Problema clinico e diagnostico
Nonostante i frequenti cambiamenti di definizione diagnostica e le conseguenti discussioni sulla sua reale esistenza come entità nosografica a sé stante, il disturbo d'ansia generalizzato (GAD) viene usualmente descritto come uno stato psicologico di ansia, nervosismo e preoccupazione che persiste nel tempo, non è controllabile, ed è oggettivamente eccessivo rispetto a quanto ci si aspetterebbe in base alle circostanze. L'ansia può essere accompagnata da una serie di sintomi somatici, a cui viene data maggiore enfasi nella classificazione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (International Classification of Diseases, ICD) rispetto a quella statunitense del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders)1. In particolare, i criteri per la diagnosi secondo la quarta edizione del DSM (DSM-IV), elencati nella Tabella 1, enfatizzano l'ansia, la tensione motoria, l'iperattività autonomica e la vigilanza cognitiva come i sintomi primari del disturbo che, per essere diagnosticato, dovrebbe persistere per almeno sei mesi. L'ansia è eccessiva ed interferisce con altri aspetti della vita del paziente. La tensione motoria si manifesta più comunemente come tremore, agitazione e cefalea. L'iperattività autonomica si manifesta tipicamente con tachipnea, eccessiva sudorazione, palpitazioni e vari sintomi gastrointestinali. La vigilanza cognitiva si evidenzia attraverso l'irritabilità del paziente e la facilità con cui si spaventa.
Il dibattito sullo stato nosologico del GAD e sui criteri che lo definiscono nasce con l'introduzione di questa patologia, come entità diagnostica a sé stante, nel DSM III2,3. In precedenza, nel DSM-I, l'ansia veniva descritta come una sensazione diffusa, non ristretta ad alcuna particolare situazione o oggetto, frequentemente associata a disturbi somatici. Nel DSM-II, la sintomatologia ansiosa includeva anche sintomi di panico, frequentemente associati a sintomi somatici. Nel DSM-III, per la prima volta, l'ansia viene distinta in due gruppi separati. Da una parte il disturbo d'attacchi di panico, e dall'altra il disturbo d'ansia generalizzato, con il criterio di durata della sintomatologia di 1 mese(Figura 1).
I primi studi sul GAD, che utilizzavano i criteri proposti dal DSM-III, avevano però subito evidenziato che un gran numero di soggetti affetti da questa patologia rispondeva anche ai criteri per altri disturbi ansiosi e dell'umore; in particolare, emergeva con frequenza una certa comorbidità con la depressione maggiore. Questa alta comorbidità aveva nuovamente indotto a dubitare della validità diagnostica del GAD, suggerendo che si potesse trattare non tanto di una nuova patologia, quanto piuttosto della sintomatologia prodromica e/o residuale di un disturbo depressivo. Per tale motivo, nella successiva edizione del DSM, il DSM-IV, la durata minima della sintomatologia per porre diagnosi di GAD veniva allungata a 6 mesi. Se, da un lato, questi ultimi cambiamenti e modifiche certamente rispecchiano maggiormente la complessità del fenomeno che si cerca di definire e descrivere, dall'altro lasciano aperto e ricco di spunti il dibattito sulla validità della definizione diagnostica oggi in vigore, proprio considerando la frequente comorbidità, e sovrapposizione di sintomi, con altri disturbi psichiatrici4.
Epidemiologia
Chiaramente, le difficoltà nel caratterizzare questa patologia si riflettono anche sulle stime epidemiologiche di prevalenza e incidenza. Utilizzando i criteri sopra esposti, il GAD sembra essere una patologia piuttosto frequente, che riguarda il 5% circa della popolazione (prevalenza lifetime); l'insorgenza tende a collocarsi prima dei 25 anni e il decorso è fluttuante. Non sembrano esserci differenze tra maschi e femmine nella frequenza di insorgenza, mentre sembra essere più frequente nei soggetti in condizioni sociali svantaggiate (basso livello educativo, minoranze etniche, condizioni economiche svantaggiate)5,6. I fattori di rischio di sviluppare il GAD includono una familiarità per il disturbo, una situazione di maggiore stress, una storia di trauma fisico o emotivo. E' stata anche riportata un'associazione tra fumo e ansia, così come tra la presenza di patologie mediche e sviluppo di sintomatologia ansiosa7.
