Questa breve nota è un "invito alla epidemiologia", e nello stesso tempo un pro-memoria sulla interfaccia (ancor più critica) tra i dati della epidemiologia e la loro comunicazione in termini di salute pubblica.
Le informazioni "tecniche" sono importanti; ancor più importante, in un paese che non ha ancora una tradizione di farmacovigilanza, è l'invito ad una cultura della comunicazione dei benefici e dei rischi all'opinione pubblica, per farne un dialogo di comprensione partecipata progressiva, e non semplicemente una pratica (fuorviante) di messaggi positivi o negativi a partire dall'ultimo dato disponibile.
Gli ultimi dati
Nel suo numero del 12 giugno 1999, il British Medical Journal1 riporta i risultati di uno dei più estesi studi epidemiologici (con una metodologia caso-controllo) sul rapporto tra uso di contraccettivi orali ed infarto miocardico. Lo studio è stato condotto a partire dalle pratiche di medicina generale del Regno Unito e si basa su 448 casi di infarto documentati in donne di età compresa tra i 16 ed i 44 anni negli anni 1993-1995, confrontate con 1.728 donne controllo. Le conclusioni dello studio, nelle parole degli autori, coerenti con il commento editoriale dell'articolo2, sono riassunte nella Tabella.
Il quadro è molto rassicurante e riproduce sostanzialmente quanto era già noto da altri studi, di varia dimensione e provenienti da contesti e popolazioni diverse, portando un ulteriore contributo specifico alla domanda ripropostasi negli ultimi anni sulla comparabilità di rischio tra pillole di 2a e 3a generazione.
La principale implicazione in termini di salute pubblica (e di immaginario di ansia per le donne che usano la contraccezione orale come mezzo di controllo della propria fertilità) è quella di sottolineare ancora una volta che l'elemento dominante di rischio è la storia di rischio cardiovascolare delle donne (ipertensione, ma soprattutto, ed in modo proporzionale alla sua intensità, il fumo).
In termini ancor più pragmatici, i dati ricordati documentano che non c'è rischio specifico di infarto da contraccettivi nelle donne giovani che non fumano.
La grande stagione epidemiologica dei contraccettivi orali
E' verosimile che i dati dello studio MICA rappresentino la conclusione, a distanza di 30 anni, di quella che si potrebbe chiamare la seconda grande stagione epidemiologica relativa a questa classe di farmaci, che nella seconda metà degli anni '60 erano stati i protagonisti (sempre a partire dalla valutazione degli effetti cardiovascolari, e specificamente l'infarto rispetto ai contraccettivi di 1a generazione) di studi che in un certo senso avevano contribuito a fondare la valutazione epidemiologica degli effetti collaterali da farmaci.
Questa "seconda stagione" ha avuto 3 tappe principali, a partire della metà degli anni '90. Verso la fine del 1995, un comunicato del Committee on Safety of Medicines (CSM) inglese aveva messo in allarme in modo drammatico le donne utilizzatrici di contraccettivi orali di 3a generazione (quelli che hanno come componente progestinica desogestrel e gestodene, rispetto a quelli di 2a generazione che contengono levonorgestrel e noretisterone), anticipando i risultati di studi (allora ancora in cerca di stampa) che documentavano il raddoppio del rischio di trombosi venosa (soprattutto trombosi venosa profonda degli arti inferiori) per i contraccettivi di 3a rispetto a quelli di 2a generazione.
Il comunicato aveva dato origine ad una intensissima controversia sulla "politica della comunicazione del rischio".
Era giusto comunicare qualcosa che metteva nel panico milioni di persone, senza avere dati pubblicati?
Era più importante il beneficio "possibile" di comunicare un rischio ripreso dalla grande stampa in modo enfatico prima che i medici potessero organizzarsi per parlare alle utenti in modo informato, o il rischio "certo" di mettere nel panico tante donne, e di indurre sospensioni, gravidanze non volute, interruzioni volontarie di gravidanze?
Era sufficiente uno studio, per quanto grande, ma inevitabilmente parziale, data la caratteristica di non definitività probatoria della epidemiologia, quando la riproducibilità dei suoi dati era affidata ai risultati "ad interim" degli altri studi?
