E se l'informazione sui farmaci fosse un rischio professionale?
Gianni Tognoni
Il tempo corre, sempre di più, così si dice, soprattutto in campo scientifico; se non lo si riconosce, si è esposti a rischi, non quantificati né quantificabili ma assolutamente certi, di non si sa che cosa, ma, non c'è dubbio, di molto profondo.
Di fronte a tanta certezza, che ricorre in tutti i mass-media, con un consenso da far invidia, chi lavora nei bollettini sui farmaci si sente in una condizione decisamente ansiogena, per un senso combinato di incertezza o irrealtà: possibile che proprio da una posizione che dovrebbe essere l'incrocio e l'osservatorio degli avanzamenti più direttamente percepibili della scienza al servizio della salute ciò che si vede non dia il senso di vivere in una affascinante avventura di futuro, ma piuttosto di assistere a spettacoli già visti, in cui la modificazione di alcune battute, o del nome di protagonisti e comparse, costringe a cronache oscillanti tra la noia e la crisi di nervi?
E' bene precisare che:
a) non si vuole ritornare sulla crisi di innovazione ed alle relative statistiche che documentano che i farmaci "nuovi" sono sempre più assimilabili (in termini di "incidenza") alle malattie rare;
b) non è neppure consolante ripetersi che è normale, in un tempo di mercato, avere tanti farmaci me-too, che non aggiungono nulla alla terapia, ma aumentano solo la monotonia del paesaggio, [pre]occupando, per ragioni diverse, tanta gente, da farmacoeconomisti ai controllori di spesa-prescrizioni, ai pianificatori;
c) non protegge dal rischio di depressione vedere negli andamenti registrativi la conferma di qualcosa che è ormai ovvio, anche se un tempo sembrava inaccettabile, e cioè che le agenzie di governo non hanno tra i loro criteri di riferimento la salute pubblica (chi aveva esitazioni tardive, dovrebbe aver trovato risposte "beyond any reasonable doubt" nella didattica globale delle ultime vicende su COXIB ed antidepressivi).Per non autocitarci, le riviste più puntigliosamente dedicate alla qualificazione delle novità, come Prescrire o Dialogo sui Farmaci, forniscono tutti i dettagli utili ad una visione sinottica di questo aspetto della scena farmaceutica.
La bussola di questo secondo numero del 2005, e alcuni degli articoli di revisione-aggiornamento invitano ad una presa d'atto diversa: più preoccupata? più deprimente? più liberante?
1. L'aggancio più diretto alla breve riflessione lo offre senz'altro il "nuovo antipsicotico", che ha già fatto ampie comparse anche nei mass-media, provocando telefonate di speranza da parte di parenti di malati, ben assecondate da specialisti che lo vedono come una seconda generazione degli atipici.
Obbligati ai fatti, come si è per professione, si può solo rimandare ai contenuti della bussola. Il senso di incredulità e di irrealtà è totale. Trial contro placebo, piccoli numeri di pazienti, end-point surrogati, nessun dato "solido": l'atipicità sembra essere tutta nell'aver riportato indietro l'orologio della decenza culturale e metodologica ad un tempo remoto, tanto da darsi pizzicotti per sapere di essere svegli, perché si tratta di protocolli prima approvati per essere eseguiti su (N.B.: questa preposizione oggettivante è perfettamente al suo posto) pazienti, poi approvati per pubblicazione (chi sa quelli non pubblicati!), quindi approvati per registrazione, internazionale, europea, italiana.
2. L'articolo sul GAD racconta una storia che tocca l'altro versante delle malattie professionali cui espone il mestiere di cronisti-informatori sui farmaci. Dall'irrealtà, si passa all'ansia-depressione. Anche qui i fatti sono più importanti dei commenti. La capacità didattica di questa lettura può essere eventualmente integrata-arricchita (solo se si vuole, anche in questo caso, essere sicuri di non aver incrociato uno scenario isolato) con quella di due metanalisi1: rassicurano sul fatto che gli antidepressivi sono assolutamente fondamentali perché, essendo stati sviluppati, registrati, lodati perché capaci di porre un argine all'epidemia di idee e realtà suicidarie, sembra ragionevolmente provato che non ne producono un eccesso statisticamente significativo.
3. La sensazione di spaesamento-irrealtà aumenta, insieme ad un'ansia che rischia di generalizzarsi (sintomi suggestivi di bisogno di prescrizioni mirate e combinate dei farmaci sopracitati?) con la cronaca, anch'essa rigorosamente fattuale, del profilo del pimecrolimus. La sua collocazione in H dovrebbe tranquillizzare per il contenimento della spesa, ma è ancor più ansiogena; suggerisce infatti due domande decisamente preoccupanti: i farmaci "nuovi-perché-rigorosamente-non-documentati" devono essere rinchiusi in ospedale ("pericolosi per sé e per altri"?) perché fuori c'è qualcuno che ne sospira l'uso di massa? Ma l'ospedale non dovrebbe essere il custode specialistico delle conoscenze certe da prolungare nella realtà culturalmente non qualificata della pratica ambulatoriale? Che sia questa anche la chiave di lettura (l'ansia - irrealtà aumentano!) di note come la 78?
4. Per fortuna ci sono informazioni incoraggianti: la metodologia "scientifica" si sta riappropriando (per generare le novità di cui sembrano incapaci i farmaci selettivi, atipici, inviati a recettori-meccanismi avanzati) di tradizioni che sembravano destinate all'oblio, o alla marginalità: mentre Science dedica un dossier (di futuro? fuori tempo?) alla ricerca di base sul mondo dell'intestino2, c'è un fiorire di trial (metodologicamente più che competitivi con quelli dedicati agli psicofarmaci e agli immunosoppressori sopracitati) sui vecchi cari probiotici; i mirtilli espandono le loro indicazioni alle infezioni delle vie urinarie3, gareggiando con le statine che vedono il loro spettro pleiotropico allargarsi alle sepsi4,5; l'iperico si conferma un buon concorrente degli antidepressivi, e dei placebo, nella depressione6.
5. Forse non siamo a rischio di malattie professionali specifiche. I farmaci continuano ad essere indicatori affidabili del mondo7. In fondo, il "principio di incertezza" è la radice più sicura della cultura sperimentale: certo, sarebbe più affidabile se non fosse affiancato al "principio dell'irrilevanza" e ancor di più non coinvolgesse, pesantemente, e con arroganza, coloro che continuano ad essere soggetti e portatori di bisogni inevasi. C'è qualcuno, tra gli specialisti e le autorità regolatorie, che si ricorda, al di là dei malati psichiatrici, dei tanti anziani che continuano ad essere esposti a vecchi e nuovi farmaci per le funzioni cognitive? E c'è ancora qualcuno che, mentre l'EMEA pensa e decide, crede fermamente nella novità imprescindibile, al di là della loro sicurezza, dei COXIB?
Bibliografia 1) Cipriani A et al. Suicide, depression, and antidepressants. BMJ 2005; 330: 373-4. 2) Mondo dell'intestino. Science 2005; 307: 1920-25. 3) Mirtillo rosso nel trattamento delle infezioni urinarie. DTB 2005; 43: 17-19. 4) Almog Y et al. Prior statin therapy is associated with a decreased rate of severe sepsis. Circulation 2004; 110:880-5. 5) Warnholtz A et al. Should treatment of sepsis include statins? Circulation 2005; 111: 1735-7. 6) Linde K et al. St John's wort for depression: meta-analysis of randomised controlled trials. Br J Psychiatry2005; 186: 99-107. 7) Galeano E. A testa in giù. La scuola del mondo alla rovescia, Sperling & Kupfer, 1999.