Anche utilizzando il criterio diagnostico dei sei mesi di durata della sintomatologia ansiosa, anziché quello di un solo mese, i tassi di comorbidità del GAD con la depressione maggiore e con altri disturbi psichiatrici sono molto elevati8. La depressione maggiore, presente in più di due terzi dei casi, è la patologia psichiatrica più comunemente associata al GAD. Altre patologie presenti in comorbidità sono il disturbo d'attacchi di panico, presente in circa un quarto dei pazienti con GAD, la fobia sociale e specifica, e il disturbo da stress post-traumatico. L'abuso di alcool è riportato in più di un terzo dei pazienti. Dall'analisi della letteratura emerge che i pazienti con GAD in comorbidità con altre patologie psichiatriche lamentano una maggiore compromissione del funzionamento psicosociale, richiedono maggiori attenzioni da parte del medico di medicina generale, e hanno una peggiore risposta al trattamento.
L'alto tasso di comorbidità potrebbe essere interpretato in due maniere8. In primo luogo, il GAD "puro" potrebbe da solo non causare un grado di compromissione importante, e solo la concomitanza di altri disturbi ansiosi o del tono dell'umore potrebbe provocare un livello di stress e malfunzionamento tali da indurre i pazienti a richiedere aiuto al medico. In questo caso, potrebbe essere discussa la validità del GAD come disturbo indipendente, in quanto esso potrebbe avere un'importanza clinica solo quando parte di un cluster di comorbidità, in cui la rilevanza clinica sembrerebbe essere l'intero cluster sintomatologico, e non solo l'ansia. Una seconda possibilità è che i pazienti con GAD "puro", sebbene preoccupati per molteplici situazioni e circostanze di vita, non percepiscano questa preoccupazione come un problema "clinicamente rilevante", se non quando siano presenti altri disturbi più facilmente identificabili ed etichettabili come patologici.
Inquadramento diagnostico
I pazienti ansiosi spesso esprimono lamentele di tipo somatico, e questo può complicare il ragionamento clinico in quanto non è sempre immediato differenziare le malattie fisiche che determinano sintomi ansiosi dall'ansia primitiva con concomitanti sintomi somatici. Esistono tuttavia una serie di elementi che possono guidare il medico di medicina generale nel capire se l'ansia faccia verosimilmente parte di una condizione medica: l'ansia che compare dopo i 35 anni, la mancanza di familiarità per disturbi ansiosi, l'assenza di condizioni psicosociali di aumentato stress e/o assenza di situazioni ansiogene, e la scarsa risposta agli ansiolitici, sono tutti elementi che orientano verso l'esclusione di una diagnosi di GAD. Inoltre, una causa fisica dovrebbe essere sospettata quando l'ansia compaia dopo variazioni terapeutiche o in concomitanza ad altri segni o sintomi di una nuova patologia9.
Nel valutare un paziente con GAD è importante compiere una valutazione delle condizioni mediche generali (per esempio cardiache, polmonari, neurologiche, endocrine, incluso ipertiroidismo), attraverso esami ematochimici, un elettrocardiogramma ed eseguendo il test di funzionalità tiroidea. E' necessario escludere intossicazioni da caffeina, eventuali abusi di sostanze (cocaina o altri stimolanti), fasi di astinenza da alcool o da ansiolitici. Devono, inoltre, essere considerate le eventuali altre terapie farmacologiche assunte dal paziente, non tralasciando quelle che impiegano prodotti da banco o rimedi omeopatici. Solo dopo aver raccolto un'accurata anamnesi, ed avere quindi escluso la presenza di una di queste condizioni mediche, è possibile ipotizzare una condizione ansiosa primitiva7.
In questi casi, vale la pena approfondire ulteriormente il colloquio affrontando temi che hanno a che fare con la sfera affettiva, ideativa, cognitiva e psico-sociale, al fine di compiere un vero e proprio esame dello stato mentale.
Naturalmente, rimane l'enigma clinico di un paziente che, in oltre i due terzi dei casi, associa i sintomi ansiosi ad altri sintomi psichiatrici, soprattutto di tipo depressivo, rendendo davvero difficile la formulazione di una diagnosi ben precisa, la cui utilità potrebbe pure essere discussa. Questo spiega la rarità di osservare, nella pratica clinica reale, pazienti con una diagnosi formale di GAD, mentre sono frequenti i casi di pazienti con più generiche definizioni di sintomi ansioso-depressivi. La classificazione dei disturbi psichici suggerita dalla Organizzazione Mondiale della Sanità, proprio per tenere in considerazione questa complessità, ha inserito tra i disturbi depressivi la dizione di "Sindrome mista ansioso-depressiva".
