Il morbo di Paget è una patologia cronica, a lenta progressione, caratterizzata da una aumentata velocità di turnover dell'osso e da neoformazione di tessuto osseo strutturalmente anomalo, più soffice e deformato. La malattia si manifesta di solito nei soggetti di età compresa tra 50 e 70 anni; gli uomini risultano colpiti in misura leggermente superiore alle donne. I paesi con prevalenza più alta sono Inghilterra, Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti dove ne è affetto l'1% circa della popolazione sopra i 40 anni1; il morbo di Paget è raro, invece, in Cina, Giappone, India. Le cause non sono note. Esiste una predisposizione familiare, anche se non è ancora chiaro il modello genetico specifico.
Il morbo di Paget può coinvolgere un solo segmento (monostotico) o più segmenti ossei (poliostotico); i più colpiti sono pelvi, cranio, vertebre, tibia e femore1. Quadro clinico1
La malattia decorre generalmente in modo asintomatico e viene spesso scoperta per caso in seguito ad esami radiologici eseguiti per altre indicazioni o per accertamenti secondari al riscontro di elevati livelli di fosfatasi alcalina non giustificati da altre patologie. La prevalenza dei sintomi non è ben definita, ma si ritiene molto bassa intorno al 5-10% dei soggetti colpiti. Il sintomo più comune è comunque il dolore nelle sedi interessate dalla malattia. In genere è un sintomo tardivo ed è di intensità lieve-moderata, ma profondo e persistente anche a riposo, con accentuazioni notturne. Il dolore può essere espressione anche di neuropatie compressive, che possono manifestarsi con sintomi deficitari di tipo motorio o sensitivo, il più comune dei quali è la sordità da compressione dell'VIII nervo cranico. Molto rare sono, invece, le mielopatie di tipo compressivo. Altre cause di dolore sono le artropatie secondarie alle deformazioni articolari (più comuni a livello di anca e ginocchia) e le fissurazioni croniche delle parti convesse delle ossa lunghe incurvate. L'osso pagetico è generalmente meno resistente e perciò più soggetto a fratture, che peraltro di solito non presentano problemi di riparazione. Col tempo possono comparire deformazioni legate all'aumento del volume del tessuto osseo, evidenti soprattutto a carico di cranio, mandibola e clavicola o all'incurvamento delle ossa lunghe. Nei pazienti con ampio e diffuso interessamento scheletrico, è frequente un aumento della gettata cardiaca per l'elevata vascolarizzazione del tessuto osseo pagetico, ma raramente compare una vera e propria insufficienza cardiaca. Anche la comparsa di osteosarcomi, enfatizzata in passato, appare un evento raro che si manifesta in meno dell'1% dei soggetti. Diagnosi
La diagnosi di morbo di Paget è una diagnosi radiologica che si basa su alcuni aspetti caratteristici legati all'aumento di volume complessivo dell'osso ed alla disomogeneità nella struttura e nella mineralizzazione. La diagnosi differenziale si pone in particolare con le lesioni neoplastiche e raramente possono essere necessari una TAC o addirittura una biopsia ossea per dirimere le patologie. La scintigrafia ossea ha, invece, lo scopo principale di evidenziare la diffusione della malattia e ad essa devono seguire radiografie standard delle zone ipercaptanti per la definizione delle lesioni. Poiché la progressione della malattia avviene solo per avanzamento delle zone colpite senza coinvolgere le osse adiacenti, in genere non è necessario ripetere l'esame.
I marcatori di turnover osseo sono variamente alterati nel decorso della malattia e ne indicano complessivamente l'attività. La fosfatasi alcalina totale (tAF) è quello che sembra riflettere meglio la diffusione della malattia nei soggetti non trattati. Il dosaggio dell'isoenzima osseo è necessario solo se coesistono patologie epatobiliari. I marcatori del riassorbimento, quali piridinoline e beta cross laps, sono anch'essi elevati nella malattia ed hanno risposte cinetiche differenziate al trattamento, ma attualmente non presentano una chiara utilità clinica al loro dosaggio routinario. Indicazioni al trattamento
La presenza di sintomi ed in particolare di dolore rappresenta la principale indicazione al trattamento. Gli studi clinici indicano che la terapia soppressiva del processo osteoclastico è in grado di migliorare significativamente o sopprimere il dolore osseo, compresa la cefalea nell'interessamento del cranio. E' comune trattare il paziente anche in caso di fratture o compressioni di radici nervose, sebbene il beneficio ottenibile sia meno chiaro. Il trattamento è da considerarsi, invece, inefficace in caso di sordità o deformazioni acquisite: i test audiometrici, ad esempio, risultano completamente invariati dopo terapia nonostante la normalizzazione laboratoristica della malattia2. Un'altra indicazione al trattamento è rappresentata dalla comparsa di ipercalcemia, evento raro che può manifestarsi nei soggetti con malattia poliostotica molto attiva soprattutto in corso di immobilizzazione.
