In Italia, le persone affette da demenza sono circa 600.000. Più di tre/quarti di loro, nel corso del tempo, svilupperanno disturbi del comportamento o sintomi psichiatrici responsabili del peggioramento della qualità di vita e, spesso, del ricovero in strutture residenziali. Attualmente, non esistono farmaci registrati per il trattamento dei disturbi comportamentali e dei sintomi psichiatrici associati alla demenza. Gli antipsicotici vengono utilizzati in questa condizione, sia per controllare i sintomi psicotici che per problemi meno specifici come l'agitazione e l'aggressività, ma non si sa quale sia il grado di appropriatezza e sicurezza di tale impiego.
Il quadro clinico
Il morbo di Alzheimer è la forma più comune di demenza (60% dei casi), seguita dalla demenza vascolare (20-25%) e dalla demenza a corpi di Lewy (10-15%)1. Molti pazienti con demenza sviluppano sintomi comportamentali e psichici (sintomi neuropsichiatrici), che sono stati definiti"segni e sintomi di percezione, ideazione, umore o comportamento alterato"2. I sintomi includono ansia, depressione, allucinazioni, delirio e disturbi del comportamento come aggressività, agitazione, irritabilità, vagabondaggio, comportamenti culturalmente inappropriati, disinibizione sessuale, tendenza all'accaparramento, imprecazioni e urla2. I sintomi psicotici (es. delirio e allucinazioni) compaiono nel 30-50% dei pazienti affetti da demenza3, e nell'80% circa dei pazienti con demenza a corpi di Lewy4. Opzioni terapeutiche
I pazienti affetti da demenza con sintomi neuropsichiatrici disturbanti o con comportamenti difficili da gestire dovrebbero essere valutati per individuare i fattori che possono aggravare o migliorare la loro condizione, stilando un piano di cura personalizzato, da rivedere regolarmente5. Persone, ambiente e attività vanno analizzate sia come possibili cause di disagio e amplificazione dei sintomi che come fonti di sostegno delle potenzialità e dei limiti del paziente. In prima battuta, se il problema non è grave o non esiste un rischio immediato che il paziente possa provocare danni a se stesso o agli altri, l'approccio deve essere non farmacologico (interventi psico-sociali, terapia occupazionale, ambientale). Gli studi pubblicati che hanno valutato questi metodi non permettono, però, di stabilire se siano efficaci o meno5. Gli antipsicotici non andrebbero prescritti se i sintomi non cognitivi sono lievi-moderati e anche in caso di sintomi gravi (cioè psicosi e/o agitazione pesantemente invalidanti), dovrebbero essere presi in considerazione solo dopo aver valutato i fattori di rischio cerebrovascolare e il grado di compromissione delle capacità cognitive; dopo aver identificato, quantificato e documentato i sintomi su cui intervenire e dopo aver preso in considerazione le malattie concomitanti5. Antipsicotici convenzionali Efficacia clinica
Gli antipsicotici tradizionali (di prima generazione, tipici) come la clorpromazina (Largactil, Prozin) e l'aloperidolo (Haldol, Serenase) sono stati da sempre utilizzati per trattare i disturbi del comportamento associati alla demenza6. Gli studi randomizzati controllati forniscono poche prove convincenti che giustifichino il largo impiego che si fa per questa indicazione.
