Lino Gambarelli Medico di medicina generale, Scandiano, ASL Reggio Emilia
Dal 27 al 30 di agosto si è tenuto a Firenze il XII Congresso Wonca Europa. Presenti 3.500 medici di medicina generale provenienti da più di 60 paesi del mondo che, nella quasi totale assenza di sponsor delle case farmaceutiche, hanno dato vita ad oltre 1.200 comunicazioni tra simposi, workshop, presentazioni orali e poster.
Per la prima volta le principali società scientifiche della medicina generale italiana hanno organizzato un evento così importante e, come ha rilevato il presidente del Comitato Scientifico di Wonca 2006 Massimo Tombesi, si è preso atto che sul piano culturale, scientifico, professionale e della ricerca la medicina generale italiana non è inferiore a quella dei paesi più avanzati e con migliore tradizione nello sviluppo delle cure primarie.
Sei erano i topics: Biology and Humanities, Caring for the World, Quality, Education, Research e Risk and Safety.
In diverse sessioni si sono affrontati argomenti riguardanti i farmaci, il loro uso, la loro efficacia, la loro sicurezza e molti sono stati anche i contributi riguardanti l'informazione che i medici ricevono.
Ha destato molto interesse il Workshop "Disease mongering in the industrial age of medicine" organizzato da Roberto Satolli sul rischio di "medicalizzazione" che la società subisce a causa della pressione dell'industria farmaceutica, fenomeno che la medicina generale può cogliere meglio di ogni altro. Durante questo workshop Marco Bobbio, Vittorio Caimi, Massimo Tombesi e Marco Grassi hanno portato esempi eclatanti. Si è parlato di osteoporosi, in particolare della tendenza ad usare farmaci in donne in menopausa sulla sola base del riscontro dell'esito della mineralometria ossea e non sul rischio globale di frattura di cui la MOC rappresenta solo uno dei fattori determinanti. Si è poi affrontato il problema della terapia ormonale sostitutiva e di come poco sia cambiato in Italia dopo la pubblicazione del WHI nella prescrizione di ormoni, a parte l'aumento dell'uso di tibolone in sostituzione degli estrogeni, nonostante l'evidenza della sostanziale mancanza di beneficio offerto alle donne dal trattamento farmacologico, salvo le condizioni in cui i sintomi sono estremamente fastidiosi e limitanti. Da qui è nata la proposta di un documento di consenso sul rischio di "medicalizzare" una condizione fisiologica sottoscritto dalla medicina generale europea. Una chiara opinione espressa con una "position paper" potrebbe essere di aiuto a medici e pazienti, e potrebbe sicuramente evitare rischi inutili derivanti da trattamenti dubbi.
Molto interessante anche un altro workshop "What information for general practitioner" organizzato da Maria Font sulla necessità di diffondere tra i medici l'informazione indipendente, magari anche cercando sinergie con organizzazioni come Wonca che, nella ultima sua definizione di "medicina generale" ha inserito tra le principali competenze dei medici di famiglia quella di "proteggere i pazienti dai danni della "medicalizzazione".
Alcuni medici di medicina generale norvegesi, all'interno di un workshop dal titolo "Cardiovascular prevention in general practice in Europe" hanno evidenziato l'esistenza del rischio derivante da due atteggiamenti, l'uno contrapposto all'altro, nell'affrontare il tema della prevenzione in ambito cardiovascolare: da un lato la tendenza a sovrastimare il rischio, dall'altro la tendenza a sottostimarlo. Oggi, tuttavia, ci troviamo ad avere la necessità di riflettere sulle ricadute che si avrebbero se si applicassero strettamente le indicazioni provenienti dalle linee guida sulle principali patologie come il diabete, le dislipidemie o altri fattori di rischio. Si è visto infatti che, in modo sempre più aggressivo, si tende ad abbassare le soglie di normalità dei valori di glicemia, colesterolo o di altri parametri, spingendo a trattare farmacologicamente la quasi totalità della popolazione. A fronte di un beneficio su pochi, si espongono molti ai rischi del trattamento.
Sul versante dell'uso dei farmaci nelle patologie più frequenti, come le infezioni delle vie respiratorie, le patologie osteoarticolari e le patologie gastrointestinali, i numerosi contributi hanno evidenziato le differenze, a volte molto grandi, di impiego di farmaci per lo stesso tipo di malattia nei diversi contesti nazionali.
