Scetticismo contro mercato
L'impiego della terapia antiflogistica topica affonda le proprie radici in abitudini antiche tendenti a porre il medicamento (il cataplasma, l'impiastro) a contatto con la "parte malata". Le motivazioni razionali per l'utilizzo di preparati ad azione locale risiedono da una parte nel giusto concetto di concentrare il più possibile il principio attivo in prossimità del sito d'azione e dall'altra nella speranza di minimizzare gli effetti indesiderati di farmaci dotati di una potenziale pericolosità, indiscutibile quando somministrati per via generale1.
La documentazione scientifica in favore di questa via di somministrazione ha spesso suscitato scetticismo ma, nonostante questo, l'impiego topico degli antinfiammatori trova tuttora larga diffusione, anche sotto forma di automedicazione, in base al concetto che "qualcosa bisogna pur usare" e che "tanto male non fa".
Riabilitazione vera o presunta?
Una recente revisione sistematica quantitativa2 cerca di chiarire questi dubbi analizzando i risultati degli studi clinici sull'impiego di FANS topici nel trattamento di condizioni dolorose acute ("stiramenti" o "strappi muscolari", traumatologia sportiva in genere) e croniche (artriti). Gli autori (appartenenti ad una unità di valutazione e terapia del dolore del Radcliffe Hospital di Oxford) giungono alla conclusione che l'impiego di FANS topici ha una efficacia superiore al placebo, quando impiegati in affezioni dolorose sia acute che croniche.
Nell'articolo riproponiamo una lettura critica dei dati prodotti da questa revisione sistematica per due ragioni fondamentali. La prima, perché riteniamo che la metanalisi, per quanto autorevole, non abbia chiarito il quesito riguardante l'efficacia delle formulazioni topiche dei FANS. La seconda, perché questo esercizio di lettura critica illustra chiaramente la necessità di "saper leggere" un articolo scientifico per coglierne pregi e difetti.
L'analisi quantitativa dei vari studi viene effettuata utilizzando una metodica dicotomica, valutando l'esito terapeutico come "successo" o "insuccesso". Questa valutazione viene fatta utilizzando alcuni dati presenti negli studi, ovvero (in ordine di importanza): a) giudizio globale dato dal paziente; b) presenza di dolore durante il movimento; c) presenza di dolore a riposo; d) giudizio globale dato dal medico.
Per ogni studio viene così ottenuto un parametro numerico indicato come "beneficio relativo" (BR) ponendo al numeratore la percentuale di "successi" nei soggetti trattati col farmaco e al denominatore la percentuale di "successi" nei soggetti trattati col placebo.
La valutazione del beneficio relativo è stata fatta sia nel caso di affezioni acute che croniche. Per le affezioni acute i dati considerati riguardano gli esiti dopo una settimana dall'inizio del trattamento; per le affezioni croniche sono invece considerati gli esiti dopo due settimane. I valori di beneficio relativo risultano di 1,7 (affezioni acute) e 2 (affezioni croniche). Il numero di pazienti da trattare per avere un esito favorevole in più (number needed to treat NNT) è rispettivamente di 3,9 e 3,1: significa che bisogna trattare mediamente quattro pazienti nel caso di condizioni acute, tre nel caso di condizioni croniche per avere un esito favorevole in più.
Analizzando gli studi in base al numero di pazienti coinvolti, gli autori sottolineano come gli studi di minori dimensioni (con meno di 40 pazienti) forniscano risultati più ottimistici, con NNT più basso (2,6) rispetto agli studi di maggiori dimensioni (NNT=5).
Questi dati, analizzati dal punto di vista "numerico", rappresenterebbero un risultato di tutto rispetto, soprattutto alla luce della scarsità di effetti indesiderati sia locali che sistemici, giudicati sovrapponibili a quelli forniti dal placebo. Analizzando i risultati per ogni singolo principio attivo gli autori individuano, per le terapie dei dolori acuti, alcune molecole per le quali sarebbero disponibili i dati più convincenti (ibuprofene, felbinac, piroxicam, ketoprofene) mentre per altri (benzidamina, indometacina) non esisterebbero risultati tali da potere concludere per la loro efficacia. Il più ridotto numero di studi disponibili per le patologie dolorose croniche non ha permesso agli autori di fornire conclusioni disaggregate tra le diverse molecole.