Effetti indesiderati
Gli antipsicotici tradizionali sono antagonisti dei recettori dopaminergici D27. Il blocco recettoriale nelle vie nigrostriatali del SNC provoca effetti indesiderati di tipo extrapiramidale, come sintomi parkinsoniani (che includono tremore), acatisia (irrequietezza motoria), distonia (movimenti anomali del viso e del corpo), discinesia tardiva (movimenti ritmici involontari della lingua, del volto e della mandibola) potenzialmente responsabili di cadute dovute ai disturbi dell'equilibrio e al dimagrimento per inappetenza e difficoltà di deglutizione8. I pazienti più anziani corrono un rischio maggiore di sviluppare una discinesia tardiva, che può risultare irreversibile (anche se la terapia viene interrotta) e non rispondere al trattamento. I pazienti affetti da demenza a corpi di Lewy risultano particolarmente suscettibili a reazioni gravi di ipersensibilità agli antipsicotici che possono mettere a repentaglio la vita9. Gli antipsicotici convenzionali possono causare anche sonnolenza, ipotensione (che aumenta il rischio di cadute), alterazioni della termoregolazione, effetti antimuscarinici (es. secchezza della bocca, visione offuscata, ritenzione urinaria, costipazione), alterazioni elettrocardiografiche e, raramente, sindrome neurolettica maligna10. In seguito a segnalazioni di morti improvvise inspiegate, nel febbraio del 2007, l'AIFA ha modificato il foglietto illustrativo delle specialità a base di aloperidolo e pimozide (Orap), consigliando di eseguire un ECG a tutti i pazienti prima del trattamento e di ripeterlo (annualmente). In caso di prolungamento dell'intervallo QT, il dosaggio andrebbe ridotto e il trattamento interrotto se il QT dovesse essere superiore a 500ms. Stando ai risultati di alcuni studi, gli antipsicotici convenzionali potrebbero peggiorare il declino cognitivo11, forse per gli effetti sulla trasmissione dopaminergica, colinergica e istaminergica7, ma ad oggi non è stata stabilita alcuna relazione causale. Antipsicotici atipici Efficacia clinica
Il ruolo degli antipsicotici atipici (di seconda generazione) nel trattamento dei pazienti con sintomi comportamentali e psicologici della demenza è stato analizzato da alcune revisioni sistematiche. La prima ha incluso 5 studi randomizzati, controllati, in doppio cieco, 4 sul risperidone (3 verso placebo, 1 verso aloperidolo) e 1 sull'olanzapina (verso placebo), condotti su un totale di 1.570 pazienti (tre/quarti con morbo di Alzheimer)12. Gli autori hanno concluso che "la maggiore efficacia e sicurezza rispetto agli antipsicotici tradizionali è una impressione fondata su pochi dati".
La seconda revisione sistematica, che ha incluso 16 studi randomizzati verso placebo (di durata compresa tra 6 e 26 settimane) e 5.324 pazienti complessivi, ha valutato l'efficacia degli antipsicotici atipici nel trattamento dell'aggressività, dell'agitazione e della psicosi associate al morbo di Alzheimer13. Sono stati considerati solo i dati dei 9 studi ritenuti di dimensione adeguata. Nella maggior parte degli studi, la misura primaria di esito era rappresentata dalle variazioni del punteggio relativo ai disturbi comportamentali su una scala ad hoc. Secondo gli autori, il risperidone e l'olanzapina sono in grado di ridurre in modo significativo l'aggressività e il risperidone la psicosi, rispetto al placebo La scarsità dei dati non ha consentito di esprimere una valutazione attendibile sulla efficacia degli altri antipsicotici atipici.
Una terza revisione, effettuata su 15 studi randomizzati, controllati con placebo, in doppio cieco, per un totale di 5.110 pazienti, ha valutato l'efficacia e gli eventi avversi degli antipsicotici atipici nella demenza14. I dati complessivi relativi a ciascun farmaco hanno dimostrato un efficace controllo dei sintomi per l'aripiprazolo e il risperidone, ma non per l'olanzapina. I dati disponibili per la quetiapina sono stati ritenuti insufficienti a stabilirne l'efficacia.
Effetti indesiderati
Molti antipsicotici atipici sono più attivi sui recettori 5-HT2A che sui recettori D2 e di conseguenza presentano un profilo di sicurezza diverso rispetto agli antipsicotici tradizionali. In particolare, alcuni sembrano presentare un rischio inferiore di effetti indesiderati extrapiramidali10, anche se questi effetti possono comunque verificarsi15,16. La quetiapina è stata associata ad un deterioramento delle capacità cognitive17, ma altri studi non hanno trovato alcuna correlazione tra l'uso di antipsicotici atipici e questo evento avverso18,19. Altre reazioni indesiderate sono rappresentati da aumento di peso, vertigini, ipotensione posturale, alterazioni della glicemia e diabete mellito20,21. Rischio di eventi cerebrovascolari
Nel 2002, in Canada, il Ministero della salute e la Janssen-Ortho pubblicavano un comunicato congiunto sulla sicurezza del risperidone nel trattamento dei sintomi comportamentali e psichiatrici della demenza22, dopo che uno studio aveva evidenziato un aumentato rischio di eventi cerebrovascolari associato all'utilizzo del farmaco (9%vs. 1,8% con placebo)23. Analogamente, nel 2004, il Committee on Safety of Medicines inglese raccomandava di non utilizzare risperidone ed olanzapina per il controllo dei sintomi comportamentali associati a demenza24, basando la propria raccomandazione sugli eventi cerebrovascolari rilevati in 4 studi randomizzati, controllati, realizzati sul risperidone (0,5-2mg/die) in 1.779 pazienti con demenza18,23,25,26. Eventi avversi cerebrovascolari erano tutti quelli classificati come tali dall'OMS, cioè ictus, attacchi ischemici transitori, disordini cerebrovascolari, accidenti cerebrovascolari, infarto cerebrale e ischemia cerebrale. Negli studi, della durata di 8-12 settimane, si sono verificati in totale 33 eventi cerebrovascolari con risperidone e 8 con placebo. L'odds ratio complessiva di 3,32 sta a significare che ogni 37 pazienti trattati con risperidone per 8-12 settimane si ha un evento cerebrovascolare associato al trattamento. La mortalità complessiva non è, invece, risultata aumentata.
