L'infezione da HIV è una patologia di stretta pertinenza specialistica, ma il medico di medicina generale partecipa spesso alla gestione domiciliare del paziente e deve conoscere gli aspetti più rilevanti della terapia, soprattutto quelli riguardanti gli effetti indesiderati e le interazioni; da qui la decisione di proporre una revisione approfondita dell'argomento.
L'attuale terapia antiretrovirale associa più farmaci con attività su bersagli e momenti diversi della replicazione virale (inibitori della trascrittasi inversa, inibitori delle proteasi e, recentemente, inibitori della fusione virale) o attivi sullo stesso bersaglio, ma con meccanismi differenti ed effetto di sommazione (inibitori nucleosidici/nucleotidici ed inibitori non nucleosidici/nucleotidici della trascrittasi inversa). Questo approccio terapeutico, definito di alta efficacia (highly active antiretroviral therapy o HAART), ha prodotto una drastica riduzione della morbilità e della mortalità per infezione da HIV in Europa, USA e Australia. Poiché non consente di eradicare il virus né di ricostruire completamente il sistema immunitario (così che possa controllare autonomamente la replicazione virale) e deve essere proseguita a tempo indefinito, l'HAART viene prescritta solo quando può derivarne un beneficio clinico evidente. Aumentando la durata del trattamento e la conseguente esposizione ai farmaci, aumenta il rischio di effetti indesiderati e di alterazioni metaboliche o di mutazioni virali con adattamento e resistenza ai farmaci, nel caso questi siano assunti in modo irregolare. Per la complessità dei trattamenti, i costi, la mortalità e morbilità residua (anche se nettamente ridotta rispetto al passato), le difficoltà di tipo psicologico, relazionale e sociale, spesso associate alla condizione di sieropositività, rimangono ancora fondamentali le attività di prevenzione, il counselling e l'offerta del test di screening alle persone a rischio ed alle donne in gravidanza al fine di ridurre la trasmissione dell'HIV.
Scopo dell'articolo è quello di fare il punto sulle conoscenze e la gestione della terapia antiretrovirale nel 2006, sulla base di una analisi della letteratura internazionale e delle linee guida più autorevoli, in particolare quelle elaborate dal DHHS (Department of Health and Human Services) americano1,2, BHIVA (British HIV Association)3 e The International AIDS SocietyUSA Panel4. Quando presente in tali linee guida, viene evidenziato il livello di evidenza raggiunto nei vari aspetti e classificato come nel Box 1.
Quando iniziare il trattamento
Studi prospettici di coorte, basati su indicatori clinici (riduzione della mortalità e della morbilità) indicano di iniziare il trattamento in tutte le persone sintomatiche (AIDS conclamato e ARC), indipendentemente dal numero dei linfociti CD4+, ed in quelle asintomatiche quando i livelli di linfociti CD4+ scendono al di sotto delle 200 cellule/mm3 o diminuiscono del 15% [AI]5,6. Il trattamento viene raccomandato anche quando il numero di CD4+ è compreso tra 200 e 350/mm3, soprattutto se la carica virale supera le 100.000 copie/ml in quanto, ritardando il trattamento, in questi pazienti si possono manifestare eventi AIDS o sintomi costituzionali (vedi Box 2) [BII]7. Manca l'evidenza a trattare le persone asintomatiche con CD4 >350/mm3, rispetto al solo controllo periodico in attesa di iniziare il trattamento nel momento in cui il numero dei CD4+ dovesse scendere sotto tale livello (nessuna differenza significativa in termini di morbilità e mortalità, estremamente bassa in entrambi i casi). Il trattamento può essere proposto anche a coloro che mostrano un rapido e confermato calo dei livelli immunitari in presenza di carica virale molto elevata (indicativamente HIV RNA >100.000 copie/ml e/o calo dei CD4 >100 cellule/anno) [BII]. Non vi è evidenza a supporto del trattamento di persone con sieroconversione recente (meno di 6 mesi dal momento del contagio) o con prima infezione sintomatica, nonostante il trattamento precoce possa teoricamente conservare l'integrità del sistema immunitario [C-III]8. In questi casi il trattamento va inserito solo nell'ambito di studi clinici.