Molto meno chiare sono le indicazioni al trattamento dei soggetti asintomatici che rappresentano oltre il 90% del totale. Il morbo di Paget non trattato tende a progredire, ma non si sa se la terapia soppressiva del processo osteoclastico possa ridurre le complicazioni tardive (deformazioni e sordità). Secondo alcune osservazioni cliniche, le complicanze sarebbero più frequenti nella malattia attiva3, ma mancano studi che dimostrino un legame tra il turnover osseo (e le sue variazioni) e la progressione della malattia. Inoltre, in un piccolo gruppo di pazienti seguiti per 12 anni, non sono emerse differenze nello sviluppo di complicanze tra i responders e i non responders all'etidronato4. Il morbo di Paget ha un impatto negativo sulla qualità di vita, ma anche in questo caso non vi è correlazione con gli indici di turnover osseo5.
In un ambito di così grande incertezza, le varie linee guida riflettono le opinioni degli esperti e le prassi abitualmente seguite nei singoli paesi. Le linee guida americane, ad esempio, raccomandano di sottoporre a trattamento anche i pazienti asintomatici con malattia attiva e con coinvolgimento delle ossa lunghe portanti carico, del cranio, delle vertebre e delle sedi periarticolari6. Le linee guida inglesi prevedono, invece, di trattare solo i pazienti asintomatici con interessamento del cranio, mentre ritengono che per quanto riguarda le ossa lunghe, le sedi periarticolari e vertebrali vi sia indicazione solo in presenza di sintomi (dolore o segni di compressione)7. Le linee guida italiane seguono i criteri ampi di quelle statunitensi e includono addirittura la pelvi tra le ossa a maggior carico meccanico8, il che porterebbe a trattare la quasi totalità dei pazienti.
Sembra comunque ragionevole affermare che il trattamento, non essendo sostenuto da prove di efficacia nei pazienti asintomatici ed avendo come unico razionale il fatto che le complicanze una volta instaurate non possono regredire, sia da proporre quando sono interessate sedi di particolare rischio come il cranio o la colonna vertebrale, ma non sia necessario in tutti i pazienti asintomatici con malattia attiva.
Un altro punto che rimane non completamente chiarito è cosa debba intendersi per malattia attiva. Il criterio convenzionale utilizzato nella maggior parte degli studi clinici è rappresentato da valori della tAF superiori a 1,5 volte il limite massimo di riferimento del laboratorio utilizzato. Nelle attuali linee guida il grado di attività non modifica le indicazioni al trattamento. Talora, infine, vengono trattati i pazienti sottoposti ad interventi ortopedici in sedi pagetiche con l'intento di ridurre l'ipervascolarizzazione e prevenire il sanguinamento intraoperatorio. Questa indicazione non è sostenuta da evidenze scientifiche e riflette solo una prassi diffusa negli USA. Come tale è recepita dalle linee guida americane6, ma non da quelle inglesi7 e italiane8. Monitoraggio del trattamento
L'obiettivo del trattamento farmacologico è quello di ottenere la normalizzazione del turnover osseo, anche quando l'indicazione è rappresentata dalla sintomatologia clinica; la variabilità dei sintomi (nel dolore pagetico si ha una risposta al placebo che arriva al 40%9) richiede di impostare il monitoraggio sui parametri biochimici. Fra i parametri di turnover osseo, la fosfatasi alcalina totale (tAF), oltre ad essere quello storicamente più usato, è il più affidabile e preciso10,11. L'effetto del trattamento di solito si valuta dopo 6 mesi, periodo che per quasi tutti i bisfosfonati rappresenta il picco dell'effetto soppressivo con conseguente nadir dei parametri di turnover. Successivamente, per monitorare le variazioni di attività del morbo di Paget è sufficiente dosare la tAF ad intervalli di 6 mesi-1 anno12. Sia per valutare l'efficacia del trattamento, che in seguito la comparsa di relapse, si considerano generalmente significative variazioni del 25% del valore precedente. L'obiettivo del trattamento, come si è detto, è riportare e mantenere la tAF all'interno dei limiti di riferimento.
Anche a livello di popolazione, la riduzione della tAF (espressa come percentuale del valore basale) è spesso usata negli studi clinici come criterio di valutazione dell'efficacia dei farmaci, ma per questo scopo due indicatori di esito risultano oggi più attendibili: la percentuale di pazienti che va incontro a normalizzazione completa a 6 mesi dall'inizio del trattamento e il tempo di persistenza della normalizzazione (tempo medio dalla normalizzazione ad un nuovo incremento, in assenza di terapia). Gli studi
I bisfosfonati sono analoghi sintetici del pirofosfato inorganico che agiscono essenzialmente inibendo gli osteoclasti. Non sono metabolizzati ed hanno una emivita plasmatica molto breve, ma vengono incorporati nei cristalli di idrossiapatite per cui l'emivita scheletrica si misura in anni.