Terapia
I trattamenti proposti per la cura del GAD hanno subito nel corso degli anni molti cambiamenti e i motivi sono molteplici10. Prima di tutto, i continui ripensamenti diagnostici hanno lasciato incertezze e dubbi sulla relazione tra questo disturbo e i disturbi dell'umore e, di conseguenza, sulla opportunità di trattare primariamente i sintomi ansiosi o quelli affettivi. In secondo luogo, le possibilità di terapie farmacologiche per i disturbi dell'umore e per i disturbi ansiosi sono andate rapidamente sviluppandosi, con l'attuale disponibilità di numerose classi di farmaci. Terzo, l'elevata frequenza di altri disturbi psichiatrici (fino al 90% dei casi) complica le scelte terapeutiche. Infine, le evidenze indicano che i sintomi ansiosi recidivano spesso, e questo induce a ritenere importante un atteggiamento terapeutico preventivo11. I trattamenti proposti per la cura del GAD sono di tipo farmacologico e psicoterapeutico.
Trattamenti farmacologici
Le classi di farmaci che hanno proprietà ansiolitiche e che possono essere considerate nel trattamento del GAD sono le benzodiazepine e gli antidepressivi, soprattutto gli inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI). La decisione di intraprendere o meno un trattamento farmacologico dipende da più fattori, tra cui la gravità della sintomatologia, l'urgenza del controllo dei sintomi, la comorbidità con altre patologie e le scelte del paziente12,13.
Benzodiazepine
Per molto tempo le benzodiazepine sono state i farmaci di prima scelta nel controllo dei sintomi ansiosi e tuttora sono considerate il trattamento più indicato per il controllo rapido dell'ansia e per gestire le situazioni in cui non vi sia comorbidità con un disturbo depressivo. Numerosi studi clinici randomizzati hanno infatti dimostrato, nel corso degli anni, la loro elevata efficacia nel trattamento dell'ansia generalizzata. Sono farmaci tuttavia gravati da una serie di effetti collaterali che si manifestano soprattutto quando l'uso è prolungato e negli anziani. In aggiunta, la sospensione brusca delle benzodiazepine provoca un quadro sintomatologico caratterizzato da irritabilità, tremori, ansia, insonnia, sudorazione. In molti utilizzatori di benzodiazepine, il timore di sviluppare questi sintomi induce a proseguirne l'uso in modo continuativo, innescando così un meccanismo per cui non è più chiaro se l'utilizzo risponda ad un bisogno reale (continuano ad essere presenti sintomi ansiosi) oppure se sia legato al timore della sospensione. Per ridurre questi rischi, è importante utilizzarle in modo occasionale, negoziando con il paziente la durata del trattamento e chiarendo le modalità graduali della sospensione. In linea di massima, il trattamento delle condizioni ansiose con benzodiazepine dovrebbe durare 2-6 settimane, seguite da 1-2 settimane di riduzione del farmaco prima della sospensione. Uno degli errori clinici più comuni è accettare di continuare il trattamento per un tempo indefinito7. Di solito si prediligono le benzodiazepine a lunga emivita (per esempio il diazepam), che svolgono un effetto ansiolitico di giorno e ipnoinducente la sera.
Antidepressivi
In aggiunta alle benzodiazepine, la frequente comorbidità dell'ansia generalizzata con la depressione ha portato gli antidepressivi ad essere considerati in molti casi i farmaci di prima scelta nel trattamento di questo disturbo. Imipramina, paroxetina, venlafaxina, escitalopram e trazodone sono gli antidepressivi maggiormente studiati nelle sperimentazioni cliniche. Questi farmaci sembrano possedere un certo effetto ansiolitico11.
Per quanto riguarda gli antidepressivi triciclici, uno studio clinico randomizzato ha dimostrato l'efficacia dell'imipramina rispetto al placebo, con un miglioramento dei sintomi in più del 50% dei casi dopo 8 settimane di trattamento14. Gli effetti indesiderati di questi farmaci possono, però, ridurre l'aderenza al trattamento dei pazienti.