Quali combinazioni di farmaci
Per ottenere un beneficio clinico maggiore e più prolungato si utilizza una combinazione di farmaci in grado di ridurre il più possibile l'attività replicativa dell'HIV; in questo modo si determina la ricostruzione almeno parziale del sistema immunitario e si evita o si rimanda il più a lungo possibile la comparsa di mutazioni del genoma virale e la conseguente resistenza ai farmaci (con perdita della loro efficacia)9. Nel paziente mai trattato in precedenza (naive), tali obiettivi vengono raggiunti utilizzando una combinazione di 3 farmaci. Le combinazioni risultate più efficaci nei confronti dei genotipi di HIV-1 prevalenti nei Paesi Occidentali e per le quali sono disponibili maggiori evidenze sono, in alternativa, quelle costituite da:
- 2 inibitori nucleosidici o nucleotidici della trascrittasi inversa + 1 inibitore delle proteasi virali;
- 2 inibitori nucleosidici o nucleotidici della trascrittasi inversa + 1 inibitore non nucleosidico/nucleotidico della trascrittasi inversa.
Gli inibitori nucleosidici/nucleotidici della trascrittati inversa virale (NRTI) agiscono come falsi precursori dei nucleotidi che vengono incorporati nella catena di DNA virale nascente ad opera dell'enzima virale trascrittasi inversa; l'incorporazione di tali falsi precursori determina il blocco dell'enzima. L'utilizzo di più inibitori contemporaneamente comporta un potenziamento di tale effetto e ne giustifica, con alcune attenzioni, l'uso in associazione.
Gli inibitori non nucleosidici della trascrittasi inversa (NNRTI) agiscono legandosi direttamente al medesimo sito dell'enzima virale; per tale motivo l'utilizzo contemporaneo di più farmaci di questa classe non ne potenzia l'effetto (competizione per lo stesso legame d'attacco) ed è sconsigliato. Questi farmaci, inoltre, non sono attivi contro l'HIV-2 (variante presente soprattutto nell'Africa occidentale) e non vengono utilizzati quando vi è coinfezione HIV1/HIV2, riscontrabile in una minoranza di persone nel nostro Paese (immigrati dall'Africa, persone che hanno contratto l'infezione all'estero, ecc).
Gli inibitori della proteasi virale (IP) agiscono legandosi direttamente a siti differenti dell'enzima virale; l'assunzione contemporanea di più farmaci di questa classe a dose piena può potenziarne l'effetto, ma comporta l'assunzione di un elevato numero di capsule e causa interazioni farmacologiche non sempre prevedibili e favorevoli; per tali motivi non è utilizzata abitualmente.
Gli inibitori della fusione dell'involucro virale alla membrana cellulare non sono indicati per il paziente naive, in quanto sono somministrabili solo per via parenterale (sotto cute) e hanno un costo elevato.
Nella Tabella 1 sono riportati i farmaci antiretrovirali disponibili in commercio, i dosaggi e le modalità di assunzione per singola molecola.
Sono considerate combinazioni di prima scelta nei pazienti che iniziano il trattamento, in alternativa [AI]:
- (lamivudina o emtricitabina) + (zidovudina o tenofovir o abacavir) + efavirenz
- (lamivudina o emtricitabina) + (zidovudina o tenofovir o abacavir) + lopinavir/ritonavir
Tra gli NRTI, stavudina, didanosina e zalcitabina sono i principi attivi più tossici nel medio-lungo termine rispetto ai farmaci soprariportati e pertanto considerati di seconda scelta; vengono, inoltre, evitate le seguenti associazioni di NRTI: zidovudina con stavudina, stavudina con didanosina, tenofovir con didanosina per sommazione di tossicità o antagonismo/ridotta attività antivirale.
