate nella seconda delle letture consigliate sopra, sarebbe bello vedere crescere (nella logica di attenzione complessiva illustrata nella prima delle letture) medici che vedono nella sperimentazione della multidisciplinarietà non un lavoro surrogato ("non si può far altro") ma una provocazione professionale sostanziale ad apprendere e giocare positivamente il ruolo di attori in una compagnia in cui non si è prime-donne. Quanto cambierebbero le strategie di "ricerca di soluzioni", se l'area medica, nel caso specifica dell'Alzheimer (modello di tante situazioni rispetto alle quali si arriva al massimo a rispondere a sintomi, con strumenti-risultati parziali-surrogati) adottasse protocolli di studio (e di assistenza) espressamente e compiutamente multidisciplinari?
Razionalità vs progettualità. Il dovere professionale della razionalità di comportamenti, decisioni, scelte è indiscutibile, soprattutto in situazioni di incertezza-impotenza obbligate. La razionalità è tuttavia, proprio in queste situazioni, un aspetto molto parziale dei compiti professionali. Un bisogno inevaso collettivo e diffuso, come quello dell'Alzheimer, richiede collettività-reti-singoli medici capaci di dare tempo ed intelligenza alla formulazione attiva di strategie di lungo periodo, focalizzate sulla globalità della situazione, e non solo sull'espletamento di prestazioni puntuali.
La maggior parte dei (pochi) progetti complessivi sull'Alzheimer (e più in generale sulle cronicità) vede molto raramente collettivi di medici come "motori di progettualità".
Si lavora più per trovare incentivi-compensi che riconoscano la gravosità dei compiti assistenziali che richiedono i portatori di bisogni inevasi. C'è una lunga tradizione di assenza dei medici nella formulazione di percorsi di medio-lungo periodo, con protocolli adeguati e criteri di valutazione espliciti. Sarebbe bello se, in questo viaggio che inizia nel territorio delle demenze, si potessero incontrare, discutere, ulteriormente stimolare gruppi di medici che hanno adottato le demenze come oggetto specifico-prioritario della propria progettualità professionale. L'esistenza di strutture complementari di assistenza e la forte pressione specialistica ad essere il controllore dei percorsi di inquadramento diagnostico-terapeutico, non possono essere la scusa per delegare (più o meno con compensi) la progettualità ad altri. Di fronte alla conoscenza parziale (o ignorante o impotente) una visibilità di progettualità di ricerca da parte della medicina generale (MG) sarebbe un indicatore forte (e più generalmente valido, al di là delle demenze) della capacità di autonomia culturale e metodologica della MG. L'alternativa è quella di essere "mediatori di assistenza" in posizione sostanzialmente passiva, e preoccupata solo di intervenire con risposte "surrogate".
Prescrittori vs utenti. Fa parte delle provocazioni alla multidisciplinarietà e alla progettualità che la demenza pone alla MG, la proposta di prendersi carico in modo non "compassionevole", ma come una dimensione centrale della responsabilità professionale (in questo campo allo stesso tempo "modello", e "atipica" per la possibilità di gestione medica) della "solitudine-stanchezza" ricordate nella terza delle letture consigliate per un viaggio non da turisti nel paese delle demenze. E' noto che esistono in quest'area molte iniziative-associazioni di "rappresentanza" dei malati-utenti.
E' anche noto che dietro le tante sigle di queste organizzazioni ci sono spesso industrie farmaceutiche che fanno opere di sostegno (meritevole), ma anche di propaganda-stimolo ad una prescrizione "surrogata". La partecipazione intensiva degli utenti (e/o loro rappresentanti) nella definizione delle priorità, delle strategie, delle modalità di ricerca rispetto ai bisogni inevasi è uno dei compiti più stimolanti che suggerisce-esige l'area delle demenze (come quella della psichiatria, dell'oncologia, ....).
L'enfasi crescente (infinitamente benvenuta: se ne è parlato molto su queste pagine a proposito anche dell'altro viaggio che è stato proposto a partire dal tema dell'automedicazione) su pazienti che diventano esigenti, deve tradursi nella formazione di alleanze forti e trasparenti di ricerca tra medici, familiari, pazienti. Sarà possibile incontrare, nel viaggio che con questo numero incomincia, progetti concreti collaborativi dove, con prescrittori-coscienti della propria parzialità-impotenza, "ricercatori principali" sono familiari-pazienti non più lasciati nella loro solitudine di cronicità? La logica dell'organizzazione sanitaria per distretti chiamati ad esprimere l'autonomia della collettività umana in cui si articola la sanità (v. il recente decreto-ter della riforma sanitaria) offre un contesto legislativo ed organizzativo interessante.
Il "caso della demenza" potrebbe essere una buona situazione pilota attraverso cui sperimentare la complementarietà delle diverse competenze, sanitarie e non, in progetti che siano nello stesso tempo un esercizio di ricerca clinico-epidemiologico-assistenziale e una sperimentazione di cittadinanza, dove tutti si è chiamati ad essere, nella parzialità di ognuno, protagonisti alla pari.
Le ragioni di un titolo
La formulazione del titolo proposto per questo editoriale poteva sembrare una proposta retorica. Che cosa c'è da "ascoltare" in una situazione così opaca e a vicolo chiuso come le demenze? Forse, al termine di questa riflessione che invita ad un viaggio, alcune ragioni per sentire nelle demenze voci da ascoltare e da prendere sul serio sono diventate più evidenti. E' importante non prenderle come esortazioni più o meno di buona volontà, ma come proposte reali di metodologia e di civiltà professionali.
Su Internet, a livello mondiale, sono presenti 70.000 siti sull'Alzheimer. Nei primi 6 mesi del 1999, sono comparse più di 60 pubblicazioni su due farmaci che oggi sono disponibili per la gestione surrogata di questa forma di demenza. Per fare dell'ascolto di tutte queste voci un progetto, e non solo tanti suoni, si attendono collettivi di medici capaci di un ascolto così selettivo ed intelligente da fare della demenza un test della capacità della medicina di essere un servizio efficace.