Le conclusioni degli autori (che dichiarano più volte di essere partiti dall'assunto che la applicazione locale di FANS sia inefficace) sembrerebbero dunque conferire una base scientifica all'impiego della terapia topica finora supportata solo dall'abitudine quotidiana e dall'empirismo aneddotico.
I motivi di perplessità, uno per uno
Nel valutare i risultati presentati da Moore e collaboratori ci siamo posti alcune domande che generalmente ci si pone quando si valuta uno studio sull'efficacia di un farmaco, ovvero:
a. quali sono i pazienti cui il farmaco è stato somministrato;
b. quale misura/indicatore viene utilizzato per valutare il loro stato di salute;
c. come stavano prima;
d. dopo quanto tempo sono valutati gli esiti clinici;
e. come stanno dopo.
Questa disamina ha portato alla luce alcuni elementi e alcuni interrogativi sui quali riflettere attentamente:
Non è chiaro che tipo di pazienti facciano parte degli studi inclusi in questa metanalisi. Sarebbe utile conoscere, ad esempio, l'età media dei pazienti e naturalmente il loro stato clinico, per capire a quali casi e quali condizioni l'efficacia dei farmaci sia riferita.
Gli autori stabiliscono, per ciascuno degli studi, il "successo" o "l'insuccesso" della terapia in base ad alcuni dati, che sono in ordine di importanza (come già indicato sopra):
1) giudizio globale dato dal paziente; 2) presenza di dolore durante il movimento; 3) presenza di dolore a riposo; 4) giudizio globale dato dal medico.
Sarebbe però utile capire più precisamente in che misura hanno inciso queste varie componenti, e, ritornando al punto precedente, a quale stato clinico iniziale si riferisca il miglioramento. Si tratta di una metodologia validata? Gli autori non dicono nulla a questo proposito.
Come già detto, non è chiaro quale fosse lo stato clinico iniziale dei pazienti, dunque quale fosse la loro possibilità di "migliorare".
Gli esiti sono valutati mediamente dopo una settimana nel caso di affezioni acute e due settimane nel caso di affezioni croniche. In particolare questo intervallo di due settimane sembra modesto per valutare gli esiti clinici nei pazienti cronici.
Non è chiaro infine quale sia lo stato clinico dei pazienti dopo il trattamento (così come lo stato iniziale), e quindi come quantificare i miglioramenti che sono riportati. A questo proposito bisogna sottolineare come l'espressione dei risultati mediante l'NNT (numero di pazienti da trattare - mediamente - per ottenere un esito favorevole) abbia un notevole valore nel caso di esiti netti quali la sopravvivenza o eventi ben codificabili come ictus, sanguinamenti, fratture, infarti ecc., mentre il valore reale di questo parametro si stempera notevolmente se il dato di riferimento è un elemento soggettivo da interpretare con scale analogiche, come il dolore o l'inabilità.
Nel valutare una metanalisi, che è una raccolta di studi, bisogna inoltre porsi altre domande, per capire se gli studi inclusi sono selezionati in modo appropriato e se rappresentano una base di valutazione adeguata.
Ma come? In quasi 50 anni, così pochi studi validi per così tanti farmaci? La ricerca bibliografica, sulla quale si basa lo studio (svolta consultando le maggiori banche dati esistenti), ha condotto al reperimento di 86 studi comprendenti studi sul dolore acuto o cronico. Il numero di per sé sarebbe di tutto rispetto ma se si considerano le numerose molecole dei FANS ed il periodo di 45 anni (1950-1994) in cui è stata effettuata la ricerca, stupisce che un così piccolo numero di studi ritenuti "seri" possa avere supportato un così ampio impiego di presidi terapeutici (circa 2 milioni di pezzi all'anno nella sola realtà inglese ed almeno altrettanti nel panorama italiano, per il quale non esistono dati precisi).