Tra gli NNRTI, la nevirapina può sostituire l'efavirenz, ma presenta maggior rischio di epatotossicità in particolare nelle donne con livello iniziale di CD4 > 250/mm3.
Tra gli IP, fosamprenavir, saquinavir o indinavir associati a ritonavir a basse dosi (inibendone il metabolismo ne migliora la farmacocinetica e ne riduce i dosaggi), possono sostituire lopinavir/ritonavir, che, tuttavia, possiede maggiori dati di efficacia nel lungo periodo; nelfinavir può sostituire lopinavir/ritonavir, ma richiede un numero notevole di capsule ed è meno potente [BIII]. Atazanavir, associato o meno a ritonavir e tipranavir con basse dosi di ritonavir, non è al momento autorizzato in Europa per la terapia iniziale per mancanza di dati adeguati (sono in corso studi clinici).
La combinazione di 3 NRTI ha una efficacia inferiore alle associazioni che includono 1 IP o 1 NNRTI ed è consigliata solo in presenza di rischio di tossicità per le altre classi o di interazioni con altre terapie in atto [CII]. Al momento sono disponibili dati adeguati solo per la combinazione tra zidovudina, lamivudina e abacavir10. Come valutare la risposta al trattamento
Da un punto di vista clinico, se il paziente è sintomatico l'efficacia della terapia si caratterizza per la scomparsa dei sintomi costituzionali nell'arco di 12 mesi. Nel caso in cui la scoperta della sieropositività avvenga in occasione di manifestazioni di AIDS conclamato (ad es. neurotoxoplasmosi o polmonite da P. carinii), viene trattata prima l'infezione opportunista specifica e la terapia antiretrovirale viene associata al trattamento in corso o viene iniziata una volta concluso il trattamento in corso. Se si sono già verificati danni d'organo, questi difficilmente potranno regredire, ma le condizioni generali del paziente miglioreranno e si ridurrà o scomparirà il rischio di ulteriori infezioni opportunistiche.
Da un punto di vista laboratoristico, la risposta al trattamento viene valutata mediante la determinazione di HIV RNA plasmatico (carica virale) e delle sottopopolazioni T linfocitarie nel sangue, in particolare della percentuale e del numero assoluto dei linfociti CD4+. Una terapia antiretrovirale efficace induce un netto calo della carica virale plasmatica e l'obiettivo a cui tendere (imperativo in corso di prima terapia) è di portare il numero di copie virali a meno di 50 o 40 copie per ml, valore al di sotto della soglia di determinazione del test quantitativo in polymerase chain reaction (PCR). Questo risultato si associa al maggior guadagno possibile in termini di ricostruzione immunitaria e consente di mantenere il più a lungo possibile il beneficio clinico e immunologico, ritardando o evitando la comparsa di mutazioni nel genoma di HIV e di resistenza ai farmaci utilizzati. Il netto calo dell'attività virale è generalmente accompagnato da un importante aumento del numero dei linfociti CD4+ sia in percentuale che in valore assoluto. A seguito di una terapia antivirale efficace e assunta correttamente, la carica virale tende a scendere al disotto del livello di determinazione plasmatica entro 26 mesi dall'inizio della terapia, ma la risalita dei CD4+ è più lenta e può proseguire per molti mesi dopo che la carica virale è scesa sotto il livello di determinazione del test. In una minoranza di pazienti (es. pazienti con età >50 anni o con grave immunodeficienza), la risalita dei CD4+ può essere modesta anche in presenza di un ottimo risultato della terapia da un punto di vista virologico, probabilmente per l'assenza completa di funzione timica residua; in questi casi si ottiene, comunque, una riduzione importante, anche se di minore entità, della mortalità e della morbilità.