Uno studio molto interessante ha confrontato il trattamento delle infezioni delle vie respiratorie in un arco di tre settimane su 2.833 pazienti in Spagna, con altrettanti trattamenti da parte di medici di medicina generale danesi. In Spagna, le comuni affezioni delle vie respiratorie sono curate con un uso maggiore di antibiotici rispetto alla Danimarca e con tipi di antibiotici a più largo spettro. Questo spiega il motivo per cui le resistenze batteriche che si riscontrano in Spagna sono molto alte, mentre in Danimarca il fenomeno è più basso.
Un contributo interessante a proposito di informazione sull'uso di antibiotici a largo spettro nelle infezioni delle vie respiratorie, è venuto da Giustetto, un medico di medicina generale di Torino, che ha presentato l'esempio di una informazione ricevuta l'anno scorso via e-mail ed ha analizzato le false affermazioni in essa riportate sulla presunta maggior efficacia di un nuovo chinolonico a largo spettro rispetto ad antibiotici più mirati.
Dati interessanti sono stati portati da colleghi francesi sull'uso di antibiotici in medicina generale. Il coinvolgimento di un gruppo di MMG in un network sulla prevalenza di casi di influenza in una regione della Francia ha fatto diminuire notevolmente la prescrizione di antibiotici, dimostrando come il fornire un semplice accesso a dati epidemiologici aiuti i medici a prendere decisioni più adeguate nelle affezioni acute delle vie respiratorie.
Una comunicazione di un gruppo proveniente dalla Nuova Zelanda ha mostrato come sia stata poco efficace una campagna educativa durata dal 2000 al 2003, volta a ridurre l'uso inappropriato di corticosteroidi inalatori ad alte dosi rispetto a preparati a dosi più basse nell'asma, anche a fronte di un non corrispondente miglioramento dei sintomi all'innalzamento della dose. La conclusione cui si arrivava era quindi che l'introduzione di strategie di regolamentazione dell'uso di corticosteroidi ad alte dosi rimane l'unica strada da percorrere.
Una revisione della letteratura presentata da un medico di medicina generale sloveno ha rilevato l'assoluta mancanza di evidenza di benefici nell'uso di cortisone topico associato agli antibiotici nel trattamento dell'otite esterna.
Uno studio presentato da un gruppo di medici di San Benedetto del Tronto ha analizzato l'uso dei PPI e i fattori che influenzano la prescrizione di questi farmaci da parte dei MMG italiani. Le conclusioni sono che la metà di queste prescrizioni avviene a seguito di una diagnosi clinica fatta dall'endoscopista o alla dimissione ospedaliera, un quarto è fatta come gastroprotezione e il 10% fuori indicazione (secondo quanto previsto dal SSN). Da qui l'opportunità, secondo il gruppo che ha presentato il lavoro, di pensare a eventi formativi rivolti sia agli specialisti sia ai medici di medicina generale sull'uso degli inibitori di pompa protonica.
Nei tre giorni del convegno un grande spazio è stato dedicato alla ricerca in medicina generale.
Come ha sottolineato Walt Rosser del Dipartimento di Family Medicine della Queen University di Kingstone (Canada), solo facendo della ricerca una parte integrante della sua attività pratica, il medico di famiglia può recuperare il ruolo che merita.
In particolare sono state presentate alcune importanti ricerche come lo studio multicentrico "Rischio & Prevenzione" che i medici di medicina generale italiani (oltre 700) stanno portando avanti in collaborazione con l'Istituto Mario Negri sulla efficacia degli omega-3 nella prevenzione primaria di eventi cardiovascolari in una popolazione ad alto rischio. Si tratta di un trial pragmatico randomizzato, in doppio cieco verso placebo, che ha già arruolato 12.000 pazienti. Un'altra importante ricerca, sulla depressione, è stata presentata da Gianni Tognoni dell'Istituto Mario Negri. Lo studio confronta il trattamento con antidepressivi con trattamenti non farmacologici, partendo dall'osservazione che l'uso di farmaci antidepressivi non ha modificato la prevalenza di depressione nella popolazione italiana. In questa ricerca saranno coinvolti 350 medici di medicina generale e 5.000 pazienti.
E' molto difficile sintetizzare tutto ciò che di interessante è emerso dai 1.200 contributi presentati, tuttavia una cosa è certa: le numerose proposte di collaborazione ricevute dai medici di medicina generale italiani dai colleghi provenienti da tutto il mondo, non mancheranno di dare grandi frutti nel futuro, sia per quanto riguarda lo sviluppo della ricerca, sia per unificare e rafforzare la posizione della medicina generale sul corretto uso dei farmaci e sull'efficacia reale dei trattamenti medici nelle principali patologie che la interessano.