Quanto potrebbe aver inciso il "publication bias" nel determinare questi risultati? Gli autori sottolineano il rischio che nella loro metanalisi esista il cosiddetto "publication bias" (ovvero la distorsione derivante da una tendenza alla pubblicazione dei soli dati favorevoli). Nell'apprezzabile tentativo di bilanciarne gli effetti, essi però includono anche alcuni risultati di studi non pubblicati condotti dall'industria farmaceutica, coinvolgenti ben 1.695 pazienti. In questo modo, più che risolvere un "bias" (distorsione) se ne introduce probabilmente un altro derivante dalla inclusione nella analisi di dati certamente non pubblicati, ma provenienti da una fonte con evidenti conflitti di interesse.
Gli stessi autori osservano inoltre che negli studi di minori dimensioni (che costituiscono più della metà del totale delle ricerche qui considerate) vengono ottenuti i risultati più eclatanti. Anche da questa metanalisi emerge - come spesso si osserva in questo tipo di indagini il fatto che utilizzare risultati provenienti da studi che coinvolgono pochi pazienti amplifica un effetto. Ciò fa inoltre pensare che studi "negativi" di maggiori dimensioni non siano stati pubblicati, avvalorando l'ipotesi di publication bias.
Il conflitto di interessi può essere un elemento importante? La metanalisi è stata sponsorizzata, almeno in parte, da due importanti ditte interessate nel settore: il conflitto di interesse, benché esplicitato dagli autori stessi nelle note all'articolo, rappresenta un elemento non trascurabile nella considerazione da attribuire ai risultati provenienti dallo studio. Inoltre, non è chiaro quanti degli studi che sono stati inclusi in questa metanalisi siano sponsorizzati da ditte produttrici degli stessi prodotti.
I metodi e i risultati sono riportati in modo chiaro? La lista degli studi utilizzati in questa metanalisi non e' direttamente indicata nell'articolo; viene invece indicato un sito Internet dove trovarla. Siccome "scripta manent", sarebbe opportuno che la lista degli studi utilizzati accompagnasse sempre ogni metanalisi, dato che non tutti hanno accesso a Internet e il sito cui si rimanda non sarà disponibile in eterno (dopo un paio di anni potrebbe già non esserci più). I risultati non sono riportati in modo chiarissimo. Come detto, gli autori hanno selezionato 86 studi, ma non è facile capire che solo 46 di questi sono in effetti utilizzati per ricavare i valori di BR e NNT. Inoltre non è specificato quanti di questi 46 studi facciano parte di quelli forniti dall'industria e quale sia il relativo numero di pazienti. Specificare tutto ciò renderebbe più chiari i risultati, eventualmente eliminando il dubbio che ci sia un "bias" dovuto all'uso di dati provenienti da fonti che hanno un conflitto di interessi rispetto all'argomento trattato.
Non siamo i soli a dubitare
A conferma della fondatezza di questi dubbi stanno alcune prese di posizione autorevoli.
In una lettera inviata all'editore del British Medical Journal3, anche altri medici esprimono dubbi sulla validità delle conclusioni della metanalisi di Moore in ambito decisionale sulla scelta o meno di proporre una terapia con FANS topici. I firmatari della lettera, oltre a condividere alcune delle perplessità da noi sollevate, sottolineano la qualità discutibile degli studi di confronto con FANS per via sistemica e lamentano la mancanza di dati di confronto con altri provvedimenti non farmacologici potenzialmente rilevanti come l'immobilizzazione, la perfrigerazione, l'adozione di posizione con arto in scarico.
Ancora, il British Medical Journal ha pubblicato un importante documento elaborato dal North of England Non-steroidal Anti-Inflammatory Drug Guideline Development Group4 dove, nel contesto di una linea-guida per il trattamento farmacologico del dolore nella patologia artrosica cronica degenerativa, non viene riconosciuta una utilità ai preparati topici se non la minore incidenza di sanguinamenti gastrointestinali rispetto ai FANS per via sistemica.