Terapie di seconda e terza linea
Le persone con infezione da HIV in trattamento antiretrovirale vanno controllate regolarmente da un punto di vista clinico e viro-immunologico, almeno ogni 34 mesi. Il fallimento della terapia determina il mancato calo della viremia plasmatica, o un suo aumento dopo un iniziale calo con successiva riduzione del numero dei linfociti CD4: se l'attività virale procede e viene sempre meno inibita, col tempo il livello dei CD4+ può diventare estremamente basso e possono comparire segni e sintomi di malattia conclamata. Per tale motivo e per evitare la comparsa di ulteriori mutazioni del genoma virale e della resistenza ai farmaci è indicato modificare lo schema terapeutico iniziale senza attendere a lungo, considerando tale possibilità nel caso che la viremia non dovesse scendere sotto le 50 copie/ml entro 6 / 9 mesi dall'inizio della terapia, o dovesse risalire oltre tale limite dopo negativizzazione iniziale e tale mantenersi in una successiva determinazione a 6 mesi di distanza dalla precedente [A II].
Il fallimento della terapia antivirale è relativamente frequente. Anche nell'ambito degli studi clinici, la percentuale dei pazienti che raggiunge e mantiene ad 1 anno dall'inizio una risposta ottimale al trattamento non supera il 7080%. Le cause sono:
- terapia inadeguata per errore di prescrizione, che risulta insufficiente soprattutto in pazienti con viremia plasmatica molto elevata. Rappresenta una evenienza rara, ma possibile in particolare per interazioni farmacologiche con altre terapie in atto non note o delle quali non si è tenuto conto;
- terapia inadeguataper la presenza di mutazioni primarie del virus in quanto l'infezione è stata contratta da persona già in trattamento antivirale e con presenza di resistenza ad alcuni farmaci nel virus trasmesso. E' un evento al momento raro, ma verosimilmente più frequente nei prossimi anni;
- terapia adeguata ma assunta in modo irregolare dal paziente: è decisamente la causa più frequente15 e occorre discuterne in modo franco e aperto col paziente. I motivi sono differenti: dalla semplice dimenticanza (es. perché non si adatta bene agli orari lavorativi, o al contrario durante il fine settimana perché cambiano gli orari e le abitudini) a problemi di depressione, a difficoltà in famiglia (che possono comportare la necessità di dover nascondere i farmaci), ad abuso di alcol o sostanze stupefacenti, al rifiuto psicologico della malattia, alla presenza di effetti indesiderati o percepiti come tali, ecc. Durante i colloqui è importante far emergere il motivo e le modalità con cui la terapia è stata assunta o meno: se ad es. è stata bruscamente interrotta in modo completo questo difficilmente comporta la comparsa di mutazioni nel virus con resistenza ai farmaci e gli stessi possono essere riutilizzati con efficacia; se è stato eliminato uno dei farmaci prescritti, la comparsa di resistenze riguarderà i farmaci che sono stati mantenuti; se un po' tutti sono stati assunti in modo irregolare e/o a dosaggio inferiore a quello prescritto facilmente sarà comparsa resistenza verso tutti i componenti della combinazione terapeutica.
Per valutare quale sia la situazione è necessario effettuare dei test di resistenza del virus ai farmaci antiretrovirali [AI]16; quello maggiormente utilizzato mette in evidenza le eventuali mutazioni presenti nella sequenza della trascrittasi inversa e proteasi virale (test genotipico): sulla base di banche dati continuamente aggiornate a livello internazionale queste mutazioni sono correlate a resistenza parziale o completa nei confronti dei singoli farmaci, con una affidabilità molto elevata soprattutto nei confronti dei farmaci in uso da più tempo.
Schematicamente, possiamo dire che vi sono alcuni farmaci verso i quali si crea resistenza completa a seguito di una singola mutazione (farmaci con bassa barriera genetica): ad es. tra gli NRTI lamivudina, emtricitabina, abacavir, tenofovir; tra gli I.P. nelfinavir, atazanavir; entrambi gli NNRTI efavirenz e nevirapina.