Per consenso unanime, sono oggi i farmaci di prima linea per il trattamento del morbo di Paget. In questo, come in altri settori della medicina, gli studi comparativi "testa a testa" sono, però, scarsi e non sempre dal disegno ineccepibile, in quanto non randomizzati e in aperto altri, e nella scelta dei singoli composti ci si deve basare largamente su dati indiretti. Gli studi pubblicati (quasi tutti quelli antecedenti il 2000) sono in gran parte di scarsa qualità e sono in genere rappresentati da studi osservazionali su piccoli gruppi di pazienti.
Altri limiti metodologici complicano l'analisi dei dati disponibili e non consentono di confrontare i risultati pur facendo riferimento a indicatori attendibili come la completa remissione della malattia. Il primo limite è il frequente utilizzo di dosi variabili tra i pazienti. In passato (soprattutto con clodronato e pamidronato) si somministrava spesso una dose diversa in funzione della gravità della malattia. I pazienti venivano classificati in base al valore di tAF o attraverso metodiche più complesse (quali la whole body retention del tracciante scintigrafico o l'indice di attività quantitativa) e il dosaggio variava da paziente a paziente. Oggi, tutti i bisfosfonati si impiegano alla dose fissa consigliata e si ripete il trattamento in caso di remissione non completa. Un secondo limite è rappresentato dalla mancata esclusione di altri fattori contribuenti l'aumento della tAF, in particolare la carenza di vitamina D. In effetti, sebbene la segnalazione di un minor effetto dei bisfosfonati in soggetti pagetici con iperparatiroidismo secondario risalga a molti anni fa, solo pochi studi hanno preso in considerazione i livelli di vitamina D tra le caratteristiche basali dei soggetti trattati. Negli ultimi anni, tuttavia, sono stati chiariti sia l'elevata prevalenza del deficit vitaminico, soprattutto nella popolazione anziana, sia la necessità di una associazione con la vitamina D stessa per una completa efficacia dei bisfosfonati, pertanto il dosaggio della calcemia e del colecalciferolo risulta parte integrante della valutazione di base prima del trattamento.
Non è ben chiaro, infine, se le diverse sedi scheletriche rispondano in modo simile al trattamento. Qualche studio ha evidenziato una minor risposta alla terapia dei pazienti con interessamento del cranio13ed è possibile che una disomogeneità nelle localizzazioni possa influire sui risultati, ma la maggior parte degli studi non fornisce questo genere di informazione. Etidronato
Primo bisfosfonato ad essere impiegato nel trattamento del morbo di Paget, non viene più indicato tra i farmaci di prima scelta dalle linee guida americane6 e addirittura sconsigliato dalle quelle inglesi7. Nella maggior parte degli studi iniziali, la durata del trattamento variava in funzione della risposta o venivano effettuati più cicli con dosi diverse14-17. Questo non consente di determinare con precisione l'efficacia e, soprattutto, la durata della normalizzazione per singolo ciclo. Dai dati complessivi e da studi specifici18, l'effetto soppressivo sembra legato più alla posologia giornaliera che alla durata del trattamento o alla dose totale complessiva. In generale, la dose di 20 mg/kg/die sembra in grado di fornire i risultati migliori, normalizzando il turnover osseo in circa il 50% dei pazienti; questo si ottiene sia somministrando il farmaco per 1 mese che per 6 mesi19 La dose giornaliera attualmente raccomandata è, però, molto più bassa, pari a 5-7 mg/kg (400 mg/die), sebbene la percentuale dei pazienti che normalizzano il turnover con questa posologia sia inferiore al 20%, anche dopo 6 mesi di terapia. Il motivo risiede principalmente negli effetti indesiderati legati all'inibizione dose-dipendente della mineralizzazione. Con 20 mg/kg/die, all'esame istologico si riscontrano reperti osteomalacici già dopo 2 sole settimane di trattamento20, mentre con dosi più basse i difetti di mineralizzazione compaiono più tardivamente, anche se risultano presenti dopo 6 mesi di assunzione21. Al difetto di mineralizzazione sono state imputate numerose segnalazioni di fratture in corso di terapia sia in osso pagetico che in altri segmenti, sebbene studi su ampie banche dati non abbiano confermato un chiaro incremento dell'incidenza di fratture nei pazienti trattati con etidronato23. Il rischio sarebbe elevato soprattutto nei pazienti con lesioni osteolitiche22.