Leggere tra le righe degli studi clinici
Un altro esempio che incoraggia ad una attenta lettura dei messaggi scientifici, viene da uno studio recente che valuta l'efficacia analgesica della nimesulide impiegata sotto forma di gel5. Gli autori concludono che "la superiore attività analgesica della nimesulide (in formulazione gel) correlata al suo profilo farmacocinetico, indica che la via di somministrazione topica può essere una alternativa efficace e sicura alle vie di somministrazione rettale e orale attualmente usate".
Il disegno sperimentale dello studio prevedeva la somministrazione di uno stimolo doloroso mediante una modifica del metodo di Hollander che consiste nella applicazione di un bracciale al quale sono fissati i classici tappi di bottiglia in metallo a margine corrugato. La metodica è certo standardizzata, ma non è sicuramente sovrapponibile o paragonabile alla condizione clinica più frequente nella pratica ambulatoriale dove i pazienti non soffrono di un dolore proveniente dalla cute ma dalle strutture ad essa sottostanti (muscolo - articolazioni, ecc.).
Lo studio citato rappresenta quindi una buona premessa per uno studio clinico in condizioni "reali", ma non autorizza conclusioni operative in favore di un utilizzo ambulatoriale evidence-based della nimesulide.
La lettura accurata di un articolo diventa quindi una condizione indispensabile per potere accettarne le conclusioni, soprattutto se utilizzate per modificare le propria pratica quotidiana. In questo esercizio il medico di medicina generale non va lasciato solo. È difficile pensare che ogni medico possa compiere uno sforzo simile nel momento in cui si trova a dover risolvere un problema diagnostico e/o terapeutico. Questo indispensabile esercizio può e deve essere svolto dalle fonti di informazione indipendenti (bollettini, riviste qualificate, agenzie, ecc.) consentendo così al medico di famiglia di scegliere le opzioni meglio documentate dal punto di vista scientifico.
Conclusioni
Numerosi elementi di incertezza impediscono di accettare sic et simpliciter i dati a favore della efficacia terapeutica dei FANS topici: troppi sbilanciamenti ed errori sistematici inquinano l'attendibilità degli studi disponibili. Non solo, ma i possibili vantaggi derivabili da un loro impiego risultano sicuramente modesti e clinicamente poco rilevanti, con l'aggravante, per alcuni farmaci, di un costo molto elevato.
Pur rifiutando - in linea di principio - il sospetto che gli autori dello studio o gli editori della rivista possano essere stati influenzati da dinamiche commerciali, sembra oltremodo importante richiamare ad una attenta valutazione critica degli articoli scientifici, anche se pubblicati su riviste ritenute affidabili. Questo deve essere sottolineato in modo particolare per chi intende basare le proprie azioni mediche sulle conclusioni della letteratura scientifica.
Bibliografia 1. Garcia Rodriguez LA, Jick H. Risk of upper gastrointestinal bleeding and perforation associated with individual non-steroidal anti-inflammatory drugs. Lancet 1994; 343: 7269-772. 2. Moore RA, Tramer MR, Carroll D, Wiffen PJ, Quay HM.. Quantitative systematic review of topically applied non steroidal anti-inflammatory drugs. BM J 1998; 316: 333-338. 3. Duerden M, Barton S, Johnstone E, MacLean K,.Underhill J and Walley T. Safety, efficacy and therapeutic role of NSAIDs must be clarified. BMJ 1998; 317: 280. 4. Eccles M., Freemantle N. and Mason J for the North of England Non-steroidal Anti-Inflammatory Drug Guideline Development Group North of England evidence based guideline development project: summary guideline for nonsteroidal anti-inflammatory drugs versus basic analgesia in treating pain of degenerative arthritis. BMJ 1998; 317: 526-530. 5. Sengupta S, Velpandian T, Kabir S.R e Gupta SK. Analgesic efficacy and pharmacokinetics of topical nimesulide gel in healthy human volunteers: double-blind comparison with piroxicam, diclofenac and placebo. Eur J Clin Pharmacol 1998; 54: 541-547.