In altri casi occorrono più mutazioni per conferire resistenza (farmaci con alta barriera genetica): tra gli NRTI zidovudina, stavudina; tra gli IP lopinavir, tipranavir, saquinavir, fosamprenavir.
Sulla base dell'esito del test di resistenza, dei colloqui col paziente sul motivo del fallimento della precedente terapia, si definisce uno schema terapeutico con l'obiettivo di ottenere la negativizzazione della carica virale, includendo 3 farmaci ai quali il virus sia sensibile, la cui assunzione sia compatibile con gli orari e le abitudini del paziente e che risultino ben tollerati. In genere, questo si riesce a raggiungere dopo un primo fallimento scegliendo almeno 1 nuovo NRTI rispetto ai 2 utilizzati in precedenza, sostituendo l'NNRTI (se incluso nel precedente schema) con un IP, oppure se il paziente utilizzava uno schema con IP, sostituendo quello in uso con un altro ad alta barriera genetica oppure con un NNRTI [BII]. Prima di prescrivere il nuovo schema terapeutico e in corso di assunzione vanno affrontati e seguiti i problemi che hanno comportato l'assunzione irregolare della terapia (depressione, abuso di alcol e sostanze stupefacenti, ecc.). Se ci si trova di fronte a un paziente che ha già fallito con più schemi terapeutici, diventa molto difficile definire uno schema alternativo di terapia potenzialmente efficace: le mutazioni presenti nel virus sono di solito numerose e comportano resistenze crociate tra i farmaci nelle 3 classi utilizzate (NRTI, NNRTI, IP) con necessità di proporre uno schema che includa l'inibitore della fusione enfuvirtide17associato a farmaci con attività almeno parziale nei confronti di virus multiresistenti quali i nuovi IP tipranavir18 o TMC 114 (darunavir, Prezista- non ancora in commercio in Italia)19 se disponibile tramite accesso compassionevole, oltre al riutilizzo di farmaci della classe degli NRTI con un minimo di attività residua per mutazioni compensatorie (es. l'associazione zidovudina o stavudina con lamivudina e tenofovir); se un nuovo IP non è disponibile, nello schema terapeutico può essere inserita l'associazione di 2 IP ad alta barriera genetica e con farmacocinetica compatibile anche se già utilizzati in precedenza, ad es. lopinavir/ritonavir e saquinavir. Appare evidente che è preferibile evitare una situazione di questo tipo che comporta un rischio elevato di fallimento e di conseguenze gravi per la salute del paziente; oltretutto, le possibilità che il paziente riesca a tollerare e ad assumere con regolarità una terapia ben più complessa delle precedenti sono modeste. L'obiettivo da porsi in questo caso è di ridurre il più possibile l'attività del virus, migliorando temporaneamente o mantenendo la situazione immunitaria in modo da ritardare il più possibile la progressione della malattia. Va inoltre rinforzato l'intervento di tipo educativo affinché il paziente mantenga tutte le precauzioni atte ad evitare la trasmissione dell'HIV ad altre persone, che verrebbero contagiate con un virus già resistente ai farmaci a disposizione. Principali effetti indesiderati e interazioni
L'impiego di tutti i farmaci antiretrovirali è complicato dalla comparsa di numerosi effetti indesiderati e da importanti interazioni farmacologiche, soprattutto per l'effetto sul citocromo epatico P 450 o per sommazione della tossicità. Gli effetti indesiderati interessano sino al 47% dei pazienti, risultano gravi nel 9-16%, costituiscono la causa più frequente di modifica o interruzione della terapia, peggiorano la qualità di vita dei pazienti e, seppur raramente, possono causarne il decesso11. Le donne sono più colpite degli uomini, probabilmente perché poco rappresentate negli studi che portano alla definizione dei dosaggi dei farmaci e alla loro registrazione12. Per tali motivi, poiché nel paziente naive si tratta di definire una combinazione di 3 farmaci che sia efficace e ben tollerata, potendo scegliere tra almeno 15 principi attivi è importante che la scelta venga effettuata con la partecipazione attiva del paziente13al quale devono essere illustrati i benefici attesi e i possibili effetti negativi dei farmaci proposti, valutando eventuali interazioni sfavorevoli con altre terapie in atto, chiarendo le modalità e la frequenza di assunzione quotidiana e verificando che questa si adatti alle sue abitudini di vita. Poco dopo l'inizio della terapia è importante, inoltre, verificare che il paziente la stia assumendo correttamente e che questa sia ben tollerata, apportando le dovute modifiche se così non fosse. I più comuni effetti indesiderati dei farmaci antiretrovirali vengono elencati nella Tabella 2.