L'efficacia dell'etidronato risulta, inoltre, fortemente dipendente dal livello basale (pre-trattamento) di tFA18,24. Una elevata probabilità di ottenere una normalizzazione del turnover e una remissione prolungata si ha solo con valori di tFA < 2 volte il limite massimo. Studi osservazionali della durata di anni indicano che con un ciclo di 6 mesi solo in pochi pazienti si ottengono remissioni sostenute16,24, molti raggiungono una buona riduzione del turnover, ma richiedono la ripetizione regolare del trattamento (6 mesi all'anno), mentre una quota pari al 30 % dei pazienti, in alcuni studi fino al 50%25, è resistente al trattamento. Pamidronato
E' presente in Italia in formulazione endovenosa, ma non ha l'indicazione nel Paget; è registrato nel trattamento dell'ipercalcemia neoplastica, delle lesioni osteolitiche e del dolore da metastasi ossee da mieloma multiplo e tumore mammario. Viene considerato il farmaco di prima scelta per via infusiva sia dalle linee guida americane6che da quelle inglesi7. Si tratta del bisfosfonato che, escluso l'editronato, dispone della maggior documentazione clinica, anche se in gran parte rappresentata da studi di tipo osservazionale nei quali i pazienti sono stati trattati con dosi variabili in funzione della gravità della malattia. Alcuni studi avvalorano l'ipotesi che uno stesso effetto possa essere ottenuto in pazienti con malattia grave aumentando il dosaggio26-28. Un approccio frequente è, perciò, quello di usare singole infusioni di 60-90 mg in pazienti con tFA fino al doppio della normalità e infusioni ripetute per forme più severe (150 mg fino a tAF 3,5 volte; 200 mg per tFA > 3,5 volte). Per la completa normalizzazione del turnover, i livelli di tFA basali appaiono comunque più importanti della dose somministrata29. La normalizzazione della fosfatasi alcalina sembra anche dipendere dallo schema di trattamento adottato. Nell'ambito della stessa dose cumulativa di 180-200 mg, il tasso di normalizzazione è più elevato negli schemi che prevedono somministrazioni ravvicinate quotidiane27,31, rispetto a quelli che prevedono dosi settimanali o mensili30. Dall'insieme dei dati si possono fare le seguenti considerazioni:
la normalizzazione del turnover osseo è un obiettivo perseguibile in una elevata percentuale di pazienti con tFA < 3 volte l'indice superiore
di normalità29,32;
ad un anno di distanza, il 50% circa dei pazienti deve essere ritrattato; anche la durata della remissione è correlata con la gravità iniziale
della malattia33-35;
gli effetti sono maggiori e più rapidi in soggetti precedentemente non trattati con altri bifosfonati. In genere, la durata della remissione del secondo
ciclo è più breve rispetto al primo36.
Nei tre studi comparativi disponibili, il pamidronato rappresentava lo standard di confronto (Tabella 1). Nel primo, si è dimostrato inferiore all'alendronato per os nei pazienti già trattati in precedenza con bisfosfonati, ma non in quelli di nuova diagnosi37. Nel secondo studio, non sono emerse differenze tra pamidronato e.v. e risedronato per os nelle percentuali di normalizzazione del turnover osseo38. Nel terzo, sottodosato (60 mg/3 mesi), è risultato inferiore allo zoledronato e.v.39. Clodronato
In Italia ha indicazioni diverse dal morbo di Paget. Non essendo in commercio negli USA, non viene citato dalle linee guida americane6, mentre viene discusso all'interno delle linee guida inglesi ma non considerato un farmaco di prima scelta7. Gli studi disponibili, di basso livello qualitativo, sono complessivamente scarsi e hanno utilizzato per lo più la forma orale, la via di somministrazione adottata all'estero40-43. Alla dose usuale con cui viene utilizzato per via infusiva (1.500 mg e.v. per ciclo), la percentuale di normalizzazione non supera il 30% con recidiva pressoché totale entro 2 anni44. Il clodronato è stato valutato in 2 studi comparativi non randomizzati, entrambi con gruppi di confronto non omogenei (Tabella 1). Il primo, verso etidronato, non ha evidenziato differenze fra i due farmaci18; nel secondo, il clodronato è risultato meno efficace dell'alendronato e.v. in termini di normalizzazione del turnover osseo45.