Sulla base degli stessi dati, le autorità regolatorie dei paesi dell'Unione Europea diffondevano una nota di allerta sull'aumentato rischio di eventi avversi cerebrovascolari con l'uso di risperidone e olanzapina. In quel momento si riteneva che gli studi clinici non fornissero sufficienti evidenze per poter estendere l'allerta agli altri antipsicotici atipici o a quelli convenzionali.
Nel 2005, negli Stati Uniti, una nota della Food and Drug Administration avvertiva i medici che gli antipsicotici atipici non erano indicati per il trattamento dei sintomi psicotici associati a demenza27.
Più recentemente, un gruppo di lavoro europeo sulla farmacovigilanza ha esaminato i dati di uno studio epidemiologico dell'Agenzia inglese del farmaco realizzato sulla banca dati dei medici di medicina generale e da altri due studi epidemiologici28,29 pubblicati tra il 2004 e il 2005 che hanno valutato il rischio di ictus associato all'uso di antipsicotici, tipici e atipici, nei pazienti anziani30. Sulla base dei dati osservazionali considerati, il gruppo di lavoro ha concluso che il rischio di eventi cerebrovascolari associato agli antipsicotici convenzionali non è significativamente diverso da quello di olanzapina e risperidone. Ha, inoltre, proposto di aggiungere nella scheda tecnica di tutti gli antipsicotici, tipici e atipici, un'avvertenza riguardante il possibile aumento del rischio di eventi avversi cerebrovascolari nei pazienti con demenza. Dati recenti di sicurezza sugli atipici
Dopo la diffusione delle varie raccomandazioni da parte delle autorità regolatorie, sono stati pubblicati nuovi dati sulla sicurezza degli antipsicotici nella demenza.
Studi osservazionali
Uno studio di coorte retrospettivo, condotto su 22.890 pazienti anziani (età media 83 anni), trattati per la prima volta con un antipsicotico (9.142 con un antipsicotico tradizionale e 13.748 con un atipico), non necessariamente per la demenza, ha evidenziato che il rischio di morte associato agli antipsicotici tradizionali rispetto agli atipici è variabile nel tempo ed è più elevato in tutti i periodi considerati31. Il rischio relativo associato agli antipsicotici tradizionali dopo 40 giorni dall'inizio del trattamento è di 1,56 rispetto agli atipici; dopo 40-79 giorni è di 1,37 e dopo 80-180 giorni di 1,27.