La Tabella 3 riporta in modo schematico le interazioni che sono potenzialmente pericolose e quelle in cui la somministrazione combinata dei farmaci coinvolti dovrebbe essere evitata o soltanto iniziata con cautela e con controlli adeguati.
Misure di supporto e dietetiche Tutte le persone con infezione da HIV devono adottare le necessarie precauzioni per evitare di trasmettere ad altri l'infezione da HIV e contrarre altre MST; ridurre il rischio di contrarre altre infezioni prevenibili vaccinandosi contro pneumococco e influenza, e se negativi ai controlli sierologici, per l'epatite A e B [B-II]. Praticare una attività fisica regolare, seguire una dieta varia ricca in frutta e verdura, abolire o ridurre il fumo, abolire o moderare l'uso di alcol per prevenire o ridurre la dislipidemia e il conseguente rischio cardiovascolare associati all'uso dei farmaci antiretrovirali. Le donne devono effettuare regolarmente il PAP test, con frequenza annuale [AII]. In caso di riscontro di anomalie al test, l'iter successivo è quello previsto dalle linee guida, senza alcuna modifica per la presenza dell'infezione da HIV. Persone con infezione da HIV che desiderano un figlio devono parlarne esplicitamente col medico in modo da valutare i possibili rischi per la salute della madre (se lei stessa è affetta da HIV) e del nascituro. Se il/la partner è sieronegativo/a considerare preferibilmente la possibilità di utilizzare tecniche di fecondazione artificiale con eventuale purificazione dello sperma14. Programmare per tempo la gravidanza in modo da eliminare in anticipo farmaci con possibile effetto teratogeno (es. efavirenz, ribavirina), ottimizzare la terapia antivirale, effettuare lo screening per le malattie infettive potenzialmente rischiose per il prodotto del concepimento. Se esiste un problema di tossicodipendenza e/o è in atto una terapia sostitutiva, considerare una adeguata presa in carico da parte dei Servizi per le dipendenze patologiche. Persone con CD4 < 20% o 200/mm3. Adottare le necessarie precauzioni per prevenire la comparsa di infezioni opportunistiche: assumere regolarmente cotrimossazolo per la prevenzione della polmonite da Pneumocystis e la Toxoplasmosi cerebrale [AI], in caso di negatività della sierologia per toxoplasma, lavare accuratamente la frutta e la verdura, cuocere bene la carne e evitare di venire in contatto con le feci dei gatti. Una volta che le difese immunitarie siano stabilmente risalite per effetto della terapia, tali misure diventano meno importanti e la profilassi farmacologica può essere sospesa.
Trattamento antiretrovirale in gravidanza
In caso di gravidanza in donna con infezione da HIV gli obiettivi del trattamento sono:
- impedire che la donna si ammali di AIDS;
- impedire che trasmetta l'infezione da HIV al nascituro.
La gravidanza comporta un aumentato rischio di comparsa di AIDS conclamato se in partenza vi è già una importante immunodeficienza secondaria all'HIV; in tal caso la terapia antiviraleè indicata sin dall' inizio e, se già in atto, va proseguita. La gravidanza è però sconsigliata se la donna è in condizioni cliniche precarie e se la terapia verosimilmente non comporterà una risposta ottimale per la presenza di un virus già multiresistente. Se al contrario la situazione immunitaria all'inizio della gravidanza non è compromessa, con condizione di asintomaticità della donna e livello di CD4 > 350/mm3, la terapia antivirale può essere prescritta solo a partire dal 4° mese in quanto il rischio di trasmissione al nascituro è presente solo durante la seconda metà della gravidanza, il parto e l'allattamento.