Risedronato
Registrato anche in Italia nel morbo di Paget, è uno dei bifosfonati orali raccomandati dalle linee guida inglesi e americane6,7. Viene consigliato a cicli di 30 mg/die per 60 giorni, ma per ottenere una normalizzazione della tFA sono in genere necessari periodi di trattamento più prolungati. Nei diversi studi, la percentuale di normalizzazione è compresa tra il 53% e il 73%, ma dipende in misura rilevante da precedenti trattamenti: arrivando fino all'80% in pazienti mai trattati con bifosfonati e riducendosi al 50% in soggetti in relapse di precedenti trattamenti46. Gli studi a lungo termine sono pochi, ma la metà dei responders è ancora in remissione a 18 mesi. Il risedronato è stato valutato in 4 studi randomizzati comparativi (Tabella 1). Alle dosi standard (singolo ciclo di 2 mesi), si è dimostrato superiore all'etidronato47, simile al tiludronato46 e di molto inferiore allo zoledronato in termini di efficacia e durata della remissione48. Con due cicli di trattamento, a 3 mesi è risultato simile al pamidronato e.v.36. Il limite principale del risedronato è rappresentato dalla ridotta tollerabilità gastrica. La collocazione in fascia C pone, inoltre, il costo del trattamento [700 (2 mesi) o spesso 1.400 ? (4 mesi)] a totale carico del paziente. Alendronato
In Italia, l'alendronato è autorizzato nella prevenzione e nel trattamento dell'osteoporosi (sia maschile che femminile) e nella prevenzione dell'osteoporosi indotta da corticosteroidi orali; non è comunque presente al dosaggio comunemente impiegato nel Paget. E' il bifosfonato più usato negli Stati Uniti dove il trattamento del morbo di Paget avviene principalmente per via orale (53% alendronato, 34% risedronato)49. In Inghilterra, la situazione è simile a quella italiana: il farmaco viene citato dalle linee guida, ma non è disponibile nella formulazione adeguata. Quasi tutti gli studi sono stati eseguiti su piccoli campioni, ma alcuni sono di elevata qualità metodologica. La via di somministrazione endovenosa che inizialmente aveva prodotto risultati molto incoraggianti, è stata abbandonata. In uno dei primi studi volti a testare la possibilità di somministrazione orale, la dose efficace di 40 mg (quella attualmente consigliata) era associata ad una elevata incidenza di effetti indesiderati gastrointestinali50. Con lo schema di 40 mg/die per 6 mesi, la normalizzazione del turnover si raggiunge tra il 60 e l'80% dei pazienti anche se già trattati o resistenti ad altri bifosfonati. Mancano studi sulla durata della remissione. Negli studi comparativi condotti, si è dimostrato molto più efficace dell'etidronato51 e superiore al pamidronato solo in pazienti già trattati in precedenza con altri bifosfonati38 (Tabella 1).
Neridronato
E' stato recentemente registrato per via infusiva nel trattamento del morbo di Paget (fascia H). Gli studi realizzati col neridronato sono pochi, su casistiche limitate e con periodi di osservazione brevi, carenti sulla durata della remissione. Nei due studi pubblicati, con la dose di 100 mg e.v. per 2 giorni la normalizzazione del turnover osseo si è raggiunta nel 60-65% dei pazienti a 6 mesi ed è stata mantenuta nel 35% a 12 mesi52,53. Va sottolineato il fatto che in tutti i campioni valutati, i livelli medi di tAF pre-trattamento erano relativamente bassi (tAF <3). Nell'unico studio di confronto, neridronato e zoledronato, somministrati in pazienti non responders al pamidronato, dopo 9 mesi, hanno prodotto la normalizzazione della fosfatasi alcalina rispettivamente nell'80% e 83% dei soggetti39.
Ibandronato
Il farmaco, presente in Italia sia per via infusiva che orale, ha altre indicazioni e non è stato adeguatamente studiato nel morbo di Paget54. I risultati indicano una efficacia modesta, ma mancano studi di dose-finding ed i dosaggi valutati sono simili o inferiori a quelli impiegati nell'osteoporosi. Zoledronato