Gli SSRI hanno dimostrato un'efficacia analoga ai triciclici nel contrastare i sintomi ansiosi. La paroxetina e l'escitalopram sono gli SSRI che hanno l'approvazione della Food and Drug Administration (FDA) per il trattamento del GAD oltre che per la depressione. Tuttavia altri SSRI, come citalopram, sertralina, fluoxetina e fluvoxamina, sembrano avere un analogo effetto ansiolitico. Come per il trattamento della depressione, vi è un periodo di circa 2-4 settimane prima che l'effetto terapeutico si renda manifesto, anche se, in alcuni studi, l'effetto ansiolitico è risultato anticipato. Per esempio, una specifica riduzione dell'"umore ansioso" è stata osservata già dopo una settimana in un trial tra paroxetina e placebo15; dopo 8 settimane si osservava un significativo miglioramento dell'ansia e un miglior funzionamento, e una più alta percentuale di remissione della sintomatologia (42% vs 26%), nei pazienti trattati con paroxetina (20-50 mg/die) rispetto a quelli che ricevevano il placebo. Tali risultati sono stati recentemente replicati in altri studi16. Anche a lungo termine (32 settimane) la paroxetina mantiene la propria efficacia rispetto al placebo17: addirittura, nei pazienti in trattamento con paroxetina il tasso di remissione a 6 mesi (73%) era più alto rispetto al tasso di remissione a 8 settimane (42%), dato che suggerisce l'ipotesi secondo cui un trattamento prolungato potrebbe aumentare le possibilità di remissione della sintomatologia. L'escitalopram si è dimostrato efficace nel trattamento del GAD in tre studi clinici controllati multicentrici di 8 settimane controllati con placebo18. Analogamente, in un trial a 24 settimane, il trattamento con escitalopram alla dose di 10-20 mg/die si è dimostrato efficace nel miglioramento della sintomatologia ansiosa19. Secondo queste sperimentazioni, gli SSRI sono farmaci sicuri e ben tollerati. Tuttavia, l'agitazione che può comparire all'inizio della terapia suggerisce, soprattutto in pazienti con GAD, di iniziare la terapia con dosaggi bassi.
Per quanto riguarda le altre classi di antidepressivi, la venlafaxina, un inibitore della ricaptazione di noradrenalina e serotonina, ha dimostrato una certa efficacia ansiolitica e antidepressiva e ha pertanto ricevuto l'indicazione per il trattamento del GAD da parte della FDA. In due studi clinici controllati, il tasso di risposta in acuto (8 settimane) è stato del 58% nel gruppo trattato con venlafaxina e del 36% nel gruppo trattato con placebo20; inoltre, il tasso di risposta a lungo termine (6 mesi) è stato del 66% nel gruppo trattato con venlafaxina e del 39% nel gruppo trattato con placebo21. Almeno due terzi dei pazienti che non avevano risposto a 8 settimane rispondevano a 6 mesi. Cautela e controlli ripetuti sono necessari con dosaggi di venlafaxina superiori a 225 mg/die per il rischio di ipertensione arteriosa sistolica.
Trattamento psicoterapico
Il trattamento psicoterapico maggiormente studiato per l'ansia è la terapia cognitivo-comportamentale (CBT)22. Questo intervento, che insegna ai pazienti a sostituire i pensieri che provocano ansia con altri, positivi e non ansiogeni, generalmente richiede 6-12 sessioni ad intervalli di una settimana. Un trial clinico randomizzato ha evidenziato che il 32% dei pazienti del gruppo che aveva ricevuto CBT aveva avuto un miglioramento significativo dopo 3 mesi e il 42% era migliorato dopo 6 mesi, mentre nessun miglioramento si era osservato nel gruppo trattato con placebo dopo 3 mesi23. Sembra che circa la metà dei pazienti che rispondono alla CBT mantenga tale miglioramento nel tempo24. In generale, i dati sperimentali riassunti in due meta-analisi25,26 hanno evidenziato che la CBT riduce la sintomatologia ansiosa ed è più efficace di trattamenti psicoterapici non specifici.
Un approccio alternativo alla CBT è rappresentato dalle tecniche di rilassamento applicato, che si basano sulla immaginazione di situazioni di calma per indurre un rilassamento muscolare e mentale. Uno studio clinico randomizzato che ha confrontato la terapia cognitiva con la terapia di rilassamento applicato non ha evidenziato differenze significative ad un anno27.