Complessivamente, in assenza di terapia, il 1520% delle gravidanze si conclude con la trasmissione dell'infezione al nascituro, mentre a seguito di un trattamento antivirale ben effettuato il rischio si riduce all'12%. Per essere efficace nella prevenzione della trasmissione, la terapia antiretrovirale deve ridurre la carica virale il più possibile e portarla al di sotto del livello di determinazione del test o comunque non oltre le 1000 copie/ml20. Può essere indicato effettuare il parto cesareo in elezione, che può ridurre ulteriormente il rischio di trasmissione soprattutto se persiste attività virale residua. Infine, il neonato non va allattato al seno e va trattato con zidovudina in sospensione orale per le prime 4 settimane di vita.
Trattamento dei soggetti con coinfezione HBV e/o HCV
Date le vie di trasmissione comuni, è frequente il riscontro di persone coinfette con HIV e virus epatitici, in particolare tra coloro che hanno contratto l'infezione tramite scambio di siringhe. La coinfezione con HBV e/o HCV determina un aumentato rischio di morbilità e mortalità per cirrosi e epatocarcinoma nonché una minor risposta alla terapia antiretrovirale in termini di guadagno di CD4 rispetto alle persone infette con il solo HIV21,22.
In caso di infezione da HBV o HVC, va abolito o ridotto il più possibile il consumo di alcol, e va considerata la possibilità di effettuare una terapia specifica. Nel caso di infezione da HBV, il trattamento con interferone è raramente proponibile per i dosaggi elevati e la scarsa tollerabilità; molto spesso si utilizzano farmaci attivi sia contro l'HIV che HBV come la lamivudina, l'emtricitabina, il tenofovir, in grado di ridurre nettamente la replicazione di HBV (quantificabile a livello plasmatico mediante test in PCR) e la progressione dell'epatite verso la fibrosi e la cirrosi23; in caso di modificazione o sospensione della terapia antiHIV, occorre tener presente tale doppia attività antivirale: la sospensione di farmaci attivi verso HBV può determinare una ripresa improvvisa della replicazione del virus con riaccensione di tipo epatitico, e comparsa di sintomi di epatite acuta (nausea, astenia, ittero, ecc.) o di scompenso della cirrosi (ittero, ascite, ecc.).
In caso di infezione da HCV, può essere considerato il trattamento con interferone pegilato e ribavirina, da proporre a pazienti con buon controllo dell'infezione da HIV sia spontaneo che indotto dalla terapia (si intende una situazione fisica e immunitaria stabilizzata con livello di CD4 >300/mm3). Analogamente al paziente monoinfetto per HCV, va inoltre considerata la situazione psichica trattando un eventuale stato depressivo concomitante e va esclusa la presenza di abuso di alcol e sostanze stupefacenti. Soddisfatte tali condizioni, l'efficacia attesa del trattamento anti-HCV è simile a quella nel paziente monoinfetto in termini di risposta sostenuta a distanza, con la differenza che nei pazienti coinfettati è necessario effettuare un trattamento con interferone pegilato e ribavirina per 48 settimane per tutti i genotipi di HCV24. L'opportunità di un trattamento dell'infezione da HCV va soppesata con attenzione per la frequenza degli effetti indesiderati associati e il rischio di ricadute negative sulla compliance nei confronti della terapia antiretrovirale, a fronte della mancanza di dati certi sul beneficio della terapia dell'infezione da HCV in termini di morbilità e mortalità.