E' stato di recente registrato per il morbo di Paget (fascia H). Gli studi pubblicati, molto limitati se rapportati a quelli disponibili per gli altri bifosfonati, risultano tuttavia di elevata qualità metodologica e realizzati su un campione molto ampio di pazienti; a questi si aggiungono numerose segnalazioni di casi clinici. Sulla base di tali dati, lo zoledronato sembra il composto più efficace nel normalizzare il turnover osseo (90% circa dei pazienti), con la fase di remissione più prolungata, anche se non ancora ben stabilita nei suoi valori massimi. In uno studio comparativo, lo zoledronato (5 mg in singola somministrazione e.v.) ha prodotto la normalizzazione della fosfatasi alcalina nell'89% dei pazienti contro il 58% con risedronato (30 mg/die os per 2 mesi)48. A 24 mesi di distanza, la fosfatasi alcalina era ancora nel range di riferimento nel 98% dei responder allo zoledronato e nel 57% dei responder al risedronato55. Esistono segnalazioni di pazienti seguiti per tre anni con valori ricompresi nel range56. In uno studio di confronto diretto (n=90), dopo 6 mesi, a raggiungere la normalizzazione della fosfatasi alcalina è stato il 93% dei pazienti trattati con zoledronato (4 mg in unica somministrazione e.v.) contro il 35% di quelli trattati con pamidronato (30 mg e.v. per 2 giorni consecutivi ogni 3 mesi)39. Va detto, però, che sia lo zoledronato che soprattutto il pamidronato sono stati impiegati ad un dosaggio inferiore a quello usualmente consigliato nel Paget. A distanza di 12 e 15 mesi, la normalizzazione della fosfatasi alcalina era mantenuta comunque nel 79% e 65% dei pazienti originariamente assegnati allo zoledronato39. Resistenza al trattamento
Il concetto di resistenza al trattamento si è in parte modificato nel tempo. In molti degli studi iniziali (con l'etidronato e la calcitonina), una riduzione della tAF inferiore al 25-30% era considerata una scarsa risposta al trattamento e i pazienti venivano definiti resistenti. Con i bisfosfonati più recenti, somministrati a dosaggi adeguati, in tutti i pazienti si riesce a diminuire significativamente la tAF e i non responder al primo trattamento sono pochi, anche se col clodronato e.v. la percentuale rimane superiore al 10%57. Oggi il termine ha un significato diverso e viene spesso impiegato per identificare la mancata normalizzazione del turnover osseo e la riduzione progressiva dell'effetto di un farmaco nelle successive ricadute. Mancata normalizzazione del turnover. Con alcuni bisfosfonati il fenomeno sembra correlato alla gravità della malattia (livelli di partenza della tAF) o ad una dose insufficiente. Col pamidronato è stato osservato che, a parità di livelli di tAF, dosaggi più elevati determinano normalizzazione del turnover osseo in un maggior numero di pazienti58,59. Va detto che in molti studi i pazienti resistenti presentano valori di tAF mediamente più elevati di quelli in cui la tFA rientra nei limiti di riferimento, ma vi sono anche segnalazioni di pazienti con tAF <3 volte che non vanno incontro a completa remissione58. Inoltre, la normalizzazione del turnover è più frequente nei pazienti non trattati in precedenza con un bisfosfonato, indipendentemente dai valori di tAF; questo è stato dimostrato col pamidronato36 e col clodronato60 e in modo incostante con l'alendronato50,61. Lo zoledronato non sembra essere, invece, influenzato dal precedente trattamento55. Riduzione progressiva dell'effetto.Questo fenomeno, molto comune con l'etidronato e la calcitonina, è tipico del pamidronato e del clodronato, ed è stato rilevato anche con l'alendronato. Il meccanismo non è completamente noto62, ma l'effetto sembra essere legato al singolo composto e non alla classe. Sostituendo il bisfosfonato con un altro si ripristina l'effetto terapeutico47,58. Non si sa se sia sufficiente cambiare farmaco o passare a farmaci di maggior potenza. In quasi tutti gli studi condotti su pazienti resistenti a precedenti trattamenti, sono stati utilizzati farmaci di più recente introduzione, generalmente più potenti. Nell'unico studio disegnato per valutare il trattamento successivo su 6 pazienti resistenti a pamidronato e/o alendronato, 2 hanno risposto a tiludronato (farmaco di minor potenza)58. Conclusioni
In Italia, i farmaci registrati per il trattamento del morbo di Paget sono etidronato (Etidron) e risedronato (Actonel 30) per via orale, calcitonina (Calcitonina Sandoz e Salmofar), neridronato (Nerixia 100) e zoledronato (Aclasta) per via iniettiva. Etidronato e calcitonina sono i soli prescrivibili nell'ambito dell'assistenza primaria (note AIFA n. 41 e 42), ma non possono essere considerati di prima linea per la scarsa efficacia e gli effetti collaterali. L'etidronato è inferiore a tutti i bifosfonati nel normalizzare la fosfatasi alcalina e quello che con maggiore probabilità causa difetti di mineralizzazione. La calcitonina per via parenterale, oltre a nausea e vampate di calore, va rapidamente incontro a resistenza al trattamento e nella pratica clinica non è più usata. Il risedronato ha problemi di tollerabilità gastrica ma soprattutto è in fascia C e come tale difficilmente proponibile per un trattamento domiciliare.