Conclusioni e raccomandazioni
In pazienti che presentano sintomi ansiosi, i medici di medicina generale dovrebbero investigare tutte le possibili cause mediche, incluso l'ipertiroidismo, e dovrebbero valutare con attenzione le frequenti patologie psichiatriche concomitanti, come la depressione maggiore, il disturbo d'attacchi di panico e l'abuso di sostanze. Nei casi in cui l'ansia sia associata a depressione maggiore, è importante prescrivere un trattamento antidepressivo di provata efficacia a dosaggio adeguato. Nel caso in cui si prescriva un SSRI o la venlafaxina, per minimizzare gli effetti collaterali, in particolare l'irrequietezza, è consigliabile iniziare con una dose bassa e aumentarla gradualmente nelle successive tre settimane fino al raggiungimento della dose desiderata. Durante le prime 4-5 settimane di trattamento antidepressivo può essere opportuno somministrare benzodiazepine a scopo ansiolitico, informando il paziente che si tratta di un trattamento che verrà gradualmente sospeso nelle successive 4-8 settimane. Per alcuni pazienti, per esempio coloro che non desiderano un trattamento di tipo farmacologico, è indicato un approccio di tipo psicoterapico con terapia cognitivo-comportamentale o con tecniche di rilassamento. Tali terapie potrebbero essere utili anche in pazienti in trattamento farmacologico, ma non vi sono dati a sostegno di questa affermazione. Durante questa prima fase del trattamento, è importante seguire i pazienti con colloqui abbastanza frequenti. Se la terapia è efficace, essa dovrebbe essere continuata per almeno 6 mesi e, solo allora, una eventuale sospensione dovrebbe essere presa in considerazione7.
Nei pazienti con GAD senza comorbidità vale la pena gestire la sintomatologia ansiosa discutendo con il paziente i possibili motivi che la sottendono. La sola attenzione e il semplice ascolto di quella che è la percezione dei propri disturbi ansiosi e delle motivazioni che vengono addotte per giustificarli, permette di stabilire una relazione terapeutica entro cui calare suggerimenti di buon senso pratico, raccomandazioni per una corretta igiene del sonno e delle vita quotidiana e, in alcuni casi, un trattamento farmacologico. Le benzodiazepine sono farmaci sicuramente efficaci e, altrettanto sicuramente, difficili da gestire nel lungo periodo in quanto molti pazienti "si affezionano" al trattamento, spesso assunto a dosaggi molto bassi, e non sono disposti a prendere in considerazione l'idea di una graduale sospensione. La recente promozione degli SSRI e della venlafaxina a farmaci anti-ansia deve essere valutata criticamente. Non solo valgono le, purtroppo, "solite" considerazioni sulle sperimentazioni in psichiatria piccoli numeri di pazienti molto selezionati, seguiti per brevi periodi di tempo e valutati con estrema sofisticatezza28,29 ma in questo caso se ne aggiungono altre.
1- L'efficacia degli antidepressivi nel GAD è dimostrata in termini assoluti, rispetto al placebo, ma il bisogno clinico è capire se questi farmaci possano conferire dei vantaggi rispetto a quelli oggi in uso, le benzodiazepine appunto. La virtuale assenza di trial comparativi di elevata qualità lascia ovviamente grandi dubbi sul perché si debba preferire un farmaco antidepressivo ad una benzodiazepina in soggetti con GAD senza comorbidità con depressione. Il rischio di dipendenza e di scatenare una crisi di astinenza potrebbe essere un valido motivo ma, anche in questo caso, abbiamo bisogno di comparazioni, condotte sul lungo periodo, che prevedano la graduale sospensione di farmaci appartenenti alle due classi. E' noto infatti che anche gli antidepressivi SSRI e la venlafaxina provocano, se interrotti bruscamente, una sintomatologia rebound caratterizzata da ansia, irrequietezza motoria e psichica, tremori, irritabilità.
2- L'alta frequenza di comorbidità del GAD con la depressione maggiore e con la presenza di sintomi depressivi fa dubitare di un effetto "netto" degli antidepressivi sull'ansia. E' lecito sospettare un effetto principalmente sul cosiddetto "umore ansioso" e quindi sull'aspetto affettivo del disturbo più che su quello ansioso. In questo senso, estendere lo spettro terapeutico degli antidepressivi all'ansia sembra più una trovata di marketing che un esercizio di medicina basata sulle prove di efficacia.
3- Gli antidepressivi di nuova generazione sono farmaci attivanti, ossia inducono, soprattutto nei primi giorni di trattamento, una vaga sintomatologia caratterizzata da irrequietezza, tremori, insonnia, ansia. E' pertanto difficile pensare che, nella pratica clinica quotidiana, alla presenza di sintomi ansiosi si proponga un trattamento con un farmaco che, per lo meno nelle fasi iniziali del trattamento, aggraverà questi sintomi. Questa considerazione, banale, ha indotto ad includere, nella maggior parte delle linee-guida sul trattamento farmacologico dell'ansia, la raccomandazione di associare al trattamento antidepressivo un trattamento con, guarda caso, benzodiazepine.
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