Un altro studio di coorte retrospettivo, condotto su 27.259 pazienti anziani con demenza (età media 83 anni), considerati a due per due, residenti in comunità o presso strutture residenziali, ha valutato l'associazione tra il trattamento con antipsicotici (tipici o atipici) e la mortalità per tutte le cause32. Lo studio indica che la terapia con antipsicotici atipici si associa ad un aumento significativo della mortalità a 30 giorni rispetto al non uso [per gli anziani che vivevano in comunità l'hazard ratio corretto (HR) era di 1,31; per quelli istituzionalizzati 1,55]. Inoltre, rispetto agli atipici, gli antipsicotici convenzionali erano associati ad una mortalità più elevata a 30 giorni (HR di 1,55 per la coorte comunitaria; 1,26 per quella istituzionalizzata) e a 180 giorni (HR di 1,23 per la coorte comunitaria; 1,27 per quella istituzionalizzata). Secondo gli autori, lo studio presentava diversi limiti, come l'assenza di informazioni sulle cause del decesso, la precoce sospensione del trattamento (in molti pazienti dopo un mese) e la mancata quantificazione di fattori di confondimento. Studi randomizzati controllati
Uno studio randomizzato, controllato, in doppio cieco, ha confrontato olanzapina, quetiapina, risperidone e placebo in 421 pazienti con morbo di Alzheimer non istituzionalizzati (età media 78 anni), che presentavano psicosi, agitazione o aggressività talmente gravi e persistenti da richiedere (a giudizio del medico) una terapia farmacologica33. Il criterio principale di valutazione era rappresentato dal tempo intercorso tra l'inizio del trattamento e la sua interruzione per qualunque causa. La misura secondaria di esito era rappresentata dal miglioramento raggiunto dopo 12 settimane sulla scala a punti Clinical Global Impression of Change (CGIC). Si trattava di uno studio pragmatico, in cui i medici potevano cambiare il dosaggio del farmaco nel caso lo ritenessero necessario o interrompere la terapia se il farmaco fosse risultato mal tollerato o inefficace. Tra i gruppi non sono emerse differenze significative per quanto riguarda il tempo intercorso tra l'inizio e l'interruzione del trattamento per qualunque causa (in media 5-8 settimane); metà dei pazienti ha sospeso il trattamento entro 8 settimane. Le sospensioni per inefficacia si sono verificate più precocemente con placebo (9 settimane) e quetiapina (9,1 settimane) rispetto a risperidone (26,7 settimane) e olanzapina (22,1 settimane). Le sospensioni per intolleranza sono state più frequenti nei pazienti trattati con risperidone (18%), olanzapina (24%) e quetiapina (16%) rispetto al placebo (5%). Il miglioramento nel punteggio sulla scala CGIC è stato simile con placebo (21% pazienti), olanzapina (32%), quetiapina (26%) e risperidone (29%). Non sono emerse differenze significative tra i gruppi nemmeno nella percentuale di pazienti che hanno manifestato almeno un "effetto indesiderato" grave. I sintomi extrapiramidali sono risultati più frequenti nei gruppi trattati con risperidone e olanzapina (12% dei pazienti in entrambi i casi) rispetto a quetiapina (2%) o a placebo (1%). Nei pazienti trattati con olanzapina, quetiapina e risperidone, l'incidenza di sedazione (15-24%) è stata più elevata rispetto a placebo (5%). Inoltre, a sviluppare confusione e cambiamenti dello stato mentale è stato un maggior numero di pazienti trattati con risperidone (11%) e olanzapina (18%) rispetto a quetiapina (6%) e placebo (5%). L'incidenza didisturbi cognitivi e sintomi psicotici è stata maggiore nel gruppo trattato con olanzapina (5% e 7% dei pazienti) rispetto agli altri gruppi (0-2%). Nei pazienti trattati con antipsicotici si è verificato un aumento ponderale di 0,18-0,45kg al mese, mentre con placebo il peso si è ridotto di 0,41kg al mese. Due pazienti (2%) nel gruppo olanzapina, 1 paziente (1%) nel gruppo risperidone e 1 (1%) nel gruppo placebo hanno avuto un evento cerebrovascolare o un attacco ischemico transitorio. I decessi (e l'incidenza di mortalità) nei diversi gruppi sono stati 1 (1%) nel gruppo olanzapina, 3 (3%) nel gruppo quetiapina, 1 (1%) nel gruppo risperidone e 3 (3%) nel gruppo placebo. Con ogni probabilità, lo studio non era, però, abbastanza potente da rilevare differenze statisticamente significative nella incidenza di ictus e mortalità. Dati cumulativi
Una revisione sistematica ha valutato l'aumento della mortalità nei pazienti con demenza trattati con antipsicotici atipici basandosi sui dati di 15 studi (9 non pubblicati), condotti su un totale di 3.353 pazienti randomizzati ad un trattamento farmacologico e 1.757 randomizzati a placebo34. Tre studi hanno riguardato l'aripiprazolo, cinque l'olanzapina, tre la quetiapina e cinque il risperidone. Il trattamento con antipsicotici atipici ha comportato un aumento del rischio di morte superiore al 50% rispetto al placebo (118 morti vs. 40; OR 1,54). La mortalità e le interruzioni del trattamento sono state simili negli studi pubblicati e in quelli non pubblicati. I risultati per i singoli farmaci sono stati largamente sovrapponibili, ad indicare che l'aumento della mortalità è verosimilmente un effetto di classe non limitato al singolo farmaco. Diagnosi e gravità della patologia non hanno influenzato il rischio.