In termini di percentuali di normalizzazione del turnover osseo e durata della remissione, la scelta cade su un bisfosfonato da somministrare per via endovenosa in ambiente ospedaliero (day hospital, day service o ambulatorio). Tale modalità di somministrazione sembra avere anche vantaggi in termini di compliance. Per numerosità e qualità dei dati, la scelta si restringe a pamidronato (off label) e zoledronato. Il costo decisamente più elevato dello zoledronato rispetto al pamidronato viene compensato dai minori costi aggiuntivi legati al minor numero di infusioni (1 contro 6) e, in una prospettiva di lungo termine, dalla maggiore durata della remissione. Ad oggi, l'effetto indesiderato più grave associato alla terapia infusiva coi bisfosfonati è l'osteonecrosi mandibolare; si tratta, però, di un evento emerso nel corso di trattamenti ravvicinati in pazienti oncologici che non è stato segnalato con lo zoledronato e solo raramente col pamidronato nel morbo di Paget62. L'evento avverso più frequente, che interessa oltre la metà dei soggetti soprattutto dopo la prima somministrazione, è una reazione di fase acuta simil-influenzale; in genere è di breve durata, ma talora può risultare disturbante con innalzamento della temperatura fino a 39° C, accompagnata da malessere, mialgie e artralgie. Bibliografia 1. Whyte MP. Paget's Disease of Bone. N Engl J Med 2006; 355:593-600. 2. Donath, M et al. Poor Effect of bisphosphonate treatment in patients with Paget's disease of the skull.Rheumatology 2004;43:89-94. 3. Siris ES, Feldman F Natural history of untreated Paget's disease of the tibia. J Bone Miner Res 1997; 12:691-2. 1997. 4. Meunier PJ, Vignot E. Therapeutic strategy in Paget's disease of bone. Bone 1995; 17(5 Suppl):489S-491S. 5. Langston MK et al. for the PRISM Trial Clinical Determinants of Quality of Life in Paget's Disease of Bone. Calcif Tissue Int 2007; 80:1-9. 6. Lyes KW et al. A clinical approach to diagnosis and management of Paget's disease of bone. J Bone Miner Res2001; 16:1379-87. 7. Selby PL. Guidelines for the diagnosis and management of Paget's disease: a UK perspective. J Bone Miner Res2006; 21 (Suppl 2):92-3. 8. Adami S et al. Linee guida per la diagnosi e la terapia del morbo di Paget. Reumatismo 2007; 59:153-68. 9. Hosking DJ. Advances in the management of Paget's disease of bone. Drugs 1990; 40: 829-40. 10. Alvarez L et al. Usefulness of biochemical markers of bone turnover in assessing response to the treatment of Paget's disease. Bone 2001; 29:447-52. 11. Reid IR et al. Comparative responses of bone turnover markers to bisphosphonate therapy in Paget's disease of bone. Bone 2004; 35:224-30. 12. Alvarez L et al. J. Long-term biochemical response after bisphosphonate therapy in Paget's disease of bone. Proposed intervals for monitoring treatment. Rheumatology 2004;43:869-74. 13. Peris P wet al. Biochemical response to bisphosphonate therapy in pagetic patients with skull involvement.Calcif Tissue Int 2006;79:22-6. 14. Khairi MRA et al. Treatment of Paget's disease of bone (Osteitis deformans). JAMA 1974; 230: 562-7. 15. Khairi MRA et al. Sodium Etidronate in the Treatment of Paget's Disease of Bone. Ann Intern Med 1977;87:656-63. 16. Russel RGG et al. Diphosphonates in Paget's disease. Lancet 1974; 1:894-8. 17. Smith R et al. Paget's disease of bone. Quart J Med 1973;166: 235-56. 18. Gray RE et al. Duration of effect of oral diphosphonate therapy in Paget's disease of bone. Q J Med1987;64:755-67. 19. Preston CJ et al. Effective short term treatment of Paget's disease with oral etidronate. BMJ 1986; 292:79-80. 20. Gibbs CJ et al. Osteomalacia in Paget's disease treated with short term, high dose sodium etidronate. BMJ1986; 292:1227-9. 21. Boyce BF et al. Focal osteomalacia due to low-dose diphosphonate therapy in Paget's disease. Lancet 1985;2:821-4. 22. Nagant de Deuxchaisnes C. Diphosphonates and inhibition of bone mineralization. Lancet 1982; 2: 607-8. 23. Johnston CC et al. Review of fracture experience during treatment of Paget's disease of bone with etidronate disodium (EHDP). Clin Orthop 1983;172:186-94. 24. Altman R.D. Long-term follow-up of therapy with intermittent etidronate disodium in Paget's disease of bone.Am J Med 1985; 79:583-90. 25. Siris ES et al. Clinical and biochemical effects of EHDP in Paget's disease of bone: patterns of response to initial treatment and to long-term therapy. Metab Bone Dis Rel Res 1981; 4:301-8. 26. Fenton AJ et al. Intravenous aminobisphosphonate in Paget's disease: clinical, biochemical, histomorphometric and radiological responses. Clin Endocrinol 1991;34:197-204. 27. Harinck HI et al. Paget's disease of bone: early and late responses to three different modes of treatment with aminohydroxypropylidene bisphosphonate (APD). BMJ 1987; 295:1301-5. 28. Bombassei GJ et al. Effects of intravenous pamidronate therapy on Paget's disease of bone. Am J Med Sci1994; 308:226-33. 