Tendenze in atto e scenari futuri
I progressi nella terapia antiretrovirale, realizzati col passaggio dalla monoterapia iniziale alla attuale terapia di combinazione, negli ultimi 10 anni si sono tradotti in un netto aumento della sopravvivenza. Le terapie associate sono, però, complesse; presentano numerose interazioni, effetti indesiderati e conseguenze a livello metabolico e morfologico (lipodistrofia) e, in caso di assunzione irregolare e non corretta, selezionano ceppi virali multiresistenti ai farmaci disponibili. La ricerca nell'ambito della terapia dell'infezione da HIV è indirizzata alla scoperta e messa a punto di: - nuove strategie terapeutiche per i pazienti che hanno difficoltà ad assumere regolarmente la terapia:interruzioni strutturate del trattamento quando i livelli di CD4 siano risaliti in modo consistente, con ripresa della terapia dopo ritorno degli stessi al livello di partenza purché al di sopra di un livello minimo di sicurezza ancora non bene definito (indicativamente >200 o più prudentemente >300/mm3)25,26; l'induzione-mantenimento: una terapia di combinazione nella fase di induzione per portare nell'arco di alcuni mesi la carica virale sotto il livello di determinazione, quindi un mantenimento con una terapia semplificata per favorire la regolarità di assunzione [o con un solo farmaco di potenza sufficiente (inibitore della proteasi) o con una combinazione più semplice da assumere e/o meglio tollerata (ad es. zidovudina, lamivudina, abacavir in co-formulazione)]27; - farmaci meglio tolleratie assumibili con schemi semplificati e con un minor numero di compresse: da questo punto di vista possono essere citate le recenti co-formulazioni di lamivudina-abacavir ed emtricitabina-tenofovir, le nuove formulazioni di lamivudina e saquinavir e, a breve, di lopinavir/ritonavir e nelfinavir; -farmaci più efficaci e in particolare verso ceppi virali resistenti. Tra gli NRTI il reverset (D-d4FC); tra i NNRTI l'etravirina (TMC 125); tra gli IP il darunavir (già autorizzato negli USA); - nuove classi di antiviraliin grado di colpire il virus in punti differenti del ciclo replicativo: inibitori del legame col recettore di membrana cellulare CCR5: aplaviroc, maraviroc; inibitori dell' integrasi: MK- 0518 e JTK 303; inibitori della maturazione virale: bevirimat (PA 457); - immunomodulatori o vaccini in grado di consentire, in associazione agli antivirali, un ripristino della immunità virus specifica e un controllo per lungo tempo della replicazione virale anche sospendendo l'assunzione dei farmaci: IL-2, Remane; - migliorare le conoscenze sulla sensibilità agli antivirali disponibili da parte dei ceppi di HIV1 differenti da quelli sino ad ora prevalenti nei Paesi Occidentali (così detti "sottotipi non B") e di HIV2, dei pattern di resistenza di tali virus ai farmaci in caso di assunzione inadeguata28; - quantificare e stratificare il rischio metabolico e cardiovascolare che accompagna il trattamento e l'aumentata sopravvivenza all'HIV, identificando gli eventuali co-fattori e definendo meglio le strategie preventive e di trattamento29.
Conclusioni
Nei Paesi che possono sostenerne i costi, la terapia antiretrovirale consente oggi di ottenere una netta riduzione della morbilità e mortalità HIV-correlata con un importante aumento della sopravvivenza. Permangono problemi legati alla necessità di assunzione estremamente regolare di terapie spesso gravate di importanti effetti indesiderati, alla comparsa e circolazione di ceppi virali multiresistenti alle classi terapeutiche in uso, al possibile progressivo incremento della morbilità e mortalità per eventi cardiovascolari e dismetabolici farmaco-indotti o conseguenti alla coinfezione con virus epatitici, alle difficoltà sul piano affettivo, sessuale, relazionale, psichico e sociale che tuttora comporta la condizione di sieropositivo. Per tali motivi, oltre allo sforzo volto a migliorare le terapie, occorre mantenere e potenziare l'impegno in campo preventivo e socio-assistenziale.
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