A distanza di 3 mesi un altro editoriale del British Medical Journal3, a firma di uno degli statistici inglesi più autorevoli in questo settore, "chiudeva" la polemica di salute pubblica (in presenza dei risultati pubblicati), con un giudizio di "correttezza" rispetto alla sostanza della comunicazione del CSM: la 3a generazione comporta un minimo eccesso di rischio tromboembolico venoso rispetto alla seconda generazione, mentre è possibile che i contraccettivi di 3a generazione, rispetto a quelli di 2a, esercitino un ruolo protettivo sul versante arterioso, con meno infarti, ma in misura statisticamente non significativa.
Anche allora il dato complessivo più importante era tuttavia la conferma di un rischio aumentato di 10 volte di avere l'infarto in donne fumatrici (con o senza contraccettivi orali) rispetto a donne non fumatrici. La 3a generazione di pillole era ammessa senza rischi aggiuntivi, in donne che fossero state accuratamente valutate, prima di iniziare la contraccezione, per escludere una "storia e rischio di trombosi" a livello familiare o personale.
Nel 1997 un altro grande studio caso-controllo con 368 casi4 risottolineava la dominanza del rischio-fumo rispetto a quello contraccettivo, quantificando quest'ultimo in un eccesso di 3 casi di infarto per 106 anni-donne in donne senza una storia personale di fattori di rischio cardiovascolare (i casi divenivano 400/106 anni di esposizione in donne fumatrici con più di 35 anni). Un secondo studio, nello stesso anno, produceva dati (su 182 donne con infarto) che confermavano un profilo decisamente più favorevole della 3a rispetto alla 2a generazione in termini di infarto miocardico5.
Due altri importanti contributi sul profilo complessivo del rischio da contraccettivi orali sono stati pubblicati, tra il 1998 ed il 1999, a partire dal follow-up di 25 anni della grande coorte (46.000 donne) reclutate dai medici di famiglia inglesi, per quanto riguarda la mortalità6 e la morbidità7. (Per i commenti sintetici sui dati "rassicuranti", vedi anche R&P, n. 86 e 87, Newsletter).
Tanti anni fa, subito dopo la prima stagione epidemiologica sui/dei contraccettivi orali, anche in Italia era partito un programma mirato a fare di un problema come la contraccezione solo parzialmente medica, molto più profondamente culturale e di stile di vita, uno strumento di formazione pubblica partecipata, tra specialisti, medici di base, donne. Gli entusiasmi e le fasi pilota finirono, allora, per arenarsi di fronte alla resistenza passiva dei medici.
L'epidemiologia della riproduzione, (al di là di vari altri tentativi, ripresi anche quando si iniziava a parlare di riproduzione assistita) è rimasta, in Italia, un'area grigia: che si ravviva ogni tanto, (e fortemente negli ultimi tempi) a livello politico. I dati e la cultura medica responsabile, rimangono, inevitabilmente, marginali, oggetto di interpretazioni-polarizzazioni, non fruibili in modo responsabile dall'opinione pubblica.
La storia - conclusasi felicemente? - degli effetti collaterali dei contraccettivi orali rimane un capitolo che vale la pena di leggere.
Bibliografia 1. Dunn N et al. Oral contraceptives and myocardial infarction: results of the MICA case-control study. BMJ1999; 318:1579-83. 2. Lidegaard Ø. Commentary: Oral contraceptives and myocardial infarction: reassuring new findings. BMJ1999; 318:1583-84. 3. McPherson K. Third generation oral contraception and venous thromboembolism. The published evidence confirms the Committee on Safety of Medicine's concerns. BMJ 1996; 312:68-69. 4.WHO Collaborative Study of Cardiovascular Disease and Steroid Hormone Contraception. Acute myocardial infarction and combined oral contraceptives: results of an international multicentre case-control study. Lancet1997; 349:1202-09. 5. Lewis MA et al. The use of oral contraceptives and the occurrence of acute myocardial infarction in young women. Results from the Transnational Study on Oral Contraceptives and Health of Young Women.Contraception 1997; 56:129-40. 6. Bertel V. et al. Mortality associated with oral contraceptive use: 25 years follow-up of cohort of 46.000 women from Royal College of General Practitioners'oral contraception study. BMJ 1999; 318:96-100. 7. Hannaford PC et al. The risk of serious illness among oral contraceptive users: evidence from the RCGP's oral contraceptive study. Br J Gen Pract 1998; 48:1657-62.