29. Hooper MJ et al. Single-day intravenous pamidronate in Paget's disease. Semin Arthritis Rheum 1994;23:276-7. 30. Ryan PJ et al. Treatment of Paget's disease by weekly infusion of 3-aminohydroxypropyldene-1,1-bisphosphonate (APD). Br J Rheumatol 1992; 31:97-101. 31. Grauer A et al. Bisphosphonate therapy of Paget's of bone disease with pamidronate. Med Klin 1996; 91:14-9. 32. Tucci JR, Bontha S. Intravenously administered pamidronate in the treatment of Paget's disease of bone.Endocr Pract 2001; 7:479-80. 33. Gutteridge DH et al. Clinical, biochemical, hematologic, and radiographic responses in Paget's disease following intravenous pamidronate disodium: a 2-year study. Bone 1996; 19:387-94. 34. Gallacher SJ et al. Clinical experience with pamidronate in the treatment of Paget's disease of bone. Ann Rheum Dis 1991; 50:930-3. 35. Patel S et al. Determinants of remission of Paget's disease of bone. J Bone Miner Res 1993; 8:1467-73. 36. Gutteridge DH et al. Paget's disease: acquired resistance to one aminobisphosphonate with retained response to another. J Bone Miner Res 1999;14 (Suppl 2):79-84. 37. Walsh JP et al. A randomized clinical trial comparing oral alendronate and intravenous pamidronate for the treatment of Paget's disease of bone. Bone 2004; 34:747-54. 38. Rendina D et al. Risedronate and pamidronate treatment in the clinical management of patients with severe Paget's disease of bone and acquired resistance to bisphosphonates. Calcif Tissue Int 2004; 75:189-96. 39. Merlotti D et al. Comparison of different intravenous bisphosphonate regimens for Paget's disease of bone. J Bone Miner Res 2007; 22:1510-7. 40. Chapuy MC et al. Sustained biochemical effects of short treatment of Paget's disease of bone with dichloromethylene diphosphonate. Metab Bone Dis Relat Res 1983; 4:325-8. 41. Harris ST et al. Secondary hyperparathyroidism associated with dichloromethane diphosphonate treatment of Paget's disease. J Clin Endocrinol Metab 1982; 55: 1100-7. 42. Yates AJ et al. Intravenous clodronate in the treatment and retreatment of Paget's disease of bone. Lancet1985; 1:1474-7. 43. Delmas PD et al. Long term effects of dichloromethylene diphosphonate in Paget's disease of bone. J Clin Endocrinol Metab 1982; 54:837-44. 44. Khan SA et al. Comparison of three intravenous regimens of clodronate in Paget disease of bone. J Bone Miner Res 1996; 11:178-82. 45. Filipponi P et al. Effects of two different bisphosphonates on Paget's disease of bone: ICTP assessed. Bone1994;15:261-7. 46. Peris L et al. Treatment with tiludronate has a similar effect to risedronate on Paget's disease activity assessed by bone markers and bone scintigraphy. Clin Exp Rheumatol 2007; 25: 206-10. 47. Miller PD et al. A randomized, double-blind comparison of risedronate and etidronate in the treatment of Paget's disease of bone. Paget's Risedronate/Etidronate Study Group. Am J Med 1999; 106:513-20. 48. Reid IR et al. Comparison of a single infusion of zoledronic acid with risedronate for Paget's disease. N Engl J Med 2005; 353:898-908. 49. Dolgitser M et al. Bisphosphonate use in the treatment of Paget's disease of the bone: analysis of claims in a large database. Manag Care Interface 2007; 20:33-40. 50. Adami S et al. Effects of two oral doses of alendronate in the treatment of Paget's disease of bone. Bone1994; 15:415-7. 51. Siris E et al. Comparative study of alendronate versus etidronate for the treatment of Paget's disease of bone.J Clin Endocrinol Metab 1996; 81:961-7. 52. Adami S et al. Short-term intravenous therapy with neridronate in Paget's disease. Clin Exp Rheumathol2002; 20:55-8. 53. Filipponi P et al. Paget's disease of bone: benefits of neridronate as a first treatment an in cases of relapse after clodronate. Bone 1998; 23:543-8. 54. Woitge HM et al. Short- and long-term effects of ibandronate treatment on bone turnover in Paget disease of bone. Clin Chem 2000; 46:684-90. 55. Hosking D et al. Long-term control of bone turnover in Paget's disease with zoledronic acid and risedronate. J Bone Miner Res 2007; 22:142-8. 56. Tziomalos K et al. Persistent effect of zoledronic acid in Paget's disease. Clin Exp Rheumatol 2007; 25:464-5. 57. Khan SA et al. Duration of response with oral clodronate in Paget's disease of bone. Bone 1996;18:185-90. 58. Joshua F et al. Bisphosphonate resistance in Paget's disease of bone. Arthritis Rheum 2003; 48:2097-9. 59. Cundy T et al. High-dose pamidronate in the management of resistant Paget's disease. Calcif Tissue Int1996; 58:6-8. 60. Gray RE et al. Intravenous clodronate in the treatment and retreatment of Paget's disease of bone. Lancet1985;1:1474-7. 61. Reid IR. Biochemical and radiologic improvement in Paget's disease of bone treated with alendronate: a randomized, placebo-controlled trial. Am J Med 1996;101:341-8. 62. Lyles KW. What is "Resistance" in Paget's disease of bone? Arthritis & Rheumatism 2003; 48: 2097-9. 63. Woo SB et al. Systematic review: bisphosphonates and osteonecrosis of the jaws. Ann Intern Med 2006;144:753.