In una delle revisioni sistematiche descritte in precedenza, il risperidone è stato associato ad un rischio quasi quadruplicato di eventi cerebrovascolari gravi (compreso l'ictus) rispetto al placebo; 37 eventi nei 1.175 pazienti trattati con risperidone e 8 nei 779 trattati con placebo (3,15% vs. 1,03%, OR 3,64); gli autori della revisione non avevano a disposizione dati significativi per l'olanzapina20. In una delle altre revisioni, il rischio di eventi cerebrovascolari gravi raddoppiava con l'uso di un antipsicotico atipico. Si sono verificati 63 eventi nei 3.327 pazienti trattati con un atipico e 16 nei 1.728 pazienti trattati con placebo (1,9% vs. 0,9% con placebo, OR 2,13); il rischio risultava triplicato con risperidone (3,1% vs. 1,0% con placebo, OR 3,43)14. Implicazioni pratiche
Nei pazienti affetti da demenza con sintomi comportamentali e psichiatrici gravi è necessario pianificare un trattamento personalizzato coinvolgendo, quando possibile, chi se ne prende cura. Se si ritiene di utilizzare un antipsicotico, è importante illustrare al care giver le ragioni della scelta e i possibili rischi e benefici collegati al trattamento. La scelta del farmaco deve essere strettamente individualizzata, tenendo conto dei sintomi, delle interazioni con altri farmaci, della risposta precedente ai farmaci, di ogni condizione medica concomitante e dei fattori di rischio cerebrovascolari. La dose iniziale dell'antipsicotico deve essere bassa e modificata in base alla risposta clinica8, mantenendo sotto stretto controllo il paziente per la comparsa di effetti extrapiramidali, eccessiva sedazione e compromissione delle attività cognitive. Devono, inoltre, essere monitorate la pressione arteriosa e la glicemia; controllati il peso e l'adiposità addominale. Nei singoli pazienti, i sintomi spesso raggiungono l'apice ad un certo punto della malattia per poi ridursi. I dati disponibili indicano che l'antipsicotico può essere sospeso se il paziente non ha sintomi per almeno 3 mesi, ragione per cui è importante rivedere regolarmente la terapia. Quando si interrompe il trattamento, cautelativamente è meglio farlo in modo graduale. In alcuni pazienti, può essere necessario continuare la terapia per lungo tempo. Conclusioni
I pazienti con demenza presentano spesso disturbi comportamentali e psichiatrici. All'inizio, andrebbe fatto un tentativo per controllare questi sintomi con trattamenti non farmacologici a meno che non risultino fortemente disturbanti o via sia il rischio che il paziente possa fare del male a se stesso o agli altri. Nei pazienti con sintomi gravi (psicosi e/o agitazione responsabili di un disagio significativo), può essere appropriato utilizzare un antipsicotico, a condizione che il paziente risponda a criteri ben definiti (es. siano stati identificati i sintomi bersaglio e prese in considerazione le comorbilità). In base ai dati disponibili, gli antipsicotici tipici e atipici sono ugualmente efficaci, ma hanno un diverso profilo di effetti indesiderati. I potenziali benefici del trattamento con un antipsicotico possono essere annullati dal rischio importante in termini di eventi cerebrovascolari. L'incidenza di eventi cerebrovascolari (come l'ictus) aumenta di oltre 3 volte con risperidone e olanzapina, che dovrebbero essere evitati. Poiché l'incidenza di eventi cerebrovascolari risulta più che raddoppiata nei pazienti con demenza in trattamento con qualunque antipsicotico atipico, è probabile che si tratti di un effetto di classe, anche se questa possibilità necessita di conferma. I risultati degli studi osservazionali propendono fortemente a favore di un incremento simile del rischio anche con gli antipsicotici tradizionali. Se si ritiene opportuno utilizzare un antipsicotico, la terapia deve essere individualizzata, iniziando con una dose bassa, dopo averne discusso con il care giver. Il paziente deve essere rivalutato ad intervalli regolari, con l'obiettivo di sospendere gradualmente il trattamento se non si sono manifestati disturbi comportamentali e psichiatrici significativi per almeno 3 mesi. Bibliografia 1. Overshott R, Burns A. Treatment of dementia. 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